Isola d’Elba in camper

Isola d’Elba in camper Sabato 8 Luglio 2000: Il camper è pronto e carico di tutto quanto il necessario, parcheggiato di fronte a casa ed in attesa che la sveglia suoni per rammentarci l’imminente partenza verso l’Isola d’Elba. Ma è Federico a “suonare” prima della sveglia … poco dopo le 7:00 ci ...
Scritto da: LucaGiramondo
isola d'elba in camper
Partenza il: 08/07/2000
Ritorno il: 15/07/2000
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
Isola d’Elba in camper Sabato 8 Luglio 2000: Il camper è pronto e carico di tutto quanto il necessario, parcheggiato di fronte a casa ed in attesa che la sveglia suoni per rammentarci l’imminente partenza verso l’Isola d’Elba. Ma è Federico a “suonare” prima della sveglia … poco dopo le 7:00 ci chiama pieno di entusiasmo e smanioso di prendere parte a questo nuovo viaggio: balza subito in piedi e non si fa certo pregare per alzarsi da letto.

Fervono, così, gli ultimi preparativi, e, dopo una sostanziosa colazione, lasciamo casa intorno alle 8:30 … una brevissima sosta in farmacia e poi via verso Faenza e quindi verso l’imbocco dell’autostrada A14. Viaggiamo prestando attenzione a cosa dice la radio in merito all’intensità del traffico: le code, a quanto pare, non mancano e sono disseminate un po’ ovunque lungo l’intera rete autostradale. Per fortuna non sembrano esserci ostacoli lungo il percorso che ci porterà a destinazione ed il nastro d’asfalto scivola via liscio, grazie anche al buon umore tipico della partenza di ogni viaggio.

A Bologna intravediamo, sulla nostra destra, la torre di controllo e non possiamo fare a meno di rammentare la recente vacanza trascorsa a Formentera (esattamente un anno fa) che proprio dall’aeroporto felsineo prese il via.

Affrontiamo il tratto appenninico dell’A1 e, quasi subito, cominciamo ponti e gallerie per la felicità di Federico che si lascia andare ad un’interminabile serie di domande. Ad un certo punto attraversiamo un viadotto che chissà per quale scherzo del destino si chiama “del bue morto”, mentre Sabrina, sul sedile posteriore, si concede un pisolino.

A Firenze lasciamo l’autostrada ed imbocchiamo la superstrada Firenze-Pisa-Livorno (Fi-Pi-Li) e, vista l’ora, ormai tarda, consumiamo uno spuntino dopo il quale, considerata la mancanza di cose interessanti lungo il tragitto, Federico chiede di andare dietro e di poter dormire, Sabrina lo imita e così rimango solo a macinare i chilometri che restano per giungere al “traguardo” di Piombino. Arriviamo intorno alle 13:00, dopo aver percorso il tratto terminale dell’autostrada A12, fino alla barriera di Rosignano, ivi compresa una buona mezz’ora di coda per uscirne, nonché diversi chilometri lungo la strada statale Aurelia e la breve litoranea fino alla nota località, porto d’imbarco per l’Isola d’Elba.

Non abbiamo provveduto a prenotare traghetti prima della partenza, quindi ci fermiamo alla prima biglietteria che incontriamo lungo la strada. Le compagnie di navigazione che coprono il tratto di mare fra Piombino e l’Isola d’Elba sono due: la Moby Lines e la Toremar, noi scegliamo quest’ultima visto che ci consentirà di prendere il largo alle 16:30, tre ore prima della sua concorrente.

Con i biglietti in pugno ci rechiamo al porto, pranziamo (finalmente!) e ci mettiamo in attesa della nave, cercando di ingannare il tempo prima passeggiando all’interno di un piccolo centro commerciale e quindi lungo il molo che protegge le banchine di attracco. Soffia un forte vento, il mare è mosso ed il panorama, costellato di enormi camini fumanti non è dei migliori: guardandosi intorno non par vero che a meno di un’ora di navigazione si possa trovare un luogo più bello ed accogliente di quello in cui ci troviamo. Intanto il tempo siamo riusciti ad ingannarlo: è quasi ora di imbarcarsi e Federico, in maniera ormai ossessionante, invoca l’arrivo del traghetto, sul quale, grazie a Dio, saliamo quasi in perfetto orario.

Neanche il tempo di appoggiare lo zaino su di alcune poltroncine ed il piccolo si scatena: prima in un’area giochi per bimbi, quindi a zonzo per la nave. L’imbarcazione ondeggia, in balia delle onde, divertendolo non poco … «non si sta in piedi», grida barcollando e poi correndo su e giù lungo i pontili. Intanto giungiamo in prossimità della coste elbane e alle 17:35 sbarchiamo a Portoferraio, capoluogo dell’Isola d’Elba, la terza isola italiana per estensione: 223 kmq., in pratica poco più di 25 chilometri di lunghezza per poco meno di 20 di larghezza. Ci mettiamo subito alla ricerca di una spiaggia dove trascorrere le poche ore di sole che restano all’imbrunire e scendiamo lungo una tortuosa strada a quella famosa della Biodola, la più amata dai vip, ma è una delusione: angusta e strapiena di automezzi parcheggiati selvaggiamente lungo la carreggiata non fa al caso nostro, in più il mare mosso contribuisce a creare un quadro d’insieme tutt’altro che invitante. Ce ne andiamo allora dall’altra parte dell’isola, attraversandola nel suo punto più stretto (una vera e propria manciata di chilometri): là contiamo di trovare mare calmo e quasi totale mancanza di vento.

