Lanzarote, la natura che meraviglia e seduce

Cinque giorni per esplorare e assaporare tutta la bellissima isola delle Canarie
Scritto da: Cat&Ste
lanzarote, la natura che meraviglia e seduce
Partenza il: 06/01/2012
Ritorno il: 11/01/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
È dicembre. Ipotizziamo un viaggio da fare dopo Capodanno. Budget ridotto, voglia di fuggire un po’ dalla nebbia e dal gelo, alla ricerca di qualche posto carino da esplorare e non troppo lontano. Le isole Canarie rispondono alle nostre necessità: solo 4 ore di volo, collegamenti aerei low-cost, clima primaverile tutto l’anno. Scegliamo Lanzarote, per le sue decantate bellezze naturalistiche. Volo Ryanair da Bergamo a Arrecife (140 euro a testa, andata e ritorno), appartamento trovato su Booking.com a 140 Euro in due per 5 notti (Apartamentos Celeste, Costa Teguise, ottimo rapporto qualità prezzo: bilocale spazioso in posizione perfetta, nel centro del paese, comodo a tutti i servizi e a pochi metri dalla spiaggia).

Arriviamo a Arrecife alle 17 ora locale (fuso orario un’ora in meno rispetto all’Italia). Dall’aeroporto prendiamo un autobus di linea per Costa Teguise (è possibile fare il biglietto a bordo, euro 2.40). Non è molto semplice capire qual è la fermata giusta perché sta calando il sole e le strade dell’isola non sono molto illuminate. Alla reception del residence ci accolgono con gentilezza e disponibilità, l’appartamento è collocato in un complesso residenziale carino e curato fatto di case basse bianche, tipiche canarie. È disponibile anche una piscina, sempre attiva, ma direi che in gennaio fa ancora un po’ freddino per fare il bagno (ci sono circa 20 gradi). Usciamo subito e ci rechiamo al Pueblo Marinero (a pochi passi dall’appartamento), il cuore turistico del paese. Una zona pedonale progettata dall’architetto locale Cesar Manrique (che verrà menzionato più e più volte nel corso del diario), dove si trovano locali e ristorantini (moooolto mooolto turistici…. Per lo più pizzerie italiane, pub inglesi e birrerie tedesche).

Il venerdì sera c’è un mercatino di artigianato, così riesco a battere ogni record e a fare acquisti dopo sole due ore di permanenza sul suolo canario. Acquisto immediatamente una collana di pietra lavica (onnipresente nell’artigianato locale), irrinunciabile.

Dopo il giro tra le bancarelle proseguiamo la passeggiata sul lungomare. È davvero molto bello, curatissimo, con lunghe strisce di sabbia nera in cui crescono ordinati cactus di vario tipo. Tutto il paese è disseminato di aiuole di questo tipo, ornate di palme, buganvillee rigogliosissime e grandi cespugli di ibiscus colorati. Sbirciamo la spiaggia, ma il buio ci impedisce di capirne i contorni. Torniamo indietro per cercare un locale per la cena. Il “Pueblo” ci sembra quello che più si avvicina al concetto di “tipico” che tanto amiamo, perciò ci accomodiamo a un tavolino all’interno e ordiniamo alcune tapas. Prima di tutto le “Papas arrugadas” piatto nazional popolare, che nessun turista può non provare. Sono piccole patate cotte con la buccia, che vengono accompagnate con “Mojo”, una salsa che può essere “verde” cioè a base di aglio e coriandolo, oppure “rojo” (anche detto “picon”), cioè piccante. Proviamo poi formaggi locali, il “conejo en salmorejo” (coniglio in umido) e un buon bicchiere di vino locale (Malvasia secca, prodotta nelle particolari vigne isolane di cui parlerò più avanti). Spesa limitata, circa 20 euro in due.

Primo giorno

Primo risveglio canario. Dimentichiamo di spostare l’ora sul cellulare, così la sveglia suona alle 7 e fuori è ancora buio. Arg! Poltriamo ancora un po’ e alle 9 siamo pronti a iniziare l’esplorazione. Il cielo è nuvoloso, il vento freschino. Necessaria una giacchetta primaverile. Torniamo sul lungomare per rivederlo alla luce. È bello come ci è apparso ieri sera. In giro ci sono pochi turisti mattinieri. Passeggiamo sulla vicina Playa de las Cucharas. È una spiaggia ampia, di sabbia chiara venata di striature nere, carina. L’oceano è calmo, di un blu profondo.

