Madagascar terra e mare

Come provare forti emozioni una dietro l'altra? Scoprendo l’enorme isola rossa africana!
Scritto da: Luna Lecci
madagascar terra e mare
Partenza il: 28/08/2018
Ritorno il: 14/09/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Come provare forti emozioni una dietro l’altra? Scoprendo l’enorme isola rossa africana! Dalla capitale alla costa sud-ovest, percorrendo la panoramica Route National 7, abbiamo attraversato paesaggi selvaggi, valli fertili, percorso foreste pluviali, visitato parchi con fauna endemica unica, marciato nei canyon, ammirato giganteschi baobab, conosciute etnie e tribù differenti, terminato il tour nelle spiagge bianche di mari pescosissimi abitati da balene, mangiato sempre benissimo e speso pochissimo.

Indice dei contenuti

Premessa

Contatto un’agenzia italiana di viaggi responsabili (I Viaggi del Sogno) e tre operatori locali (Gaby Turbo, Mahery Rajaona e Tiaray Rakotoson) per un tour individuale di 11 giorni nel sud del Madagascar. I preventivi sono molto simili per mete e si differenziano nei costi per l’inclusione o meno dei biglietti dei parchi/guide e per il livello di hotel proposti. Decido di avvalermi soltanto di un driver per gli spostamenti e i transfert da e per l’aeroporto, al resto ci penso io. L’autista (suo vitto e alloggio) e la macchina (gasolio, tasse, parcheggi e assicurazione) sarà un servizio che mi fornirà Tiaray e che pagherò in loco il giorno successivo all’arrivo. Acquisto on-line su Air France il volo A/R Roma-Parigi-Antananarivo, sul sito Air Madagascar quello interno Tulear-Antananarivo e via mail prenoto la maggior parte degli hotel (il pagamento anticipato lo richiede solo uno dei 7). Pronti.

Diario di viaggio

28 agosto – 0 giorno: ROMA FCO – ANTANANARIVO (via Parigi)

Partiamo da Fiumicino con un volo Joon alle 6,40 sul quale servono gratuitamente un tea/caffè/succo d’arancia. Arriviamo a Parigi alle 8,50 e ripartiamo alle 10,40 (posti 32A) su un vecchio aeromobile Air France, pieno, con un servizio lento e nulla di che per pranzo (un po’ di riso e pollo in salsa di burro, insalata di cetrioli e maionese, formaggino e dolcetto). Prima di atterrare all’aeroporto Ivato la merenda (mini magnum, biscottini al burro, barretta ai cereali o merendina). Ad Antananarivo sono le 22,15, in Italia le 21,15. Un’ora di fuso orario. Scendiamo rapidamente, ma poi rimaniamo imbottigliati per la lentezza dei controlli dei passaporti e per il pagamento del visto di 35 € per soggiorno turistico come il nostro inferiore al mese. Passata la mezzanotte conosciamo Rado (Radù), il nostro autista, lo identifichiamo perché mostra una lavagnetta con scritto il mio nome. Con un timido sorriso ci dà i Benvenuti “Tonga Soa” e trasporta al primo albergo, siamo a una quindicina di km da Tanà, così i malgasci chiamano la capitale a 1400 mt di altezza. All’Hotel Niaouly (42000Ar a stanza), su una salita lungo la strada che porta alla città alta, ci apre mezzo addormentato il receptionist che ci consegna le chiavi della stanza 21 per raggiungere la quale dobbiamo scendere due rampe di ripide scale, non vi è l’ascensore. La camera è ampia, pulita, poco arredamento di legno scuro, un tavolo con una sedia, luce fioca, dal rubinetto del bagno controlliamo che esca acqua calda, in dotazione una saponetta e un paio di asciugamani. Il letto è piuttosto comodo, ma fa molto freddo, non lo immaginavamo proprio! Crolliamo.

29 agosto – 1° giorno: ANTANANARIVO – ANDASIBE (km 145)

La colazione è in una graziosa saletta a vetrate, volendo la si può consumare su un balconcino che affaccia sulla città. È a scelta secondo quanto e cosa si vuole mangiare. Quella Continentale è da 7500Ar a persona per un tea/caffè/cioccolato, pane, burro e marmellata/miele, la Gourmand a 10000Ar offre in più tre dolcetti e la Terrasse a 12000Ar aggiunge le uova. Optiamo per quella da 10000Ar, non è male, ci saziamo abbastanza, gustiamo una macedonia di melone e ananas in alternativa a un succo di frutta mentre ci colleghiamo con il wi-fi funzionante nelle aree comuni. Alle 8,30 puntuali si presentano autista e Tiaray, un omone sorridente col quale avevo scambiato diverse mail. Conosce qualche parola di italiano, ricapitoliamo il tour, due chiacchiere e – rinnovandogli la nostra fiducia – paghiamo l’intero importo di € 960 per il totale tragitto. Dovremmo cambiare i soldi, lui ne ha tanti con sé e lo potrebbe fare, ma non ci convince la tariffa del cambio rispetto a quella ufficiale che leggiamo on-line. Ci facciamo portare in un ufficio, anche lì troviamo una quota piuttosto bassina (ma comunque più alta rispetto alla sua): 1 € = 3760Ar. Diventiamo milionari in un batter baleno.

Una parentesi. Scriverò tutte le spese effettuate in moneta locale. I prezzi per gli hotel saranno a stanza e comprensivi di tasse turistiche e di soggiorno, così come totali saranno quelli dei ristoranti, dei taxi e delle guide; al contrario, le entrate ai parchi/escursioni notturne e delle colazioni, si intenderanno a persona. Basterà dividere l’importo Ar per la cifra 3760 (o del cambio in corso) e si vedrà quanto sono costate in euro.

Ci congediamo dal boss (che scopriamo ha 6 auto, un pulmino, collabora con 5 autisti, lavora da casa ed è aiutato, per la gestione delle mail, dalla moglie) e partiamo con Radù in direzione est. Dopo un paio d’ore tra paesaggi coltivati a risaie terrazzate, distese di pietre, attraversamento di fiumiciattoli e ferrovie, arriviamo al Peyreras voliere park (20000Ar + 5000Ar per la simpatica guida). Il parco è privato e piccolino, ben tenuto e mostra, in alcune enormi aree – racchiuse da reti -, verdeggianti camaleonti di tantissime specie (amber, brevicorne, parsonii, tarzan, globifer…), serpenti, gechi endemici (particolare quello uroplatus con la coda piatta a forma di foglia), ranocchie mantella, tenrec (una specie di riccio-formichiere che si nutre di termiti-insetti) e qualche coccodrillo. Per pranzo ci fermiamo, a 70 km dalla capitale, all’hotel ristorante Fitahiana, semplice, pulito, semi aperto e tutto in legno. Dal menu scegliamo due bistecche di zebù, ma la carne – nonostante le differenti cotture, una naturelle ovvero in padella e l’altra alla griglia – si rivela piuttosto dura, troppo saporita e piena di aglio. Compresa una porzione di patatine fritte e una coca cola spendiamo 28000Ar. Sulla strada compriamo il primo casco di una decina di bananine (1000Ar) gustose ma farinose.

Ci rimettiamo in viaggio per la zona di Moramanga dove si colloca la riserva privata di Vakona (25000Ar), dalla splendida vegetazione, su una collina che degrada in un lago, ma che non potremo visitare perché in chiusura (sono le quasi le 17 e l’ultima entrata era alle 16). È all’interno di un lussuoso lodge, pare ci siano numerosi coccodrilli e su un’isola il santuario dei lemuri. Ci rimaniamo male per la mancata visita, come si fa a non sapere certe informazioni? Ma siamo a inizio vacanza e portiamo pazienza (per fortuna sarà l’unico episodio)!

Facciamo il check-in all’Hotel Feon’ny Ala (41000Ar contact.feonnyala@gmail.com) in cui ci assegnano la stanza 400, all’interno di una capanna con tetto in paglia e tutta in legno. Non è molto spaziosa, luce fioca, water separato dal lavabo con doccia in due rientranze in muratura senza porta, un balconcino che affaccia sulla foresta dalla quale arrivano versi mai uditi prima. Il complesso è enorme, il personale tanto, gentile, ma non comprende l’inglese e a volte ho l’impressione che non sappia neppure il francese.

Alle 18 è già buio pesto. L’autista ci accompagna davanti l’entrata del Parco Nazionale di Analamazaotra dove ci aspetta Céline, una guida ufficiale, per una passeggiata notturna (20000Ar a p.) alla ricerca – per fortuna andata a buon fine grazie alla sua torcia puntata, nel punto giusto al momento giusto – di mini ranocchie, insetti stecco, ragni giganti, cavallette e piccoli lemuri Microcebus, dal peso di 40 gr, con occhi enormi. Contenti della camminata sotto un cielo meravigliosamente stellato che ci ricorda la confezione dei Baci Perugina, un bel po’ infreddoliti per il calo repentino delle temperature, torniamo in albergo dove ceneremo con abbondante porzione di riso alla cantonese (con verdure, piselli e uovo ad occhio di bue), doppia razione del classico bianco e verdure cotte nel wok. Compresa una coca cola spendiamo 19000Ar.

Intirizziti ci ritiriamo nella stanza dove non abbiamo il coraggio, per il freddo, di fare una doccia completa; rinforziamo le coperte sul lettone e a ninna!

30 agosto – 2° giorno: ANDASIBE – AMBATOLAMPY – ANTSIRABE (300 km)

Colazione a scelta tra bevande calde con pane burro e marmellata o podrige di riso (9000Ar) o all’americana con uova (12000Ar) o salutare ed equilibrata con frutta (13000Ar) e, dopo un bel po’ di energia e un doppio tea bollente (2500Ar) alle 7,30 già siamo pronti per il Parco V.O.I.M.M.A. (voimmandasibe@gmail.com – 45000Ar per tre ore di giro in mezzo alla foresta), laterale a quello nazionale, dove ci aspetta la guida di ieri sera Céline. La passeggiata sarà solo di due ore durante le quali fortunatamente vediamo il raro lemure indri indri uno dei più grandi e che emette un richiamo potentissimo. In tutta la zona di 800 mila mq vivono 62 famiglie, ognuna delle quali è composta dai 2 ai 6 membri e occupa un territorio di 20 mila mq. In questo parco specifico abitano 4 famiglie e noi ne avvistiamo diversi componenti, stazionanti sugli alberi o saltellanti da una liana all’altra. Spettacolo emozionantissimo; il loro richiamo ci rimarrà impresso nel petto. Avvistiamo anche i lemuri bruni piuttosto comuni, camaleonti irriconoscibili per quanto mimetizzati su arbusti e insetti tra i quali il piccolo scarabeo giraffa per il lungo collo dei maschi che si dica porti fortuna. La vegetazione è fitta, il terreno un po’ bagnaticcio; interessante sarà conoscere la storia di alcune piante endemiche come quella della Vakona all’interno della quale vivono scorpioni, serpentelli, insetti… perché ricca di acqua e le cui foglie pungenti li salvaguardano dai predatori, le pandanus ora protette perché risorse per molti animali, mentre prima venivano usate nell’artigianato. E poi quante orchidee, che fioriranno da novembre a maggio, cactus, funghi dal sapore di pesce… e l’impressionante nido della processionaria, un bruco orticante. Soddisfatti ci congediamo riprendendo il viaggio in direzione Antsirabe a quasi 300 km.