Raggiungiamo la costa in prossimità di Marina di Campo, troviamo parcheggio e andiamo in spiaggia. Non tira vento ed il mare è calmo, l’arenile non è quanto di meglio si possa desiderare ma ci accontentiamo, infondo abbiamo solo bisogno di un po’ di riposo dopo il lungo viaggio. Federico vuole fare un bagno e provvediamo ad accontentarlo, quindi telefoniamo a casa per far sapere del nostro arrivo e poi ci guardiamo intorno e ci accorgiamo di essere soli: la spiaggia è vuota e l’orologio segna le 20:00, forse è ora di tornare al camper e di cenare.

Più tardi ci concediamo una passeggiata per Marina di Campo: Federico vuole un gelato … «faccio tutto io!» … «mangio da solo!» … e finisce che si sporca, sporca anche Sabrina ed il primo giorno finisce in “tragedia” … peccato! Domenica 9 Luglio 2000: Scegliamo di rimanere sullo stesso lato dell’isola, timorosi del mare mosso, e così, dopo colazione, percorriamo una manciata di chilometri verso ovest, risalendo un tratto di costa alta, fino alla spiaggia di Cavoli, incastonata ai piedi di due promontori rocciosi. La strada che vi gira attorno si mantiene costantemente in quota offrendo interessanti spunti panoramici, mentre quella che scende alla baia non è percorribile con il camper. Parcheggiamo, allora, ai bordi del nastro d’asfalto, in una piccola rientranza, pieghiamo lo specchietto che rimane verso il centro della strada e ci incamminiamo verso la spiaggia. Di fronte a noi, in lontananza, si intravedono, chiaramente, le sagome dell’Isola Piana e di Montecristo.

L’arenile è piuttosto affollato, nonostante sia ancora relativamente presto, tanto come orario, quanto come stagione, quindi ci ritagliamo, a fatica, il nostro spazio, sistemiamo ombrellone e teli da mare e ci dedichiamo alla più classica della giornate balneari.

C’è ancora aria di burrasca in giro, il mare è calmo ma non troppo caldo. Ciò nonostante consumiamo un bagno, che Federico ci chiede a più riprese, e giochiamo con la sabbia, mentre il tempo vola inesorabile.

Le lancette dell’orologio segnano già le 13:00 ed è, chiaramente, ora di pranzo, così risaliamo fino al camper e ci mettiamo a tavola, ma non vi restiamo a lungo e, ben presto, partiamo alla scoperta di altri luoghi.

Lasciamo il mare e puntiamo verso l’interno dell’isola seguendo la strada che sale verso Campo nell’Elba, oltrepassiamo il minuscolo paesino e giungiamo all’imbocco della carrozzabile che porta al Monte Perone, e lì ci fermiamo: un grande cartello giudica, a caratteri cubitali, la strada come “pericolosa” e pone la larghezza massima dei mezzi autorizzati al transito in metri lineari due.

Desistiamo dal proseguire e restiamo come in attesa di qualcosa o qualcuno che ci confermi il contenuto del cartello, mentre il lontananza si sente il rumore di un motore completamente “imballato”. Il “lamento meccanico” si avvicina sempre più fin quando ci accorgiamo di averlo prima dietro e poi di fianco: altro non è che il più classico dei motofurgoni “Ape”, certo non di proprietà di un turista e quindi di una persona del posto. Gli domando, urlando, come sia la strada, e questi mi fa ampi cenni di proseguire. Mi fido, innesto la prima e comincio a salire percorrendo strettissimi, ma non impossibili, tornanti, fino a giungere alla scenografica Torre di San Giovanni, da secoli miracolosamente in bilico su di uno sperone roccioso, a dominare il sottostante golfo di Campo.

La strada, oltre la torre, prosegue ancora in fortissima salita fino al valico di Monte Perone, posto a 529 metri di altezza sul livello del mare … e sarebbe un bell’arrivo in salita per una corsa ciclistica! Scendiamo lungo il versante opposto dell’isola e quindi verso il paese di Poggio, oltrepassato il quale giungiamo a Marciana, punto di partenza per l’ascensione al Monte Capanne, il picco più alto dell’Isola d’Elba: posto a 1018 metri di quota. Vi si arriva per mezzo di una bidonvia, e la gioia di Federico è più che giustificata visto che mai, prima d’ora, ne aveva presa una. Cominciamo a salire in mezzo ad un grande bosco di castagni, poi gli alberi si fanno sempre più radi, fino a sparire completamente all’arrivo dell’impianto, collocato a poche centinaia di metri dalla vetta.