Decidiamo di affittare un’auto per esplorare più agevolmente l’isola (la rete di autobus copre quasi tutte le località, ma chiaramente si perde molto più tempo per gli spostamenti, che risultano invece rapidissimi in auto). Affittiamo presso “Autos Famara” una Nissan Micra (nuova ma un po’ rumorosa e con una porta che non si chiude benissimo) a 85 euro per 4 giorni, con copertura assicurativa completa (il prezzo è più o meno quello ovunque… Una ventina di euro al giorno). La benzina costa pochissimo rispetto agli standard italiani (0.90 Euro al litro). Partiamo subito dirigendoci verso la parte nord dell’isola. Le strade sono tenute molto bene, asfalto perfetto, comode (non ci sono ovviamente autostrade, ma per essere strade isolane non sono male). I limiti di velocità sono più bassi rispetto ai nostri: 40 km/h nei centri urbani, 80 km/h nelle strade extraurbane e 100 km/h su quelle a scorrimento veloce, con doppia corsia.

Prima tappa: Jameos del Agua. L’ingresso costa 8 euro, ma è qui possibile fare un abbonamento (“bono”) per entrare in 6 località (Jameo, Cueva de los Verdes, Mirador del Rio, Museo de Arte contemporanea de Arrecife, Jardin de cactus, Timanfaya) a 30 Euro, si risparmia qualche eurino.

Il Jameo fa parte del “Tunnel dell’Atlantide”, un sistema di caverne e gallerie create dalla lava nel suo scorrere verso il mare. È parte di un tubo vulcanico, una “bolla” il cui tetto in alcuni punti è crollato a causa della pressione dei gas vulcanici, dando luogo a delle cavità a cielo aperto. Il buon Manrique, a cui ho fatto cenno prima, nel suo piano per valorizzare e allo stesso tempo preservare le bellezze di Lanzarote, ha reso questo luogo di grande impatto visivo, inserendo in modo non invasivo un giardino subtropicale, una piscina decorativa (non balneabile), un auditorium. Nel punto del tunnel coperto dalla volta vulcanica c’è un lago, buio e poco profondo, in cui vivono tanti piccoli granchi albini, ciechi a causa dell’oscurità.

La seconda tappa dista appena un km da qui e fa parte dello stesso sistema di caverne del Jameo, pur non essendo con esso comunicante. La “Cueva de los Verdes” è una galleria scavata dal fiume di lava, molto suggestiva. È possibile vedere sulle pareti i diversi livelli raggiunti dal liquido incandescente e si osservano chiaramente le gocce solidificate. Il percorso guidato (spiegazione in inglese e spagnolo) è lungo circa un km (il tunnel è lungo circa 6km, ma la seconda parte non è visitabile), molto piacevole. Meglio avere scarpe comode e non scivolose (evitate le ciabatte infradito).

Ripartiamo alla volta dell’estremità nord dell’isola: il Mirador del Rio, altra creazione d’impronta Manriquiana. Durante il tragitto facciamo una breve sosta alla “casa dell’aloe”, una catena di negozietti presente in vari punti di Lanzarote. Ovviamente coltivano aloe e ovviamente vendono decine di prodotti a base di succo di aloe, dalle mille proprietà curative. Nella prima parte del negozio c’è un piccolo museo in cui vengono spiegati tutti i passaggi della lavorazione di questa pianta e i suoi tanti utilizzi, e dei pannelli in cui viene descritta anche la raccolta della cocciniglia, un insettino che vive sui cactus e da cui si estrae un colorante naturale molto utilizzato. Il Mirador è una struttura semicircolare posta su un’alta scogliera, che ospita un ristorante dotato di vetrata con vista a 180 gradi su uno dei panorami più meravigliosi che abbiamo mai visto. Proprio in fronte a noi l’isola de la Graciosa, si adagia sinuosa su un lembo di oceano così calmo da sembrare fatto di stoffa, appena increspata dal vento. Per questo si chiama “Rio”, perché è una manica d’acqua, così stretta da sembrare un fiume. Il cielo è nuvoloso, ma lo spettacolo rimane comunque incantevole.

