Cos’è il Mal d’Africa?

4 Agosto. E’ l’una meno venti del mattino quando l’altoparlante dell’aeroporto di Fiumicino annuncia la partenza del nostro volo per Mombasa. Sono stato diverse volte in Africa, ma fino ad ora non ho mai superato il sud dell’equatore e sento che questa volta sarà diverso: vorrei capire se il famoso “Mal d’Africa” esista realmente...
Scritto da: Leucas 70
cos'è il mal d'africa?
Partenza il: 03/08/2006
Ritorno il: 11/08/2006
Viaggiatori: in coppia
4 Agosto. E’ l’una meno venti del mattino quando l’altoparlante dell’aeroporto di Fiumicino annuncia la partenza del nostro volo per Mombasa. Sono stato diverse volte in Africa, ma fino ad ora non ho mai superato il sud dell’equatore e sento che questa volta sarà diverso: vorrei capire se il famoso “Mal d’Africa” esista realmente e se coinvolgerà anche me. L’ultima chiamata per la partenza mi distoglie dai pensieri ricordandomi che ci aspettano sette ore di volo e che personalmente non riesco mai a dormire quando sono in aereo perchè la voglia di arrivare e la curiosità di visitare un nuovo paese, si mettono in moto all’andata, già dai cinquemila metri di altitudine.

Viaggiamo con l’Air Italy, ed il servizio a bordo è buono: l’unica pecca e che i sedili sono un po’ stretti.

Alle nove e venti atterriamo a Mombasa dove ci aspetta una temperatura di circa 27 C° ed un cielo poco nuvoloso in linea con le previsioni per il mese di Agosto.

All’aeroporto ci accoglie A., il simpaticissimo e …Furbissimo corrispondente del tour operator, che allevierà con le sue battute in perfetto dialetto romano, napoletano, toscano e così via, le due ore e mezzo di viaggio che ci separano dall’Hotel T. J. R., a due passi da Malindi. Nonostante la stanchezza, il viaggio è appena iniziato e non voglio perdermi neanche un istante di questi pochi giorni in cui saremo qui, perciò metto in moto la telecamera mentre ascolto le prime notizie che ci fornisce A. Sul Kenya. La strada è dissestata e spesso siamo sballottati da sinistra a destra e dal basso verso l’alto, ma presto capiremo che ci servirà come allenamento per i prossimi giorni…Il paesaggio è vario e dal finestrino del pulmino si alternano tratti di foresta a lunghe distese di campi coltivati con agavi, villaggi con capanne di terra e tetti in paglia, piccole città con qualche casa in muratura ed una via centrale, dove si svolgono le principali attività degli abitanti del posto: c’è il mercato con coloratissime bancarelle che vendono di tutto e di più, ci sono i taxi collettivi a dieci posti che spesso ospitano il doppio delle persone, ci sono i tuk tuk, le simpaticissime ed economiche Api della Piaggio modificate per trasportare tre persone su un sedile posteriore, venditori di sacchi di carbone ai bordi della strada, e numerosi bambini con le divise di tutti i colori che sorridenti ci salutano contenti, anche perché oggi (4 agosto) è l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze che dureranno un mese: A. Ci spiega che in Kenya le vacanze scolastiche sono in totale di tre mesi e vengono suddivise in trenta giorni distribuiti durante la durata dell’anno. Qualche grosso baobab ai lati della strada ci conferma che siamo nell’Africa centrale. Le persone “affette” dal Mal d’Africa con cui ho parlato in Italia, mi hanno detto che tutto quello che sto vedendo dal finestrino del pulmino, ti fa innamorare di questo paese, ma la scintilla dentro di me ancora non scocca: avrò veramente il cuore così duro e incallito? Arriviamo al hotel nel primo pomeriggio. La struttura è molto carina e accogliente ed è composta da alcuni bungalows su due piani con tre ampie camere, disposti ai bordi del resort, con al centro il ristorante e la piscina, il tutto immerso nel verde dei prati e delle palme; è gestita da un italiano, S. Dal simpatico accento romano.

