Marocco 2002

CASABLANCA, 23-25 Agosto 20002 Il volo è breve, neanche 3 ore da Milano, ma il distacco è tanto. Benvenuti in Marocco, paese islamico, musulmano, arabo, africano, magrebino, mediterraneo e sahariano: un po’ di tutto per tutti. Casablanca è lo stordimento dei sensi, di tutti sensi, in ogni senso. Le case sono sì bianche, ma sono le strade...
Scritto da: Lisa Rambaldi
Partenza il: 23/08/2002
Ritorno il: 09/09/2002
Spesa: 1000 €
CASABLANCA, 23-25 Agosto 20002 Il volo è breve, neanche 3 ore da Milano, ma il distacco è tanto. Benvenuti in Marocco, paese islamico, musulmano, arabo, africano, magrebino, mediterraneo e sahariano: un po’ di tutto per tutti.

Casablanca è lo stordimento dei sensi, di tutti sensi, in ogni senso. Le case sono sì bianche, ma sono le strade ad essere nere, schifosamente sporche, trasudanti di grasso, come in ogni città con almeno 3.5 milioni di persone. Il posto dove le strade davvero nere ospitano case bianchissime è la Medina, la vecchia città araba, ora un quadrilatero racchiuso da mura e lasciato ai più poveri e ai più sporchi.

Girare nei vicoli tortuosi e labirintici della medina è un’attività piuttosto pericolosa alla quale però non ci risparmiamo, pur passando da mosche bianche, e per di più io donna in mezzo ad un alveare di api abbastanza assillanti! Non sono disturbata, ma le facce che vedo intorno a me non mi rincuorano e la paura non diminuisce, specie dopo che un signore ci viene incontro puntandoci negli occhi il suo indice “ne passer!”. E chi vuole passare? La strada sarà stata chiusa interrotta o forse qualcosa di non troppo bello nè ammirabile ci attenderebbe dietro l’angolo… Resto col dubbio: in questi casi la mia sete di conoscenza si acquieta! Attraversiamo la zona dei banchetti alimentari dove carretti trainati da asini portano fasci di foglie di menta, quella stessa che si mette nel famoso the alla menta, qui noto anche come whiskey marocchino. Passiamo la via degli orafi, dei tappeti, del ciarpame e delle cianfrusaglie… Ce ne sono davvero tante! Fuori dalle mura si nota su tutta la medina il contorno di case bianche rotto da parabole satellitari disordinate e sparse, perfettamente verticali rispetto alle discariche a cielo aperto. Non vogliono che io fotografi e non ci riesco con mio grande dispiacere. Ma la sequenza di carrozzai, meccanici, elettrauti, officine sulla strada con marmitte e pezzi vari appesi davanti a macchine sventrate e semidistrutte resterà un’immagine viva nella mia memoria anche senza fotografia.

Finalmente siamo alla moschea di Hassan II, il monumento simbolo di Casablanca, ultimato nel ’93 dal sovrano poi morto nel ’99. E’ imponente! 210 metri di minareto, il più alto del mondo! 80.000 fedeli si possono raccogliere sul piazzale esterno e 25.000 nella sala di preghiera interna. Solo dalle 2 pm si può visitare l’interno della moschea dopo aver pagato 100 dhiram, corrispettivo di 10 euro, regalo per questo uso consumistico di un luogo sacro per l’umanità musulmana. Imponente e bellissima, l’unica moschea visitabile dai non musulmani in tutto il Marocco! La navata centrale è lunga 200 metri e larga 100, tutto marmo lucidissimo anche perchè le scarpe le abbiamo tolte all’entrata e le teniamo in mano dentro un sacchettino di plastica gentilmente offertoci all’ingresso e compreso nel prezzo. I 15 anni di costruzione sono spiegati dagli incredibili lavori di intarsio nel legno di cedro stuccato in oro sopra alle nostre teste, dall’incastonamento antisismico dei marmi, dal soffitto apribile e dal pavimento riscaldabile, dalle colonne della nicchia centrale in marmo di Carrara e dai lampadari da 1 tonnellata l’uno in vetro di Murano. La sorpresa più grande è ospitata nei sotterranei, sede dei bagni marocchino e turco al vapore ancora non funzionante. Bellissima la fontana a fior di loto dove l’acqua si incanala e scende così i fedeli possono lavarsi 3 volte ogni arto prima di pregare. Abnuzioni e purificazioni prima di rivolgere il proprio pensiero ad Allah! Dal minereto il muezzin salito con l’ascensore chiama i fedeli alla preghiera 5 volte al giorno per un minuto, e per mezz’ora all’alba per risvegliarli dal sonno e dai sogni.