Mangiamo un bocadillo, seduti a un tavolo del Mirador. Il panino non è un granché, ma con gli occhi pieni di tale meraviglia assume tutt’altro sapore. Una particolarità ideata da Manrique: ai due lati della stanza ci sono due piccoli apparecchi che funzionano da interfono…. Provate a sussurrare a un capo dello strumento e si sentirà perfettamente la vostra voce dall’altra parte del locale. Attenti a quel che dite!

La tappa seguente è Harìa, un piccolo villaggio situato in quella che chiamano “la valle delle 1000 palme” (il motivo di tale definizione risulta ovvio). Harìa è un tipico “pueblo canario” con case bianche e basse, ornate di splendide buganvillee in fiore. Nella piazzetta centrale c’è il presepe… in stile canario, ovviamente. Terra brulla, dromedari, casette bianche, e il bambinello nasce sulle pendici del vulcano. Appese a fili tesi tra gli alberi ci sono decorazioni natalizie artigianali. Davanti al municipio svettano due agave infiocchettate con le foglie verniciate di rosso. Feliz Navidad! In un negozietto di souvenir compriamo zafferano e biscotti locali (los dedos de santo…. tradotto: “dita del santo”… una specie di cantuccio morbido, delizioso).

Ultima visita della giornata, sulla via del ritorno: il Jardin de Cactus, a Guatiza. È un’incredibile raccolta di 10000 cactus ornamentali, ideata ovviamente da Manrique (ancora una volta, bravo!). Le varie specie sono distribuite in cerchi concentrici su gradoni di pietra. L’impatto visivo globale è abbastanza impressionante. Ci sono cactus di ogni forma e dimensione, da quelli “classici” alla Will Coyote, a quelli altissimi, per passare attraverso mille buffe declinazioni. Da vedere il cactus che sembra un cervello umano. Anche fuori dal giardino botanico i cactus crescono ovunque (non per altro questa zona si chiama “terra dei cactus”). In tutti i negozi di souvenir dell’isola vendono marmellate e liquori di cactus. Originali.

A cena, non soddisfatti dell’offerta iper-turistica e iper-italiana di Costa Teguise, chiediamo consiglio alla signorina della reception. Ci indica un locale frequentato da gente del posto, molto spartano ma molto “genuino”. Il ristorante “El fondeadero” si trova tra Costa Teguise e Arrecife, in località Las Caletas. Non fatevi scoraggiare dall’aspetto poco raccomandabile, l’accoglienza è buona e il cibo ottimo. È possibile assaggiare la cucina canaria, con prevalenza di piatti di pesce. In alternativa alla cena vera e propria ci si può accomodare al bancone per bere un bicchiere di vino locale con qualche “tapas”. Noi optiamo per la scorpacciata di pesce: ordiniamo “pulpo al mojo rojo” (polpo con salsa piccante, da favola), croquetas de pescado (crocchette di pesce, molto diverse da quelle italiane, sia come sapore, sia come consistenza, impareggiabili) e zarzuela de pescado y mariscos (zuppa di pesce e frutti di mare). Per finire un dolce molto molto tipico: la mousse di gofio. Il “gofio” è una farina integrale tostata usata come addensante in zuppe e piatti a base di verdure, oppure nei dolci. Ha un sapore particolare, da provare. Giudizio complessivo sulla cena: qualità ottima, porzioni abbondanti, prezzo competitivo (25 euro in due, acqua e un calice di vino inclusi). Locale consigliatissimo.

Giorno Due

Sveglia sempre alle 8 (questa volta ora locale!), colazione con un “bollo” (croissant), poi si parte. È domenica, oggi si svolge il mercato più famoso dell’isola, a Teguise, l’antica capitale, situata nell’entroterra. Arriviamo al paesino verso le 9.30 quando ancora gli autobus delle agenzie di escursioni e degli hotel sono per strada, così ci godiamo un primo giro in tranquillità. Il parcheggio, nonostante il grande afflusso di visitatori, non è un problema: sono organizzatissimi e ovunque, prima di accedere al paese, ci sono ampi parcheggi custoditi (a pagamento, poco più di 1 euro per tutta la mattinata).

