Alla scoperta della vulcanica Linosa

L'isola italiana più lontana da raggiungere... sei ore di traghetto dalla Sicilia, un'ora di aliscafo da Lampedusa. Un'isola vulcanica di appena cinque kmq, dove il tempo sembra si sia fermato
Scritto da: Salvatore Tuccio
alla scoperta della vulcanica linosa
Partenza il: 23/07/2011
Ritorno il: 30/07/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Linosa! Linosa! Ore 06:45. Un marinaio sta bussando alla nostra porta per comunicarci l’arrivo sull’Isola. Ci affacciamo dalla prua della nave e scorgiamo all’orizzonte tre collinette innalzarsi fiere contro il cielo rosato dell’alba che si riflette sul mare cristallino; il tutto è allietato dal volo al pelo d’acqua delle Berte, uccelli rari, notturni il cui canto è simile a quello del pianto di un bambino. Un nostro compagno di viaggio ci spiega che gli antichi credevano che le Berte fossero la reincarnazione degli antenati, i greci identificavano nella loro voce il grido lamentoso dei guerrieri di Diomede morti in battaglia. Non a caso alle isole Tremiti le Berte sono chiamate Diomedee. Man mano la visione dell’isola diventa più nitida e notiamo subito la costa orlata da scogli lavici, molto frastagliati, contornati da una fitta vegetazione di macchia mediterranea. A scandire il ritmo lento e quieto ci pensa in grande faro che maestoso con il suo luccichio ha indicato la retta via a migliaia di marinai che hanno cercato sull’isola rifugio. Finalmente ci siamo! Intravediamo Cala Pozzolana, unica spiaggia dell’isola e approdo della nave, coronata da una parete di colori incredibili: dal giallo ocra al rosso porpora. Ad attenderci c’è il signor Vincenzo con il suo trattore giallo, unico mezzo di locomozione a disposizione. Si offre di accompagnarci nella sua casetta di campagna. Appena sbarcati la prima sensazione che proviamo è quella di assoluta libertà; già non ricordiamo più che giorno è e in quale anno stiamo vivendo. Proprio così! A Linosa il tempo sembra essersi fermato. La natura incontaminata, l’inebriante odore di ruta che si fonde alla delicata essenza del giglio marino ci fanno dimenticare di essere a 167km dalla Sicilia. Durante il trasferimento verso la nostra casa-vacanza il signor Vincenzo ci racconta che l’isola fu colonizzata nel 1845, da un gruppo di 30 persone guidate dal Capitano di Fregata Bernardo Sanvisente, governatore di Ferdinando II di Borbone, Re delle Due Sicilie. Alcuni sub hanno trovato nella “Secca di Levante”, un’ancora romana, attualmente custodita negli uffici comunali. È certo che l’isola fu abitata dai greci, dai romani, dai saraceni, dai pirati del mare e da pescatori. Certamente i romani erano presenti all’epoca delle Guerre Puniche (dal 246 al 146 a.c.) di Linosa se ne servirono come base strategica per le loro spedizioni contro Cartagine. Lo confermano le 150 cisterne per raccogliere le acque piovane, di tipica costruzione romana. Linosa è sorta dal fondo marino per successive eruzioni vulcaniche che si sono succedute durante i millenni. Una volta entrati in paese rimaniamo estasiati dalla bellezza delle case: quasi tutte a pian terreno, tranne qualcuna ad un piano, tutte coloratissime, dal giallo ocra, all’azzurro, al rosa… tutte contornate ai bordi della facciata, delle porte e delle finestre (rigorosamente in legno) di rosso o di blu. I davanzali delle finestre e i marciapiedi antistanti alle case sono ricoperti da vasi di piante, perlopiù gerani dai colori rosso e rosa tenue. Le strade sono costeggiate da maestose piante di Palme, Oleandri. Finalmente eccoci a casa! Il signor Vincenzo ci mostra: un mono vano dalla facciata in pietra lavica posizionata da un lato verso la campagna dell’isola e dall’altro dalla selvaggia costa marina. Alle nostre spalle c’è Monte Vulcano, il cratere principale da cui nelle giornate di Libeccio è possibile vedere Lampedusa da cui distiamo 40 km, alla nostra destra invece c’è Monte Rosso che attira subito la nostra attenzione perchè costituito da terreno ferroso di coloro rosso vinaccio spezzato dal verde delle pareti ricoperte da Macchia Mediterranea. La moglie del sign. Vincenzo ci accoglie con un particolarissimo caffè aromatizzato alla cannella , tradizione forse importata dalla vicina Africa e con dei buonissimi biscotti farciti con fichi secchi, scorzetta d’arancia e mandorle. Dopo un po’ il sign. Vincenzo ci congeda perchè deve andare in paese per vendere i capperi e le lenticchie che coltiva lui stesso durante l’anno e ci spiega che il grande cerchio bianco col pavimento liscio davanti casa nostra è l’aia dove nei primi mesi di giugno si pigiano le fave e le lenticchie; quest’ultime sono