Il panorama ci appare subito mozzafiato, mentre saliamo lungo il ripido sentiero che porta alla sommità del monte, dove si trova, fra l’altro, un’enorme antenna che incuriosisce Federico più di ogni altra cosa. Finalmente in cima possiamo godere di quella straordinaria vista e, grazie anche alla giornata, particolarmente limpida, il mondo sembra essere ai nostri piedi: si vedono Pianosa, Montecristo e Capraia, piccole scaglie di roccia conficcate nel blu intenso del mare, e, simultaneamente, la costa italiana e la severa sagoma montuosa della Corsica! Vorremmo rimanere per un po’ a contemplare lo scenario ma Federico è incontenibile e non si ferma un attimo, tutto preso a saltare da una roccia all’altra.

Quando rientriamo a Marciana ormai è tardo pomeriggio saliamo in camper e cominciamo a scendere verso il mare, non prima, però, di aver riempito una bottiglia d’acqua alla cosiddetta “fonte di Napoleone”, la stessa fonte alla quale l’imperatore, in esilio sull’Isola d’Elba, di sovente, usava abbeverarsi e che, si dice, avesse, all’ora come oggi, proprietà curative, in particolare per quanto riguarda l’apparato urinario. Giungiamo, in fine, a Marciana Marina e ci concediamo un’ora di mare prima che il sole tramonti, quindi ceniamo e, più tardi, ce ne andiamo a spasso per il paese, percorrendone le anguste viuzze e godendo di caratteristici scorci. Solo Federico non sembra divertirsi troppo allorquando, privato del gelato in conseguenza della serata precedente, dice di non sapere più cosa fare e di voler solo andare a letto, e in quest’ultimo desiderio viene esaudito.

Lunedì 10 Luglio 2000: La sveglia è per le 8:30 e, dopo colazione, mi reco a fare la spesa. All’uscita del supermercato una signora chiede a Federico se stia andando al mare, lui prontamente ribatte: «No, vado al museo!», e la lascia senza parole, visto che mai, probabilmente, si sarebbe aspettata una risposta del genere. In effetti il piccolo ha ragione: siamo in procinto di raggiungere Portoferraio per visitare “Villa dei Mulini”, la residenza di Napoleone all’Elba.

Parcheggiamo in prossimità del porto, nella zona riservata ai pullman, e ci avviamo, a piedi, nel centro storico del capoluogo elbano: turisticamente un po’ bistrattato rispetto ad altri luoghi dell’isola offre, invece, numerosi scorci interessanti. Saliamo fino alla sommità del piccolo promontorio sul quale si sviluppa la cittadina e dove si trova la “Villa dei Mulini”, dimora di Napoleone durante il suo esilio sull’isola nel 1814-15. Al suo interno si trovano diversi cimeli che ricordano il grande imperatore, disseminati in quelle “poche” ma eleganti stanze che, a lui, dovevano proprio apparire come una prigione, abituato com’era alla grandiosità e allo sfarzo di Versailles. I graziosi giardini sono una piccola oasi di pace e tranquillità, un balcone naturale affacciato, dall’alto della scogliera, a dominare la vista del mare sottostante.

Napoleone non rimase a lungo in questo luogo, come noi del resto. La visita, infatti, è breve e così resta un po’ di tempo per andare in spiaggia. Torniamo al camper a prendere tutto il necessario, verifichiamo che non vi siano sgradevoli multe “appiccicate” al parabrezza e ce ne andiamo, a piedi, verso il mare.

Poche centinaia di metri ci dividono, in effetti, dalla cosiddetta spiaggia delle “Ghiaie”, composta interamente da grossi sassi bianchi che, guardacaso, diventano subito il nuovo gioco preferito di Federico, tanto che, più volte, devo metterlo in guardia dallo stare attento nel lanciarli.

Ci godiamo il posto per non più di un paio d’ore, fin quando, in procinto di rientrare alla base per il pranzo, il piccolo, non ancora sazio, pretende di portare con sé un secchiello pieno di quegli irresistibili sassi bianchi, aumentando, così, di almeno due chili il carico netto del camper.

Ripartiamo nel primo pomeriggio alla ricerca di una spiaggia lungo la costa a ovest di Portoferraio. Percorriamo la strada che conduce al Capo d’Enfola, laddove, in un tempo neanche troppo remoto, si trovava una tonnara. Vorremmo fermarci, lungo il tragitto, alla spiaggia di Capo Bianco, ma non risulta possibile farlo vista la mancanza di parcheggio, e non ci resta altro da fare che proseguire, nella speranza che, allontanandosi da Portoferraio, diminuiscano i bagnanti. Ormai in vista del capo troviamo finalmente posto, sul ciglio della strada, in prossimità di una spiaggia che però non si vede e che, a giudicare dalla nostra posizione, non sembra nemmeno essere nelle immediate vicinanze.

C’incamminiamo lungo una stradina che scende verso il mare e che, più avanti, diventa un polveroso e ripido sentiero. Al termine della lunga scarpinata veniamo però ripagati e davanti ai nostri occhi si para la bellissima spiaggia di Sansone, tutta di ciottoli bianchi e deliziosa acqua cristallina.