Sulla strada per Antananarivo ci raggiungono Tiaray e la bella mogliettina; il nostro driver gli ha comunicato di avere problemi con la Pajero nera (noi non ci siamo accorti di nulla), che cambieremo con una Pajero argentata. Percorriamo la panoramicissima RN7: la strada nazionale che attraversa il Madagascar in direzione sud fino a Toliara la nostra ultima destinazione via terra con lui. Rimaniamo estasiati dalle risaie irrigue di quasi tutti gli altopiani malgasci che sono rappresentative di questa tecnologia e nominate nell’elenco dei siti patrimonio mondiale dell’UNESCO. Vi lavorano praticamente tutti, bambini compresi. Un pit-stop per acquistare frutta (2000Ar): nespole legate a grappolo con fili di plastica dai bambini (ai quali lasciamo dei regalini) e piccole banane squadrate. La voglia di assaggiare i prodotti appena raccolti è irrefrenabile e dopo solo qualche km ci fermiamo in un piazzale dove sono posizionati banchi che espongo pile e pile di ananas. Quella che acquistiamo (2000Ar) ci viene perfettamente sbucciata con un’ascia e consegnata a mo’ di gelato. Simpatica trovata ma un po’ complicato mangiarla per cui ce la imbusteranno a pezzi (perdiamo un po’ di quantità ma sarà più gestibile la sua squisita degustazione).

È ora di pranzo e il ristorantino Coin du fois gras (coindufoigras@yahooo.fr) proposto, e da noi accettato, ha come specialità l’anatra. Io prendo degli ottimi, saporiti e teneri spiedini di oca al barbecue e crudités, il mio boy l’immancabile riso cantonnaize con verdure, piselli e uova. Compresa una bibita spendiamo 16500Ar. Siamo a 1410 mt di altitudine, a quasi 200 km dalla capitale e facciamo sosta ad Ambatolampy, nota per la lavorazione dell’alluminio e dell’acciaio. Tante sono le bancarelle che vendono chincaglierie, breve e molto modesta la spiegazione in una capanna buia e polverosa che chiamano atelier. Quanti bambini mi vengono incontro e quando tiro fuori qualcosa da distribuire loro… si moltiplicano vertiginosamente! Per fortuna ho tutto per tutti e mi diverto a notare come alcuni ritornano facendo finta di non aver ricevuto nulla… come se non li riconoscessi… ahahah ma è incantevole vederli sorridere e la mia speranza è che condividano. Le cose che ho portato dall’Italia sono utili e futili; loro chiedono caramelle e cioccolatini, ma io distribuisco colori, cappellini, ciabattine, saponette, braccialetti colorati, zainetti… miele in monodose e li vedo ugualmente sorprendentemente felici, il bello dell’inaspettato.

Cala il buio pesto e sono solo le 18. Sulle strade per nulla illuminate tanta gente (compresi bimbi piccoli) che le percorre rischiando la vita; una realtà che mi fa rabbrividire.

Arriviamo alle 19 all’Hotel H1 (82500Ar), ci assegnano la stanza 9, spaziosa, pulitissima, nuovissima, completa di tv, armadio, scrivania, bagno con acqua bollente e wi-fi. Fa piuttosto freddo, probabilmente siamo gli unici ospiti, al ristorante c’è un menu fisso, i piatti non ci ispirano molto per cui ceniamo con frutta, dolce e doppia razione di tea caldo per scaldarci un po’.

31 agosto – 3° giorno: ANTSIRABE – AMBOSITRA (90 km)

Colazione nella norma (6000Ar) con mezza baguettona, marmellata, burro e brocca d’acqua calda per il tea. Iniziamo la visita di Antsirabe, siamo a 1600 mt, la terza città per grandezza che fu capitale al tempo della colonizzazione francese, ma costruita in precedenza dai missionari protestanti norvegesi. È piuttosto vivace e importante dal punto di vista industriale. Facciamo un giro di un’oretta in pousse pousse (10000Ar), il mio ciclista è magrissimo, quello del mio compagno è giovane ma completamente sdentato e con un cappello di lana! Ci conducono per le vie della cittadina, noi immortaliamo il più possibile scene di vita quotidiana così distanti dalla nostra. Terminato il caratteristico tour, Radù ci conduce da Chez Joseph, un negozio di pietre preziose tra cui la géode de Cèlestite che pare porti tanta fortuna! È incredibile quanto sia ricco di minerali questo territorio, quanto i malgasci siano bravi nella realizzazione di oggetti d’ogni tipo ed è incredibile la povertà vediamo in giro. Nel giardino del negozio diverse Radiatà ovvero tartarughe malgasce gigantesche, il maschio si distingue dalla femmina per la forma concava e non piatta della parte sottostante.

È poi la volta di una confetteria ovvero una casa all’interno della quale si producono artigianalmente ottime caramelle. Un simpatico uomo di nome Marcello ci dimostra come in pochi minuti confeziona, con gli ingredienti che gli suggeriamo noi (zenzero e arachidi), tra i diversi che ci mette a disposizione, le bonbon. Il procedimento sembra semplicissimo, ma va da sé che ci vuole molta manualità, il rispetto delle dosi e non si possono sbagliare i tempi perché il riscaldamento e raffreddamento è immediato. Acquistiamo 6 pacchetti di confetti dai differenti gusti a 10000Ar e in più ci vengono regalati quelle della dimostrazione.

Il tour per le botteghe continua con la visita all’atelier Miniature Mamy dove, con fili elettrici, pezzetti di legno, scarti e lattine di recupero, un ragazzo costruisce in pochi minuti una biciclettina o un risciò o una macchinina per l’appunto in miniatura. Strabiliante la sua destrezza e precisione con mezzi e rifiuti che ricicla alla perfezione ridando vita a oggetti che da noi sarebbero nella spazzatura da tempo. In altre sale alcune donne ricamano, dei ragazzi ci fanno notare che delle pigne secche possono trasformarsi, con un po’ di colore, in pavoni e così via…

Ci spostiamo nell’atelier Le six freres in cui, con le corna di Zebù, mediante un processo di lavorazione, in sette passaggi si producono accessori, monili, posate… Il materiale è duttile; prima l’osso viene separato dal guscio di cheratina, poi grossolanamente seghettato, modellato, lucidato e in neppure dieci minuti da un corno si realizza un uccello. Il tizio ci chiede, nel mentre, se indoviniamo cosa stia creando… il mio boy risponde “nooo sooo” e lui: Oui! Un oseau! Ahhh… che ridere!

L’ultimo artista è Francois che pittura perfettamente su tela e realizza dei batik meravigliosi e così veritieri che sembrano foto tridimensionali. Sapevamo che la cittadina era nota per le sorgenti di acqua curativa, ma a parte una grossa insegna sull’ufficio postale principale, non vediamo terme o altro che ce lo dimostri. Ci stupisce invece ogni tanto, e non solo qui, su qualche muro la scritta “Radio Maria”. Avevamo proposto di fare anche un po’ di trekking in un campo a contatto con la popolazione di Betafo o Betafó che significa “molti tetti”, produttori per l’appunto di tegole, ma non c’è tempo, peccato.

Per pranzo ci fermiamo al Pousse Pousse Restaurant (restopoussepousse@gmail.com) all’interno del quale sedie e tavoli riproducono i simpatici risciò rossi. È pulito, il menu vario e scegliamo spiedini (6000Ar) e filetto di zebù (16000Ar) con patatine fritte. La carne è ottima, cotta a puntino, tenera e gustosa. Ci complimentiamo con il cameriere e, compresa una coca cola (3000Ar) e il collegamento wi-fi rarissimo da trovare, spendiamo 25000Ar.

Ci mettiamo in moto per raggiungere, a 90 km di distanza, Ambositra, la capitale dell’artigianato malgascio. Anche questo tratto di Route National 7 si rivela splendido, ogni centimetro è curatissimo e tutta la popolazione, dai più piccoli agli anziani, è perennemente attiva. Ci fermiamo in un grande negozio in cui stupendi sono gli oggetti lavorati con il famoso legno di palissandro. La cittadina è caotica, un saliscendi di strade polverose in cui pullula gente che sembra veramente bisognosa. Tipiche sono le case di mattoni rossi e in tutta sicurezza passeggiamo avvicinati da bambini o donne vogliose di chiacchierare o venditrici di qualcosa e noi, dopo una breve trattativa, le accontentiamo: 5 magneti per 10000Ar. Nel corso della camminata diffondiamo sorrisi, acquistiamo un avocado (400Ar), diversi spiedini di zebù alla brace (200Ar l’uno), una bottiglia d’acqua (2000Ar) e, calata la notte alle 18, andiamo in albergo. La stanza dell’Hotel Artisan (60000Ar a notte) è spaziosa, illuminata poco, ma pulita e con un bel bagnetto con acqua bollente (controlliamo sempre che ci sia visto il freddo pungente e la necessità di fare docce calde). Volendo potevamo optare per il bungalow, sicuramente più grazioso esternamente e con un soppalco intarsiato, ma più piccolino e forse, essendo in legno e muratura, più freddo. Ceniamo deliziosamente e comodamente in hotel: filetto di zebù, patatine fritte, riso bianco e una bibita (28900Ar). Durante questa vacanza ci stiamo nutrendo di zebù a differenza della gente locale che lo mangia solo nelle cerimonie e, per quanto riguarda la carne in genere, di solito il maiale una volta alla settimana.

Il collegamento wi-fi dal ristorante è forte, dalla stanza un po’ difficoltoso, ma domani abbiamo l’alzataccia alle 6 per cui, preparati gli zaini, via sotto le spesse coperte!

