Incredibile realtà

Fino all’ultimo questa mia partenza è stata in forse, per una serie di problemi, ma la destinazione era sicura: IL MALI. Improvvisamente uno squarcio: Si parte. Mi ritrovo con Francesca e raggiungiamo i nostri amici a Bamako, dopo un accettabile volo con Air Algerine. I nostri amici hanno già organizzato itinerario, contattato guida, mezzi di...
Scritto da: Marika Punzo
incredibile realtà
Partenza il: 06/03/2004
Ritorno il: 29/03/2004
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Fino all’ultimo questa mia partenza è stata in forse, per una serie di problemi, ma la destinazione era sicura: IL MALI.

Improvvisamente uno squarcio: Si parte.

Mi ritrovo con Francesca e raggiungiamo i nostri amici a Bamako, dopo un accettabile volo con Air Algerine.

I nostri amici hanno già organizzato itinerario, contattato guida, mezzi di trasporto, e così la domenica lasciamo Bamako con un autobus a noleggio per Djenné ed inizia la nostra “full immersion” nella realtà del Mali.

Paese poverissimo con una enormità di bambini scalzi e seminudi dai nasi sempre mocciosi. Tutti i nostri figli:”questo non mi piace e quello non lo voglio” dovrebbero avere un approccio con questa realtà.

E’ triste vedere i bambini che non hanno ancora un anno, mostrati come bestie da baracconi, sotto il sole cocente, per impietosire lo straniero e spillargli qualche CFA (la moneta locale).

Arriviamo a Djennè in tempo per il grande mercato del lunedì che si svolge davanti la moschea, interamente di fango e paglia, la più grande di tutta l’Africa, costruita nello stesso luogo dove sorgeva “la grand Mosqué” edificata nel 1280 e distrutta agli inizi del XIX secolo. Le travi in legno che sporgono, sostengono le scale interne, e sono utilizzate per la revisione annuale al termine della stagione delle piogge, revisione a cui partecipano oltre 4.000 volontari. E’ vietato l’ingresso ai non mussulmani.

Djennè si trova su un isola al centro del fiume Bani. Una delle città più interessanti e più pittoresche di tutta l’Africa, nei secoli XIV e XV era al massimo della prosperità assieme a Timbouctou per i suoi commerci transsahariani. Le case sono costruite con mattoni di fango e decorate con molta abilità. Altra sosta alla Tapama Diempo, tomba di una ragazza sacrificata per ordine di uno stregone, perché la città era “troppo corrotta”…

A mezzogiorno, non resistiamo al caldo, ci rifugiamo nell’accampament e nelle nostre tende, fortunatamente montate sotto gli alberi.

Alle quattro Francesca Anna ed io contattiamo dei ragazzini che con un carretto ci portano a vedere Sirung, un bel villaggio Bozo a 4 Km. Siamo accolte con grande entusiasmo dal capo villaggio, per lui, ci dice, è un grande onore la nostra visita.

Al ritorno c’è grande festa in paese, è l’8 marzo. Anche qui si festeggia “ la festa della donna”… Un nutrito numero di donne, tutte con un eguale abito verde si scatenano in danze a suon di tamburi. L’indomani si parte per Mopti, una visita alla cittadina, alla Misere mosquè nella parte vecchia della città, per le foto di prammatica, la moschea è costruita in puro stile Saheli (o sudanese), una sosta al marché Sougun e ci imbarchiamo su una pinassa (le imbarcazioni che scivolane lente sul fiume Niger.) Il bagno è “isolato” dal resto dell’imbarcazione da un separè fatto delle solite canne e con un entratina semi chiusa da una tenda, una volta scivolati all’interno la privacy è “garantita” e il rumore dei motori copre ogni cosa. Un foro di circa 30 cm mette in comunicazione lo scafo con l’acqua del fiume. E partiamo per quella che sarà un’esperienza veramente fantastica: 4 giorni di navigazione sul fiume Niger, fermandoci di tanto in tanto presso qualcuno degli innumerevoli villaggi esistenti lungo le rive del fiume. Villaggi inimmaginabili, indescrivibili, solamente vedendoli ci si può rendere conto di quello che vuol dire vivere di nulla e con nulla. Sul fiume abbiamo visto i pescatori Bozo (dai quali abbiamo comprato il “capitaine”) all’opera e le loro donne, provenienti dal vicino villaggio, intente a fare il bucato L’approdo della nostra pinassa viene sempre accolto dalle grida festose degli innumerevoli bambini del villaggio che ci attorniano e ci riempiono di sorrisi.