Gonfiamo il materassino (per la gioia di Federico) e ci concediamo un lungo bagno ristoratore, quindi ci rilassiamo in spiaggia, confortati dalla tranquillità del luogo poco affollato. Più tardi arriva, su di una barca, il gelataio dal mare e da buoni golosi ne approfittiamo, poi arrivano anche le nuvole … e ci guastano la festa! In fretta e furia raccogliamo tutte le nostre cose e affrontiamo la salita verso il camper, mentre alcune gocce cominciano a cadere. Quando, finalmente, siamo al riparo comincia a piovere forte … peccato, saremmo rimasti volentieri più a lungo in quella spiaggia.

Scendiamo verso Portoferraio e, vista l’ora, ne approfittiamo per far rifornimento e per prenotare il traghetto del ritorno: Moby Lines, Domenica 16 Luglio, ore 11:45, sarà questa la corsa che ci riporterà sul continente al termine della vacanza.

Ci fermiamo in un parcheggio, a pochi passi dal centro del capoluogo elbano e ceniamo con la radio accesa che scandisce le previsioni del tempo: sostengono che domani pioverà … speriamo non sia vero e, scaramanticamente, incrociamo le dita. Più tardi, usciamo a fare una passeggiata, ma non vi restiamo a lungo: soffia un vento fortissimo ed il cielo minaccia pioggia, torniamo quasi subito sui nostri passi e ci rifugiamo dentro al camper a mangiar pistacchi e a giocare a carte.

Martedì 11 Luglio 2000: Durante la notte è piovuto tantissimo, e questo, purtroppo, rivoluzionerà tutti i nostri piani. Alle 8:00 piove ancora, ma all’orizzonte si vedono ampi squarci di cielo azzurro che lasciano ben sperare per il seguito della giornata. Grazie al forte vento di maestrale alle 9:00 c’è già il sole, mentre lasciamo il parcheggio di Portoferraio. Ci fermiamo prima a fare Bancomat (ma non funziona), poi ad un grande supermercato, e cogliamo l’occasione per regalare a Federico uno zaino pieno di giochi per il mare, che però userà solo alla partenza del prossimo viaggio in aereo.

Percorriamo pochi chilometri di strada, verso l’interno dell’isola, fino a raggiungere la “Villa di San Martino”, un altro luogo legato alla presenza di Napoleone sull’isola. La costruzione, immersa nel verde, si compone di due parti ben distinte: quella più vecchia era in origine una casa rurale, regalata a Napoleone dalla sorella Paolina, che fu ristrutturata per ricavarvi una residenza di campagna, successivamente, per merito del principe Demidoff, imparentato con i Bonaparte, venne aggiunta, nel 1856, la sottostante omonima galleria, sorta per accogliere i cimeli napoleonici. La nuova costruzione, imitante lo stile trionfale di un tempietto neoclassico, altro non diventò che la facciata principale del complesso, al quale si accede percorrendo un lungo viale alberato.

La visita parte dal “piccolo” appartamento, tutto decorato con chiari riferimenti alle campagne d’Egitto intraprese dal grande condottiero, ed il tema viene ripreso nella mostra allestita all’interno della galleria, corredata di numerosi reperti e disegni dell’epoca. Il tutto si è rivelato interessante, ed è servito, fra l’altro, a dar tempo al sole per far innalzare nuovamente la temperatura dopo la burrasca notturna.

Fa già caldo ma continua a tirar vento e questo ci obbliga, di nuovo, a scegliere il lato dell’isola maggiormente protetto. Ci spostiamo verso est seguendo la strada che si inerpica sulle colline, ignorando, ancora una volta, il cartello che indica il limite di larghezza per i mezzi autorizzati a transitarvi, e arriviamo ai piedi dello sperone roccioso su cui si trovano le rovine della fortezza del Volterraio. Siamo intenzionati a raggiungerle e lasciamo il camper in un piccolo parcheggio lungo la strada, poi affrontiamo il percorso, piuttosto accidentato, che sale il modo rapido e deciso alla vetta. In meno di mezz’ora arriviamo a destinazione e Federico, trasportato dall’entusiasmo, sembra quasi dispiaciuto del fatto che la salita sia già terminata … non si può dire la stessa cosa di Sabrina e forse neanche del sottoscritto. Veniamo comunque ripagati dal bellissimo panorama che si gode sulla rada di Portoferraio e su buona parte dell’isola. Anche la fortezza ha un fascino particolare, amplificato dallo stato di decadenza in cui si trova, e risale, nella sua parte più antica, al tredicesimo secolo. Il nome, infine, Volterraio, deriva, probabilmente, dal latino “vultures”: avvoltoi, che un tempo roteavano su questa altura, a 394 metri di quota sul livello del mare. Affrontiamo la discesa e il piccolo, che si è divertito tantissimo, completa la sua impresa: tutta l’escursione senza mai chiedere di salire in braccio! Pranziamo ai piedi della fortezza, poi riprendiamo la strada che da quel punto comincia a scendere verso la costa. Ci dirigiamo verso la parte nord-orientale dell’Elba, quella maggiormente ricca di giacimenti minerari e, per questo motivo, sfruttata fin dall’antichità. Lungo il percorso, fra le cittadine di Rio Marina e di Cavo, si incontrano numerosi resti di archeologia industriale, legati alle vecchie miniere ormai abbandonate e in disuso per gli alti costi di estrazione: il nuovo business, meno faticoso e più redditizio, per gli isolani, è, senza dubbio, il turismo.