1° settembre – 4° giorno: AMBOSITRA – ANTOETRA – IFASINA – AMBOSITRA

Colazione (6000Ar) con baguette, marmellata e diversi tea da poter scegliere all’interno di una scatoletta intarsiata di palissandro e alle 7 pronti per un’ora e mezza d’auto, la destinazione è Antoetra. La maggior parte della strada è sterrata, passiamo in mezzo alle risaie, è un continuo saliscendi, incontriamo agricoltori che con le famiglie macinano a piedi nudi km e km di strada e per ore stanno immersi con gambe e mani nell’acqua. Abbiamo portato con noi cappellini, infradito e ciabattine che distribuiamo rallentando, leggendo ogni volta negli occhi sgranati di chi li riceve sorpresa inaspettata e molto gradita seguita da sorrisi ampi. Quasi alle 9 incontriamo, nella piazza principale della cittadina dove sbuca l’ultimo tratto di strada in salita, René Serge, magrissimo, pochissimi denti, un cappellino e un mini zaino. In un buon inglese ci dà i benvenuti a 1400 mt di altezza e informa che ci condurrà al villaggio di Ifasina, raggiungibile solo a piedi su e giù per le montagne e distante 6 km. La cultura che incontreremo è dei Zafimaniry, un’etnia che ha saputo sviluppare, attraverso i secoli, un’arte sorprendente e così eccezionale che è stata protetta dall’UNESCO. Andremo a vedere porte e finestre di abitazioni intarsiate e scolpite un secolo fa con forme geometriche dai vari significati. L’aria è pungente, il vento fresco, fa una decina di gradi e abbiamo di fronte uno scenario rilassante. Incrociamo, durante l’impegnativa scarpinata, non tanto per me quanto per il mio boy un po’ in sovrappeso e poco abituato a camminare, donne con fasci di legna o di insalata in testa, bambini più agili di caprette che chiedono bottiglie d’acqua vuote per riempirle in un unico punto in cui è erogata quella potabile, uomini con pala e attrezzi da lavoro su una spalla.

Ci fermiamo più volte a riprendere fiato, a toglierci i vari strati di vestiti indossati per l’intiepidirsi dell’aria e per il continuo movimento che – non succedeva da inizio vacanza – ci fa sudare. Arriviamo dopo circa tre ore accolti da una decina di bimbi intenti a far volare degli aquiloni e a saltare a corda. Qualcuno adocchia i miei braccialetti colorati, me li chiede, glieli do e, in pochi minuti mi trovo completamente spogliata di qualsiasi accessorio. Sono strafelice perché vedo quanto loro siano contenti e si sparge la voce rapidamente nel piccolissimo paese dove vivono 700 abitanti di cui 150 under 10! Incontriamo solo qualche donna, poi solo ed esclusivamente bimbi dai pochi mesi ai pochi anni. Non mi lasceranno più per tutta la passeggiata, nonostante la guida ogni tanto li redarguisca perché quasi non ci lasciano camminare. Prometto loro, prima di andare, di dare qualcosa a tutti, negli zaini ho del materiale da cancelleria ma tutto potevo immaginare che fossero così tanti e purtroppo così bisognosi. Andiamo a conoscere il capo villaggio, l’uomo più anziano della comunità al quale la popolazione si rivolge per risolvere qualsiasi tipo di problema. La guida traduce ciò che flebilmente ci dice. Ha 78 anni, ne dimostra molti di più, ma considerando che l’aspettativa di vita è tra i 50 e 54 anni… La sua casa in legno è un unico ambiente semplicissimo in cui le poche cose sono poste secondo i punti cardinali: letto, carbonella con su una pentolona annerita, qualche vestito e probabilmente del cibo. È contento di vederci e ci ringrazia quando gli lasciamo, su indicazione della guida, un’offerta per la comunità. Ci congediamo stringendogli la mano e, una volta fuori, siamo quasi avvinghiati dai ragazzini in un’allegra processione.

René Sergio ci spiega il significato delle centenarie porte intarsiate. La figura del sole=uguaglianza: siamo tutti (ricchi e poveri) uguali sotto il suo calore; quella di una ragnatela=coesione: la famiglia deve sempre restare unita; dell’alveare=solidarietà: lavorare tutti insieme per il bene della comunità. Le strutture hanno il tetto in bambù e all’entrata, per terra, molte stuoie sulle quali si svolge qualsiasi attività.

È ora di rientrare, dopo tante foto ci mettiamo io e la guida in mezzo ad un campo con di fronte tutti i bambini del paese. Aprirò gli zaini e tirerò fuori quello che ho al fine di accontentare ognuno. Distribuisco personalmente penne, matite, colori e caramelle, poi consegno alla guida ciò che non ho uguale per ciascuno affinché sia lui a selezionare a chi dare una cosa piuttosto che un’altra: zainetti, biscotti, merendine… Li stiamo per lasciare, un momento commovente; una bimba più timida delle altre fissa la mia maglietta: me la sfilo e gliela porgo, così come ne metto un’altra tra le mani di ragazzino non vedente. Non abbiamo veramente più nulla… solo un panino che offriremo alla guida con una bottiglia di Gatorade blu ai frutti di bosco di cui non ne conosce l’esistenza e della cui forma della bottiglia con “beccuccio” si meraviglia. Durante il ritorno incontriamo altre ragazze con fasci d’erba o di legnetti in testa che chiedono bottiglie di plastica, non sapevamo fossero così preziose, ovviamente ce ne priviamo e da oggi in poi le conserveremo per donarle. Ci congediamo da René Serge che ci tiene a scriverci tutti i suoi contatti, dal cognome Rakotozafimaharisua ai recapiti. Durante la gita ci ha toccato il cuore, 42 anni, 4 figli, in un posto dove non c’è corrente, wi-fi è riuscito a sbarcare il lunario e a diventare un punto di riferimento per la sua terra. Il rientro ad Antroetra – altri 6 km – è altrettanto impegnativo per le gambe e il fiato del mio boy, ma la spesa vale tutta l’impresa. Davanti l’auto una schiera di fanciulli ci attornia. Apriamo le valigie e distribuiamo il più possibile tra zainetti, altra cancelleria, cappellini. Ci rimettiamo in marcia per tornare ad Ambositra all’Hotel Artisan. Per cena, nuovamente consumata in hotel, anche perché non ci sono molte alternative, e in più è saltata la corrente in tutta la cittadina, io opto per un filetto di pesce Capitano con verdure al vapore mentre il mio boy si lecca i baffi dopo un filetto di zebù al pepe verde con patatine fritte. Compresa una bibita spendiamo 38000Ar.

2 settembre – 5° giorno: AMBOSITRA – RANOMAFANA

Colazione (9900Ar) con baguette, marmellata, tea… e via per il lungo viaggio sulla strada nazionale un po’ tortuosa dai panorami che sembrano cartoline. Ci fermiamo a fare benzina (3600Ar al lt), ancora non è tornata la corrente elettrica nel villaggio, ma grazie a generatori d’emergenza presenti in alcune pompe riusciamo a rifornire l’auto. Tante le venditrici e i venditori sul ciglio della strada, ognuno offre i suoi prodotti e noi, quando possiamo, acquistiamo. Siamo curiosi di comprare i Pok-Pok che scopriamo essere gli alchechengi appena raccolti. Il peso ha come “unità” un cappellino di paglia. Un copricapo piccolo colmo costa 1000Ar, quello di medie dimensioni di più e così via… Un po’ a occhio ci facciamo svuotare due cestini di fruttini dentro una nostra busta in quanto loro non sono forniti di alcun contenitore; anche un semplice sacchetto è qualcosa di eccezionale, introvabile e appetibile. Alcuni ragazzini propongono fasci di legnetti da ardere, gli adulti sacchi stracolmi di carbone con al top delle foglie o della paglia, delle bambine delle uova sode…. Gli scenari hanno colori caldi, le case rosse come la terra sfumano tra l’arancione, il color curcuma e lo zafferano. Scendiamo e risaliamo tornanti ammirando scenari mozzafiato. Noi comodamente in auto, molte persone su pericolosissime piattaforme di legno con quattro ruote e un laccio o un manubrio improvvisato per orientarle. Mi ricordano le foto dei nostri nonni… solo che loro su quelle “costruzioni” ci giocavano da bimbi per le strade dei paeselli, qui li usano come mezzi di trasporto su e giù per le montagne. Non ho idea di come possano frenare improvvisamente. Quanta gente instancabile produce mattoni con la terra spesso proveniente dal fondo delle risaie, ne vediamo la lavorazione da parte anche delle donne, che svolgono lavori di fatica pari agli uomini, dall’impasto, all’essiccatura. Attraversiamo diversi paesini presso i quali tanta gente si dà da fare per portare a casa il cibo quotidiano e altrettanta indossa il vestito buono della domenica per andare a messa. È la prima volta che vediamo famiglie in cammino con scarpe o ciabattine e un abbigliamento che non sia il plaid con cui solitamente coprono indumenti logorati.

In quattro ore, durante le quali una sosta fotografica alle fragorose cascate, arriviamo a Ranomafana che significa Acqua calda. Il pranzo lo consumiamo presso il Ristorante-Hotel Manja. Ordiniamo del pollo arrosto con patatine fritte, un’omelette con carote alla julienne e una bibita. Spendiamo 32000Ar ma non usciamo molto soddisfatti per la striminzita quantità di pollo e per la poca cortesia del cameriere. Facciamo il check-in all’Hotel Gaspard (63000Ar – hotel.chezgaspard@gmail.com) dove ci assegnano il bungalow n. 7 immerso nel verde tropicale, curatissimo e dalla posizione più che centrale, attiguo a una comunità di credenti. La stanza è pulita, grande, con un tavolino sul quale una candela, dei cerini, la Bibbia e un piccolo presepe: il direttore dell’albergo è il responsabile della chiesa cattolica della città e su una targhetta troviamo scritto Bungalow-Chambres d’Hôtes-Mission Catholique. Nel pomeriggio ci dirigiamo alle affollate piscine d’acqua termale (5000Ar), a dieci minuti di camminata dall’albergo, ma io non ho il coraggio di spogliarmi, il mio boy e la guida invece sì. La temperatura interna è di una trentina di gradi, quella esterna una quindicina. I bambini sguazzano in una piscinetta, per gli adulti ve ne è una ampia dove non si tocca, ma a molti locali sembra un’olimpionica e fanno tuffi da tutti i lati, nuotano… dà più l’idea di un luogo di divertimento che di relax in una spa sebbene vediamo la fonte in una pozza attigua.