Il simpatico A. Lascia il testimone a M. Il corrispondente del resort, un affabile ragazzo keniota dalla carnagione scurissima (il colore della sua pelle sarà oggetto da parte sua, di scherzose e mai pesanti battute), che ci fissa l’appuntamento per il briefing alle 16:30. Il tempo quindi di farci una doccia, sistemare i nostri bagagli e prendere confidenza con la nostra camera. Seduti al tavolo durante il briefing, siamo un gruppo di dodici italiani, tutti viaggiatori desiderosi di visitare la maggior parte di questo posto nella breve settimana di tempo a disposizione; sin da subito io e la mia compagna Antonella, percepiamo la loro simpatia che si trasformerà in affiatamento per tutto il resto della vacanza. A. Tenta sin da subito di “incastrarci” con il safari di un giorno e mezzo al prezzo (a dir poco caro!) di 230 Euro a persona, assicurandoci che il servizio e le strutture saranno all’altezza del costo: personalmente sono scettico anche perchè sulla base delle esperienze lette sul sito di Turisti per Caso prima di venire in Kenya, sono cosciente che potremmo pagare molto meno se solo prenotassimo la stessa escursione dai beach boys. Di contro, però, ho ancora in mente il racconto di un’amica in Italia che è stata aggredita e derubata insieme al resto del gruppo proprio durante un safari non “perfettamente” organizzato. Rimandiamo quindi la decisione alle ore successive. Prenotiamo invece sin da subito con M. L’escursione alla cosiddetta Sardegna Due includendo nella giornata il Safari Blu: ci sono voluti più di dieci minuti di trattativa per chiudere il prezzo a 30 euro a persona e solo perché era tutto il gruppo ad andarci! Nel pomeriggio, durante il bagno in piscina, ci consultiamo sulla scelta per il safari e la maggioranza (che democraticamente è quella che vince), decide di prenotarlo in hotel con la partenza prevista per la domenica successiva, ossia da lì a due giorni, pagando 230 Euro, anche perché A. Si mostra inamovibile sul prezzo: ma perché?…

La cena viene preannunciata da una divertentissimo spettacolo dello staff dei cuochi che, muniti di tamburi e… forchette, suonano e cantano brani locali concludendo l’esibizione con la canzone forse più famosa del Kenya, Jambo Jambo: ci metterete poco ad impararla e quando proverete ad accennarla a qualsiasi keniota incontriate, sarà sempre pronto a cantarvela! Il tavolo del buffet è stracolmo di svariati cibi anche italiani e la cucina è ottima. Ceniamo a bordo piscina insieme a due dei nostri nuovi amici Camillo e Miriam, simpatici signori con il raro dono di essere giovani dentro (oltrechè fuori, non fraintendetemi!). Finita la cena lo staff dell’hotel ci regala uno spettacolo di benvenuto con danze e canti ricchi di antichi significati, sulla base di strumenti musicali tribali tipici: a proposito, ma il Mal d’Africa dov’è? 5 Agosto. E’ sabato, ed abbiamo deciso di sfruttare questa giornata nel totale relax a Rosada, la spiaggia convenzionata con l’hotel, dove c’è anche un ristorante per pranzare. Il servizio navetta gratuito parte dall’hotel alle 9:30 e alle 10:00. Arrivati in spiaggia, presentiamo il voucher per prendere posto all’ombra delle palme, su comodi lettini forniti di telo mare. C’è il sole ed il mare è calmo. Tra i lettini e la riva, c’è un tratto di spiaggia di circa 50 metri, dove sono “appostati” numerosi beach boys: non si avvicinano perché hanno ricevuto ordini dal personale della spiaggia di non disturbarci, per cui ci chiamano da lontano con gesti e parole; è una situazione imbarazzante, perché sembra che tra noi e loro ci sia una barriera invisibile, attraversabile solo se decidessimo di fare un bagno in mare. Ad un tratto un beach boy ci grida: “Perché non venite qui, non siamo cannibali!”. E stato come far scattare una molla dentro di me e mi sono detto “ma che stiamo facendo, non ho sempre pensato che viaggiare significa anche interagire con i luoghi e le persone del posto?. Ci siamo uniti quindi a loro presentandoci con i nostri nomi che, incredibilmente, memorizzano all’istante. I beach boys sono in grado di venderti di tutto dal pesce fresco al safari, alla villa sul mare, ma sono anche persone con le quali puoi parlare (in italiano o in inglese, a voi la scelta…) di loro, del loro paese e perché no, di come hanno festeggiato la vincita dell’Italia ai mondiali di calcio, tutto questo senza mai essere troppo pesanti o insistenti.

