Una toccata e fuga in Indonesia: Bali, paradiso

29/04/2005 Milano Malpensa (Italia) - Bangkok (Thailandia) All'aereoporto di Malpensa tutti trascinano enormi valigie rigide, interi carrelli sommersi da sacche, zaini e straripanti borse. Con un piccolo trolley da bagaglio a mano le formalità si sbrigano facilmente: check-in, dogana, imbarco. In leggero ritardo sull'orario previsto l'aereo...
una toccata e fuga in indonesia: bali, paradiso
Partenza il: 29/04/2005
Ritorno il: 06/05/2005
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
29/04/2005 Milano Malpensa (Italia) – Bangkok (Thailandia) All’aereoporto di Malpensa tutti trascinano enormi valigie rigide, interi carrelli sommersi da sacche, zaini e straripanti borse. Con un piccolo trolley da bagaglio a mano le formalità si sbrigano facilmente: check-in, dogana, imbarco. In leggero ritardo sull’orario previsto l’aereo lilla della Thai decolla leggero dalla pista in direzione Bangkok. Si dice che sugli aerei della Thai si mangi bene, ed infatti sorridenti hostess con deliziosi abiti tradizionali di seta lilla ci offrono poco dopo il decollo un ottimo pranzo con tanto di menu à la carte e ricetta allegata. La scelta del piatto thailandese piccante si rivela vincente: rimarrà uno dei pasti migliori di tutta la vacanza, servito in stoviglie di ceramica con bicchieri di vetro e posate d’acciaio. Il viaggio procede veloce e confortevole: sedili comodi e spaziosi, servizio cortese e discreto, incredibile pulizia di tutti gli spazi, proiezioni cinematografiche e musica per sopportare la noia di 13 ore di viaggio. Presto si fa buio, e sorvolando l’India la natura offre il suo primo spettacolo: un temporale ben al di sotto della nostra rotta con splendidi lampi che vanno in ogni direzione. Correndo verso est la notte dura poco, e si va verso il giorno. L’alba dall’aereo è incredibile e limpidissima, ed il sole, che appare venti volte più grande del solito, sembra augurare buon viaggio. 30/04/2005 Bangkok – Denpasar: l’arrivo a Bali e Nusa Dua Le hostess distribuiscono orchidee viola pochi minuti prima dell’atterraggio: la Thailandia oggi accoglie i suoi visitatori con una impenetrabile foschia del primo mattino, e dai finestrini dell’aereo si intravede appena il terminal di Bangkok. All’interno l’aereoporto è caldissimo ma soprattutto sorprendentemente umido, nonostante lo sbuffare pesante dei condizionatori. Qua e là per i corridoi ci sono angoli di giardini tropicali, come piccole serre. Un’ora di scalo tecnico è quel che ci vuole per riattivare la circolazione e distendere i muscoli dopo ore di viaggio e prima di affrontarne altre. Molti approfittano per fare acquisti, credendo alla promessa – non mantenuta – di prezzi vantaggiosi, specialmente per quanto riguarda l’elettronica. Purtroppo anche l’angolo dei massaggi thailandesi risulta economicamente inaccessibile, ma resta una grande tentazione, specialmente osservando le facce soddisfatte dei clienti. Per il resto quel poco che si può vedere di Bangkok qui dentro sono negozi di profumi, cioccolato, orologi, marche famose, cianfrusaglie e paccottiglia di ogni genere a migliaia di Baht. Presto è ora di ripartire su un secondo aereo lilla della Thai che ci porterà fino a Bali: altre sei ore di viaggio passano in fretta se la prospettiva è quella di atterrare nell’isola degli dèi. Selamat Datang, benvenuti in Indonesia! A Denpasar l’atterraggio è spettacolare: l’aereo inizia a planare sul mare a pochi metri dalle onde e dai ragazzi sulle tavole da surf, quindi si adagia dolcemente sulla pista che sporge come una piccola penisola. Non bisogna nemmeno aspettare di scendere dall’aereo per notare il trionfo della natura a pochi metri dalla pista: alberi tropicali verdissimi e con quantità incredibili di fiori colorati e decine di uccelli sui loro rami che cinguettano ad un volume così alto che lo si sente attraverso i doppi vetri. L’aereoporto internazionale di Bali è, se possibile, ancora più umido di quello di Bangkok, anche perché nel frattempo si è fatta in Indonesia l’ora di pranzo. Per arrivare al ritiro bagagli si passa attraverso un tempio balinese decorato con acqua e fontane che è stato inglobato nella costruzione del terminal: un primo filtrato assaggio dell’isola.

