Diario di viaggio all’Isola d’Elba

Viaggio all'Isola d'Elba -Portoferraio-residenze di Napoleone-Viticcio-Enfola-Marina di Campo-Cavoli-Fetovaia-Spiaggia S. Andrea-Marciana Marina-Monte Capanne; Capolìveri, Porto Azzurro, Riomarina, Cavo, Rio nell’Elba; Volterraio
Scritto da: cappellaccio
diario di viaggio all'isola d'elba
Partenza il: 23/04/2008
Ritorno il: 26/04/2008
Viaggiatori: 1
Spesa: 500 €
Isola d’Elba ponte 25 aprile 2008: Il mio consorte e il mio frugoletto spellati come peperoni, a fare il bagno inghiottiti dai cavalloni in un lido della Florida e io, allo stesso tempo, faccio rotta verso casa su un regionale cigolante, anche se non troppo affollato, partito due ore fa dalla stazione di Piombino Marittima. Il sole che filtra dal finestrino mi cuoce un po’ le braccia. Tutto l’opposto del giorno della mia partenza, mercoledì scorso, festa di S. Giorgio a Ferrara: nebbia in Val Padana alle sette del mattino, poi il cielo si è coperto ed è diventato minaccioso (a Firenze stava quasi per piovere quando ho realizzato che il mezzo di trasporto che mi avrebbe condotto a Piombino Marittima non era un treno, bensì un autobus, denominato Es-links! -non mi ero preoccupata di sondare cosa si nascondesse sotto la sigla, sapevo di viaggiare con le FS, chi si andava a immaginare che fosse un servizio sostitutivo su strada!-). Mi sono ripromessa di evitare accuratamente l’ES-LINKS al ritorno e ho chiesto all’autista dove fosse il posto n. 46. – Siediti dove vuoi. Mi fa lui per tutta risposta. Un’imprecazione mi resta strozzata in gola… Niente gabinetto per due ore e naturalmente: radio accesa. Sopravvivo studiando -miracolosamente stavolta non soffro di mal d’auto- nel dettaglio gli itinerari possibili all’isola d’Elba. Per giorni mi sono autotorturata con il pensiero di come avrei affrontato gli spostamenti sull’isola: noleggiando una bici o uno scooter? Anche perché l’hotel Scoglio Bianco, che ho prenotato, si trova a Viticcio, località non raggiungibile con i mezzi pubblici. Ora mi immagino sui tornanti ansimante sotto una pioggia battente, ora con il motorino in panne, in una zona isolata, spingendo a fatica il catorcio su pei monti… Frattanto arrivo alla stazione marittima di Piombino, dove acquisto il biglietto del traghetto che parte all’una e dieci. Durante la traversata resto sopraccoperta, imbacuccata con berretto, guanti e cappuccio. Non so come faccia la signora accanto a me con le calze a rete, i tacchi a spillo e la gonna con lo spacco, che tra l’altro porta a spasso sul ponte un cagnolino arruffato dal vento. Sopra le nostre teste si libra un gabbiano e mi domando: se dovesse scegliere fra le due chi “bombarderebbe”? Sono davvero io la più sfigata? A poche miglia dall’approdo inspiro l’aroma denso di primavera che emana dall’isola e scorgo la sagoma verticale del faro. Il cielo è limpido, di un bianco leggermente screziato d’azzurro. La motonave della Mobylines attracca alla Darsena di Portoferraio e appena sbarcata così, a un tratto, mi volto, e cosa vedo? Una corriera di Vezzali viaggi di Copparo (FE)! Piccolo il mondo, no? Saluto l’autista quale conterraneo e mi dirigo verso il noleggio MONDO dove arrivo nell’istante esatto in cui il proprietario infila la chiave nella serratura per aprire. Mi dota di una vespa azzurra corredata da caschetto nero, senza visiera. Però prima di inforcare il mezzo intendo visitare Portoferraio e dato che all’ufficio informazioni non era possibile farsi tenere il bagaglio gli smollo la mia borsa nera per andare alla scoperta