Casablanca è una città in stile occidentale con la nouvelle ville francese e le donne scoperte che vestono abiti fashion –così li chiamano- come i miei. Alla faccia delle poche ortodosse che resistono sotto il chador! Molte indossano il jellabà, una lunga veste con capuccio che vediamo fabbricare in alcune botteghe in cui ci Hassan ci porta. Hassan è una guida autopropostasi e autoimprovvisata! E’ stato in Italia, lavorava in una fattoria e si è trovato molto bene. Come tutti i marocchini ha il mito dell’Italia, le nostre macchine (alcune davvero nuovissime!), le nostre squadre di calcio (magliette per tutti!). L’italiano è percepito in generale come un turista generoso e affabile, non ci hanno ancora conosciuti! Hassan si aspetta di essere pagato subito in euro che lui chiama “oro”, e ben 50 euro per un’oretta di spiegazioni a modo suo ma in italiano perfetto. Ovviamente prenderà solo 10 euro, non senza lamentarsi, che a posteriori scopriremo essere stati una fortuna secondo i canoni marocchini! Il Mac Donald’s a Ain Diab, porto di mare elegante e curato per marocchini ricchi, è pieno di gente, segno evidente della continua globalizzazione all’occidentale.

RABAT, 25 AGOSTO 2002 Lasciamo Casablanca senza alcun rimpianto e gusiamo invece la città di Rabat, l’attuale capitale. Simbolo della città è la torre di Hassan e il mausoleo di Mohammed V costruito su una terrazza da cui si domina Rabat e Salè, città gemelle divise dal fiume.

La medina è un grande mercato più ordinato e pulito di quello di Casablanca e attraversandola tutta si arriva alla vecchia Kasbah des Oudaias, un dedalo di vie bianche in cui i muri hanno uno zoccolo blu di qualche metro che tiene lontane le mosche. Un morettone, forse autentico discendente degli antichi Mori!, si offre come nostra guida non richiesta e inzia il suo discorso sempre uguale in francese: incomprensibile! Il racconto dei corsari, esuli europei qui in lotta coi governi patrii, ambienta subito storicamente la visuale che ci si presenta davanti alla terazza della kasbah. Fiume che divide la città da un lato, oceano aperto e sconfinato dall’altro insieme ad una spiaggia affollatissima cui la gente continua ad affluire attraverso vicoli medievali una volta ugualmente percorsi dai corsari spagnoli.

Lo stile andaluso è nelle decorazioni in legno dei balconi e delle porte sulle quali è posta la mano di Fatima in segno di buona fortuna.

Il luogo forse più mistico e incredibile è la Chellah, la vecchia necropoli a ovest della città che tra antiche rovine di una moschea, uno stagno di anguille frequentato da donne per voto di fertilità, c’è un’incredibile fauna e flora, interessante al pari di quella umana già osservata nella medina e nella kasbah! Sotto le tombe dei merinidi, sopra nidi di cicogne in cima a ruderi abbandonati e piante varie e coloratissime tutt’intorno: dalla morte alla vita! Altri 100 km di autostrada in mezzo al nulla tra persone che continuamente attraversano la strada. Mi chiedo da dove vengano e dove vadano in queste colline e pianure aride e sterili. Direzione Fes, o Fez, ancora non so come si scrive nè come si legge.