Nel rientrare ci fermiamo al mercato centrale a comprare una delle decine di bottiglie di acqua Eau Vive (2000Ar) consumate durante la vacanza e a fare shopping sfrenato di frutta fresca e mini arachidi (3200Ar tot). Acquistiamo il pomodoro dolce (vanatabia hazan) o tomate sauvage (esternamente simile a un pomodoro verdone a forma di cuore, con un sapore e interno somigliante al frutto della passione), il lounganza (un tubero con un grosso gambo e il frutto dalla dura corteccia rossa fuoco che custodisce un batuffolo bianco pieno di semini neri dal gusto dello zenzero e che alcuni dicono essere il frutto del ginger o della palma da olio), nespole, tre delle dieci specie di banane, tutte piccole, più o meno spigolose e con la buccia sottile o spessa.

Il tempo di indossare qualcosa di più pesante e alle 17,30 Radù ci accompagna all’ingresso del Parco Nazionale di Ranamafana dove incontriamo quella che sarà la nostra guida per la visita notturna odierna (25000Ar a p.) e diurna domani. Si chiama Lulla (fiore di banano) e parla sia inglese sia francese. Sulla strada che costeggia il parco, in un’oretta scoveremo, nel buio più totale, ma muniti di torce: lemuri Microcebus o mouse lemure, diverse specie di camaleonti gastrotaenia, la maggior parte dei quali microscopici e gracidanti ranocchiette. Torniamo infreddoliti, ordiniamo due doppi tea bollenti (4000Ar) che portiamo nel bungalow dove mangeremo anche tutti gli acquisti odierni, dagli alchechengi alle arachidi. Soddisfatti e riscaldati, presso la reception ci colleghiamo col mondo (è l’unico punto wi-fi), non abbiamo voglia di cenare e alle 22,30 ci ficchiamo sotto le spesse coperte.

3 settembre – 6° giorno: RANOMAFANA – FIANARANTSOA – AMBALAVAO (120 km)

Ricca colazione con baguette, burro, marmellata di ananas, miele, latte condensato, spremuta di ananas e doppio tea (11000Ar)! Alle 8 siamo davanti al Parco Nazionale Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco (225000Ar totali per due persone che comprendono il costo del biglietto 55000Ar, le tasse locali di 5000Ar e la guida per 4 ore 105000Ar) presso il quale Lulla ci affida a William, una futura guida che parla un buon italiano e che ci dà tutte le informazioni possibili. Nel mentre, lei andrà in avanscoperta degli animali e, quando li avrà trovati, gli telefonerà e noi correremo silenziosamente a immortalarli.

Il Parco, scoperto il 31 maggio del 1991, ha una superficie di 41.600 ettari, colline coperte da foresta pluviale (qui piove 9 mesi su 12) in un’altitudine compresa tra gli 800 e i 1200 mt. Noi passeggeremo nella parte di foresta secondaria (la primaria è piuttosto lontana) tra i 950 e i 1000 mt. Ospita 29 specie di mammiferi, 12 specie di lemuri (7 diurni e 5 notturni), 6 tipi di felini: lefusa grande endemico, gatto e cane selvatici introdotti per l’ecosistema, fusa fusara dalle sembianze di un gatto, mangusta bianca e, riusciremo più volte a vederla, mangusta rossastra e dalla coda rossonera. Il primo lemure avvistato è il prolemur sumus o a naso largo mangiatore di fiori, di frutti e di foglie giovani di bambù che, a volte, sono velenose e, quando si accorge di averle ingerite, mette in bocca subito un po’ di terra per neutralizzare l’effetto cianuro. La femmina partorisce un cucciolo l’anno, vivono in gruppi dai 2 ai 10 componenti sia sul fiume sia nei buchi degli alberi. Il secondo è il vegetariano lemure Ribrivanteur o pancia rossa con la parte sotto gli occhi bianca (il maschio) e dalla pancia bianca la femmina. L’ultimo è il Sifaka o ballerino perché quando scende a terra saltella sulle due zampe posteriori. La femmina partorisce un cucciolo ogni due anni, a volte due gemelli di cui si occupano entrambi i genitori e vivono in gruppi dai 2 ai 9. I lemuri sono preda di aquile (che attaccano agli occhi) e di rettili quali i boa; emettono cinque tipi di versi differenti: per mangiare, per richiamarsi, per dare un allarme, per amore e per proteggere il territorio. Ogni specie ha i suoi suoni e non comprende quelli degli altri. Scoviamo qualche camaleonte (se ne contano 10 specie), gli insetti giraffa, alcune tra le 118 specie di uccelli riuscendo con un po’ di fortuna a fotografare il Pitta Like Ground Roller variopinto e salticchiante sul terreno. Vi sono anche 200 rettili e farfalle; una bella ed enorme Mariposa gialla posa accanto a me.

Attraversiamo il ponte sul fiume Namoruna ricco di pesci, gamberi, granchi e anguille che forma rapide e cascatine. La flora è altrettanto interessante con le sue varietà di piante (bellissime la Dombeya rosa che sembra una gigantesca ortensia profumata) e le enormi felci, di cui se ne contano 200 tipi tra quelle terrestri, arboree ed epifite ovvero che si sostengono o vivono su altri vegetali da cui si procurano il nutrimento. Tantissime palme, la più scenografica è quella del viaggiatore e poi orchidee, muschi, medicinali, carnivore e 11 tipi di bambù: liana, cerbottana e quelli giganti carichi di acqua che a volte cascano come birilli se non trovano alberi a cui appoggiarsi (nel periodo delle piogge crescono di 5 cm al giorno e arrivano a 30 mt). Molti sono gli alberi da frutto che sono stati piantati per nutrire gli animali: mango, avocado, arancia, guava (o guaiava), eucalipto…; scopriamo due specie di Tamburizia, commestibile solo dagli animali, dalle sembianze di un porcospino sul terreno o di palla dura attaccata a un albero. In mezzo alla foresta ci vengono indicate delle pietre ricoperte di muschio allineate in ricordo degli Antanala, un’etnia che, prima della scoperta della foresta pluviale, viveva qui; ora abita in un’altra zona ed è nota per la lavorazione dei mattoni d’argilla. È una delle 18 tribù che tutt’oggi vi sono in Madagascar. Ci congediamo dalle brave guide dopo poco più di quattro ore, un po’ rammaricati per non essere riusciti a vedere i lemuri coronato e l’apalemure dalla testa rossa e dorato, ma siamo soddisfatti ugualmente per l’esperienza. Pranziamo all’interno del parco, presso l’unico ristorante che offre più o meno le medesime pietanze a prezzi contenuti. Il mio boy prende riso alle verdure con uovo ad occhio di bue sopra che chiamano riso alla cantonese, io une entrecôte con l’osso di zebù, contorno di verdure e bibite (25000Ar tot.).

Un paio d’ore di curve della RN7 ed arriviamo a Fianarantsoa, a 1500 mt, la capitale della regione dell’etnia Betsileo=invincibili, dalla grande storia e tradizione. È detta anche Fianar o Fianà che in lingua malgascia significa “là dove si apprende il bene – posto di buona cultura”, dal numero straordinario di chiese protestanti e cattoliche. La città alta ha viuzze strette e tortuose, quella bassa è più cupa, ma interessante è la stazione ferroviaria costruita negli anni ‘30 che è ancora funzionante. Oggi è nota anche per la produzione vinicola e per i monaci trappisti che producono un particolare aperitivo all’arancio. Un’oretta e mezza e giungiamo ad Ambalavao, una visita in una casa-bottega dove si produce la seta, interessante la spiegazione dai bachi ai prodotti finiti e check-in all’Hotel Espace Zongo (50000Ar), un’enorme struttura in cui saremo gli unici due ospiti. La stanza Opama è ampia, pulita, con lettone, semplicissima, bagno con acqua calda, doccia e saponetta, un ballatoio con affaccio sui bungalow immersi nel verde. Wi-fi solo alla reception e al ristorante dove consumeremo una bollente vellutata di verdure (10000Ar), due spiedini di zebù con verdure grigliate (12000Ar) e una birretta THS (3000Ar), la famosa Three Horses Beer, super pubblicizzata ovunque, per 25000Ar totali.

4 settembre – 7° giorno: AMBALAVAO – ANJA – IHOSY – RANOHIRA (ISALO) (250 km)

Colazione (7000Ar) con una lunga baguette, burro, marmellata di pok-pok=alchechengi, succo fresco di fragola e tea per iniziare con energia la giornata.

La prima visita è in un laboratorio dove gli Antaimoro producono la famosa carta, simile alla pergamena, realizzata artigianalmente. Ci vengono mostrate tutte le fasi della lavorazione a partire da un arbusto semi-acquatico, l’avoha, la cui corteccia viene fatta bollire in grossi calderoni per oltre 3-4 ore. Una volta molle, viene pestata e ridotta in poltiglia, diluita sempre con acqua, adagiata su un panno di cotone fissato a un telaio di legno, e stesa ad asciugare. I fogli grezzi vengono successivamente decorati con fiori secchi e ricoperti da un altro strato di pasta diluita. Completata l’essiccazione, i fogli vengono distaccati dai telai, piegati e tagliati in base all’utilizzo. In un negozietto vediamo esposti tanti prodotti: buste, paralumi, scatole portaoggetti, portafoto e album fotografici, bomboniere, carta regalo, ombrellini…

È poi la volta del mercato colorato (o a cielo aperto) dove si trova qualsiasi bene: frutta, carne coperta di mosche, verdura, pesce essiccato dall’odore pungente da sembrare rancido, canna da zucchero a rondelle, zucchero condensato, sale, riso, spezie… tutti prodotti sfusi, la cui quantità è definita dalla dimensione del barattolino di latta utilizzato per contenerla. Anche l’olio si vende sfuso in grosse latte esposte spesso sotto al sole. Noi acquistiamo delle banane di media dimensione (100Ar l’una), qualche baccello di tamarindo (100Ar) e l’immancabile bottiglia di plastica d’Eau Vive (2000Ar) preziosa per i locali che la utilizzano per andare a prenderla alla fontana della comunità o rivendono a chi raccoglie plastica.