Arriviamo a Cavo, sull’estrema punta settentrionale dell’isola, dove la spiaggia, dominata da una grande villa e protetta dai venti di maestrale, è completamente formata da ciottoli ricchi di materiale ferroso e per questo, all’apparenza, disseminata di minuscole e brillanti paillettes. L’acqua, per lo stesso motivo, invece, non risulta particolarmente invitante, visto che l’abbondanza di minerale la rende giallastra, con sfumature tendenti al rosso. Non c’è che dire, il luogo è particolare, anche se non bellissimo, e vi restiamo per tutto il pomeriggio.

In serata ci trasferiamo in una delle località più note dell’isola: a Porto Azzurro, dove si trova, fra l’altro, un parcheggio per camper che ci permetterà di trascorrere una nottata tranquilla oltre, naturalmente, ad offrirci la possibilità di scaricare e di far rifornimento d’acqua.

Dopo cena, quando finalmente siamo pronti per uscire, sono da poco passate le 22:00. Soffia un forte vento e ci dirigiamo verso il grazioso centro storico di Porto Azzurro, disseminato di venditori ambulanti e caratteristici negozietti. Federico però è stanco, vista anche l’impresa del Volterraio, e chiede di andare a letto, così torniamo quasi subito al camper e, mentre cerco di aprire la porta, mi cade una chiave che riesco a perdere in pochi metri quadrati: è buio e le ricerche non danno buon esito, così non mi rimane che solidarizzare con le intenzioni di Federico, aspettando, per la chiave, la luce del sole.

Mercoledì 12 Luglio 2000: Il vento ha smesso di soffiare forte, ma non filtra molta luce attraverso le finestre, così sollevo timoroso l’oscurante mentre, purtroppo, davanti ai miei occhi si para un cielo quasi completamente coperto da grossi nuvoloni grigi … ancora non piove, ma è una magra consolazione.

Un po’ svogliati restiamo a letto più a lungo del solito, fino a quando una signora, addetta alla sorveglianza del parcheggio, non bussa alla porta chiedendo quali siano le nostre intenzioni in merito alla sosta: le diciamo di essere intenzionati a partire, e lei ci risponde che, secondo regolamento, avremmo già dovuto pagare un altro biglietto, quindi ci sollecita, chiaramente, a “levar le tende”.

Mi vesto in fretta e furia, scendo dal camper e, con la luce del giorno, trovo, per fortuna, la chiave persa la sera prima, poi metto in moto il camper e parto per fermarmi, dopo alcune centinaia di metri, in un parcheggio, lungo la strada, a far colazione in santa pace.

Non resta che cercare di riempire la giornata con visite alternative alla spiaggia, visto che le condizioni atmosferiche non sembrano proprio lasciare scampo. Partiamo, così, alla ricerca del laghetto di Terranera, una piccola depressione del terreno situata a pochi metri dal mare e originatasi laddove, un tempo si trovava una miniera di pirite. Il luogo si raggiunge percorrendo una strada stretta e accidentata che, nell’ultimo tratto, diventa sterrata per sbucare, infine, dall’alto della scogliera, sopra al lago, che spicca, grazie anche al colore giallo dell’acqua dovuto alla presenza dello zolfo, fra il verde della macchia mediterranea ed il rosso del terreno circostante. Scendiamo dal camper proprio mentre un raggio di sole riesce a perforare la fitta coltre di nubi, lasciandoci scattare una foto decente.

Restiamo alcuni minuti a goderci il panorama poi torniamo sui nostri passi e percorriamo, a ritroso, tutta la strada fino a Porto Azzurro, risaliamo quindi una stretta e breve vallata fino ad arrivare ai piedi del Santuario della Madonna di Monserrato, parcheggiamo e c’incamminiamo per raggiungerlo, ma il cielo minaccia pioggia e così rinunciamo in attesa che migliori.

Aspettiamo un po’ di tempo, non piove e decidiamo di andare: la salita è dura, e con Federico sulle spalle lo è ancor di più. Per fortuna giunti in prossimità dell’ultimo tratto, quello più ripido e accidentato, chiede di scendere e di proseguire da solo.

Il piccolo santuario, inserito in un contesto ambientale di rara bellezza ed infinita pace e tranquillità, è stato costruito nel 1606 dal governatore Josè Ponce de Leon a coronamento della sottostante vallata, nella posizione che ricorda il suo più famoso omonimo (Monastero di Monserrat), ubicato nei pressi di Barcellona, in Spagna.

Federico si diverte a scoprirne ogni piccolo particolare e quasi fatichiamo a corrergli dietro per non perderlo. Quando, infine, si rende conto di aver visto tutto quel poco che c’era da vedere appare dispiaciuto di aver terminato la visita e vorrebbe ricominciare tutto daccapo, ma il cielo minaccia ancora pioggia e forse è meglio andare.