FES, 25-28 agosto 2002 Città imperiale insieme a Rabat, Meknes e Marrakech perchè tutte sono state capitali dell’impero. Nella nouvelle ville molto francese, ampi viali sempre trafficatissimi e rumorosi, non c’è marocchino che non suoni appena scatta il verde al semaforo. Gli hotel più nuovi e confortevoli sono qui lungo i grandi boulevards che tanto per cambiare, come in ogni città, sono dedicati ai re passati Hassan II, Mohamemed V o alle forze armate reali. La città vecchia araba, la medina, qui è addirittura divisa in due parti: Fes El- Bali e Fes El-Jdid.

Un giorno nella medina di Fes El Bali è come un giorno indietro di 500 anni al tempo delle arti e dei mestieri che reggono ancora l’economia. Oggi ancora tutto si basa sulla frenesia e sull’incessante lavorio che anima la medina. Muli caricati fino all’inverosimile con tronchi di legno, mattoni per costruire, lamiere di rame, foglie di menta… ecc ecc passano in continuazione e occupano tutta la larghezza dei piccoli vicoli stretti e caratteristici. Il conduttore dei muli grida ‘bellah’ per richiamare l’attenzione degli astanti già persa tra gli infiniti odori, suoni e stragi visive. Il più delle volte non so dove mettermi per lasciare passare l’asino con il suo carico ingombrante. Non vorrei travolgere i caretti con le merci esposte: carne di cammello in barattoli, sacchi di spezie coloratissime e magiche, saponi in colla di colori fluorescenti, fili interdentali tratti da secche scorze di qualche strano albero, e ancora frutta secca, datteri, fichi d’India sbucciati al momento, cianfrusaglie inutili e incomprensibili e tanto tanto di più. La lavorazione è diversa da settore a settore; ci sono gli artigiani del legno, del rame e del bronzo, ci sono i tintori di stoffe, i conciatori di pelli, della lana, i lavoratori al tornio. Gli odori cambiano da settore a settore, non senza la nausea nel quartiere dei conciatori. Che posto incredibile la spianata dei conciatori, infinite pozze dove le pelli vengono pestate dentro coi piedi perché prendano il colore. Infinte gradazioni di un colore scelto per ogni settimana, ma il procedimento e il puzzo sono sempre gli stessi! In alcune vasche le pelli prima vengono immerse in una mistura di escrementi di piccione per ammorbidirle (ecco spiegata l’immensa puzza!) poi si passa al colore, alla stesura con asciugatura all’aria. Incredibili gli interni delle case riiad ora per lo più abbandonate dagli antichi proprietari e mandate in rovina. Niente dello sfarzo, delle decorazioni e del lusso è intuibile dagli alti muri esterni che mostrano solo alcune piccole finestre a grata. Dentro un giardino una volta florido e ricco di fontane ed acqua è il centro di più ambienti da 1000 e una notti. Stanze sontuose e opulente secondo gli standard occidentali: mosaici e ceramiche per terra, legno di cedro decorato, stucchi e fregi con arabeschi su soffitti,colonne, porte. L’abbandono è il peccato più grande per questi riad che continuano a portarmi alla memoria vecchi film sulla vita dei sultani (a questo punto non oso davvero immaginare come debba essere decorato il palazzo reale dell’attuale Re Mohammed VI!). Anch’io mi sento una principessa, ma poi all’idea di fare parte di un harem ci ripenso, meglio essere una turista in vacanza! Ributtarsi nei vicoli caotici dopo questa visita è come rinvenire dopo aver sognato il paradiso e buttarsi nell’Inferno lavorativo, ancora più inferno dato che subito ci rubano gli occhiali da sole! E in questi vicoli mi sento piacevolmente persa come se stessi percorrendo io stessa un arabesco intricato di cui non mi sarà mai chiaro né riproducibile il disegno. Uscire senza una guida da questo labirinto non è facile! Le facce della gente sembrano oneste e se non fosse che le nostre borse sono tutte aperte lo crederei anche oltre l’apparenza! La visita di Fes non termina senza anche un giro ad una fabbrica di ceramiche. Da lontano vedo del fumo e grido subito all’incendio. La guida mi tranquillizza e mi fa capire che si tratta del fumo dei forni di ceramiche. Alcuni lavoratori a ginocchia per terra raccolgono in sacchi di vimini, aiutandosi con liste di cartone, una polvere nera densa e odorosa che sarà il combustibile dei forni, sono gli scarti delle olive! Artigiani artisti qui come dentro alla medina sembrano sfruttati ai fini commerciali e turistici, fanno i vasi , le decorazioni a mano nei colori tipici di Fes (blu cobalto o il verde, colore musulmano), gli intarsi e il basso rilevo, i mosaici, le fontane e i tavoli. Tutto a mano! Il proprietario con grande charme ci mostra tutto il lavoro passando da un artista all’altro e poi ci conduce nel negozio vero e proprio. È sempre la stessa scena già vista nel super-palazzo negozio di tappeti! Solo che dopo aver visto le condizioni in cui lavorano questi artisti giovani e giovanissimi mi è passata ogni voglia di fare acquisti! MEKNES, 27 agosto 2002 Altra città imperiale, ma questa oltre alla medina, alla Mellah, il quartiere ebreo, la nouvelle ville, e il palais royale offre un intera città imperiale voluta da Moulay Ismail, sultano feroce e di carattere. La sua tomba, i suoi palazzi, le scuderie e le stalle del suo esercito sono ancora splendidi. 200 colonne in un aprospettiva regolare e simmetrica erano la stalla per 12.000 cavalli, pare. Il posto ha ancora un fascino incredibile da vero set cinematografico.