Sui campi attrezzi da lavoro che ricordano film d’altri tempi, quante donne con un equilibrio e un’eleganza incredibili trasportano in testa ceste cariche di ogni cosa e di frequente, a mo’ di zaino, un bimbo legato a una sorta di pareo intrecciato dietro la schiena. Appena rallentiamo con l’auto per fare una foto, chiunque si trovi nei paraggi allunga il passo e ci viene incontro. È un attimo e distribuiamo ciabatte, magliette e caramelle. Una ventina di km e raggiungiamo la Riserva di Anja (68000Ar per due persone: 10000Ar a p. l’ingresso e la guida secondo una tariffa oraria – noi la prendiamo per un’ora e mezza a 48000Ar -). La riserva è gestita dalla popolazione contadina locale e i nostri soldini saranno utilizzati per migliorare la cultura del riso, costruire abitazioni… È un’area privata di 30 ettari, ha un’alta concentrazione di biodiversità e il percorso si addentra attraverso una rada foresta ricca di alberi da frutto di cui si cibano i lemuri Ring Tail o Machi o Catta che riusciamo a vedere benissimo. Saltano sì da un albero all’altro, ma spesso si ritrovano sul terreno ed è proprio nei pressi dei nostri zaini appoggiati a terra che li vediamo avventarsi. La loro giornata quotidiana si svolge così: di mattina prendono il sole, cercano il cibo, vanno a bere in un lago attiguo, dalle 11 alle 12 riposano e poi ricominciano a cercare cibo, bevono, giocano e la notte dormono dentro alcune grotte. Ogni famiglia è composta da 15-20 membri, la femmina è The Boss. Ad aprile-maggio rimane incinta e dopo 4 mesi di gestazione dà alla luce un cucciolo o due gemelli di circa 20 g. Per sei mesi si nutrono di latte, poi di foglie. A due anni sono grandi per comporre un nucleo familiare. La loro aspettativa di vita è 18 anni. Emettono quattro differenti versi: quello per l’amore è un miagolio, per comunicare è un suono gutturale, per dare un allarme è un gracchiare e per richiamare l’attenzione qualora ci si fosse persi è un vero e proprio grido al quale rispondono in tanti che si muovono per la ricerca.

Costituiscono cibo per falchi e per serpenti in particolare di Boa di cui questa zona ne è ricca nel periodo delle piogge, ora, nella stagione secca, sono in letargo. Diversi anni fa le tribù si nutrivano di lemuri e li cacciavano per venderne la morbidosa coda bianco-nera, ma dal 1999 è diventata una specie protetta e da 150 esemplari se ne contano oggi 600. Siamo ai piedi del massiccio d’Indrambaky, un’enorme montagna granitica dalla quale svettano tre giganteschi monoliti: le Tre Sorelle. Vengono chiamate così per una lontana leggenda: due capi tribù, dei Bara e dei Batsileo, avevano rispettivamente tre figli e tre figlie che volevano si accoppiassero. Le figlie, non d’accordo con la decisione presa dal padre, mangiarono un piatto di pesce in cui misero delle foglie di una pianta velenosa per suicidarsi. I genitori le seppellirono in cima al massiccio secondo la loro età. Scaliamo nel vero senso della parola una parte dell’alto rilievo incontrando piante medicinali contro le punture di insetti (Pru-Tetradema), ficus, diverse specie di Forb-Shamata dalle cui spesse foglie o aculei – se spezzati – esce un gel bianco elastico simile al caucciù che i bambini impanano nello zucchero e masticano a mo’ di chewing gum. Ben camuffati e mimetizzati tra ramoscelli e foglie, non ci sfuggono i camaleonti il cui genere cominciamo a riconoscere dal tipo di corna che hanno.

Ci arrampichiamo su rocce granitiche per rimanere in meditazione davanti un contesto spettacolare e scorgiamo alcune tombe scavate dalla tribù che vi abita.

Arriviamo nel tardo pomeriggio all’Hotel H1 (125000Ar – hotelh1isalo@gmail.com) a un km dal centro della cittadina. I bungalow in cemento sono molto puliti e spaziosi e posizionati su un curatissimo giardino dove sono piantati alberi da frutto, piante grasse, fiori… A noi assegnano il n. 1, vicino la reception e il ristorante, per cui avremo la fortuna di sfruttare il wi-fi funzionante negli spazi comuni. Vi è anche una piscina con qualche ombrellone e sdraio, ma la cui acqua è ghiacciata, solo tre persone (tra cui il mio boy) hanno il coraggio di immergersi per alcuni minuti. I drivers giocano a bocce o a biliardino, noi ci rilassiamo un po’ prima della cena su tavoli elegantemente apparecchiati. Il freddo si fa sentire e stasera optiamo per due abbondanti vellutate di lenticchie che ci riscaldano e rigenerano per quanto gustose. Io spezzetto le preziose fette di baguette (a parte la mattina a colazione quasi mai è previsto il pane a tavola) e lo utilizzo a mo’ di crostini. L’unico condimento che mi manca è l’olio extravergine di oliva a crudo in quanto qui, ahimè, usano il burro, ma non ci lamentiamo, è buona anche così; compresa una bibita spendiamo 27000Ar e soddisfatti andiamo a ninna prestino.

5 settembre – 8° giorno: RANOHIRA (ISALO PARK)

Colazione (7500Ar) con tea e fetta di ciambellone sulla quale spalmiamo marmellata all’albicocca! Pieni di vitalità siamo pronti per il Parco Nazionale d’Isalo dove effettueremo il Circuito Namaza che prevede la visita alla piscina naturale circondata da una vegetazione tropicale, alle vasche blu e nera e alle cascate delle Ninfee. Ci ritroviamo dentro una savana africana, con grandi formazioni rocciose di arenaria colorata modellate dal vento, dalle fattezze più strane dovute all’erosione costante di tutti agenti atmosferici.

Diverse le specie endemiche di flora tra cui l’albero Tapia o Uapaca Bogeri resistente al fuoco, che cresce a un’altitudine tra i 500 e 1400mt, dalle foglie sempre verdi che costituiscono il cibo per i landibi (falene della seta) e i cui frutti, dolci e ricchi di calcio, vengono infusi nel rum o trasformati in ottime marmellate. E ancora piante come il pachypodium o zampe di elefante dai fiori gialli che spuntano da una sacca che trattiene molta d’acqua somigliante proprio a una zampa di pachiderma e dalla quale spesso si dissetano i contadini. Tra la fauna, 87 specie di uccelli, rettili tra cui il boa, pipistrelli, anfibi e immancabili lemuri: catta grigio e marrone – di cui ne vediamo tantissimi esemplari a distanza ravvicinata – e il raro Sifaka di Verreaux completamente bianco con la testa nera. All’interno di questo canyon avvengono le sepolture dell’etnia Bara, prima provvisorie, poi, dopo 4-5 anni, dopo aver riesumato il cadavere e averlo sparso di grasso di gobba di zebù, definitive in grotte naturali. Dopo 10 km e 7 ore di gita, sederci sulla Pajero 4×4 ci piace non poco. In paese compriamo due bottiglione d’acqua fresca (5000Ar) e torniamo in hotel per una doccia veloce. Non possiamo perderci il tramonto dalla Finestra di roccia naturale da dove ammiriamo il paesaggio che cambia i colori dello scenario. Non siamo certo soli, anzi, di gente ce ne è tanta, ma diverse sono le persone che sorvegliano – con giacchetti catarifrangenti o militari – che tutto si svolga tranquillamente. È poi la volta di un’altra sosta, lungo la via del ritorno, a quella che chiamano la Reine de Isalo, un masso che assomiglia alla testa della regina stampata sulle banconote da 1000Ar.

Stasera ceniamo a Le Zebù grill, proprio nel centro città e nei pressi del Parco, un’elegante struttura – all’interno dell’Hotel Orchidéè de l’Isalo – con prezzi abbordabilissimi. Ordiniamo un riso con verdure, tre patate novelle intere rosolée croccanti fuori e morbide dentro, tenero spezzatino di maiale cotto nelle verdissime foglie di manioca, una bibita e spendiamo 30000Ar. Rientriamo all’Hotel H1 e saldiamo il conto, domani partiremo alle 5.

6 settembre – 9° giorno: ISALO – TULEAR- ANAKAO 232 km + 36 km in battello

La colazione la facciamo in macchina con pane e frutta, il ristorante ancora col buio non è ovviamene aperto, ma lo sapevamo. Ci aspettano quasi quattro ore di viaggio per raggiungere Tulear o Toliara dove ci imbarcheremo per l’agognata località di mare. Piano piano il cielo schiarisce, nel mentre passiamo a Ilakaka, una cittadina mineraria in piena espansione dopo il ritrovamento di un giacimento di zaffiri. Lungo la strada diverse costruzioni in cemento (pare di imprese cinesi e cingalesi) pubblicizzano gemme. I mattinieri giovanotti che incontriamo, in tute o in jeans, corrono su e giù per le strade, ma questa volta non scalzi o con l’infradito per raggiungere lontane risaie o sperduti campi da coltivare, ma per il gusto del running.

Attraversiamo un’immensa zona di savana, alternata da aree verdi, avvistiamo enormi Baobab dai rami contorti che a volte sembrano radici. Scattiamo foto da cartolina, di quelle da pubblicità sulle brochure. Termina qui la prima parte del tour, quella on the road con l’autista Radù il quale, solo soletto, impiegando un paio di giorni, tornerà ad Antananarivo. Noi lo raggiungeremo con un volo nazionale fra cinque giorni di mare e relax. La cittadina è caotica, piena di risciò che si incastrano tra le auto. Non ci fa un buon effetto anche per l’insistenza morbosa di tassisti e autisti di pousse-pousse che non ci lasciano fare un passo. L’ufficio dell’Anakao Express (120000Ar a persona a/r), la compagnia che gestisce diversi motoscafi in collegamento con i vari Resort, tra cui il nostro (l’altra compagnia è la Transfert Anakao), altro non è che una stanzetta davanti un’arena secca, paludosa, sulla quale accedono carretti trainati da zebù, necessari per trasportare prima le nostre valigie e poi noi sull’imbarcazione. Partiamo alle 9, il mare è calmo e diventa sempre più limpido. Un’oretta e mezza e mettiamo i piedi sulla spiaggia dell’Atlantis, la struttura prenotata e l’unica saldata con bonifico in euro in formula B&B dall’Italia (€ 12 al giorno). Ci accolgono la proprietaria francese Laurence – con la quale avevo scambiato più mail – e il suo staff locale. Quale benvenuto un succo di mela e assegnazione, a noi e ad altre due coppie sbarcate contemporaneamente (due ragazze francesi e un’altra coppia di italiani), dei super eco bungalow sull’arenile. Il nostro è proprio fronte mare e, inaspettatamente, più grande di quello effettivamente prenotato! La fortuna ha voluto che era libero e, dal momento in cui tutti gli altri ospiti non rimangono più di una-due notti, la signora ha deciso di assegnarlo a noi che ne rimarremo cinque. È in canne di bambù, legni di baobab e paglia, ha due ampi letti a baldacchino e due differenti spazi chiusi da tende. Uno con il water e due contenitori di acqua del mare che faranno da sciacquone (la carta igienica va gettata a parte in un cestino quotidianamente svuotato) e l’altro con uno foro per terra, due secchi di acqua dolce, una saponetta e una tazzina di latta in plastica per “far la doccia”. È tutto così tanto primitivo che ci diverte. Il resto dell’arredamento? Un tavolino, una sedia, due comodini, contenitori di paglia e uno specchietto. Sicuramente ci vuole spirito di adattamento, ma la rinuncia a qualche comfort vale l’impresa.