Teguise è molto carina, con bianche stradine e piazze lastricate. Il mercato si estende ovunque, in ogni piazzetta, in ogni viuzza, ed è davvero grande. Ci sono artigiani locali che espongono pezzi davvero belli e particolari, altri venditori che propongono souvenir di scarsa qualità e tante bancarelle di borse e vestiario “taroccato” (ma con tanto di marchi, etichette e sacchetti che riportano la griffe originale… evidentemente qui non è reato…). Chiaramente ci lanciamo negli acquisti e la mattinata vola. Alterniamo i giri tra le bancarelle a brevi puntate nei tanti negozietti caratteristici del pueblo. Intorno a mezzogiorno affrontiamo l’altro lato del mercato, dove si trovano bancarelle di cibo locale. Papas arrugadas, crocchette di vario tipo, biscotti di gofio…. Non ci facciamo mancare nulla. Sgranocchiamo snack seduti al sole (che va e viene) ascoltando un gruppo folkloristico che propone musica canaria.

Dopo la pausa ripartiamo diretti a Taiche, dove si trova la Fundacion Cesar Manrique. Questa particolarissima struttura, scavata nella roccia lavica, è stata la casa dell’artista che ha cambiato le sorti dell’isola. Manrique infatti ha salvato Lanzarote dagli scempi del turismo di massa, arricchendola con discreti tocchi di “design”. Oggi la sua casa è un museo (ingresso 8 euro) e ospita la collezione privata di Manrique (che vanta ospiti illustri come Picasso e Mirò), oltre alle sue opere, ispirate alla forza devastante e magnetica della lava. La casa è incredibile. Si sviluppa sue due livelli, il piano superiore (che è in realtà a piano terra) è caratterizzato da ampie vetrate che si aprono sul mare di lava solidificata. La finestra più suggestiva lascia entrare una colata di lava che prosegue all’interno del candido salone. Il piano inferiore è ancora più particolare: stretti corridoi naturali e stanze create da bolle vulcaniche sono state arredate da Manrique con mobili creati su misura e accostamenti cromatici d’effetto. Il bianco, il nero, il rosso, le linee tortuose delle pareti naturali di roccia lavica in contrasto con le linee essenziali e pulite dei divani, delle lampade, dei tavolini creano un ambiente davvero singolare. Un’altra particolarità sono gli alberi posizionati al centro delle stanze del piano inferiore che fanno capolino al piano superiore attraverso aperture nel soffitto. Geniale. Belli anche gli spazi esterni: un jameos (cioè un tunnel vulcanico a cielo aperto)è stato trasformato in patio per accogliere gli ospiti, con tanto di forno, barbecue, grande tavolata e divanetti. Meravigliosa anche la vasca da bagno all’aperto (praticamente una piscina), in cui Manrique amava farsi fotografare. Cactus, bellissimi fiori e muri ornati da mosaici colorati completano il quadro.

La visita dura circa un’ora, dopodiché decidiamo di visitare Arrecife. È domenica, i negozi sono chiusi e Calle Leon y Castillo (la via centrale della capitale, pedonale) è deserta. Passiamo a fianco del “Charco”, un’insenatura che forma una laguna popolata di barchette proprio nel centro della città. Deviando in una viuzza a lato del Charco sbirciamo l’esterno della Chiesa di San Gines, santo patrono di Arrecife. È costruita in pietra lavica (ovviamente) e inserita in una bella piazzetta. Il sole splende e ci invita a fare due passi sul lungomare, fino al Castillo de San Gabriel, che sorge qualche metro al largo della costa, costruito sulla barriera corallina che ha dato il nome alla città (“Arrecife” significa infatti “barriera corallina”). Percorrendo un ponte sul mare si raggiunge la fortezza che ospita un piccolo museo archeologico (che non visitiamo). La vista da lì è molto bella, perché abbraccia buona parte del lungomare della città. Unico neo: l’orribile grattacielo (un hotel con 8 piani), l’edificio più alto di Lanzarote, visibile anche a grande distanza. Purtroppo Arrecife si è sviluppata molto prima che il buon Cesar imponesse norme architettoniche di tutela dell’ambiente isolano e si vede.

Rientriamo a Costa Teguise e ci regaliamo un po’ di relax sulla Playa de Las Cucharas. Qualcuno osa fare il bagno (i turisti tedeschi hanno un’altra tempra, si sa), io mi limito a passeggiare sulla battigia. L’acqua è decisamente freddina. Il sole scalda, ma la brezza fresca è sempre in agguato e continuo a mettere e togliere la felpa.