Contrariamente alle più pessimistiche previsioni i bagagli imbarcati a Malpensa arrivano subito, e si può iniziare la coda per l’ingresso ufficiale in Indonesia. In attesa di consegnare il passaporto per il visto, insegne luminose al neon avvertono con sgargianti colori che in Indonesia è in vigore la pena di morte, anche per chi volesse importare droga di qualunque tipo. Ancora una volta le formalità si sbrigano velocemente e si può uscire in fretta dall’aeroporto. Ancora prima di uscire inizia il carosello turistico indonesiano: collane di fiori profumati al collo, proposte di alberghi, ristoranti, gite organizzate, cartelli, rappresentanti di alberghi e tour operator, fast food, vendita oggetti vari, cambio euro in rupie indonesiane (circa 1 a 12.000, oppure 9.000 per un dollaro). Nel breve tragitto in pullman si notano particolarmente le insegne di Mc Donald’s, Planet Hollywood e altre grandi catene occidentali che ormai da tempo hanno iniziato ad infestare quest’angolo di paradiso. Nonostante il lunghissimo dominio olandese rispetto a quello inglese, qui si guida sul lato sinistro della strada, sorpassando a destra. Questo inizialmente mette un po’ di confusione, visti anche il traffico intensissimo e soprattutto la quantità davvero incredibile di motorini, scooter e vespe con a bordo ragazzi, uomini, donne con la gonna sistemate come amazzoni, coppie ed intere famiglie di tre o addirittura quattro membri, tutti con uno scintillante casco in testa ad esclusione dei neonati, che talvolta sono addirittura allattati durante il trasporto (!).