Pranziamo e poi scendiamo a Porto Azzurro, questa volta per visitare la “Piccola Miniera”, una sorta di museo che propone la ricostruzione di quelle che erano, fino a non molti anni fa, le gallerie di escavazione dei minerali.

Sono le 13:45, e la “miniera” riaprirà i battenti alle 14:00. Ci mettiamo in attesa e “finalmente” comincia a piovere, anzi, diluvia, tanto che attendiamo fino a ben oltre l’orario di apertura prima di scendere dal camper. Poco dopo le 15:00 eccoci a bordo di un minuscolo trenino, in partenza per la visita delle gallerie, con Federico un po’ spaventato ma talmente orgoglioso da cercare di nasconderlo. Lungo il percorso ci vengono mostrate, con l’ausilio di esaurienti ricostruzioni, tutte le fasi di estrazione dei minerali. Restiamo sotto terra per non più di un quarto d’ora e poi torniamo alla luce del sole (se in questa cupa giornata si può parlare di luce del sole!). Il piccolo ha vinto tutte le sue paure, si è divertito e vorrebbe fare un altro giro, ma non è possibile, così cerchiamo di convincerlo prospettandogli un’altra interessante visita: quella all’ “Acquario dell’Elba”, che però non si trova a Porto Azzurro, ma a Marina di Campo, ad una buona mezz’ora di strada.

Lungo il tragitto, tutto saliscendi, notiamo una piccola nuvola bassa che Federico dice essere caduta dal cielo, e per questa originale affermazione non possiamo fare a meno di sorridere … infondo un po’ di buon umore non guasta.

L’ “Acquario dell’Elba” è uno dei più completi acquari mediterranei d’Europa: ospita circa 150 differenti specie di organismi marini su di una superficie di circa 1000 metri quadrati, e per dimensioni è la seconda struttura in Italia dopo l’acquario di Genova, in più al suo interno si trova anche un piccolo museo faunistico che raccoglie, imbalsamati, oltre 250 esemplari di uccelli e mammiferi tipici dell’Isola d’Elba. L’unico problema sembra essere la quantità di visitatori che, vista la giornata, è nettamente superiore alla media, tanto che il parcheggio è diventato un problema.

Lasciamo il camper dentro ad un recinto, probabilmente privato, con tanto di cancello che speriamo di non trovare chiuso al ritorno, e ci dirigiamo verso la biglietteria. Una volta entrati Federico chiede di poter vedere ogni vasca e, naturalmente, lo accontentiamo, gli dedichiamo tutto il tempo necessario e non trascuriamo nulla, tempestati, inevitabilmente, da raffiche di domande in attesa di esaurienti risposte. Terminata la visita torniamo al camper che, nel frattempo, ha fatto da “specchietto per le allodole” e ora il recinto nel quale si trova è pieno zeppo di automobili. Per fortuna ci eravamo sistemati in prossimità del cancello e così possiamo uscire.

Ormai è sera e decidiamo di tornare a Porto Azzurro per la notte. Lungo il tragitto Federico da l’impressione di addormentarsi, ma ci fermiamo a far due passi in un promontorio roccioso e, subito, si sveglia, poi arriviamo all’area di sosta, ceniamo e poco dopo le 20:00 siamo già a spasso per il centro cittadino: l’aria è frizzante e il cielo, di nuovo sgombro da nubi, punteggiato di stelle … vorremmo tanto passare una giornata al mare e vorremmo già domani poterlo fare. Con questo pensiero in testa ce ne andiamo a dormire.

Giovedì 13 Luglio 2000: I nostri desideri vengono esauditi e ci svegliamo, finalmente, con un bel sole! Vogliosi di trascorrere la giornata al meglio in men che non si dica siamo pronti a partire.

Ci fermiamo a fare qualche spesa e poi imbocchiamo una strada sterrata, poco sotto all’abitato di Capoliveri, che conduce alla spiaggia dello Zuccale. Lasciamo il camper in un parcheggio e scendiamo lungo la scalinata che arriva all’insenatura sottostante. Il luogo è bello e selvaggio, la sabbia e rossastra e l’acqua cristallina, la verdissima macchia mediterranea contrasta divinamente con i caldi colori delle rocce circostanti e con l’azzurro terso del cielo, peccato solo che vi sia un po’ troppa gente.

A metà mattinata una nuvola dispettosa si va a si sistemare proprio di fronte al disco solare, togliendoci per un’ora buona il caldo tepore dei suoi raggi. Me ne vado così con Federico a spasso lungo la scogliera e, insieme, ci divertiamo a scalare le rocce. Quando torniamo torna anche il sole e ne approfittiamo per fare un lungo bagno. Ci tratteniamo in spiaggia fin quasi alle 13:30 e poi risaliamo al camper per pranzare.

Più tardi risaliamo anche la strada sterrata e proseguiamo lungo il tratto di costa che si sviluppa a sud di Capoliveri e ai piedi del Monte Calamita, fino a raggiungere la spiaggia dell’Innamorata. L’arenile si trova in piena zona mineraria e per questo la sabbia è molto scura, a tratti nera, ma l’acqua è limpida ed invitante.