Per cena torniamo ad Arrecife, zona Puerto de Los Marmoles, per visitare il Castillo de San José. Arriviamo al tramonto ed è uno spettacolo indescrivibile. Il cielo è rosso fuoco, striato di grandi nubi scure. Visitiamo il Miac (museo di arte contemporanea), aperto fino alle 21. L’ingresso costa 2,50 Euro, la collezione è molto ridotta, qualche quadro, qualche scultura, la parte più divertente è quella delle esposizioni temporanee, che attualmente espone vari progetti ideati dagli studenti dell’università locale mirati alla riqualificazione del Charco di Arrecife. Al piano inferiore dell’edificio c’è un rinomato ed elegante ristorante. Anche qui pareti di roccia lavica, arredamento minimalista, tavoli apparecchiati giocando sui toni del bianco e del nero. Il tutto è reso ancora più romantico dalla enorme vetrata affacciata sul porto (e sul piccolo e curato giardino). Persino i bagni sono dotati di vetrata con panorama suggestivo.

Ci fermiamo per la cena. Il servizio è ottimo, i piatti appagano sia la vista sia il gusto. Vengono proposte ricette locali e internazionali. Alcune portate vengono cucinate direttamente al tavolo, su carrellini mobili. È bello vedere come preparano le nostre banane flambé (che si rivelano una delizia). Il costo è più elevato rispetto agli standard dell’isola, ma per gli standard italiani è più che accettabile (tre tapas di antipasto, due portate di pesce, due dolci, acqua e un calice di vino ci costano 65 euro, il Menu del giorno costa 24 euro a testa).

giorno Tre

Oggi ci dirigiamo a Sud-Ovest. Prima brevissima tappa a San Bartolomé dove svetta il Monumento al Campesino (creato da… non ve lo dico, tanto lo avete già capito). È una scultura costruita assemblando parti di attrezzi per la pesca e per l’agricoltura e rappresenta un contadino con il suo animale (così dicono). Manrique ha scelto di collocarla nel centro esatto dell’isola per sottolineare l’importanza del lavoro dei campesinos, sulla cui fatica poggia l’intera società.

Procediamo in direzione Yaiza, attraverso La Geria, la zona vitivinicola di Lanzarote. Il paesaggio diventa improvvisamente pazzesco: intorno a noi solo blocchi di lava (spesso ricoperti di licheni verdi che formano un simpatico contrasto), sabbia nera, e la strada che scorre in mezzo. Ecco quello che chiamano “il malpaìs”. Qui, in mezzo a questo nulla, coltivano le viti, con cui producono la famosa Malvasia di Lanzarote. Le viti crescono in buche scavate nella sabbia lavica (che mantiene l’umidità necessaria alla loro sopravvivenza), protette una a una da muretti a secco semicircolari (altrimenti verrebbero spazzate via dal vento). Piantine coraggiose! Diamo un’occhiata alla rinomata “Bodega Stratus”, la cantina produttrice di un vino che ha vinto svariati premi. È molto elegante e vende, oltre ai vini, anche prodotti gastronomici selezionatissimi, provenienti da svariati luoghi (una versione assai ridotta del nostro “Eataly”).

Ripartiamo alla volta di Yaiza, che la guida cita come vincitore del premio “paesino più bello della Spagna”. Smentisco tale entusiastica descrizione. Certo le casette tipiche isolane sono piacevoli, ma non c’è veramente nulla di più. Cerchiamo di visitare la fattoria “La Era”, sopravvissuta incredibilmente all’eruzione del 1700 e restaurata da “lui” (mi rifiuto di scrivere ancora il suo nome, l’avrò citato almeno 20 volte!). Le indicazioni dalla strada principale ci sono, ma poi si perdono nel nulla e così anche noi. Dopo alcuni giri a vuoto ci arrendiamo. Fateci sapere cari TpC se voi riuscite a scovarla.