del capoluogo elbano alleggerita da questo peso. Adesso c’è il sole, la temperatura è decisamente primaverile. Seguo per un po’ il lungomare poi mi addentro nel centro storico affrontando una salita. Qui ho una prima sorpresa negativa: le fortezze medicee il mercoledì sono chiuse. Dopo una breve passeggiata mi trovo davanti alla Villa dei Mulini, una delle due ville di Napoleone all’Elba (dico io: c’è stato solo 10 mesi e aveva a disposizione 2 residenze, una in centro l’altra a S. Martino). La palazzina è leggermente cadente con i muri scrostati, il giardino in lavori. Lungo le scale c’è una tipa con il fazzoletto legato dietro la nuca, in ginocchio che lava coscienziosamente le scale con uno straccio. La stanza da letto dell’imperatore è vuota: in restauro. Mi imbatto in una comitiva di ragazzini che intasa il corridoio, devo fare lo slalom per riemergere in giardino. E’ qui che scatto varie foto verso il faro -bello, slanciato, bianco e con una sorta di doppia corona reale poco prima della lanterna- e il forte stella. Una volta lontana dai cimeli napoleonici ritorno verso il mare per vedere la zona archeologica della Linguella: due-tre ruderi in riva al mare, con una torre cinquecentesca occupata da una mostra contemporanea. E’ giunta l’ora di mettere le ali ai piedi, ovvero di salire sul vespino che mi condurrà prima alla residenza estiva di Napoleone, quindi al due stelle Scoglio Bianco. Il proprietario del noleggio se n’è andato. Devo chiamarlo sul cellulare perché mi apra e leghi la borsa nera sul portapacchi della vespa. Sono pronta: a velocità supersonica (tant’è che sono stata superata più di una volta dai ciclisti) raggiungo S. Martino. Al parcheggio ho qualche difficoltà con il cavalletto. Lotto invano, finché non decido di chiedere aiuto al venditore di ricordini che è l’unica anima viva nei paraggi. Mi fa un po’ di training e mi sembra di aver capito come funziona (sono perplessa: perché è ubicato a sinistra? Solo un mancino scenderebbe da quella parte, io lo cercavo a destra). Comunque riesco a parcheggiare e a vagare per le stesse stanze in cui un tempo si aggirava il Bonaparte e persino a fotografare il cesso dell’imperatore da una finestra (infatti il piano inferiore della casa non è visitabile e da fuori faccio una zumata sulla vasca da bagno). Credevo che ci fosse un inizio di intesa fra me e la vespa, ma quando vado per accenderla, per un arcano motivo, non riesco a mettere in moto. Dunque, vediamo. Giro la chiave per il contatto. Spingo il bottoncino… Non è così? Soccorso! Il bottegaio mi spiega che se non tengo premuto un freno non si accende. Questo dettaglio mi sfuggiva. Adesso le indicazioni stradali. Tornare indietro fino alla rotonda e poi seguire la strada per Enfola e Viticcio. E’ un pelo dissestata. Mi metto anche i guanti perché tira una “sbarzola” anche se faccio solo i trenta. Dopo Viticcio non si può più procedere verso ovest se non attraverso un sentiero nel bosco che arriva fino a Forno. Lo Scoglio Bianco, il mio hotel, è un albergo appartato, anche se non del tutto silenzioso, per via del ristorante, che si trova proprio alla fine dalla discesa: l’unica strada di questa piccola frazione, Viticcio. L’arredo della mia stanza è piuttosto modesto: solo un letto matrimoniale, un comodino, sedia e tavolo. Ho un bagno tutto per me, lungo e stretto, con una meravigliosa vista sul golfo di Viticcio. Per cui per vedere il panorama è necessario andare nel cesso e non si può stare nemmeno seduti comodi sul water per farlo, bisogna alzarsi in piedi e quindi ammirare il magnifico rettangolo di paesaggio inquadrato nel vano della finestrella. Ceno da sola nel ristorante dell’hotel, che ha la stessa vista stupenda sul golfo del mio gabinetto. Purtroppo i vetri del ristorante sono appannati… Sento gonfiare dentro il petto una grande malinconia e chiamo il consorte sul cellulare. Ci raccontiamo le rispettive giornate. A letto fatico a prender sonno. Dopo un po’ prendo mezza pastiglia di Lendormin e in capo a una mezz’ora crollo di schianto, addormentata. 