Ci andiamo a sistemare sotto ad una roccia e dobbiamo penare non poco per convincere Federico a fare un riposino che non vorrebbe fare nonostante l’evidente bisogno, ma poi, inevitabilmente, si addormenta. Fa caldo e il bimbo occupa tutta l’ombra, così cerchiamo refrigerio in mare. L’acqua è alla giusta temperatura e la vista è sublime: al largo si intravede la Corsica e verso la spiaggia si innalza una parete verticale di roccia rossa sulla quale crescono fichi d’india, enormi agavi e cespugli di ogni genere, pennellate di verde che sembrano opera di un artista. Più in alto volteggiano, trasportati dalle correnti ascensionali, alcuni gabbiani, ed il tempo vola inesorabile.

Quando si sveglia Federico torniamo fra le onde, poi raccogliamo sassolini colorati fino a sera.

Ormai all’imbrunire percorriamo tutta la strada a ritroso e torniamo, per la terza sera consecutiva, a Porto Azzurro, quindi ci prepariamo ad uscire. Mangiamo una buona pizza alla pizzeria “Il sottoscala”, gestita da immigrati napoletani, e concludiamo la serata passeggiando per le vie del centro storico e lungo le banchine del porto turistico, il luogo preferito da Federico, in quanto inesauribile miniera di punti interrogativi.

Venerdì 14 Luglio 2000: Ci svegliamo un po’ prima del solito e, con sollecitudine, ci prepariamo a partire verso la spiaggia di Fetovaia, che si trova quasi all’estremità opposta dell’isola e, anche se all’Elba le distanze non sono siderali, ci aspetta una bella serie di curve, tanto che occorrerà almeno un’ora per arrivare a destinazione.

Percorriamo, in pratica, tutta l’isola, da est a ovest, attraversiamo l’abitato di Marina di Campo e saliamo verso il tratto di costa in cui si trova la spiaggia di Cavoli (una vecchia conoscenza), proseguiamo oltre quest’ultima e, dopo alcuni chilometri, sulla nostra sinistra, ecco la profonda insenatura della Fetovaia: molto bella, effettivamente la più bella dell’isola. Ci prodighiamo a cercar parcheggio ma è impossibile trovarlo in prossimità della spiaggia, così lasciamo il camper ad almeno un chilometro di distanza poi, a piedi, la raggiungiamo.

Affittiamo un ombrellone e due lettini, onde evitare l’ammucchiata in spiaggia libera, e ci sistemiamo in fronte a quello splendido mare. Mi dedico alla realizzazione del più classico dei castelli, ma la sabbia si rivela piuttosto incoerente e la costruzione crolla prima ancora di essere terminata, in più Federico, chissà per quale motivo, ha la luna storta e ci fa perdere la pazienza per fare un bagno che non vorrebbe fare ma che vuol fare a tutti i costi (non male come contraddizione!) Il cielo non è limpido e una quantità sempre maggiore di nuvole si va addensando verso l’interno dell’isola, poi anche lungo la costa, e in tarda mattinata il sole va e viene rendendo la situazione piuttosto antipatica. Decidiamo, allora, di salire al camper per pranzare, con la speranza che il pomeriggio sia migliore.Speranza vana, il pomeriggio è peggiore: non vediamo quasi mai il sole e restiamo seduti sui lettini senza nemmeno spogliarci troppo, mentre Federico schiaccia un pisolino che speriamo serva, almeno, a schiarirgli le idee.

Sul telefono arriva un messaggio dal lavoro: mi dicono di rimanere dove sono, visto che, in mia assenza, la borsa vola … gli rispondo che va bene, purché mi mandino i soldi necessari al proseguimento della vacanza. Nel frattempo si sveglia la “piccola peste” e sembra essersi schiarito le idee. A non essersi schiarito, invece, è il cielo, e grossi nuvoloni grigi continuano a dominare l’orizzonte. Mentre Sabrina si dedica alla lettura noi “uomini duri” andiamo a scalare le scogliere della Fetovaia, poi lanciamo qualche grosso sasso in acqua e, “sprezzanti del pericolo”, facciamo anche una pipì fra le rocce. La nostra dimostrazione di forza non è servita, però, ad intimorire le nubi che sono rimaste, imperterrite, al loro posto. Rassegnati torniamo all’ombrellone, poi attacchiamo discorso con due signori e finiamo col rimanere in spiaggia fino alle 19:00, ed è tardi, visto che vorremmo passare la notte a Marciana Marina e saremmo intenzionati ad arrivarvi, fra l’altro, percorrendo tutta la costa occidentale dell’isola. Così facciamo e, dopo un’infinità di curve, arriviamo a destinazione quando il sole è, praticamente tramontato.

Dopo cena andiamo a spasso per le vie del centro e, per la felicità di Federico, in piazza c’è il circo, un “circo-bonsai”, vecchia maniera e tutto in famiglia: padre, madre, tre figli (di cui solo due operativi) e un pitone (che il piccolo trova, chissà dove, il coraggio di toccare), fanno di tutto, dai clown ai lanciatori di coltelli, dai maghi ai giocolieri … e in più riescono a vendere anche pop-corn e zucchero filato. E’ così che riescono a tenerci inchiodati alle sedie, intorno a quella pista in miniatura, per quasi tutta la serata, riuscendo, fra l’altro, anche a divertirci.