Fuori da Meknes, 30 km se non ci fossimo persi!, c’è Volubilis sito romanio in parte scavato e aperto in cui mosaici in bella vista, porte e foro in condizioni perfette sono lo scenario più inaspettato in queste pianure dove il colore della terra si degrada in infinite sfumature. Il tramonto colora ulteriormente questa terra e aggiunge mistero a questi scavi avvolgendo in rosso ogni cosa.

VERSO IL SUD, 29- 30 agosto 2002 Da Fes si punta in direzione deserto e si attraversano pianure, montagne, colline semidesertiche abitate da greggi di pecore sparse. Solo pecore, mai mucche! I colori cambiano continuamente, dall’ocra al marrone. Cambiano le valli aride, cespugliose, più o meno verdi, in pianure distese costeggiate da baracche invisibili ma abitate. Mi sembra di essere nella monument valley americana, poi nelle praterie australiane, tutti posti dove peraltro non sono mai stata!, poi in un qualche cratere della luna per la sconfinatezza e l’immensa potenza che evocano in me questi paesaggi così cangianti.

Improvvisamente personaggi compaiono ai lati delle strade, vogliono venderti frutta, fichi d’India, marmellate, minerali, fossili e ti corrono dietro alla macchina a piedi. E dopo distese di palme cariche di datteri verdi gialli e marroni, curve su curve tra montagne che nulla hanno a che fare con le nostre si arriva a Sefrou in cerca di una cascata che credevamo diversa e poi ad Ifrane, la Beverly Hills del Marocco con i tetti a punta e i prati verdi all’inglese. Azrou oltre ai tetti verdi, vanta come attrazioni principali il legno rosso e profumato di cedro e le famose scimmie della Barberia. Noi ci aggiungiamo anche l’Ensemble Artigianal che ci spilla un altro po’ di dhiram irresistibili davanti a sculture in legno di thuya e cedro appena uscite dalle mani di un artigiano.