A pranzo ci sediamo ad un tavolo da sei e ordiniamo le prime aragoste (alla fine della vacanza ci usciranno dalle orecchie!) accompagnate da verdura o patatine fritte. Il cibo è abbondante e ottimo e l’atmosfera è piacevole, sarà anche perché siamo in buona compagnia, il mare è a pochi metri di distanza e siamo in costume…Comunque un primo o un secondo con acqua o birra va dai 1.200 ai 1.800 scellini kenioti (12 – 18 euro circa). Si possono ordinare anche delle ricche insalatone, ed in questo caso si scende sotto i 10 euro. Una nota per i golosi: se andate a mangiare a Rosada, chiedete il gelato alla vaniglia, è speciale! Il pomeriggio prosegue in chiacchiere e relax, fino all’arrivo della navetta che ci riporterà al nostro hotel alle 16:30.

Dopo cena, A. Ci avvisa che la sveglia per la partenza del safari, sarà alle 5:45 del mattino, quindi “tutti a letto presto stasera!”. Ci metto un po’ad addormentarmi, ripensando alla giornata in spiaggia, ai beach boys ed alle parole di un bambino che aveva chiesto ad Antonella in regalo una divisa per la scuola del costo di 5 Euro. Quelle persone mi avevano trasmesso positività: non è che mi sta venendo il Mal d’Africa? Ma no, per così poco… Domenica 6 Agosto ore 5:47, bussano inesorabilmente alla porta per svegliarci. Abbiamo pochi minuti per vestirci e fare colazione, perché alle 6:15 il van ci aspetta davanti al resort pronto a partire. Ci facciamo passare in fretta il sonno; personalmente sono ansioso di iniziare il viaggio verso la savana ed il parco dello Tsavo. La nostra guida è il bravissimo A., un omone grande e grosso che mi ricorda vagamente l’attore protagonista del film “Il quarto miglio”. Ci premette che il viaggio verso il parco sarà lungo ma che saranno due giorni indimenticabili: non avrà mica anche le stesse doti paranormali del personaggio del film? Nel pulmino siamo in sei, mentre il resto del gruppo ci segue con un altro van. La prima sosta è alle porte di Malindi per riunirci con gli altri mezzi in partenza per il safari ed aspettare la guardia armata che ci scorterà fino al parco. Si parte!. La strada sterrata assume subito un colore rosso mattone ed è costeggiata ai lati da mini-villaggi di capanne da cui escono bambini in corsa verso i nostri mezzi per salutarci e chiederci qualcosa in regalo: Camillo e Miriam hanno portato dall’Italia una valigia piena di quaderni, penne e pennarelli, la guida però ci dice che non c’è tempo di darglieli all’andata, e che ci potremo fermare al ritorno.

Il sole entra ed esce da dietro le nuvole creando giochi di variazioni cromatiche del terreno e degli alberi che ci sfilano accanto. Di tanto in tanto la foresta si interrompe per lasciare posto a quattro o cinque capanne che formano un villaggio. Dopo circa tre ore di viaggio, arriviamo all’ingresso del parco dello Tsavo Est. Prima dell’entrata, sulla destra c’è un market e le toilettes, dove è d’obbligo una sosta. Alle spalle della struttura ci aspettano due sorprese: numerose scimmiette ci attendono sicure che riceveranno qualcosa da mangiare da noi. Sono abituate a vedere le persone e posano tranquillamente davanti ai nostri obiettivi. Più in là scorre un fiume dal quale sbuca fuori una femmina di coccodrillo di circa tre metri e mezzo. Si ferma immobile sulla riva ed un guardiano ci assicura che ha appena mangiato (si, ma cosa?). Si volta dandoci le spalle e mi avvicino a poca distanza dalla sua coda: ho l’istinto di accarezzarla, ma qualcosa mi dice che ha concesso già troppo…Devo quindi accontentarmi di essere riuscito a farle un bel primo piano con la telecamera! Le premesse sembrano buone e l’entusiasmo nel gruppo cresce. Ci mettiamo in fila per entrare nel parco e A. Alza il tettino del van per darci modo di osservare gli animali. Davanti a noi ci sono centinaia di chilometri quadrati di savana e finalmente avremo modo di vedere dal vivo quello che hanno mostrato nei tanti documentari visti in tv (o almeno spero!).