Apriamo le valigie, indossiamo il costume e siamo pronti per una passeggiatina lungo mare. Poche centinaia di metri e siamo al villaggio dei pescatori dell’etnia Vezo. In fila si sussegue un numero considerevole di piroghe a dondolo con maschietti che ci propongono varie escursioni, donne dal volto dipinto da una pasta biancastra o gialla che le protegge dal sole che vogliono venderci qualcosa o fare massaggi, treccine, e centinaia di bambini che chiedono una fotò (si mettono in posa per essere immortalati) ma solo dopo aver ricevuto un cadò (cadeaux). Ognuno si presenta con un nome in italiano, impara subito i nostri e non ci mollerà finché non prometteremo di acquistare un’escursione o un pasto o un souvenir. I prezzi sono convenienti se rapportati a quelli della nostra o di altre strutture, ma vanno ulteriormente dimezzati con un po’ di trattativa. Alcuni sembrano quasi disperati, non vi sono tanti turisti in giro e non tutti si fidano di loro; noi sì e ci prefissiamo di dare, nel corso dei cinque giorni, del lavoro un po’ a tutti. Concordiamo per l’indomani un’uscita in piroga.

La fame si fa sentire e ci fermiamo, accalappiati da un cameriere che al nostro sbirciare la lavagnetta menu si catapulta, da Chez Emile dove, su una pedana in legno fronte mare, ordineremo un pescione Tilapia arrostito con mega insalata di pomodori, carote, cetrioli e cipolle io; un calamaro grigliato con un’abbondantissima quantità di patate saltate il mio boy. Compresa una bibita spendiamo 29000Ar.

Rientriamo all’Atlantis scortati da una miriade di bambini, molto spigliati e smorfiosi che chiedono di tutto di più. Mi aiutano a scrivere dei nomi sulla sabbia con la miriade di conchiglie che la spiaggia bianca regala e improvvisano balletti. Regalo loro due palloni e tre mini materassini che avevo portato appositamente dall’Italia, strafelice di sentire gridare il mio nome mentre si allontanano dopo lo spettacolare tramonto. Quanto è diversa la realtà nel mio Bel paese. È ora di gettarsi addosso un po’ di acqua desalinizzata; se si desidera calda, c’è un omino che provvede a portarne un pentolone precedentemente scaldato sulla carbonella o si possono prendere delle bottiglie di plastica all’interno di un baule tenuto perennemente sotto al sole. Ci colleghiamo un po’ con il mondo; il wi-fi è incredibilmente funzionante ma solo alle ore pasti e presso l’area comune. Alla reception, su una ciabatta, possiamo attaccare e caricare i mezzi tecnologici, ma solo se durante il giorno ci sarà stato il sole in quanto tutto funziona con i pannelli solari. Alle 22 viene staccato il generatore di corrente elettrica, uno sguardo incantato al cielo stellato e ci ritiriamo nel bungalow ad ascoltare le onde del mare.

7 settembre – 10° giorno: ANAKAO – NOSY-VE e avvistamento balene

Ci svegliamo con lo spuntar del sole, indossiamo costume e ciabattine e in un minuto scarso siamo seduti per far colazione con pane, burro, marmellata, tea e succo di mela. È un pochino scarsa e costosa se rapportata a quelle consumate finora nell’Isola grande (4€ già saldata in Italia, 12000Ar a testa se la avessimo pagata qui), ma con i piedi sulla sabbia, di fronte a un mare splendido, li vale tutti.

Alle 8,30 con Francisco partiamo per l’avvistamento delle balene, a 4 km da dove siamo. Fa un po’ freschetto e gli schizzi che arrivano sulla simpatica piroga non sono pochi. Una mezz’ora e ci indica un’enorme macchia scura: è il desiderato cetaceo che dopo pochi secondi comincia a saltare e sbuffare davanti a noi. Ogni tanto si sposta, poi mostra solo il dorso, una pinna… e nel frattempo sparisce. Arriva un’altra balena, fa un salto enorme mostrando il ventre biancastro, poi non si vede più ma si fa sentire con un miagolio strozzato. Che emozione! Ci guardiamo attoniti, Francisco fa marcia indietro perché è proprio sotto la nostra imbarcazione. Mi commuovo e lei riappare sbattendo più e più volte la grossa coda quasi a salutarci. Momenti indimenticabili che porteremo per sempre nei nostri cuori e ricordi fotografici.

Il pranzo lo consumiamo nell’incantevole Nosy Ve, un’isola disabitata dalla sabbia bianca, corallina e un mare che tocca tutte le tonalità del turchese e del verde smeraldo.

Dove attracca il nostro pescatore siamo completamente soli. Lui comincia ad attrezzare, sotto una tettoia di paglia, il pic-nic; noi facciamo un giro tondo tondo che ci porterà via più di un’ora tra foto e bagnetti qua e là. Nel percorrerla tutta incontriamo prima altri due turisti e poi quattro italiani sbarcati solo per poco tempo.

Alle 13 è il pranzo è servito: su una griglia poggiata sulla carbonella quattro pesci, non enormi ma gustosi e tenerissimi, tra cui un barracuda e poi minimo 300gr di riso in bianco e in un pentolino dei pezzetti di polpo affogato in un sughetto delizioso con cui realizzo un “risotto alla pescatora” succulento. Vista la location non ci possiamo proprio lamentare, anzi, spazzoliamo tutto con soddisfazione sotto gli occhi di enormi uccelli che attirati dai buoni odorini ci fanno le poste.

Che dire? Giornata spettacolare e gente locale affidabile. Nel pomeriggio ingaggiamo un altro ragazzo del posto, Mura, per la gita di domani.

8 settembre – 11° giorno: ANAKAO – NOSY-SATRANA

Colazione scarsina e monotona con tea, pane, burro, marmellata e succo di tamarindo e alle 8,30 via con la piroga a vela di Mura che, siccome stanotte è diventato papà, ci manda in sua sostituzione il quattordicenne Danielo e il diciottenne Lido ai quali, nonostante la giovane età, daremo fiducia non pentendocene affatto.

Il vento ovviamente è favorevole, loro lo sanno con esattezza, come sanno che lo sarà anche al rientro. L’isola di Satrana dista 5 km e a vele spiegate ci impiegheremo un paio d’ore per raggiungerla. Prima però facciamo una sosta in mezzo al mare alla ricerca di un polpo. Incrociamo barchette di pescatori intenti a tirar su qualcosa di commestibile senza molti mezzi se non le mani e lunghi coltelli. Uno ha un polpo di un paio di kg tra le mani, proprio quello che cercavamo! I due ragazzi mi sembra gli consegnino 5 o 10000Ar, foto e video di rito del mollusco che imbarchiamo e che, durante tutto il viaggio, muoverà i suoi tentacoli tra i nostri piedi.

Chissà se immagina che sarà parte del nostro pranzo che gusteremo sulla parte di isola piena di mangrovie e proprio sotto la più grande stenderemo la tovaglia plastificata. Mentre facciamo un giro con avvistamento di stelle marine, granchi, esseri non ben definiti che, se inavvertitamente schiacciati, sparano un liquido bordeaux… Danielo e Lido sulla carbonella metteranno la griglia e nel frattempo faranno una salsina al pomodoro con cipolla e tentacoli da accompagnare al riso bianco. L’isola è grande e ha un centro abitato distante da dove siamo. Vediamo un via vai di imbarcazioni scaricare secchi di bidoni gialli con l’acqua potabile, sacchi di patate… d’altronde, come nella maggior parte dei posti, non vi è elettricità né acqua corrente.

Il cibo è appetitoso, le mani si lavano al mare, così come si sciacquano le stoviglie. Le condizioni igieniche non sono il massimo, ma è pur vero che, finora, non abbiamo mai avuto nessun tipo di problema intestinale… la materia prima è a millimetro zero!

Ci rimettiamo in piroga e veliamo fino a un’insenatura che chiamano la piscina naturale. I colori sono indescrivibilmente belli, l’acqua super limpida, bassa da una parte e poi, a ridosso di un pezzetto di barriera corallina, più alta. Avvistiamo una murena e rimaniamo ad ammirare il mare cristallino con le sue sfumature di turchese che diminuiscono d’intensità e poi diventano smeraldo. Rientriamo davanti l’hotel senza aver sentito caldo, nonostante il sole forte, grazie alla perfetta ventilazione naturale. Anche la nostra spiaggia, bisogna dirlo, con la sua sabbia bianca è da cartolina. Ringraziamo i ragazzi che incontreremo nuovamente domani presso un ristorante consigliato. Quasi davanti la stanza, i bimbi mi aspettano, mi chiamano per nome e recitano la solita manfrina di dar loro qualcosa oggi perché domani partono. Mi sono divisa per i vari giorni ciò che è rimasto in borsa… non molto quasi a fine viaggio. Oggi distribuirò pacchetti di biscotti. È ora della doccia che farò prendendo una bottiglia di acqua calda dal baule sotto al sole e mischiandola a quella fredda sempre presente nel secchio nel bungalow. Ogni giorno mi concedo un massaggio, ogni volta con una donna diversa per dar da lavorare e accontentare un po’ tutte. Oggi lo realizzerà Clara, una ragazzona che dice di essere vedova, ha un bimbo piccolo, e fa questo mestiere per sfamarlo. Mi unge di olio di cocco all’inverosimile, ha una buona manualità, ma non credo abbia fatto corsi. È comunque un momento piacevole, sul lettino di fronte il bungalow riesco a rilassarmi prima di immortalare il terzo meraviglioso tramonto.