Difficile per me, che non amo avere toccate le mani, riuscire a nasconderle,per non farmele prendere dai bambini desiderosi di tenerti per mano. Le bambine più grandi (6/10 anni) portano attaccato alle spalle un fardello con dentro un bambino più piccolo.

Bellissime le ragazze, non ancora mamme, con i loro coloratissimi abiti, il loro incedere da indossatrici, e con enormi cesti pieni di ogni roba sulla testa. Che modo di camminare elegante! Prima del tramonto, dopo8/10 ore di navigazione, ci si ferma, si montano le tende e si inizia la preparazione del pasto forte della giornata.

Mi sono subito autoproclamata cuoca del gruppo, preferendo mangiare roba preparata da me stessa.Ogni sera un piatto di spaghetti (portati dall’Italia) conditi sempre in modo diverso, sotto le stelle prima , ed al chiarore della luna più tardi, creavano un’atmosfera veramente magica. E sempre gli immancabili spiedini di pesce, acquistato durante la navigazione direttamente dai pescatori, per cifre ridicole…

Arriviamo così a Timbouctou, “la mitica”.

Città molto decadente, dei fasti del periodo in cui era il centro del commercio del sale e dell’oro non è rimasto nulla.

Ma questa città sonnacchiosa, e polverosa dove tutto costa molto caro, dove ti fanno pagare prezzi europei per una stanza sporca, con un climatizzatore che non funziona, mi ha molto affascinato.La solita moschea di fango, che svetta sui tetti delle casupole è una visione stupenda. Una visita al Museo Etnologico è d’obbligo.La presenza di un museo in luoghi così degradati testimonia che un tempo c’era cultura. Il custode ci illustra la storia delle varie etnie , le loro abitudini, i loro costumi, ci mostra con orgoglio i vari reperti che è riuscito a raccogliere dal 79 all’84 anno di apertura del museo. E’ proprio fiero di questa sua creatura. Ultima visita a Timbouctou,alla tomba di Askia, un ricco mercante morto a Timboctou Lasciamo Timbouctou per Gao. Una stancante e faticosa traversata del deserto con fermate in villaggi fatiscenti, riempie la nostra giornata. Ad ogni sosta siamo attorniati dai bambini che purtroppo hanno preso la brutta abitudine di chiedere:”Cadeaux, Argent”. Arriviamo a Gao in condizioni pietose, siamo tutti talmente infarinati che sembriamo pronti per essere fritti in una padella di olio bollente. Per fortuna nell’albergo (ci vuole molta buona volontà per definire con tale nome la struttura che ci ospiterà a prezzi esorbitanti) l’acqua non manca e così una doccia ci rimette in sesto. Mi rifiuto di cucinare e andiamo nell’unico locale decente di Gao, mangiamo un ottimo couscous , dei buonissimi spiedini di vitello alla brace e patate fritte. Il tutto decisamene non male.

Ancora pinassa l’indomani mattina per raggiungere la “Duna Rosa”. Siamo stati ad un pelo dal non andare perché il “boss” del luogo pretendeva pagassimo una tassa di 10.000 CFA per sbarcare sull’altra riva del fiume.

Non sono capace di descrivere la bellezza del posto, l’immensità che mi circondava, i colori, il silenzio, la pace.Non posso non ringraziare Dio per avermi dato la possibilità di vedere ed ammirare quanto da Lui creato.

Una lunga scarpinata per raggiungere la sommità della duna, circondati dalla solita frotta di bambini che si esibiscono in scivolate partendo dalla sommità della barcana, giù per le dune. Al rientro c’è ancora tempo per visitare il grande mercato della domenica. Come è affascinante girare per questi mercati e curiosare su ogni cosa..

La sera la nostra cucina da campo, ci permette di preparare (sarà la fame a farceli definire così?) degli ottimi spaghetti al tonno ed una mega insalata di patate cipolle e carote( Le carote in Mali, sono in quantità enorme) che avevamo acquistato al grande mercato.. All’alba del 16 lasciamo Gao, ci fermiamo al mercato del bestiame. Bellissimo spettacolo, una quantità enorme di animali e di tuareg dai coloratissimi vestiti. In questo immenso spiazzo ci intratteniamo circa un’ora. L’andarivieni delle numerosissime mandrie di cammelli più o meno giovani, guidate da questi fantastici tuareg che con le loro tuniche colorate, il viso completamente avvolto in sciarpe che scendono dal loro turbante, rendono più che mai affascinante il luogo e il tuo pensiero non può non andare a ritroso nel tempo e pensare alle gesta di Lawrence d’Arabia e a tanti altri racconti sul magico deserto da me letti. File di donne con corpi sinuosi , con secchi colmi di viveri sulle loro teste incedono in file con il loro lento passo, stagliando le figure sulla sabbia dorata. Proprio mentre iniziano le vendite siamo costretti ad andare per proseguire il nostro cammino, ci aspettano 400 Km…

Arriviamo ad Hambori, Sperduto nel deserto un posto di ristoro, ci fermiamo per una birra fresca, e poi decidiamo di passare lì pure la notte. Per raggiungere un altro posto dove potere impiantare le nostre tende, avremmo dovuto percorrere altri 150 Km.