A pochi metri dall’entrata un grosso uccello serpentario ci dà il benvenuto. Anche le gazzelle non tardano a farsi vedere: brucano tranquillamente l’erba della savana incuranti della nostra presenza. Questo ci lascia pensare che la grande attrazione del parco, il leone (simba, in lingua Swhaili), non è nelle vicinanze; ma non disperiamo, in fondo siamo appena entrati! A. Ci ricorda comunque che la vita nella savana si attiva soprattutto durante la notte e che di giorno, in linea di massima, sia prede che predatori, possono prendersi qualche ora di pausa passeggiando tra l’erba o rilassandosi all’ombra di qualche albero. Attraversiamo gran parte dello Tsavo est incontrando diverse famiglie di elefanti, dik dik, facoceri , impala e zebre, quando ad un certo punto, sul lato destro della strada seduto comodamente su un sasso, ci osserva un grosso babbuino: si gratta, si accarezza il petto e rimanendo immobile ci guarda andar via. Ci allontaniamo nella speranza che non stesse aspettando qualcosa da mangiare dai turisti… Verso le 13:00 dopo svariati chilometri di strada impolverata, raggiungiamo il S. Camp per pranzare. Dopo esserci serviti a buffet di ogni cosa (vorrei segnalare il dolce di banana con il peperoncino!), ci sediamo ai tavoli in buona compagnia di una famiglia di elefanti che si ristora in un laghetto ad un centinaio di metri da noi, mentre alcune scimmiette scorrazzano intorno ai nostri tavoli senza mai avvicinarsi troppo. Sembra tutto programmato, eppure a pensarci bene, gli unici animali ammaestrati in questo posto, siamo noi! Finito il pranzo e la pausa, riprendiamo il cammino diretti verso lo Tsavo Ovest. In questa parte del Kenya, la vegetazione è più verde e folta e gli animali più numerosi. Non mancano all’appuntamento delle bellissime giraffe che con passo sinuoso brucano gli alberi. Poco distante in un laghetto ci sono due ippopotami quasi completamente immersi nell’acqua. Nel tardo pomeriggio incontriamo una coppia di struzzi che bruca tra l’erba alta. Mancano soltanto due cose per sentirsi nel pieno di un documentario: la voce fuori campo del famoso commentatore, Claudio Capone, e lui…Simba! Percorriamo ancora diversi chilometri quando la strada inizia ad inerpicarsi su una montagna alla fine della quale ci attende una delle sorprese che A. Ci aveva riservato per questo safari. Davanti a noi c’è il L. R. Resort; nonostante la stanchezza, rimaniamo per qualche minuto in silenzio di fronte a questo spettacolo della natura: siamo a 1.200 metri di altezza e sotto di noi c’è un’immensa distesa di savana a perdita d’occhio! All’orizzonte intravediamo delle colline dietro le quali si erge il Kilimangiaro, che purtroppo non riusciamo a vedere perché il cielo è nuvoloso. La temperatura è calata velocemente e siamo costretti ad indossare delle felpe. Dopo esserci riscaldati con thè, latte caldo e pasticcini il personale del resort (che tra l’altro ci ha riservato un’accoglienza squisita), ci consegna le chiavi dei lodge insieme ad una torcia che ci servirà per illuminare l’interno delle nostre strutture, dato che il generatore di corrente viene spento alle 22:00. Ceniamo su una terrazza all’aperto intorno ad un’unica tavolata e mentre il cuoco fa salire nell’aria l’invitante profumo delle bistecche e degli spiedini di carne alla brace, ci scambiamo le nostre impressioni sulla lunga giornata appena trascorsa. Dopo cena ci sediamo intorno ad un falò acceso in un braciere circolare ricavato nel pavimento della terrazza che affaccia sulla savana. Intorno a noi c’è un silenzio quasi irreale, interrotto solo dalle nostre voci; la luna piena appare da dietro le nuvole illuminando l’immensa distesa sotto di noi: tra non molto, la vita nella savana si sveglierà.