Notte a Midelt. L’infaticabile nostra compagna Lonely segnala il posto come l’anonima terra di nessuno, crocevia tra il nord e il sud de paese. Sarà? Vero è che ci regala alcuni dei momenti più memorabili di questa vacanza, sarà per la gente berbera! Le Berber insieme a nomadi e Tuareg rappresentano l’etnia che occupa ufficialmente il sud da quando gli arabi li scacciarono impadronendosi del nord del paese. La verità di questa gente è tutt’altra cosa rispetto all’umanità fino ad ora incontrata nelle città imperiali. Ogni personaggio d’ora in avanti incontrato meriterebbe una narrazione singola e singolare. I Berberi hanno la testa dura ma anche noi non scherziamo! L’Etolie du Sud, un negozietto zeppo di oggetti beduini, ci accoglie e non ci lascia più andare via. Promettiamo di tornarci la mattina dopo e saremo loro ospiti a colazione. Una colazione di due ore! Pane berbero, the alla menta immancabile con il suo gusto di dentifricio, e poi le foto di famiglia, i racconti di come vivono i berberi tra le montagne, le spiegazioni dei tappeti – di ogni disegno!- e poi infine la contrattazione. Una gara durissima, ma chi l’ha dura la vince! E la vinciamo noi una volta in macchina quando le due sciarpe blu tuareg ci vengono gettate dentro in cambio di 50 dhiram, 10 sacchi che bastano e avanzano per queste tinture di colore sulla pelle! I due venditori però sono due miti. Dicono di essere fratelli, cugini e forse non sanno nemmeno loro in che grado di parentela sono: appartengono sicuramente alla grande famiglia berbera! Fanno affari con il negozietto nel cuore di Midelt per portare aiuto alla famiglia rimasta nelle montagne, almeno così dicono. Cerco di immaginarmi il loro cammino d’inverno sulla neve per raggiungere la grande famiglia di almeno 40 persone! Mi dispiace non pagare loro quello che chiedono ma le richieste sono davvero improponibili! Che tristezza: ci hanno chiesto di fare cambio merce con della medicine! Si parte ed è di nuovo deserto roccioso color ocra, rotto da verdi oasi raccolte lungo valli attraversate da fiumi invisibili. Non appena ci fermiamo a scattare una foto puntualmente un beduino (devono avere un radar individua turisti nei geni!) scappa fuori non si sa bene da dove e propone con insistenza il solito tour nel deserto. Noi abbiamo deciso che questa sarà la nostra esperienza e vogliamo farcela da soli! Sarà memorabile! Grazie alla Lonely Planet, che su questo punto merita di essere decisamente riscritta, la nostra esperienza sulle dune di Erg Chebbi è stata davvero unica! Dopo un pieno di soldi e di carburante a Erfourd ci addentriamo senza guida nel deserto di sabbia. La strada asfaltata ad un certo punto finisce e non resta che seguire una pista indicata da una timida freccia: les dunes. La pista segue i pali del telegrafo e questo è rincuorante. Nel frattempo fuoristrada bianchi sfrecciamo in ogni direzione e ci danno l’illusione di stare seguendo la pista giusta, almeno fino ad un certo punto. Il bivio, se così si può chiamare un punto in mezzo al nulla, segna Merzuga diritto. Sbagliamo seguendo le rotte già battute da altre macchine prima di noi. Sarebbe bastato andare diritto seguendo la propria punta del naso, ma questo lo scopriremo solo più tardi dopo varie ed alterne vicende. Arrivati ad uno spiano sotto le prime grandi dune impenetrabili siamo attorniati da tende berbere, auberge, locande e i soliti bambini guide improvvisate che piuttosto di dirci la direzione per la nostra meta finale ci obbligano a passare la notte lì nei loro avamposti. Non se ne parla! Siamo venuti nel deserto per svegliarci all’alba stesi su una duna di sabbia finissima! Piuttosto giriamo per tre ore e mezza in tondo tra uno smarrimento e l’altro, una tempesta di sabbia, fino a ritrovarci al punto di partenza, quello in mezzo al nulla! Ebbene il sole è calato, e con lui anche il grande caldo, spariti i fuoristrada, cancellate le tracce di altre macchine: basterà seguire la punta del nostro naso e alle prime luci dopo 25 km esultare di gioa! Jousef alla Kasbah De Dunes ci ospita con una cordialità e simpatia ancora mai sperimentata in questo paese. Sarà la simpatia di Jousef, l’incontro con questa coppia cileno-messicano- americana che da un anno sta girando il mondo, sarà la visione della croce del sud – inaspettatamente posta a nord nel cielo nuvoloso!- , sarà il silenzio sceso improvvisamente, sarà il caldo che non accenna a diminuire… io di questo posto resto profondamente innamorata.