le specialità di cui Linosa va fiera: sono piccolissime, rotonde e ricche di ferro e soprattutto non sono trattate con gli antiparassitari perchè gli agricoltori per evitare questo li mettono nel forno ad una temperatura tale che li immunizza senza pregiudicare il loro valore nutritivo. Ci spiega che anche il vino si produce con il sistema tradizionale:alla fine del mese di agosto c’è la vendemmia, i cesti pieni d’uva vengono svuotati in una vasca di cemento e vengono pigiati eseguendo dei movimenti ritmici che assomigliano ad una danza esotica. Con rammarico ci racconta che Linosa pur essendo un’isola l’economia si basa principalmente sull’agricoltura e sul turismo. La pesca è poca sfruttata perchè a Linosa non c’è un vero porto e quindi nemmeno la possibilità di avere grosse imbarcazioni per poter affrontare le mareggiate invernali. Quando il mare lo permette i linosani vanno a pescare, il mare è ricco di pesce pregiato e di ottima qualità, si possono pescare aragoste, cernie, orate, dentice, tonnetti, coloratissimi pesci pappagallo. Infine da appuntamento per fare il giro in barca nel pomeriggio. Nell’indecisione se prendere in affitto una macchina, un motorino o una bici scegliamo quest’ultima per contribuire anche noi a mantenere incontaminata la natura. Giungiamo al molo dello Scalo Vecchio, approdo principale dell’isola, chiamato così perchè in quel punto sbarcarono i fondatori dell’Isola e là sorsero le prime abitazioni. Lasciamo il molo per dirigerci verso i Fili, pareti rocciose che cadono a strapiombo verso il mare levigate dal vento e dalle forti mareggiate che sembrano aver scolpito su di esse delle sinuose onde. Completano il paesaggio qualche pianta di cappero. Il nostro giro prosegue alla volta della Secchitella, a poche centinaia di metri dalla costa si alza da un fondale di circa 60/70 metri fino a raggiungere i 4 metri dalla superficie, l’acqua è così limpida che riusciamo ad intravedere la ricca flora e fauna. Il signor Vincenzo ci spiega che questo è un vero paradiso per i sub al punto che è stata catalogata fra le cento immersioni più belle del mondo. Ci racconta che la secca cade sul versante Est con una parete frastagliata che si interrompe a circa 18 m, creando una sorta di terrazza. Il versante a Ovest raggiunge la massima profondità a 20/22 mt ed è caratterizzato da una distesa di poseidonia intervallata da grossi massi. A questo punto abbiamo lasciato alle spalle il paese per lasciare posto alle campagne di cui i campi sono delimitati da pale di fichi d’india. Lo scenario è subito offuscato dalla bellezza dei Faraglioni che a loro volta lasciano il passo al Faro da cui parte una colata di lava e giunge al mare creando una buco circolare sulla scogliera dove la natura ha creato una piscina naturale collegata al mare attraverso un tunnel che alla profondità di 7mt si collega con il mare aperto. Verso sera, al tramonto, il signor Vincenzo ferma la barca e ci fa ammirare uno spettacolo raro in natura: milioni di berte planano a pelo d’acqua. Ci racconta che questi uccelli escono dalle loro tane fra gli anfratti degli scogli al calar del sole per procurarsi il cibo. Ormai siamo in simbiosi con la natura e siamo pronti per rientrare sulla terraferma. Passeggiando per le vie principali notiamo le signore anziane sedute assieme alle vicine di casa, in abito da sera,tra una chiacchiera e l’altra si preparano per la serata danzante, organizzata presso un caratteristico anfiteatro costruito in pietra lavica. Ore 10.30! Le nostre vacanze sono giunte al termine. Mentre l’isola scompare dietro la scia dell’aliscafo che ci porta verso Lampedusa trovo fra le pagine della mia agenda una vecchia pagina dell’Orlando Furioso che avevo messo via prima del viaggio. Ludovico Ariosto (1474-1533), nel “Orlando Furioso” tra il 41 e 42 canto del poema, spende poche parole sull’isola di Linosa nel narrare il duello tra i cristiani: Orlando, Oliviero e Brandimante e i saraceni: Agramante, Gradasso e Sobrino. Agramante sbarcò a Linosa dopo una bufera. L’Isola posta “ tra gli Afri e di Vulcan l’alta fornace” ossia (tra l’Africa e l’Etna), è così descritta dall’Ariosto: … D’abitazione è l’isoletta vota piena d’umil mortelle e di ginepri, ioconda solitudine e remota a cervi, a daini, a caprioli, a lepri e fuor che a piscatori è poco nota, ove sovente a rimondati vepri sospendon, per seccar, l’umide reti: dormendo intanto i pesci in mar quieti… (canto xl -stanza 45).

Mi verrebbe da pensare che Linosa rimane nel cuore di chi la visita dai viaggiatori di ogni secolo…

Di Salvatore Tuccio e Giusy Remirez



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