Pochi minuti prima che si spenga il generatore, raggiungiamo i nostri lodge. La stanchezza della giornata si fa sentire e nel giro di dieci minuti i miei amici sono tutti a letto coccolati dal caldo del piumino; personalmente non riesco a dormire e mi siedo sul terrazzino che affaccia sulla savana: sto semplicemente bene e vorrei che questo momento non finisse mai. Ripenso al Mal d’Africa, ma sento che manca ancora qualcosa… Lunedì 7 Agosto ore 6:00 del mattino. Non ricordo di aver dormito così bene come questa notte. Mi sveglio riposato e consapevole che potrebbe essere la mattina giusta: andiamo a cercare simba! Scendendo giù per la montagna, incontriamo degli alberi spezzati dagli elefanti durante la notte: sembra ci sia stata un’attività frenetica nelle ultime ore. Arriviamo ai piedi della collina chiamata Lion Rock, ma dei leoni neanche l’ombra. A. È collegato via radio con le altre guide del parco e si parlano in lingua Swhaili; noi stiamo con gli occhi vigili e le orecchie tese nella speranza che pronuncino la parola “simba”. Ad un tratto sentiamo un guardiano parlare freneticamente al baracchino con A., che inizia a correre verso il bush lasciando un polverone rosso dietro il van. Gli chiediamo che succede, ma non ci risponde finchè non arriva la fatidica conferma via radio: hanno avvistato un leone! Raggiungiamo un gruppo di pulmini fermi a bordo strada. Andrea e Roberta, i ragazzi di Milano con noi a bordo del van, vedono con il binocolo, qualcosa muoversi tra l’erba alta. Eccolo! A circa cento metri di distanza un bellissimo esemplare maschio si aggira solitario per la savana. Uso la telecamera come cannocchiale per cercare di distinguere la figura del leone che sembra essersi mimetizzato. E’ tranquillo e si mantiene a debita distanza da noi. Cala il silenzio. Ad un tratto scarta verso sinistra e mentre tutti restano fermi, A. Mette in moto il van e compie un largo semicerchio, allontanandosi dal leone. Non riusciamo a capire cosa stia facendo, e gli preghiamo di tornare indietro, ma lui prosegue per altri cento metri prima di fermarsi sulla strada di fronte ad un bivio. Nella foga non ci siamo accorti che simba stava camminando verso di noi e che A. Aveva indovinato le sue intenzioni. Siamo fermi in mezzo alla savana e a circa venti metri da noi, sul lato sinistro del pulmino, passeggia un leone. Riesco ad inquadrare perfettamente con la telecamera il suo viso: la sua calma ed il suo portamento mi ricordano che siamo di fronte al “re della savana”. Restiamo immobili come attratti dalla sua presenza, quando attraversa la strada a pochi metri dal “muso” del nostro pulmino, proseguendo a passo lento, il cammino verso l’erba alta. Mentre lo guardo allontanarsi, avvolgo immediatamente il nastro della telecamera per assicurarmi che tutto sia a posto: perfetto, i dieci minuti più intensi di questo safari, sono definitivamente al sicuro!.

Facciamo ritorno al resort dove ci aspetta una tavola imbandita di tutto per la colazione; presto ci rendiamo conto che l’incontro con “simba” ci ha messo una fame da…Leone e nessuno di noi rinuncia alle ottime omelette e crepes con marmellata che il cuoco continua a preparare, accompagnate da biscotti caldi, thè, latte, succhi di frutta e, nella confusione pantagruelica, ci scappano pure due wurstel appena grigliati! E’ ora di ripartire e salutiamo a malincuore il personale del Resort sperando che il nostro possa essere un arrivederci. Ci aspettano molte ore di viaggio per tornare al nostro hotel.

Durante il tragitto inizia a piovere (le piogge dureranno due giorni!). Incontriamo diversi villaggi in cui gli abitanti sono intenti allo svolgimento dei loro lavori, nonostante gli allagamenti che i forti acquazzoni stanno provocando. Alcuni bambini giocano divertiti dentro le pozze di acqua rossa, mentre altri corrono dietro al nostro van appena ci vedono passare. Miriam ci ricorda di avere una borsa piena di quaderni, penne e pennarelli e chiede ad A. Di fermarsi. Appena accostiamo al bordo della strada, un nugolo di bambini ci circonda allungando le manine all’interno del pulmino, come se sapessero sin dall’inizio il motivo per cui ci siamo fermati. Nella confusione qualche bambino più grande si accaparra qualche oggetto in più, ma nell’insieme, tutti riescono ad avere almeno una penna; mi chiedo quanti turisti possano fermarsi ogni volta in questi villaggi e cosa se ne facciano i bambini di tutti questi quaderni, penne ecc., ma in fondo che importa, li abbiamo comunque resi felici! Arriviamo all’hotel nel tardo pomeriggio. Abbracciamo calorosamente A., ringraziandolo per l’ennesima volta. Nel ristorante del resort, l’ora del tea time sta per finire, per fortuna troviamo ancora del the caldo e dei pasticcini. Ci sediamo ai tavoli affamati, anche perché non abbiamo avuto il tempo di fermarci lungo la strada per pranzare. Mentre sono seduto al tavolo con i miei amici, riaffiorano tutti i bei momenti vissuti in questi due ultimi giorni, dal sorriso di A. Al paesaggio della savana, al gruppo intorno al falò la sera prima, alle manine di quei bambini che stringono forte il mio braccio pregandomi di regalargli una penna: sento che mi sto ammalando… d’Africa!.