È proprio vero il deserto ti rende un’esperienza unica. Nel deserto c’è tutto anche se è deserto. Ci sei tu solo e c’è il mondo in un granello di sabbia. Ci sono io, me stessa, il mio respiro nel silenzio, la luce del sole che nasce davanti a me, la mia vita nell’immensità della Natura. Avverto le mie paure, ho avuto paura di perdermi ma davanti a quest’alba indimenticabile mi accorgo che finchè credo in me stessa non mi abbandonerò mai! Il deserto mi cambia.

Alle 6 dopo una breve notte insonne il risveglio del sole su di noi stesi su una duna è come l’avvento di una nuova era. Se non ci fossero i due ragazzini vestiti di blu che tentano di venderci i soliti fossili l’atmosfera sarebbe ancora più magica. Un gruppo sui cammelli cerca di attraversare l’enorme duna davanti a noi mentre il sole è già oltre l’orizzonte e ha già perso il suo intenso colore rosso. In poco tempo la sabbia non è più color ocra ma è già dorata. I piedi affondano e ora percepiscono il caldo. Mi è impossibile calpestare le vecchie orme, sono state cancellate. Attraversiamo l’oasi coltivata che ci separa dalla Kasbah e ci creiamo un seguito inaspettato di bambini e bambine che vogliono tenermi la mano e decorarla con l’hennè per qualche dhiram. Si fermano all’entrata della Kasbah e non devo neanche regalar loro l’ennesimo bon bon. L’orario migliore per non soffrire il caldo del deserto è l’alba, dopo diventa insopportabile. In quel caldo insopportabile abbandoniamo il deserto e l’idea di una cammellata, troppo turistica! Noi, veri girovaghi, nel deserto entriamo e usciamo quando vogliamo! (In verità usciamo solo con l’aiuto di Said un bambino gentilissimo che lasciamo a piedi e solo a 5 km dalla kasbah!). Salutiamo Jousef, le dune cambiacolore, le orme su di esse, i tuareg, il sole tiepido dell’alba, i tuareg, la kasbah di fango e foglie di palma, il cielo semistellato e partiamo alla volta di un altro deserto questa volta non sabbioso, non così coreografico.

AIT BENHADDOU, 31 agosto 2002 In verità il posto verso cui siamo diretti è coreografico forse al pari del deserto dato che anche qui come lì sono stati girati molti film. Andiamo ad Ait Benhaddou. Passata Ourzazate città moderna, tappa di charter da Parigi direttamente al Club Med, pernottiamo alla Baraka, atmosfera tranquilla e rilassata, turisti italiani piacentini, musica berbera, bonghi, jambe, tamburelli per tutti. La Kasbah di Ait Benhaddou è sotto la pioggia, preferiamo visitare la Kasbah Taourirt e scoprire le stanze da 1000 e una notti dove il sultano si intratteneva col suo harem. Un cunicolo apparentemente casuale di stanze costruite una dentro l’altra in ordine sparso, come appiccicate una alla volta; porte basse, arabeschi, mosaici e ceramiche in vari angoli, e il tetto di paglia pericolante su cui camminiamo pericolanti.