9 settembre – 12° giorno: ANAKAO – VILLAGGIO

Nessuna novità nella colazione, salutiamo una coppia di ragazzi sardi che hanno pernottato un paio di giorni nella nostra stessa struttura e ci prepariamo per una lunghissima passeggiata nel villaggio dell’etnia dei Vezo che sulla costa si definisce di pescatori – e la cui peculiarità è quella di immergersi a lungo in apnea -, mentre nell’entroterra di contadini o allevatori di capre e zebù. Attraversiamo le dune di sabbia dietro le quali, a pascolare, numerose greggi. Oggi è domenica, alcune famiglie organizzano pic-nic sulla spiaggia, i bambini ogni giorno sembrano aumentare, è un continuo chiedere cadeaux e fotò, d’altronde siamo gli unici Vazà (stranieri) che incontrano. L’alta stagione è quasi terminata e i pochi turisti stanno ben vicini alle strutture sul mare o proprio dentro i vari recinti per non essere disturbati. Mi dispiace dirlo ma, dopo i primi giorni, il continuo essere oggetto di numerose richieste e ascoltare sempre le stesse cantilene e bugie da parte di tutti coloro che ci attorniano (bimbi e adulti) pur di ottenere qualcosa, diventa un po’ stressante. Io riesco sempre a divertirmi e a trovarli comici, il mio boy a volte perde un po’ la pazienza, soprattutto quando vede che qualcuno più sfacciato si attacca al mio braccio, mi tira, mi prende la mano…

A farci da “scorta”, ma non ce ne sarebbe bisogno, ci sono Danielo e Lido, si sono affezionati a noi e quando ci vedono ci fanno strada in mezzo alle case basse costruite prevalentemente in legno e bambù; poi ci sono quelle in alluminio e solo delle eccezioni in mattoni, ma quasi mai completate. I ragazzi, ogni volta che ne vedono una, dicono che sono dei ricchi (li vorrei vedere quanto benestanti!). Dappertutto svolazzano galline spennacchiate, malnutrite e qualche anatra. Ogni donna seduta per terra è intenta a cucinare qualcosa sulla brace, le pentole sono tutte uguali, cambiano solo di misura. A cielo aperto una discarica di rifiuti ai quali spesso viene dato fuoco. I bagni sono buchi con tre, non sempre quattro, pannelli per la privacy, poco distanti dall’abitazione. Più ci si inoltra nel cuore del villaggio, più la sabbia è bianca e crea dune. Incontriamo diversi pastori di capre, di zebù che trainano carri, flotte di persone che vanno o tornano dalla messa in chiese cattolica e protestante. Qualche bancarella con scarsissima merce forma il mercato, in un grosso banco un intero zebù sventrato. Riusciamo a comprare delle arachidi solo perché avevamo con noi un sacchetto, altrimenti non avrebbero saputo dove metterle. Torniamo sulla spiaggia, ci congediamo dai due ragazzi che dicono di dover andare a dare una mano per cucinare per noi. Abbiamo prenotato da un loro amico il pranzo di oggi. Risiamo sul lungomare. Passeggiamo in una zona un po’ rocciosa scovando stelle marine enormi rosse e bordeaux, pozze con centinaia di ricci e ragazzi con in mano grosse cicale di mare. Giungiamo da Clovis, il ristorante è… un tavolino sul quale una tovaglia che pare uno straccetto, nessun tovagliolo (loro usano sciacquarsi direttamente con l’acqua di mare, ma cercano di procurarcelo) e due sedie fronte oceano sotto una tettoia sulla spiaggia. Tempo qualche minuto e il banchetto, solo per noi due, è servito: un’aragosta piccolina, un pesce piuttosto grande, del riso e la salsa di pomodoro fresco. Comprese due bottiglie di coca cola spendiamo 32000Ar. Il cibo è gustoso, è stato cucinato a casa di chissà quale famiglia, non pretendiamo altro sapendo di aver fatto guadagnare un pochino a chiunque abbia collaborato.

Pit stop dans l’Epicerie per l’acquisto quotidiano di due bottiglie di Eau Vive (5000Ar) e rientro al bungalow io mentre il mio boy si concede altri tuffi. Dopo la doccetta il massaggio con Avo, una vecchina energica, che scopro avere soli 50 anni, vedova anche lei con tre figli da mantenere. Si impegna molto, e alla fine, dopo il pagamento, i soliti regalini richiesti da lei ma già nelle mie intenzioni: una maglietta, del sapone e un campioncino di crema per il viso. La serata è fresca, il cielo nuvoloso e il tramonto lo rende piacevole.

10 settembre – 13° giorno: ANAKAO

Mamma mia che tempaccio stanotte! Ha diluviato ininterrottamente! Tantissima acqua è entrata nel bungalow. Noi sopra la zanzariera abbiamo messo un plaid e ci siamo mezzi salvati dalla pioggia in faccia, ma il vento soffiava forte anche dentro la stanza e i tuoni sembravano squarciare il cielo. Tutti dicono che è un evento straordinario; non è mai accaduto se non nei mesi di gennaio e febbraio… ma tant’è.

Felpe, pantaloni lunghi (io doppi) e impermeabile facciamo colazione. La luce non c’è da ieri per cui non sarà possibile ricaricare i cellulari. Siamo fuori dal mondo e irrintracciabili, pazienza! I bambini, nonostante il mal tempo, a una certa ora mi chiamano tremanti dalla spiaggia. Sanno che oggi è l’ultimo giorno e potrei donare loro le ultime cose. Li accontento (anche se sono sempre pretenziosi), dico loro di tornare a casa perché fa troppo freddo… ci saremo rivisti nel pomeriggio sperando in un clima più clemente. Neppure il tempo di rientrare in bungalow e sento Francois un pescatore al quale avevamo promesso nei giorni scorsi di assaggiare anche la cucina di sua moglie, urlare il mio nome. Ha ragione, ma come si fa ad uscire? Ci fa troppa tenerezza e gli promettiamo che all’ora di pranzo, in qualche modo, staremo davanti lo spaccio di bibite Epicerie. Ci comunica che potremo mangiare solo pesce e aragostine perché nessun calamaro o polpo è stato pescato all’alba. Non ci lamentiamo affatto, ci mancherebbe pure! Belli coperti, con i k-way chiusi fino al collo e incappucciati, camminiamo lungo la battigia dove il mare ha portato alghe, conchiglie e i tanti vestiti rotti che si usa gettare al largo dai pescatori quando uno di loro non torna più a casa dalla pesca. È una scena apocalittica. Quando Francois ci vede gli occhi gli sorridono, forse pensava non fossimo di parola viste le difficoltà nel raggiungerlo. Sotto un tavolo traballante sistema un infradito sgangherata e apparecchia con stoviglie che mi ricordano l’infanzia; i bicchieri che rimanevano della Nutella, piatti trasparenti e due pezze quadrate quali tovaglioli che però non utilizziamo (abbiamo portato delle nostre salviette profumate). Ci porta quella che da noi potrebbe essere una bomboniera porta caramelle piena di sughetto, poi un pentolino smaltato colmo di riso e un vassoio con due piccole aragoste e un pescione grigliati alla perfezione. Compresa una bottiglia di vetro da un lt di coca cola spendiamo 30000Ar, per noi nulla, per lui moltissimo. Facciamo tramite lui i complimenti alla moglie che chissà in quale baracca ha cucinato, accarezziamo la figlia di nemmeno 6 anni che lo ha aiutato a sparecchiare e ritorniamo più che soddisfatti all’Atlantis.

Con la luce del sole il pannello solare si è un po’ ricaricato e possiamo attaccare, seppur brevemente, i cellulari. La giornata passa così, quando spiove un po’ facciamo due passi sulla spiaggia o ci intratteniamo con i bimbi e le signore alla ricerca di qualche ciabatta, maglietta, saponetta, shampoo, maschera, asciugamano… sanno tutti questi termini perfettamente in italiano, così come sanno raccontare qualche bugia che ormai riconosco alla perfezione e che, smentiti, li fanno sorridere.

11 settembre – 15° giorno: ANAKAO – TULEAR

Colazione come al solito di buon’ora, valigie pronte, salutiamo la sig.ra Laurence, il tuttofare delicatissimo Marcel, il sosia di A-Team e ci imbarchiamo, proprio davanti il nostro hotel, sul motoscafo dell’Anakao Express per tornare a Tulear.

Arriveremo all’Hotel SERENA (75000Ar), presso il quale pernotteremo, a 500mt dal molo, senza alcun problema trascinandoci i semivuoti trolley. Ci “insegue” un tassista abusivo proponendoci il transfert per l’aeroporto domattina. Inizia la contrattazione. Parte da 25000Ar e arriva a 15000Ar. Gli diciamo che per il momento non vogliamo decidere ma nel caso, dopo una doccia, torneremo a cercarlo sulla via principale. Un’altissima scalinata ed entriamo in albergo dove le gentilissime Landy e Claudia ci assegnano la stanza n. 105, proprio vicino la reception. È ampia, pulitissima, con doccia, tv, aria condizionata, frigobar… tre stelle secondo standard quasi europei. Su mia specifica richiesta anche un campioncino di shampoo e un phon in prestito!

Non più odoranti di pesce e capre, facciamo un giro per Tuléar, detta la Ville blanche o la Cité du soleil, sul canale del Mozambico e poco sotto il Tropico del Capricorno. C’è molto caos dovuto alle migliaia di pousse pousse, ai grossisti di ogni tipo di prodotto, agli improvvisati venditori ambulanti e a chi semplicemente piazza un biliardino e inizia a giocare quasi in mezzo alla strada. Le costruzioni sono basse e per la maggior parte bianche; le etnie sono Vezo e Masicoro, occupati nel turismo, nella pesca e nel commercio. Anche qui tanta povertà, bimbi abbandonati a se stessi, sporchi e che chiedono qualsiasi cosa noi Vazà possiamo dare. Dopo aver un po’ vagato e comprato un cocco fresco da bere e una volta spaccato mangiare (1000Ar), troviamo La Maison, un tranquillo e grande ristorante in cui ordinare filetto di zebù alle erbe con patatine fritte e pesce del Capitano intero grigliato con verdure al vapore. Comprese le bibite spendiamo 39000Ar rimanendo molto soddisfatti.

Ci mettiamo sul lungomare alla ricerca del tassista che ci aveva rimorchiati stamane. Ci fermiamo davanti quella che ci sembra la sua auto ma che è in realtà di un altro autista che ci accalappia e non ci lascia più. Ci fa lo stesso prezzo e dice di non preoccuparsi che sono tutti amici e il tizio che avevamo visto stamane è partito per cui non lo incontreremo più (mah! Sa tanto di bugia… ma non possiamo far altro che credergli).