Martedì 8 Agosto. Piove, ma non ci scoraggiamo e decidiamo di andare a visitare una fabbrica del legno alle porte di Malindi. Viene a prenderci un simpatico ragazzo che, dopo una breve e divertente trattativa, ci accompagnerà in giro per Malindi e dintorni, per la “modica” somma di 15 Euro (in totale!), restando con noi fino al pomeriggio. Durante il tragitto, con in sottofondo la canzone “Jambo Jambo”, osservo divertito alcuni tuk tuk davanti a noi, immergersi nelle pozze d’acqua, ed uscirne indenni continuando il loro percorso: sembrano tante formiche operaie imperturbabili davanti agli ostacoli. Dopo 25 minuti, arriviamo alla fabbrica del legno. Alla nostra destra ci sono due grossi capannoni lunghi circa trenta metri con una stradina centrale. Sotto ai capannoni lavorano più di un centinaio di persone, ognuna con un compito specifico diverso, e tutti intenti a creare quei meravigliosi oggetti in legno scolpiti con tale maestria che a volte sembrano doversi animare da un momento all’altro. Dando le spalle al cancello d’entrata, sulla sinistra c’è un grosso capannone dove avviene l’esposizione e la vendita degli oggetti finiti. All’interno ci sono talmente tanti articoli, che non basta il tempo a nostra disposizione per vederli tutti. Ci armiamo di cesti disponibili all’entrata decisi evidentemente a svuotare il negozio! I prezzi non sono trattabili ma comunque del tutto onesti ed accessibili: certo, se sceglieste l’ippopotamo o la giraffa d’ebano alti un metro, il costo sarebbe proporzionato alla scultura. Mentre siamo dentro, inizia a cadere un forte acquazzone che ci costringe a prolungare il tempo all’interno del negozio e nell’attesa le borse si riempiono sempre di più… Alla cassa Andrea e Roberta battono il record di acquisti del gruppo: ricordo ancora il sorriso a trentadue denti del negoziante quando ha “strisciato” la loro carta di credito! Il tempo continua ad essere poco clemente, per cui decidiamo di pranzare alla spiaggia di Rosada e passare lì il resto del pomeriggio, tornando poi al nostro hotel con la navetta delle 16:30. Dopo pranzo smette di piovere e da non so dove sbucano delle donne con dei bellissimi pareo variopinti che da sotto un ombrellone ci chiamano. Una ragazza tra loro, ha in braccio una bambina di un anno e mezzo avvolta in un telo dal quale spunta solo il suo visino: come si fa a non accogliere il loro richiamo?! Mentre inizia una trattativa sui prezzi dei pareo, chiedo alla madre della bimba se posso fare qualche ripresa alla figlia: ha un viso dai lineamenti perfetti e ci osserva con degli occhioni tra l’impaurito e l’incuriosito. La mamma ha poco più di vent’anni e ci spiega che per vivere “dignitosamente” vende pareo e borse realizzate a mano, ai turisti in spiaggia, per pochi euro al pezzo; non scriverò i prezzi dettagliati degli oggetti acquistati, perché credo siano talmente irrisori per noi italiani, che la decisione del costo finale spetti anche alle nostre coscienze…La nostra giornata di “shopping” si concluderà quindi a Rosada con l’acquisto di una decina di pareo ed un regalo: il sorriso della piccola bimba nel salutarci.

Mercoledì 9 Agosto. E’ piovuto per tutta la notte e questa mattina sembra che il sole ricominci a fare capolino da dietro le nuvole. Questo giorno lo ricorderò come uno dei più belli del nostro viaggio in Kenya. Sin da quando siamo arrivati al resort, ho chiesto ad A. E M. Se c’era la possibilità di visitare un orfanotrofio a Malindi. In principio si sono mostrati reticenti, ma poi,in seguito alla mia insistenza, M. Ha ceduto. Affittiamo di nuovo un van e ci facciamo accompagnare in un market a Malindi. Acquistiamo diversi chili di farina di grano, fagioli, sale, zucchero e quant’altro possa essere utile alle persone che stiamo andando a trovare. Riusciamo a riempire quasi del tutto il portabagagli del pulmino, con una spesa totale di 50 Euro circa (meditate gente, meditate!). A Malindi ci sono diversi orfanotrofi, la nostra scelta, casuale, cade su una struttura appena fuori dalla città. Ad aspettarci c’è la responsabile della struttura, una ragazza di circa trent’anni che ha abbracciato la causa di questi bambini meno fortunati di altri. Indossa una maglietta che forse un tempo era di colore blu e una lunga gonna ricavata da qualche pezzo di stoffa liso; provo sin da subito un senso di tenerezza per lei. Mi viene in mente che ho nello zaino una maglietta nuova che potrebbe essere della sua misura. Gliela porgo e la indossa contenta sopra quella che già aveva, forse anche in segno di rispetto per il regalo ricevuto.

