Turisti per shopping?

In giro per outlet, alla scoperta dei non luoghi
Syusy e Patrizio Roversi, 28 Nov 2011
turisti per shopping?
Ma un turistapercaso che fa shopping, è un bravo turistapercaso? A parte che non siamo una associazione con rigide regole, né tantomeno una setta con la puzza sotto il naso, la risposta è “sì, ma”. Sì, certo, va benissimo viaggiare anche per fare acquisti, va benissimo frequentare discount & similari, ma sarebbe meglio farlo col dovuto distacco, con curiosità e divertimento e soprattutto con senso critico. Tenendo conto che l’omologazione è nemica del viaggio. Non a caso spesso ci si chiede: “Ma vale ancora la pena viaggiare ai tempi della globalizzazione?”, sottintendendo che ormai il mondo è uguale dappertutto. In effetti, sparsi ovunque, simboli di una Nuova Era Globale, stanno luoghi-edifici-quartieri-infrastrutture che si somigliano perfettamente. Quelli che il sociologo Marc Augè definiva non-luoghi, cioè posti senza storia, senza relazioni, senza identità: aeroporti, stazioni, centri commerciali, stazioni di servizio, caselli, ipermercati. Il sociologo George Ritzer definisce, in particolare, i discount, le cittadine artificiali del commercio e della grande distribuzione “cattedrali del consumo”, dove si celebra la religione dei consumi, a suo dire ultimo culto del nostro tempo. Si riferisce a centri commerciali, navi da crociera, shopping mall e tutti quei luoghi costituiti solo ed esclusivamente per consumare, senza che ci sia nient’altro da fare/vedere. Nei suoi libri spiega per filo e per segno perché secondo lui si tratta di una specie di culto religioso, con tutti i parallelismi del caso (il pellegrinaggio per raggiungerli quando fai le code, le icone e i simboli evocativi delle marche famose, etc.). Ecco quindi spiegato il “sì ma” di cui sopra: shopping sì, ma restando appunto consumeristicamente laici! Premesso questo, va detto che noi in giro per il mondo di Templi dello Shopping ne abbiamo visti di tutti i colori. I più incredibili stavano negli Emirati Arabi Uniti, in particolare a Dubai. C’è una vera autostrada lungo la quale si snoda una serie di enormi centri commerciali, ognuno dedicato a un Paese, a un’atmosfera. Uno in particolare ricostruiva l’India, un altro l’antico Egitto ecc. Gli addetti erano in costume, l’architettura a tema: una grande messa in scena hollywoodiana usata per coinvolgere emotivamente il consumatore. Per non parlare delle isole a forma di palma o dell’albergo a forma di vela, dove lo slogan era: “Qui trovi tutto quello di cui hai bisogno, puoi non uscirne mai più”. Lo stesso discorso, dal punto di vista dell’estetica e dell’emotività, si potrebbe fare riguardo al filone Disneyland, cioè alla tendenza a rifare/ricostruire monumenti e ambienti: finché si gioca può essere divertente, ma in certi casi (in Giappone, negli Usa) ci è parso che la gente ci credesse fino in fondo. Resta memorabile, a Shangai, una ricostruzione a grandezza naturale e piena di particolari, della Casa Bianca di Washington: non era né un gioco né una giostra moderna, era un omaggio-auspicio-sfida all’originale.