Presto si arriva alla porta d’ingresso di Nusa Dua, il Main Gate. All’interno c’è una sorta di fantasmagorico parco dei divertimenti di lusso, tanto ordinato e pulito quanto artificiale, esteticamente perfetto e quasi altrettanto triste: campi da golf, fontane, statue pseudo-sacre a decorare giardini di gusto occidentale irrigati automaticamente e senza sosta, e file di alberghi a cinque stelle parzialmente occultati dalla vegetazione come sempre rigogliosa. Questa parte della penisola è riservata esclusivamente ad i turisti, infatti nessun balinese può entrarci, a meno che non lavori in una di queste oasi dello spreco e del lusso: triste storia purtroppo già sentita altrove. Anche gli alberghi imitano l’architettura tradizionale del luogo, rendendo tutto però innaturale e artificioso. Fortunatamente da qualche tempo a Bali è vietato costruire palazzi più alti di una palma da cocco, e così anche gli alberghi sono ben nascosti nel verde. All’ingresso due guardie controllano ingressi ed uscite, sorridendo istantaneamente ai bianchi e bloccando in maniera decisa gli altri. Ogni auto o pullman viene ispezionata (interno, bagagliaio e controllo del fondo tramite un apposito specchio, ma da un lato solo del mezzo!) prima che le venga sollevata la sbarra per accedere all’hotel. Il Sol Melià di Bali è come ce lo si aspetta: sfarzoso, elegante, troppo grande, finto-indonesiano, bello e lussuoso ma triste ed anonimo. All’arrivo cocktail di frutta, suono del gong, sorrisi a non finire da parte di guide e altri dipendenti del complesso turistico che sostengono tutti di avere un nome italiano, ed un assaggio di musica Gamelan: un rapidissimo riassunto della cultura indonesiana a beneficio di chi poi non avrà altro da raccontare per descrivere la sua vacanza “esotica”. All’interno del complesso laghetti artificiali con grandi pesci, giardini curati con piante esotiche, fontane, magnifiche decorazioni nella sabbia lisciata di alcuni cortili interni, la tipica grande piscina con acqua dolce e così poco profonda che è impossibile nuotarci, eleganti prendisole in teak sul bordo rovente, capanne per massaggi dai costi proibitivi e così via. Anche le stanze ed i bagni (dove il gorgo d’acqua scorre in senso opposto a quello “italiano”!) sono in uno stile che riprende quello locale, con molto legno scuro, una temperatura mediamente polare ed un’umidità – nonostante l’aria condizionata – che rovina tutti i libri, piegandoli ed accartocciandoli. Curiosamente la maggior parte dei clienti si ferma a prendere il sole sul cemento che circonda la piscina tra un drink ed un pettegolezzo con un connazionale, e così la spiaggia viene bistrattata e rimane semideserta. Seminascosto da altri confortevoli lettini c’è anche un altro dei mille templi di Bali, ormai inglobato anch’esso nel complesso alberghiero. A disposizione dell’hotel c’è un’intera piccola baia con sabbia bianca accuratamente ripulita più volte al giorno. A pochi metri da terra l’acqua è limitata da una fila di piccole boe rosse, la cui necessità resta ignota, visto che durante le due fasi di bassa marea le boette finiscono a galleggiare a pochi centimetri dal fondo, ma anche quando la marea è alta in tutta la baia si tocca per decine di metri, probabilmente fino alla barriera corallina che è abbastanza lontana dalla costa. Quando la marea è bassa – ed ogni marea regolarissima dura sei ore – è effettivamente molto difficile bagnarsi o immergere qualcosa di più che piedi e caviglie, e la spiaggia diventa lunghissima. Il mare è molto pulito, trasparente e veramente caldissimo, ma non eccezionalmente bello. Nella zona normalmente raggiungibile da riva non si notano molte forme di vita: quasi nessun pesce, molte alghe al di là del limite di boe. Resta comunque il sogno realizzato di chi arriva da una grigia metropoli italiana. A terra oltre agli uccelli, i pochi clienti che scelgono di sporcarsi i piedi con la sabbia e i venditori ambulanti, ci sono decine di scoiattoli che vengono a mangiare pezzi di pane direttamente dalle mani di chi glielo offre. Mancano quasi del tutto, invece, gli insetti, zanzare comprese. Dopo più di venti ore di volo e sei fusi orari di differenza addormentarsi un’oretta sulla spiaggia viene più che naturale. Alle sei e un quarto precise, tutto l’anno, il sole tramonta, così come alle sei e un quarto della mattina successiva risorgerà. La regolarità dell’Equatore è impressionante. Sparsi qua e là nell’albergo ci sono diversi ristoranti (tra cui uno giapponese ed uno disgustosamente italiano), pub, bar, negozi e boutiques costosissime, ed ogni altra cosa atta a trattenere nella prigione dorata il turista medio. In ciascuno di essi vengono servite a buffet più o meno le stesse pietanze di cucina internazionale, da una cattiva lasagna ad un cattivo nasi goreng per europei, da una macedonia di frutti tropicali ad una pastiera napoletana, il tutto in quantità mostruose. Ai tavoli, sorridenti camerieri zelanti si prodigano in un inglese approssimativo a servire birre e bibite gelate, ma niente acqua frizzante purtroppo. Ormai è notte fonda, e nel cielo stellato e luminosissimo non si vede la Stella Polare, bensì la Croce del Sud. 01/05/2005 Cooperative artigiane (Ubud, Mas, Celuk) e tempio marino Pura Tanah Lot Il tragitto in direzione Ubud per iniziare a conoscere l’arte e l’artigianato di Bali non è lunghissimo, ma le strade sono molto trafficate ed il piccolo pullmino fa fatica a muoversi agilmente in questa confusione. C’è così molto tempo perché la guida balinese dalla pelle butterata possa avere modo di spiegare a grandi linee alcuni punti cardine della realtà di quest’isola.