La struttura è immersa nel verde e nella tranquillità, ed ogni edificio ha la sua funzione specifica. Mentre due ragazzi svuotano il portabagagli del van, portando i pacchi nella dispensa della cucina, la responsabile ci guida verso un portico sotto il quale sono seduti una quindicina di bambini di due-tre anni circa che stanno ripetendo una filastrocca insieme alla loro maestra. Quando ci vedono arrivare, si interrompono e guardano con i loro occhioni la maestra nella speranza che gli faccia un cenno per potersi alzare; il permesso arriva presto e non se lo lasciano dire due volte. Correndo verso di noi, urlano di gioia, ci abbracciano, vogliono salire in braccio. Ognuno di loro ha la sua storia alle spalle, ma la responsabile ci spiega che, in genere, vengono abbandonati dalle madri subito dopo il parto in ospedale e raramente qualcuno viene trovato in mezzo ad una strada.

Sono vispissimi e, almeno a prima vista, in ottima salute. Ci spostiamo tutti insieme in una struttura a semicerchio dove ci sono alcuni giocattoli. Sembra però che il loro interesse sia riposto negli occhiali da sole di Andrea e Sabrina, una coppia romana del gruppo, piuttosto che nella macchina fotografica di Stefano e Alice, i due simpaticissimi toscani. Chiedo il permesso alla responsabile, di fare qualche ripresa ed è come se avessi tirato fuori un altro giocattolo: un maschietto che dopo sapremo essere il “capo”, dotato di forte carisma, vuole essere ripreso mentre fa delle smorfie per mostrarle poi sul monitor, ai suoi compagni. Due femminucce decidono che Antonella debba fargli da cuscino e si sdraiano sulle sue gambe lanciandole dei baci, mentre Camillo e Miriam hanno un bel da fare circondati da altri bambini. Li osservo con tenerezza e sembra che siano avvolti di continuo da sentimenti contrastanti: un attimo prima ridono di gusto ed un istante dopo si coglie nei loro sguardi la tristezza come se fossero consapevoli di cosa gli ha riservato il destino alla loro nascita. E’ quasi mezzogiorno ed i bambini si devono preparare per il pranzo. Li lasciamo alla loro maestra, mentre con la responsabile visitiamo il resto del centro di accoglienza. Nei dormitori c’è un arredamento essenziale composto da letti a castello e culle con un letto singolo per l’assistente durante la notte. Gli armadi sono ricavati da scaffali a giorno appoggiati alle pareti, in cui sono riposti ordinatamente i vestiti e gli effetti personali di ognuno. Le pareti sono pitturate con tinte vivaci dal blu al rosso, dall’arancione al verde. Nell’insieme si ha l’idea di un posto gradevole ed ordinato. Le camere dei bambini più grandi (12-13 anni) sono in un altro edificio ed hanno caratteristiche simili a quelle precedenti. Nel centro ci sono due cucine una esterna ed una interna. Oggi il tempo è poco nuvoloso per cui la cuoca sta preparando il pranzo fuori in grossi pentoloni di alluminio e ferro aiutata da uno dei ragazzi cresciuti qui. Alle spalle della cucina esterna c’è un orto coltivato con patate, zucchine, pomodori etc, e degli alberi di papaia e banane. Proseguendo verso il retro, c’è un pollaio, delle oche una mucca ed una capretta. La lavanderia chiude il confine posteriore della struttura. All’interno della mensa principale c’è una parete tappezzata di fotografie che raccontano la storia dell’orfanotrofio. Mi è rimasta impressa una frase scritta su un foglio che recita più o meno così: “Mi lamentavo perché non avevo le scarpe, poi ho visto qualcuno senza le gambe che non potrà mai indossarle”… In questo orfanotrofio ci sono attualmente circa quaranta tra bambini e ragazzi. Chi non sarà adottato crescerà nella struttura frequentando le scuole ed in alcuni casi arrivando anche a laurearsi: penso agli sforzi che hanno fatto i miei genitori per crescere due figli e li moltiplico per quaranta!…

Questa struttura, come del resto gli altri orfanotrofi, non ricevono finanziamenti dallo stato, per cui vivono di autosostenimento e delle donazioni di persone locali e di turisti come noi: credetemi, aiutarli può far bene sia a loro che a noi.