Prima di rientrare in stanza facciamo un carico di frutta locale. Stasera ceneremo con quella, un tea e un dolcino. L’hotel non ha un ristorante e di uscire nuovamente non ci va. Ottimi i quattro mango (3000Ar), particolari le cinque spigolose banane (2000Ar) e succulenti i 5 Zévi (2000Ar) arancioni, poco più grandi e ovali delle nespole, dalla polpa compatta ma dal sapore simile al frutto della passione con un nocciolo interno spinosissimo. La notte è fresca, in sottofondo musica quasi contemporanea arriva dalle strade, ci stiamo avvicinando alle nostre occidentali realtà.

12 settembre – 16° giorno: TULEAR – ANTANANARIVO

Colazione con te, succo, baguette con burro e marmellata (11000Ar) e un giretto nell’attiguo mercato per acquistare arachidi (1000Ar), mini banane (1200Ar) ed annona o cuore di bue (1000Ar), un frutto esteticamente simile alla pigna, dalla consistenza molliccia, dal sapore di una mega banana matura con semi grandi quanto quelli dell’anguria.

Il nostro autista è puntuale e, causa il ritardo di sei ore dell’aereo, rivediamo il prezzo e il programma per oggi. Prima del trasferimento in aeroporto ci porterà nella vicina riserva di Arboretum Antsokay, dove arriviamo in un batter d’occhio, paghiamo l’entrata comprensiva della guida (15000Ar) e per un’oretta ci gongoliamo tra il migliaio di piante, il 90% delle quali endemiche e preservate dall’estinzione. Per fortuna abbiamo con noi il repellente per zanzare che sono numerosissime. Simpatica la palma che fa frutti a forma di grosso naso, quella che somiglia a una bottiglia e suona, l’albero dorato perché si spella da una sottilissima corteccia gialla… e poi piante velenose o che fanno da antidoto o dannose per l’uomo. Differenti i tipi di baobab, alberi simili chiamati “finti baobab”, specie da cui si ricava lo shampoo antiforfora, quelle che trattengono così tanta acqua da dissetare persone e animali.

Il giro si conclude in un’oretta in un piccolo museo. Impressionanti sia l’uovo gigantesco di Aepyornis, una specie di “uccello elefante” vissuto in questa parte di mondo fino al XVII secolo che poteva misurare 3mt e pesare oltre mezza tonnellata, sia il boa bianco in bottiglia. E poi interessanti altri fossili e pietre minerarie. È presto, mangiamo nell’attiguo elegante ristorante Auberge de la Table (www.aubergedelatable.com) con grande gioia del nostro autista perché il pranzo per lui è offerto. Saremo un po’ monotoni ma ordiniamo filetto di Capitano con riso e filetto di zebù ai tre pepi che si rivelerà uno dei più squisiti e teneri della vacanza. Compresa una bibita spendiamo 39000Ar. Prima di recarci in aeroporto un ulteriore messaggio dell’Air Madagascar: volo rinviato di altre quattro ore! Che fare? Nulla se non rilassarci nello spazio antistante il ristorante che ha una piccola piscina e alcune sdraie. Il nostro tassista ci aspetterà in auto o chiacchiererà con gli altri suoi colleghi nelle sue condizioni.

Il taxi-brousse, per tornare ad Antananarivo, a quasi 1000 km da qui, ci avrebbe impiegato dalle 17 alle 20 ore. Il volo decollerà definitivamente alle 20,05 (posti 9B), un’ora e 40 di volo e alle 21,45 atterriamo ad Antananarivo dove ci aspetta Radù il nostro caro autista avvisato delle 10 ore di ritardo per tempo. La destinazione è nuovamente l’Hotel NIAOULY (42000Ar) del primo giorno che non era male: centrale, pulito e spazioso. Questa volta la stanza è la 14, scendiamo una scalinata e ce la ritroviamo di fronte. È ampia, luce soft, un tavolino, una bacheca porta oggetti e il bagno con doccia bollente. La temperatura non è quella di Anakao, ma non fa freddissimo.

13 settembre – 17° giorno: ANTANARIVO – inizio rientro in Italia

Colazione continentale (10000Ar) con tre dolcetti, un panino, un tea, una spremuta di fragola, burro, marmellata e pronti per il tour della capitale.

La città si divide in due parti, quella bassa e quella alta. Noi inizieremo dalla bassa per un giro nell’ampio Viale dell’Indipendenza che termina davanti la Stazione dei treni Soarano, ora utilizzata solo per le merci e al mercato artigianale Analakely dove si vende qualsiasi cosa venga in mente, dall’abbigliamento, alle fionde, ai pezzi di ricambio, alla frutta e verdura. Facciamo un carico di frutta introvabile in Italia come la cherimoya (1000Ar), una sorta di pigna molliccia di cui scopriremo il sapore in Italia (3000Ar), il Melon voatango esteticamente simile a una lunga anguria arancione (2000Ar) e poi del tamarindo (1500Ar), un mega casco di bananine (3000Ar) e arachidi per cucinare (1000Ar) o già tostate pronte da sgranocchiare (1200Ar).

Appagati ringraziamo il nostro autista per essersi trasformato in shopper assistant, ci dirigiamo nell’Haute Ville, la parte più ricca e benestante dove sono concentrati gli hotel a più stelle e il Palazzo della Regina o Presidenziale o Rova. Il biglietto costa 10000Ar più 20000Ar per la guida, un simpatico ragazzo di nome Jules Cesare che parla un italiano perfetto e al quale poniamo tante domande. Siamo su un colle, la vista a 360° non è male e ci dà la possibilità di capire come è strutturata. Sono ben evidenti lo Stadio Municipal de Mahamasina che è addirittura un posto sacro in quanto si svolse il discorso di un re, contiene 22000 tifosi e vi si giocano partite di rugby, lo sport nazionale, e di calcio. Vediamo dall’alto sia il lago Anosy artificiale a forma di cuore, sporco e in una zona povera, sia quello naturale che dà da bere alla popolazione. Il palazzo non è nulla di che, anche perché ricostruito in cemento dopo che, nel 1995, un incendio (non si sa se doloso) distrusse quello originale in legno. Nei pressi una chiesa protestante che fece erigere la Regina Ranavalona II, la terza sovrana dal 1868 al 1883, che cambiò religione dopo l’invasione inglese, per pregare con la sua famiglia e i resti di un colonnato.

Oggi offriremo il pranzo malgascio a Radù che sceglierà un ristorante presso il quale, in occasioni particolari, ha portato la famiglia. Da Fenomanana Chez Josiane il menu è scritto solo su una lavagnetta e in lingua. È per noi incomprensibile, cerchiamo di capire gli ingredienti di cui è composta la pietanza. Ordiniamo: cotoletta fumée (una bistecca di maiale affumicata alla griglia con cetrioli e cipolle), Homby Ritra (spezzatino di zebù in umido) e Hkisoa Tsaramaso (maiale e fagioli ciavattoni). Insieme alle portate, una ciotolina di bollente brodo con una mini melanzana amarissima e una montagna di riso. Compreso un litro di coca cola e un bicchiere di succo di lime spendiamo 18200Ar (praticamente quanto finora abbiamo pagato una singola portata!).

Meta successiva, il Lago Anosy che vedevamo dalla collina, a forma di cuore, con un isolotto in centro sul quale svetta un angelo dorato (detto angelo nero) che fu eretto nel 1927 in memoria dei malgasci deceduti durante la prima guerra mondiale in cui combatterono per la Francia.

La passeggiata è piacevole, gli alberi riparano dalla calura, i bimbi giocano e per un momento dimentichiamo quanta povertà abbiamo vista finora. Nelle strade intorno al lago di giovedì si tiene un mercato impressionante per il numero di bancarelle che non hanno un posto fisso ed espongono l’incredibile (dagli animali vivi alle scarpe spaiate). Sono attirata, ma poi demordo, dall’assaggiare il Koba, un dolce di farina di riso, pistacchio e zucchero di canna che si taglia a fette da un unico pezzo. Non vi è molto altro da vedere a Tanà dove il caos regna sovrano tra pulmini sgangherati che caricano gente, aria irrespirabile per il traffico impazzito a tutte le ore e grida di commercianti. Nonostante sia prestissimo, ci dirigiamo all’aeroporto previa sosta al centro commerciale Jumbo Store che non ha nulla da invidiare a quelli italiani, compresi i prezzi. Riusciamo a comprare solo dei gelati confezionati (1900Ar) per il solo gusto di provarli.

Arriviamo a Ivato dopo il tramonto, dobbiamo cambiare gli Ariari rimasti e, nonostante non sia da noi, lo facciamo con una schiera di bagarini che impunemente e davanti gli occhi dei doganieri propongono un tasso leggermente più alto di quelli degli uffici. Bisognerà soltanto stare molto attenti e contare bene e più volte le decine di monete che rifileranno, ci proveranno a fregarci all’inverosimile… ma non siamo degli degli sprovveduti.

Salutiamo il nostro autista con un’altra piccola mancia (in realtà gliela avevamo data alla fine del tour non essendo sicuri che lo avremmo rivisto dopo il soggiorno mare) che per lui è inaspettata e lo rende così strafelice che non sa che fare se non lasciarci mail e recapito telefonico qualora dovessimo tornare. Con la santa pazienza attendiamo l’apertura del check-in bivaccando nei pressi di un unico ristorante. Faccio mio un proverbio malgascio: ciò che l’occhio ha visto, il cuore non dimentica e do un sentito arrivederci “Veloma” a questa grande isola, un pezzo d’Africa dalle caratteristiche singolari.

14 settembre – 18° giorno: TANA – PARIGI – ROMA

Ore 00,55 partiamo per fortuna puntualmente da Tana dove sono diversi e ripetuti i controlli, gli ultimi proprio davanti le scalette dell’imponente aeromobile Air France. Nel bel mezzo della pista banchetti improvvisati per rifarci aprire i bagagli a mano ed essere nuovamente perquisiti uno per uno. Dopo un’oretta uno spuntino con yogurt, ananas, sandwich al pollo e barretta al cioccolato. Lo spazio tra un sedile e l’altro non è poco e anche la programmazione film in italiano non scarsa. Vediamo Fortunata di Mazzantini-Castellitto e poi cerchiamo di riposare un po’. Un via vai di persone per qualcosa di caldo durante la gelida notte. Chi vuole può servirsi da sé per uno spuntino con panini o biscotti. Un’ora e mezzo prima dell’atterraggio la colazione con omelette o crêpe.

L’arrivo a Parigi alle ore 10,45 è preciso. Rimarremo tre ore prima di imbarcarci sull’aeroplano Joon delle 14,10 che ci porterà nella nostra amata capitale.

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