Ma l’avventura più esaltante è come sempre contrattare e dopo la dura prova di ben 3 negozietti strappiamo le 3 catenine con le croci del sud a 100 dhiram e tutti gli spicci che avevamo nelle tasche. Incredibile che qui esista ancora il baratto e che l’oggetto che vada per la maggiore sia un piccolo insignificante porta monetine blu di plastica zozza! Proseguiamo verso un passo montano, tra una curva e l’altra si aprono inaspettatamente valli dai mille colori. Stiamo attraversando i monti dell’Atlante che ancora ci separano da Marrakech. Il passaggio dalla sabbia alla montagna, il caldo umido, l’acqua dal gusto schifido, il tajine di pollo di ieri sera, o forse tutte queste cose insieme mi hanno messo kO. Sono schienata dal mal di testa, sudo freddo, ho vampate di caldo, febbre, insofferenze ad ogni odore e movimento e ovviamente diarrea. Arriviamo a Marrakech e non ho più nessuna energia da dedicare all’avventura, fortunatamente collasso in un bell’albergo in stile europeo… ma solo per poco, non posso tardare al buttarmi nel cuore della città.

MARRAKECH, 1-3 agosto 2002 è forse la città più vera vista fino ad ora, più araba e più berbera, africana e marocchina, più rossa e meridionale. Qui si incontrano tutte le civiltà e le tradizioni sparse per il Marocco e tanto altro ancora. C’è il Marocco istituzionale visto a Rabat e Meknès, la grande città come a Casablanca ma molto più pulita e civile, c’è il calore autentico della gente del sud, berberi e nomadi soprattutto. Piazza Jamaa El Fna rappresenta tutto ciò in un grande calderone di persone, mezzi, oggetti, suoni e odori. Biciclette, motorini, macchine, petit taxi color crema, grandi taxi collettivi, bus, cocchi di cavalli tutti insieme sulla piazza, tutti in movimento. Indovini, cantastorie, fattucchiere e maghi, venditori di tutto e di niente… accerchiati da altrettanti marocchini, arabi e turisti… tutti sulla stessa piazza la rendono inimitabile. Sembra di essere entrati all’Inferno, fuochi e fumi si alzano dai banchetti di cibarie mentre ogni venditore ti chiama e ti trascina nel suo negozio ma tu sei rapito da ogni cosa intorno a te e devi stare attento a dove metti i piedi per non inciampare in pozioni magiche, polveri strane, serpenti, jeki e altri oggetti e animali indefinibili. Non ci resta che osservare il panorama dall’alto nel classico ristorante a terrazza per turisti (10 euro prezzo fisso) da cui la visione della Babele infernale è sempre più netta. Mi sembra uno di quei paesaggi indiani di cui ho visto solo le fotografie. Una cosa è certa: sono stordita, disarmata, mi gira la testa e il riso bianco che mi sono fatta appositamente preparare non basta a togliermi il senso di nausea che questo posto riesce a generare in me! Forse davvero solo il tempo è in grado di svelare il mistero di questo posto mitologico e mentalmente inconcepibile, ma di primo acchito semplicemente nauseabondo. Il passaggio dal silenzio del deserto alla frenetica Marrakech ha creato un contrasto troppo netto in me. Ho bisogno di tornare alla pace e al silenzio. Si riparte alla volta delle Cascate di Ouzoud sparse tra le montagne di terra rossa. Uno scenario naturale del tutto innaturale. Un arcobaleno colora la base dove si incontrano tre getto di acqua che più sotto alimentano piscine naturali… che la pace il relax siano con noi! Peccato per la pioggia che ci ha seguito per tutto il giorno! Si ritorna a Marrakech e alla sua piazza delle incredibilia, attraversando le solite strade in mezzo al nulla che in questo caso è terra rossissima interrotta da piantine verdi e grasse. L’insieme rispecchia lo sfondo rosso con stella verde della bandiera marocchina.