C’è il mercato, al solito pieno di donne dagli abiti coloratissimi che vendono pesce essiccato. Il puzzo è nauseabondo, ma guardare è affascinante. Mentre bighelloniamo, ci viene incontro il sindaco, imponente nella sua lunga tunica azzurro cielo affiancato da una guardia del corpo. Ci saluta, cominciamo a parlare. Ci racconta della sua figliola (ci mostra anche la foto) che studia a Parigi alla Sorbonne (SIC!), lui è un mussulmano moderno è ha fatto andare la figlia. Sa che la sua ragazza non tornerà più a vivere in Mali, è triste per questo, ma aggiunge che sa di non poterle dare torto, nel Mali non avrebbe futuro.

Fa caldo, soffia l’Harmattan e tutto è avvolto da un leggero strato di polvere. Che rende l’atmosfera ancora più irreale.

Proseguiamo il nostro cammino verso i villaggi dei Dogon, un piccolo trekking nell’avamposto della falesia per ammirare da vicino le “Mani di Fatima” . La strada prosegue diritta nella campagna sconfinata; in Africa sono le distanze a colpirti, le strade che continuano dritte per chilometri e non ne vedi la fine, si snoda nella pianura infinita la brousse, , attraversa piccoli villaggi sonnacchiosi, , capanne e qualche baobab e dopo due giorni arriviamo a Bandiagara, porta di ingresso per i villaggi Dogon quel mitico popolo che vive su una sperduta scarpata ai confini del deserto e che conosce perfettamente tutto l’universo e piatto forte del nostro viaggio in Mali. Ci aspettano sei giorni di trakking, per potere visitare i vari villaggi sparsi nell’enorme Falesia di Bandiagara, una aspra e spettacolare formazione rocciosa I Dogon conosciuti in occidente come un popolo misterioso e magico, una delle popolazioni più enigmatiche della terra, che fabbricano tutto quello di cui hanno bisogno, in Mali sono famosi solo e solamente per le loro cipolle. Infatti un odore di cipolle regna sovrano ovunque.

In piccoli spazi rubati alla falesia costruendo dei terrazzamenti con l’aiuto di splendidi muretti a secco, costruiti in modo mirabile per trattenere per quel poco di terra che a fatica trasportano dalla pianura sottostante, formano dei piccoli splendidi campi verdi, pieni di eccellenti cipollotti, nonché aglio e tabacco.. Queste cipolle le schiacciano, le riducono in poltiglia ne fanno palline che mettono a seccare al sole, per due tre giorni e che poi imballate in grossi sacchi vengono spediti al mercato di Bamako.

Ogni sera stanchi, sudati impolverati piantiamo le tende (che sono trasportate assieme a tutta la nostra roba da due carretti trainati dai buoi,) e dopo una rudimentale doccia, si pensa ad organizzare il rifocillamento serale, ovviamente il tutto avviene senza luce elettrica. (cosa mai è questa cosa ?) Nel primo villaggio, siamo accolti dai saggi nel TOGUNA “la casa della parola”. Nove pilastri, sostengono un tetto di paglia, gli otto esterni sono decorati con i simboli degli antenati. Il togu-na è il luogo dove l’Hogon e gli anziani del villaggio si ritrovano per prendere le decisioni importanti. Un sedicente stregone per due CFA predice il futuro, Marco si fa leggere le “conchiglie”, ma quello che gli dice, può andare bene per chiunque. Facciamo una visita alla scuola a Djiguimbombo, tre maestri raccolgono in tre classi, bambini dai 4 ai 14 anni, molti vengono da villaggi distanti e fanno 4/5 km a piedi per raggiungere la scuola alle 7,45 e molto spesso ritornano a casa la sera, senza avere avuto neanche un piatto di miglio. Lasciamo quaderni, penne, colori, acquarelli, giochini, vestitini. Tutto è accolto con grande entusiasmo e gioia.