E’ arrivato il momento di salutarci e prima di andar via quattro bambini ci intonano un canto di saluto e di arrivederci. Trattengo con sforzo la commozione mentre li lascio alle spalle con un senso di colpa: ci preoccupiamo di avere il telefonino all’ultimo grido, la macchina o l’orologio più belli e troppo spesso ci dimentichiamo quali siano i valori veri della vita! Comincio a rendermi conto di che cosa sia il Mal d’Africa… Giovedì 10 Agosto. M. Ci assicura che il tempo sta migliorando per cui oggi si parte per il Safari Blu. Con un pulmino arriviamo al punto d’imbarco. La bassa marea ha scoperto un tratto di spiaggia e reef di circa 200 metri che dobbiamo attraversare per raggiungere le barche. Issata l’ancora, ci dirigiamo verso la barriera corallina antistante la costa. Dopo venti minuti di navigazione, ci fermiamo su un fondale di circa quattro metri e ci immergiamo con la maschera. Sotto di noi c’è una formazione corallina circondata da pesci pappagallo, pesci angelo e degli anthias: in tutta onestà, se siete stati in Mar Rosso o alle Maldive, non vi aspettate di ritrovare gli stessi fondali in questo punto del reef. Risaliti a bordo, ci dirigiamo verso la cosiddetta “Sardegna 2”: non ricordo come si chiama il posto in Swhaili, ma vi posso assicurare che alle persone locali, il nome affibbiato in italiano, non è gradito! Durante la traversata ci coglie in pieno un acquazzone ma l’equipaggio è organizzato ed in pochi istanti la barca viene avvolta con una cerata; appena finiamo di legarla, però, la nuvola “fantozziana” lascia spazio al sole, che tra l’altro ci accompagnerà per il resto della giornata. Dopo mezz’ora di navigazione approdiamo sulla sabbia bianchissima di un grande atollo appena scoperto dal marea. L’acqua intorno a noi è di un colore che va dall’azzurro chiaro al turchese intenso ed è piacevolmente calda: dopo gli ultimi giorni di pioggia, questo posto era quello che ci voleva! La bassa marea durerà per circa due ore, per cui abbiamo il tempo di girare l’atollo mentre altri improvvisano una partita di calcio Italia contro Kenya. L’equipaggio porta a terra dei grossi barbecue dove cucineranno cernie, aragoste e polpi. Nel frattempo alcuni beach boys ci raggiungono con della imbarcazioni ricavate da tronchi d’albero, incredibilmente stabili sull’acqua, nonostante il peso dei grossi sacchi pieni di sculture di legno.

A pranzo gli equipaggi dispongono dei grossi tavoli al centro delle barche. Personalmente decido di godermi il riso e l’aragosta, dentro l’acqua, mangiandoli con le mani: in fondo anche questo è Africa!…

La marea inizia a ricoprire rapidamente la sabbia e i beach boys si fanno più insistenti proponendoci la loro merce a prezzi via via più bassi: con l’acqua alla cintola molti di noi faranno i migliori affari!.

Tornati al hotel, la sera in camera facciamo l’inventario degli oggetti acquistati e ci sorge un dubbio: ce la faremo a passare il check-in domani in aeroporto? Venerdi 11 Agosto. Sono seduto nel pullman e con la faccia riflessa sul vetro osservo le persone e le cose scorrere dietro le mie spalle. Il viaggio verso Mombasa è lungo ed ho tutto il tempo per passare in rassegna i bei momenti vissuti in questi pochi giorni di viaggio, cercando di imprimerli per sempre nei miei ricordi, prima che il tempo li faccia inesorabilmente sbiadire; più prendo coscienza che sto lasciando l’Africa e più ne sento il distacco.

Mentre il nostro aereo sorvola il Kilimangiaro, si rafforza in me il bisogno di dover tornare in questa terra che è riuscita a lasciarmi dei segni indelebili. Sarà mica questo il Mal d’Africa?.

Ringrazio Camillo e Miriam, Andrea e Roberta, Stefano e Alice, Fabrizio e Sabrina, Bruno e Giusy, per aver contribuito a rendere questo viaggio indimenticabile.

N.B.: Scusatemi, ma ho dovuto punteggiare i nomi delle persone e delle varie strutture visitate, pena la mancata pubblicazione di questo racconto.



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