In tarda mattinata arriviamo al Parque Nacional de Timanfaya, preannunciato dal famoso diavoletto disegnato da Manrique (l’ho nominato di nuovo…. Mannaggia!), posto sulla strada. L’islote de Hilario (punto dove sono situate la biglietteria, il parcheggio, la partenza dei bus per la visita guidata eccetera) non è molto indicato. Dopo il diavoletto procedete oltre l’Echadero de los cammellos (da dove partono le gite in dromedario, visibile dalla strada), finché sulla sinistra non vedete una casupola in pietra lavica: è la biglietteria. Una volta fatto il biglietto (8 euro) si procede ancora in auto per qualche centinaio di metri, fino al grande e affollato parcheggio. Troviamo subito un autobus in partenza (partono dalle 10 alle 16, uno ogni mezz’ora circa, visita guidata compresa nel biglietto d’ingresso). È possibile visitare il parco anche in auto (nei momenti di maggiore afflusso di turisti il numero di ingressi è però regolamentato e concesso solo in alcune fasce orarie), ma viste le strade strette e tortuose, prive di protezioni, non so se sia il massimo avventurarsi da soli…. Certo che anche in bus è piuttosto impressionante affrontare le strette curve a strapiombo sul nulla. Il “Tour de las montañas de fuego” percorre 14 km della “ruta de los vulcanes”, fiancheggiando cime e crateri vulcanici. Il paesaggio è quasi onirico, alieno, emozionante. Le parole non rendono giustizia. Alte pareti di lava solidificata, vallate costellate da “islotes” (piccole colline tonde), distese desertiche nerissime di sabbia e rocce, dove alcuni piccoli arbusti crescono, nonostante le condizioni proibitive, panorami unici che degradano fino al mare, in lontananza. Una voce narrante dà alcune indicazioni durante il percorso (in spagnolo, inglese e tedesco), nei punti più suggestivi scatta la musica che accresce il pathos (immaginatevi il deserto nero intorno a voi e i carmina burana che partono all’improvviso….). Il percorso dura circa 40 bellissimi minuti. Rientrati alla base, alcuni addetti del parco ci intrattengono con avvincenti dimostrazioni delle particolarità geotermiche del sito. Iniziano col darci una manciata di ghiaia raccolta a pochi centimentri sotto la superficie del terreno. Il tempo di domandarci “a che serve?” e già il palmo scotta. Dopodiché ci mostrano un buco nel terreno, profondo un paio di metri. Vi gettano una forconata di sterpi secchi, tempo un minuto e prendono fuoco con una fiammata impressionante. Infine ci conducono ad alcune bocche interrate. Ci spiegano che i tubi scendono a una profondità di circa 10 metri, dove il terreno raggiunge i 400°. Versano nel tubo una secchiata d’acqua ed ecco comparire altissimi geyser di vapore (e grazie a una folata di vento il povero omino si fa la doccia). La visita si conclude nel ristorante “El Diablo”. La griglia su cui cuociono carne e pesce è appoggiata su una specie di “pozzo” e il cibo viene cotto con il calore naturale del vulcano. Mangiamo un polletto alla griglia dietro alla vetrata che abbraccia a 180° il favoloso panorama che dal Timanfaya raggiunge l’oceano (spesa 25 euro in due).

Nel primo pomeriggio ci rimettiamo in marcia. Abbiamo ancora una meta da raggiungere: El Golfo, sulla costa. Durante il tragitto facciamo una breve pausa alle Salinas de Janubio, non particolarmente affascinanti. Prima di raggiungere il paese di El Golfo, seguiamo la deviazione che indica il “Charco de los clicos” e parcheggiamo. Scopriremo dopo che si può arrivare anche dall’altro lato (cioè lasciando l’auto più avanti, proseguendo per El Golfo), in modo forse più comodo, ma così ci godiamo anche la passeggiata sulla spiaggia di ghiaia lavica. Percorriamo un ampio sentiero costiero con un panorama mozzafiato (quante volte ho usato questa espressione nel corso del diario? Mi spiace ripetermi, ma Lanzarote è proprio così… mozzafiato, in ogni suo angolo). Rocce erose dal vento e dall’acqua si stagliano in mezzo all’oceano che danza con vigore, percuotendole con le sue alte onde e frantumandosi in schiuma. Il sentiero si apre sulla spiaggia nera che attraversiamo baciati dal sole e dalla brezza sferzante. Poco dopo compare al nostro fianco il famoso Lago Verde, che visto così da vicino appare poco più di uno stagno, protetto da cordoncini anti-turista. Ci inerpichiamo su un sentiero di ghiaia rossastra (un po’ scivoloso) per raggiungere il belvedere soprastante (a cui conduce il sentiero che parte da El Golfo). Ecco, da qui si può godere della bellezza del lago, che in realtà è un cono vulcanico eroso dall’oceano, parzialmente sommerso. Vi troverete affacciati su una laguna verde smeraldo, abbracciata da alte pareti di rocce con screziature di vari colori, vicinissima al mare. Magico. Ripercorrendo la strada a ritroso, verso Yaiza, scorgiamo l’indicazione per “Los Hervideros”. Parcheggiamo a lato della strada e curiosiamo. La nostra guida non cita affatto questa località, ma avevo letto qualcosa in proposito su Internet. Merita sicuramente una sosta. Un sentiero (non agevolissimo… attenti a non scivolare!) si snoda tra diversi “balconi” in pietra creati per permettere ai turisti di affacciarsi su gallerie di roccia in cui le onde si infrangono. Qui, trecento anni fa, la lava ha incontrato l’oceano, creando scogliere nere e frastagliate di incredibile bellezza. Un altro spettacolo della natura. Grazie Lanzarote!