Il sistema delle caste deriva dalle tradizioni hindu, ma non è rigido come quello indiano e comprende anche una casta in meno (i paria). Le caste determinano ancora i ruoli di ciascuno nei riti religiosi e la forma di linguaggio da usare in ogni situazione sociale ma l’importanza pratica della casta di appartenenza delle singole persone sta progressivamente diminuendo. Il ruolo lavorativo delle persone nella società dipende quasi esclusivamente dalle capacità e dai meriti dei singoli nello studio e nella professione. Si appartiene ad una casta per nascita (la maggior parte dei balinesi appartiene alla casta dei sudra) e gli uomini vi rimarranno per sempre, mentre le donne entreranno a far parte della casta del marito. Non è raro che donne belle e dall’aspetto “nobile” per i canoni di un indonesiano (ad esempio la pelle più chiara possibile) possono migliorare la loro condizione attraverso il matrimonio. In Indonesia l’istruzione è per il momento ancora a pieno carico della famiglia. Recentemente il nuovo governo, il secondo dopo la fine dei regimi di Sukarno e di Suharto, e che è in carica da pochi mesi ed appartiene all’ala destra, ha già apportato diverse innovazioni sostanziali: attraverso un aumento del prezzo della benzina – che comunque costa all’incirca 20 centesimi al litro – sta cercando contribuire almeno in parte alle spese dei primi anni di scuola. L’istruzione dei bambini inizia con sei anni di scuola elementare, cui seguono tre anni di scuola secondaria inferiore ed altri tre di scuola secondaria superiore che consente di accedere all’università. Quasi tutti i bambini terminano le elementari ed anche i successivi tre anni, ma solo un quarto di loro ha la possibilità di arrivare alla fine della scuola secondaria superiore. L’università è molto costosa e se la possono permettere in pochi, anche se a Bali sono attive quasi tutte le facoltà.

Anche la sanità indonesiana è ancora totalmente a carico del malato, senza nessun tipo di servizio nazionale e di mutua. Fortunatamente a Bali le malattie come i tumori sono molto rare, e quando si è anziani e ci si ammala è giunto il tempo di morire.

Oltre al calendario occidentale, i balinesi seguono anche due calendari locali: il calendario Wuku ed il calendario Saka.

Il primo è usato per stabilire l’esatta delle festività. È formato da 10 tipi di “settimana” di lunghezza che varia da uno a 10 giorni e che scorrono simultaneamente. Gli incroci tra queste settimane determinano i giorni propizi. La festa più importante è quella del Galungan, 10 giorni nei quali gli dei scendono sulla terra per i festeggiamenti che terminano con il Kukingan, quando i balinesi ringraziano e salutano le divinità. Il calendario hindu Saka è invece basato sulle fasi lunari, e la sua lunghezza è più o meno congruente con quella dell’anno occidentale. Alcuni templi importanti basano la loro feste religiose su questo calendario, è per questo è difficile stabilire le corrispondenze del nostro calendario. La festa più importante di questo anno è Nyepi, il giorno del silenzio. Si celebra in genere tra marzo e aprile, alla fine della stagione delle piogge, e separa l’anno vecchio da quello nuovo. Al termine dei preparativi, che durano diverse settimane, nel giorno di Nyepi ogni attività umana si arresta: l’assoluta inattività a serve affinché gli spiriti maligni discesi sulla terra credano che Bali sia disabitata e lascino quindi l’isola in pace per un altro anno.

*** A Mas c’è una fabbrica artigiana del legno: alcune aree espositive con centinaia di sculture ed oggetti di legno intagliato di ogni tipo. Ci sono oggetti con funzioni decorative ma anche vere e proprie opere d’arte. Molti pezzi sono a tema religioso: demoni di natura protettiva o simbolica, ma anche Buddha ed addirittura una statua di Cristo (non si sa mai!). Il livello tecnico è molto elevato, le sculture sono di ottima qualità, ed i prezzi sono conseguentemente piuttosto alti. La parte più interessante della visita si svolge comunque all’esterno dell’area espositiva, dove gli artisti lavorano ed intagliano il legno all’aria aperta, seduti per terra od appollaiati su strutture per le sculture più grandi. Tutti si lasciano fotografare molto volentieri, sono molto cordiali e, pur non parlando quasi l’inglese, cercano comunque di rispondere alle domande. Le tecniche della scultura e dell’intaglio sono molto affascinanti, ed è incredibile specialmente poter osservare la fase in cui da un pezzo di legno grezzo e senza altra forma se non quella di un tronco questi artisti sappiano tirare fuori con pochi colpi le basi di un’opera d’arte. Anche la cesellatura e la limatura finale lasciano a bocca aperta, e tutti i tipi di legno sembrano soffice burro sotto queste mani esperte e velocissime. Il legno lavorato è prevalentemente ebano o teak per le opere di qualità più alta, oppure mogano. La tappa successiva riguarda l’arte della pittura. In diversi edifici sono esposte le tele divise per genere pittorico: in un piccolo padiglione poco dopo l’ingresso ed attaccato all’immancabile tempio con le offerte sono appese piccole e grandi tele di pittura Naif ed opere d’arte moderna a tema astratto, in un altro esempi dei tre tipi di pittura classica classica balinese e così via. Indipendentemente dal genere e dal soggetto, è comunque evidente l’intento di compiacere il gusto del turista occidentale. Di nuovo la parte più interessante della visita è osservare la cooperativa di artisti al lavoro. Alcune opere sono realizzate come una sorta di fumetto: figure umane stilizzate di profilo o di tre quarti, gesti simbolici… I personaggi divini ed eroici sono raffinati, mentre i malvagi rozzi e volgari. Solitamente i dipinti sono ricchi di dettagli che raggiungono e riempiono ogni centimetro di tela libero. Osservare un artista che con estrema precisione disegna a matita i complicati tratti di una nuova opera è interessantissimo, lo stesso vale per la coloritura in bianco e nero di un quadro, un lavoro lunghissimo che richiede una pazienza certosina. Anche in questo caso i prezzi iniziali sono abbastanza alti, ma nella maggior parte dei casi si riesce a contrattare arrivando ad un prezzo equo e che soddisfi sia l’acquirente che il venditore.