Teli, Endì, Doundouru, Begnimato,Yawa, dove attraversiamo la falesia per raggiungere Dourou, tireli,Amani, Ireli,Banani, sono alcune dei villaggi visitati, dove la nostra curiosità è attirata dagli “OMOLO” ., feticci sparsi per i villaggi. Con lo scopo di proteggerli dalle calamità. Si tratta di cupole di fango dove vengono fatti sacrifici e sono cosparse di budino di miglio o di sangue di pollo. La più bella passeggiata è stata quella del giorno 20da Begnimato a Dourou, faticosissima un continuo arrampicarsi per la falesia, ma il panorama e i colori sono mozzafiato.La nostra passeggiata si svolge sulla sommità della falesia dove piccoli, ma curati giardini vengono coltivati con amore e fatica da bambini di ogni età, proposti con le loro zucche a raccogliere l’acqua per innaffiarli.Mentre proseguiamo, alleviati dal piacevole venticello che spira, e che mitiga la temperatura, siamo incuriositi dal lavoro di un ragazzino di circa 15 anni intento a scavare un profondissimo pozzo che conterrà l’acqua che cade nel periodo delle piogge. Ci fermiamo ripetutamente a fotografare e ad ammirare la bellezza della falesia che in certi punti forma dei canyon che non hanno nulla da invidiare a quelli più famosi Americani.

Un grande canalone appare all’improvviso: nella falesia c’è anche questo, una enorme riserva d’acqua, piena di fiori di loto. Ed ecco un’altra sorpresa: la falesia sembra un formaggio svizzero, è piena di buchi. Dolo, la nostra guida Dogon, ci spiega che sono le tombe dei Telem, i primi abitanti della falesia, che erano abili pigmei dediti alla caccia, perché incredibile ma vero, prima la falesia era una grande foresta. I Dogon arrivati non si sa da dove, iniziarono a disboscare e così i Tellem furono costretti a lasciare questi luoghi, ma una volta all’anno vengono di soppiatto di notte, a rendere omaggio ai propri antenati qui sepolti. Sarà vero? Boh! Da allora i Dogon sono gli incontestati padroni della falesia, e della foresta rimane ben poco.

Non posso non raccontare delle danze Dogon a Tirelì, danze effettuate solamente dagli uomini, che ornati da pesantissime maschere, esprimono le loro credenze ancestrali legate al cosmo. Inizia la danza il sole, con il suo sorgere e tramontare, la terra con il suo movimento di rotazione e così di seguito tutti gli altri elementi della natura, e bellissime maschere simboleggianti gli animali della savana. Il ritmo delle danze è frenetico al suono di tamburi molto rudimentali.

L’ultima sera a Ireli, ultimo villaggio Dogon visitato, complice una birra di miglio, i giovani del villaggio si sono scatenati in frenetiche e ritmate danze tribali, al ritmo di rudimentali tamburi suonati con grande maestria, bellissime a vedersi, coinvolgendo anche qualcuno dei nostri..

Lasciamo la falesia e con una serie di faticose tappe di centinaia di Km. Ritorniamo a Bamako, facendo sosta a Sevarè e Segou, cittadine sempre costruite con mattoni di fango, paglia e sterco di animali. Bamako, oltremodo caotica, interessante il mercato dei feticci,: la macabra varietà di ossa, pelli, camaleonti secchi, teste di scimmia, pipistrelli morti in quantità enorme attirano la nostra attenzione. Incredibile pensare che la maggior parte dei maliani crede nei poteri magici di tutto ciò, è la loro medicina tradizionale! A Bamako abbiamo modo di incontrare Padre Aldo, un missionario che vive in Mali da 35 anni, è stato sul punto di morte una volta per una violentissima forma di malaria. Personaggio veramente incredibile, ci ha intrattenuti per una mattinata con i suoi interessanti racconti circa la sua vita in Mali. Rimarrà lì ancora per 3 anni, poi ritornerà in Italia. Gli anni cominciano a farsi sentire… Il rientro è un poco travagliato, siamo costretti ad un giorno di sosta ad Algeri, è vero che questo ci consente di visitare questa città dagli splendidi palazzi, ma tutto molto, molto in decadenza. Il giorno della partenza aspettiamo ore in aeroporto, non si sa quando si parte, nessuno dà notizie sul perché del ritardo, e la tensione aumenta. Sul display vediamo che i voli per Parigi, Istanbul,Marsiglia, Ginevra partono in perfetto orario, quello per Roma sembra svanito nel nulla. Improvvisamente: Si parte! Abbiamo atteso solamente sei ore. Cosa sono mai per l’Africa?



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