giorno Quattro

Il sole splende, il cielo oggi è di un blu intenso. La nostra meta oggi è Playa Blanca, situata al centro della costa meridionale dell’isola, proprio di fronte a Fuerteventura, che è talmente vicina da poterne intravedere le famose dune. Il centro pedonale è carino e ordinato (come quasi tutti i paesini dell’isola), con negozi molto turistici (prevalentemente di elettronica… attenzione alle fregature). Scendiamo sul lungomare che dal porto (dove partono i traghetti per Fuerteventura) conduce fino a Marina Rubicon, dove in estate attraccano gli yachts dei vip. La passeggiata è lunghissima (più di un chilometro) e piacevole. Gli scorci sono belli, con le casette di Playa Blanca arrampicate sulle rocce nere e l’oceano con i suoi colori intensi. Acquistiamo dei “bocadillos para llevar” e andiamo a gustarceli in spiaggia. Playa Dorada è carina, con sabbia chiara e mare turchese. Ma è pur sempre una spiaggia “cittadina”, gli amanti delle spiagge più selvagge in estate si spostano fino a Papagayo, a est del centro abitato, raggiungibile o in traghetto o percorrendo in auto un lungo e dissestato sentiero sterrato.

Il sole è caldissimo, pur essendo gennaio (in un’ora di relax ci abbronziamo! Attenzione alle scottature!), ma c’è molto vento e l’arietta è freschina. Ciononostante anche qui c’è chi prende il sole in costume da bagno e chi sguazza. Dopo una rinfrancante pennichella spaparanzati al sole, riprendiamo la via del ritorno, diretti a Puerto del Carmen, la nostra ultima tappa.

Lasciamo l’auto al Porto Vecchio e ci incamminiamo sul lungomare. Carino, ma non regge il confronto con quello di Playa Blanca. L’attrattiva del luogo sono le immersioni: nonostante l’acqua gelida ci sono orde di turisti in muta che si tuffano accompagnati da istruttori di diving. Giungiamo fino a Playa Grande. Il nome le rende giustizia. È un’ampia distesa di sabbia chiara, con un bel mare, attrezzatissima. Ritorniamo sulla via principale, Avenida de Las Playas, piena di locali turistici e negozietti. Diamo un’occhiata al centro commerciale “Biosfera”, piacevole, con negozi di marchi noti come Zara, Camper, Camaieu, poi rientriamo alla base, per restituire l’auto a noleggio entro le 19, come pattuito.

Ce ne torniamo in appartamento per fare i bagagli, domani mattina si parte alle 6. Prenotiamo un taxi per l’aeroporto, che ci costerà ben 25 euro. Ceniamo in un tapas bar vicino all’appartamento, “La Pikada”. Per metterci a nostro agio il proprietario ci mette su un CD di canzoni italiane. Si parte con “Ancora Tu” di Battisti (che il ristoratore canta a squarciagola), per poi scivolare in brani di Cocciante per lo più sconosciuti. Le tapas sono buone, le porzioni abbondantissime (noi ordiniamo 4 tapas in due e non riusciamo a finirle…), il prezzo onesto (spesa totale 23 euro compresa acqua e vino). Brindiamo all’ultima serata canaria e alla bellissima Lanzarote, salud!



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