2° giorno: La mattina del secondo giorno inforco la vespa e comincio il giro ad anello della parte occidentale dell’Isola. A Marina di Campo chiedo aiuto a un signore per parcheggiare la vespa e con il mio casco appeso al braccio come il paniere di Cappuccetto Rosso raggiungo la spiaggia. Sulla strada mi imbatto in alcuni lavori in corso. Ci sono varie straniere che controllano le loro mappe dell’isola. Il paese non mi sembra particolarmente pittoresco. Procedo fino al molo e su per una scalinata che porta a un sentiero in pineta, ma poi scendo e torno al parcheggio. Le giornate sono corte in questo periodo -fisso incredula il quadrante dell’orologio-: è tardi! Sono già le 11 del mattino. Mi dirigo verso Fetovaia. Cavoli, sono arrivata alla spiaggia di Cavoli! Poco più avanti, dalle parti di Pomonte, scopro un sentiero a picco sul mare e decido di seguirlo, anche se è l’una e il sole spacca le pietre. Delusione: il sentiero è brevissimo e in 20 minuti sono già di ritorno alla vespa. Nel primo pomeriggio faccio tappa alla spiaggia di S. Andrea, come consigliatomi dalla proprietaria dello “Scoglio Bianco”, dove l’acqua cristallina ha un colore eccezionale e cangiante. La spiaggia è rocciosa e saltando da uno scoglio all’altro come una capra, attraverso una serie di scalini e passerelle. Si può fare una passeggiata, fino a delle rocce a strapiombo che si tuffano in mare, dove ci sono dei pescatori con la canna. La successiva epica impresa che mi attende è la risalita in cabinovia del Monte Capanne da Marciana. Prima di tutto devo scovare la stazione a valle, che non so dov’è. Per stare più tranquilla parcheggio il vespino in centro e vado a piedi su per una strada asfaltata seguendo le indicazioni “Santuario della Madonna del Monte”. Arrivo nei pressi delle rovine dell’antica fortezza pisana di Marciana. Lì c’è una terrazza proprio sopra al paese e appoggiata alla ringhiera contemplo la vallata panoramica. Ma della stazione della cabinovia nemmeno l’ombra. Sarà meglio che mi sbrighi perché alle cinque chiude. Scendo in paese usando una serie di scalette e vicoli tortuosi. La vespa è sempre lì che mi aspetta. Mi spiegano che la cabinovia è sulla strada tra Marciana e Poggio. Finalmente ecco il segnale sulla destra. Eccomi, sono pronta per la cabinovia. Mi piazzo con i piedi al centro di un quadrato indicato sul marciapiedi e al volo entro in una gabbietta gialla, tipo quella di Titti, che mi conduce sulla vetta del Monte Capanne. Appena la cabina prende quota nello stomaco mi viene una strizza dolorosa, una sensazione di spavento, che cerco di scacciare prima chiudendo gli occhi e aspirando profonde boccate d’aria, poi sedendomi sul fondo della cabina e mangiandomi una scatoletta di tonno e fagioli: per fortuna la paura non mi ha tolto l’appetito. In venti minuti sono su. Alla stazione a monte ci arrivo che sono dieci minuti alle cinque: imploro il personale di non chiudermi l’impianto in faccia! Altrimenti mi tocca scendere a piedi. L’operatore mi rassicura: “Tranquilla, ha 10 minuti per andare a piedi fino in cima, cinque minuti per fare foto e 10 minuti per tornare qui”. Perfetto, una cosa alla giapponese. Tac, tac, tac, giù. Mi inerpico per un sentierino raggiungendo i 1019 metri del Monte Capanne: il punto più alto di tutta l’Isola d’Elba. Wow! D’accordo oggi non è una giornata limpidissima, sul mare ristagna un pelo di foschia ma è comunque uno spettacolo mozzafiato. Mi resta ancora da visitare Marciana Marina. La raggiungo con un impegnativo percorso fatto di curve e tornanti, tutto in discesa. I miei sensi sono attutiti dal ronzio del motore, e sono quasi ubriaca dopo tutta la giornata passata con questo rumore di fondo. Parcheggio il mezzo e una volta smontata dalla vespa mi sembra comunque ancora di vibrare. Affronto la passeggiata sul lungomare sentendomi ancora instabile. Dalla testa, una volta liberata dal casco, si libera un ciuffo di capelli imbizzarriti. Passo dopo passo mi inoltro nel pittoresco rione Cotone, con le sue case di pescatori colorate arroccate sugli scogli e le barche tirate in secco proprio sotto le abitazioni. Un vento gentile spinge nelle mie narici un piacevole profumo di salsedine. 3° giorno (25 aprile) Ho interpellato il figlio della proprietaria dell’hotel –che nell’insieme ha una figura che ispira simpatia- riguardo ai sentieri più belli dell’Isola, avendone il prezioso consiglio di fare il periplo dell’Enfola, che terrò in serbo per domani mattina, prima della partenza. Oggi il programma è “Elba meridionale e nord-est dell’isola”. Quindi: Capolìveri, Porto Azzurro, Riomarina, Cavo, Rio nell’Elba e rientro a Portoferraio per il Volterraio (chi è che mi aveva detto che se c’era un posto da evitare con la vespa quello era il Volterraio?). Prima di tutto, però, visito i resti della villa romana delle Grotte, che si trova proprio di fronte a Portoferraio. Sono un pugno di ruderi risalenti al I secolo d.C.: anche gli antichi Romani venivano a passare le vacanze qui, mica scemi! Mi fermo sulla spiaggia di Capoliveri, ma il centro storico, su in collina, non mi ispira particolarmente, perciò punto dritta verso Porto Azzurro. Sul molo chiedo a una guardia municipale – “Si può andare su al forte S. Giacomo con la vespa o la strada è pedonale?” Nessun problema, anche se la fortezza è un penitenziario e non si può visitare. Da lassù, però, c’è un sentiero sterrato che costeggia il mare e porta, in un quarto d’ora, alla spiaggia del Barbarossa, dove non incontro il pirata ma una coppia di Svizzeri che fanno trekking e attacco bottone. Una volta ripresa la vespa e imboccato un stradino a destra faccio tappa al laghetto di Terranera, un piccolo specchio d’acqua verde smeraldo che contrasta con l’azzurro intenso del mare dal quale lo separano pochi metri di spiaggia. Il laghetto è recintato, perché è pieno fino all’orlo di zolfo… Pare sia meglio non tuffarsi. La sabbia è frammista alla polvere di ferro ed è nerastra. A Riomarina ho prenotato un’escursione al Parco Minerario, ma adesso è troppo presto perciò proseguo fino a Cavo, l’abitato più a nord dell’isola e poi torno con un percorso circolare verso Rio nell’Elba. Alle quattro sono di nuovo a Riomarina dove prendo il trenino che porta i turisti ai vecchi cantieri minerari. La terra è brulla, rossiccia, ferrosa, sembra ruggine a cristalli. Ci sono alcune pozze di acqua gialla e la montagna lì accanto è graffiata con scalfitture profonde, come se innumerevoli scalpellini l’avessero lavorata. Sul terreno spoglio spiccano minerali luccicanti: soprattutto ematite. I bambini sono sguinzagliati alla ricerca delle pietre con in mano un martelletto alla Mario Tozzi (il presentatore del programma di Rai 3 Gaia). Una piccina ha le scarpette dorate, ricoperte di brillantini e mi immagino che suo fratellino adesso le propinerà un bel colpetto con la punta del martello per scavare il minerale delle sue calzature. Anziché tornare per la strada che ho fatto all’andata decido di far ritorno per il Volterraio: la vespa ansima su per la carrozzabile finché raggiungo le Panche. A piedi avanzo faticosamente per un sentiero pietroso. Dalla sommità pare di dominare qualcosa di sconfinato e di ignoto, complice anche la luce smorzata prodotta dalla foschia e da un tramonto sfuocato. Le rovine della fortezza del Volterraio sono arroccate in posizione strategica e da quassù si ha una visuale grandiosa. Il luogo sprigiona qualcosa di magico che mi affascina, non so forse un’atmosfera mistica, una via di mezzo fra l’Irlanda e la Bretagna. Ho cominciato la difficile e ripida discesa, bilanciando il corpo con l’aiuto del casco che ho in mano e avanzando a grandi passi per fare in fretta dato che si sta facendo sera: qui rischio l’osso del collo. Infatti le suole scivolano sui ciottoli e io precipitooooo!!!!!!!!!! Un po’ ammaccata, ma salva dopo essere ruzzolata giù per il pendio, mi chino a raccogliere il casco, che mi è volato via nella caduta. In hotel, mentre mi insapono sotto la doccia continuo a rimurginare…Vorrei fare un sopralluogo per vedere com’è il sentiero che inizia qui vicino all’albergo. Detto, fatto. Incespico fra i cespugli nella penombra. La luce è appena sufficiente per vedere dove si mettono i piedi. Meglio rimandare a domani. A notte fonda mi sveglio per una pipì e resto un attimo in bagno ad assaporare l’incanto onirico dell’Enfola seminascosto nell’oscurità, con uno yacht che galleggia silenzioso sul golfo di Viticcio, e questa magica scena ha come colonna sonora mentale “O Paraiso” dei Madredeus. 4° giorno (26 aprile) E’ giunto anche il mio ultimo giorno all’Isola d’Elba. La mattina esco con la bocca ancora impastata di sonno e dopo una colazione veloce al ristorante sono pronta per l’escursione a capo d’Enfola. Passo l’edificio della tonnara che si trova sull’istmo che collega capo d’Enfola all’Isola d’Elba. Nel silenzio rimbomba il mugolio del vespino sotto sforzo mentre mi arrampico fino all’ultima casa, dove finisce la strada ghiaiata e inizia il sentiero. E’ primavera: il cielo e il mare sono di un azzurro pittorico, un calabrone ronza attorno a un papavero e dalla terra emana un piacevole tepore e un profumo denso. Più avanti entro in una pineta, grandi alberi piegati dal vento che si alzano sopra una fascia bassa e folta di vegetazione; alcuni cespugli sfoggiano fiori gialli o bianchi. Mi fermo a ridosso dei pini dove ci sono anche delle panchine e mangio una mela a morsi. Una volta finito il periplo dell’Enfola torno all’hotel e vado a fare -stavolta di giorno- la passeggiata dalla parte opposta, verso Forno. Dopo una bella camminata in mezzo al bosco ma con il mare sempre presente anche se seminascosto dagli alberi alla mia destra, arrivo a degli scogli che scendono fino al mare, in mezzo ai quali spiccano fiori gialli e di un colore fucsia brillante. Mi godo il paesaggio dell’Elba per un ultimo istante. Poi è ora di ripartire. All’una il traghetto riattraversa il canale di Piombino, socchiudo le palpebre contro la brezza: “Addio isola d’Elba!”


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