Sabato 15 Luglio 2000: Alla mattina dell’ultimo giorno intero all’Isola d’Elba c’è il sole, ma soffia un forte vento di maestrale che ci rende pessimisti sullo svolgimento della giornata balneare prevista. Ci alziamo, comunque, di buon ora, facciamo la spesa e partiamo con destinazione Sant’Andrea, una località situata sulla costa nord-orientale dell’isola, completamente esposta al vento che, incessantemente, soffia proprio da quella direzione.

Percorriamo una strada in forte pendenza, stretta e tortuosa, che arriva in una minuscola piazzetta dove risulta impossibile parcheggiare. Un’occhiata al mare ci fa desistere dal perdere altro tempo alla ricerca di un posto adatto a lasciare in sosta il camper: le onde si vanno ad infrangere con violenza sulla piccola spiaggia e sugli scogli di Sant’Andrea, scoraggiando anche i bagnanti più irriducibili e coraggiosi.

Partiamo, allora, alla ricerca di un luogo più riparato e, dopo l’ennesima, interminabile, serie di curve, arriviamo in prossimità dell’Isola Paolina, proprio al centro del golfo di Procchio, nella costa settentrionale dell’isola. Il piccolo scoglio porta il nome della sorella di Napoleone, che qui era solita prendere il sole completamente nuda e al riparo da occhi indiscreti. Molto è cambiato da allora e oggi la spiaggia prospiciente l’isolotto è normalmente stracolma di bagnanti, oggi in senso assoluto, in quanto oggi, Sabato 15 Luglio, la spiaggia è praticamente deserta, battuta anche lei da quel fastidioso e gelido vento che sembra voler rendere inavvicinabile qualsiasi spiaggia dell’isola.

A questo punto, considerata l’imminente conclusione del viaggio, comincia a prendere corpo l’idea di rientrare con un giorno di anticipo, ma non si vuole lasciare nulla di intentato e si decide di fare un ultimo tentativo, attraversando l’isola fino a raggiungere la spiaggia di Cavoli, in teoria quella più riparata. Naturalmente non siamo stati gli unici ad averlo pensato e così la piccola baia è letteralmente presa d’assalto, in più non risulta essere sufficientemente riparata: gli ombrelloni restano chiusi e tutti se ne stanno ben coperti e lontani dall’acqua … inutile continuare a cercare un luogo che non esiste, meglio far rotta verso Portoferraio e quindi verso l’imbarco, andando così incontro anche alla volontà di Federico che solo all’idea di salire sul traghetto si è illuminato, risvegliandosi, come per incanto, dal torpore nel quale era precipitato. C’è solo un piccolo particolare da tenere in considerazione: siamo già in possesso di un biglietto, ma per la domenica e non per il sabato, e guardacaso per le 11:45, la stessa identica corsa che sta per partire e che cercheremo di prendere.

Ci mettiamo in coda, facciamo i finti tonti, e non diciamo nulla, consegniamo il biglietto, ce lo restituiscono e ci fanno segno di salire sul traghetto, così, in men che non si dica, ci troviamo imbarcati. La nave stacca dal molo poi … torna indietro: vuoi vedere che si sono accorti di noi e qualcuno è rimasto a terra con il biglietto giusto in mano? … Impossibile! … Infatti il molo è vuoto ed è solo un portellone che non vuole saperne di chiudersi (già mi immagino l’ultima auto che, per colpa nostra, non ci stava e quindi è rimasta accartocciata nel meccanismo di chiusura … ma forse la mia immaginazione corre troppo!). Il problema si risolve e prendiamo il largo con circa un quarto d’ora di ritardo. Il mare è mosso ma non disturba più di tanto la navigazione, così passo tutto il tempo su e giù per le scalette che collegano i ponti della nave, alla continua rincorsa di Federico che sembra avere il fuoco sotto alle natiche e non sta mai seduto più di un minuto fra un’escursione e l’altra.

Sbarchiamo a Piombino intorno alle 13:00 e, dopo una manciata di chilometri, ci fermiamo in un parcheggio per pranzare. Nel pomeriggio percorriamo a ritroso tutta la strada dell’andata e, in prossimità di Empoli, comincia a piovere a dirotto. Sull’A1, poco prima di Rioveggio, restiamo bloccati per una buona mezz’ora a causa di un incidente e quando torniamo a muoverci spunta di nuovo in cielo un timido sole, ma non vi rimane a lungo e così arriviamo a Forlì, intorno alle 19:00, sotto ad una pioggia battente.

Non c’è che dire, le condizioni meteorologiche avverse hanno influenzato negativamente l’intero svolgimento del viaggio (anche se abbiamo dovuto rinunciare completamente alla spiaggia per un solo giorno) e, nonostante le cose più belle per Federico siano state le gallerie dell’A1, tutti noi possiamo dire di essere rimasti favorevolmente impressionati dalle bellezze dell’Isola d’Elba, tanto da poterle annoverare, tranquillamente, fra i nostri migliori ricordi di viaggio.

 Dall’8 al 15 Luglio 2000



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