Ed ecco nuovamente lo spettacolo di Jamaa El Fna ma stasera superiamo l’estraneità e la superiorità del primo impatto e ci sediamo a cenare tra i fuochisti, i marocchini, i diseredati e gli storpi. Senza posate, come loro, assaporiamo la testa della capra (la tiestadelcabron!), le melanzane speziate, solo loro sanno come, e pesce fritto. Spendiamo 4 euro e ci sentiamo veri, degni abitanti di questa piazza di tutti e di nessuno. Ci facciamo largo tra i giocolieri, le donne sedute per terra coi bambini addosso, i venditori di acqua, i racconta storie, i venditori di cianfrusaglie e torniamo nel nostro mondo abbandonato per una manciata di magia. Lasciamo Marrakech con il suo Kotoubia, minareto simbolo della città, la sua medina racchiusa entro 10 km di mura aperte su 10 porte, le sue tante costruzioni moderne e francesi visitate da cocchi di cavalli. Altri 200 km di strada diritta che su e giù attraverso la zona semidesertica che ci divide dal mare e siamo ad Essaouira. ESSAOUIRA, 4-7 agosto 2002 Città di mare pittoresca abitata da gabbiani, gente tranquilla, gallerie d’arte e vento incessante. Le cartoline turistiche indicano “Essaouira, wind city Africa” e forse non c’è dizione migliore anche se l’ironia dopo un po’ di ore non è più così simpatica. Il vento gira, si alza, si raffredda e alla fine ti distrugge! Il porticciolo ospita un mercato del pesce e tanti ristorantini “just in time” non fa in tempo ad essere pescato che il pesce viene subito mangiato! I bambini corrono e si picchiano allegramente sulle strade. Le officine lavorano incessantemente dall’alba al tramonto. Ovunque si vendono oggetti in legno di thuya. I vicoli della medina qui sono bianchi e blu, brulicanti di vita e lavori come in tutto il Marocco ma la brezza, per usare un termine lieve!, rende tutto più leggero e rilassante. Mi sembra di essere su un isola greca, in un clima assolutamente caraibico, mi chiedo se mi sono mai sentita davvero in questo paese o sempre in posti che assomiglino solo ad altri visti o immaginati! Stellate incredibili dalla terrazza di casa la croce del Sud, di nuovo così netta! Addio Marocco.

Adieu città imperiali, addio tajine, Fatima tajine, Mohammed cous cous, souk, kasbe, ksar, terra rossa, venditori di acqua, di arance, di fossili, jellabà, boulevard Mohammed V e Hassan II, acqua Sidi Ali, the ment, petit taxi, guide che ci avete accompagnato, aiutato, fregato, dune di Erg Chebbi, donkeys, caprette e pecorelle nere e bianche, fiumi inesistenti, laghi prosciugati, medine proibite e proibitive, mendicanti antipatici, venditori di fumo- in tutti i sensi-, spremitori di arance, muezzin nostre sveglie mattutine, porcellane di Fes, alberi di cedro, legno di thuya, foto mancate, riprese non permesse, tramonto sul cielo romano, bambino burlone di Merzuga, asciugamani mancanti, puzzolentissime macchine a diesel, fez rossi, conciatori puzzolenti, berberi del sud, cammelli addomesticati, alba desertica, serpenti incantati, contrattatori dei nostri stivali, farmaci usati, mausolei sfavillanti, guardien da 10 dhiram, polizia appostata e sorridente, fetori cittadini insopportabili, tuareg blu, suonatori di tamburi, donne velate e semi-imbalsamate, bon bon e bambini ai lati delle strade, coka cola scritta in arabo, mosaici delle riad, tappeti coloratissimi, specchi di ossa di cammello, something special, cumino in ogni dove ma soprattutto nella mia valigia!, verde islamico, banchetti di pesce fresco, poderoso vento d’oceano, arcobaleno tra le cascate d’acqua, muri di calce, fango e paglia, stelle della Croce del Sud, errori della Lonely Planet, tiesta de la cabra, fritti misti nel buco del muro del porto, pane buonissimo, saloni dall’antico splendore, re fotografato in ogni angolo, caldo umido di Marrakech, autolavaggio manuale, motorino senza freni che ci sei venuto addosso, addio file incessanti all’aereoporto… Adieu.

O meglio Au Revoir.

Inschallah!



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