L’ultima visita della mattinata si svolge a Celuk, presso una cooperativa per la lavorazione dell’argento: gioielli ed altri oggetti artistici. Orafi ed argentieri (per la maggior parte giovani donne) lavorano a mano piccolissimi parti di filigrana per costruire intricate decorazioni. Nonostante l’ottima qualità del risultato e la sua bellezza, comunque, i prezzi in questo caso sono sproporzionati ed inaccessibili. *** Nel pomeriggio c’è tutto il tempo per una visita al tempio di Tanah Lot, forse il più conosciuto e fotografato angolo di Bali. Fa parte dei templi marini: ciascuno di essi è stato costruito in modo da essere visibile dal tempio marino successivo, formando così una catena nell’isola che va da sud verso nord ovest. Essendo posizionati sulle scogliere i templi marini hanno un fascino particolare, Tanah Lot in particolare è molto pittoresco. Il tempio stesso è abbarbicato su un’isoletta rocciosa in mezzo alle onde lunghe che lo lambiscono violentemente. I suoi contorni si stagliano netti rispetto all’orizzonte specialmente alla luce dell’alba e del tramonto, evento per il quale questo luogo è particolarmente celebre. Alle sei e un quarto, infatti, decine se non centinaia di turisti sono radunate lungo i numerosi belvedere della scogliera per ammirare il cielo passare da blu a rosso-arancione e vedere la grossa palla del sole scomparire nel mare. Dal punto di vista religioso Tanah Lot è uno dei templi marini più importanti e venerati dai balinesi, anche se a Bali ci sono templi ovunque: ogni villaggio ne ha diversi, ma ce n’è anche uno piccolo in ciascuna casa. Il tempio è detto “pura”, cioè uno spazio delimitato da un muro (in sanscrito). Tutti i templi sono orientati in direzione montagna-mare: verso il mare si trova l’ingresso, mentre la zona più sacra è quella verso la montagna. Allo stesso modo la direzione verso il sorgere del sole è più importante di quella verso il suo tramontare.

I templi marini furono fondati nel XVI secolo dal sacerdote Majapahit Nirartha. Ogni tempio, oltre a dover essere visibile da quello successivo, era unito agli altri nel suo omaggio agli dèi del mare. Dal punto di vista turistico-commerciale Tanah Lot è una macchina perfetta che parte ancora prima di arrivare al tempio: parcheggio a pagamento, ingresso a pagamento. A questo punto c’è un lungo passaggio obbligato che scende verso il mare: negozi a destra ed a sinistra, bancarelle, curiosità, show con bambini ed animali, venditori ambulanti, carabattole e paccottiglia, lustrini e tarocchi… In mezzo a questo turisticissimo caos è comunque possibile fare qualche buon affare, specialmente se si aspetta che venga buio, ovvero la fine del tramonto-show: 30 cartoline di qualità discreta per l’equivalente di un euro, un completo per bambini a due dollari e mezzo, animali e statuette di legno e così via. Per arrivare vicino al tempio non c’è altro modo che lasciarsi trascinare dal fiume di vacanzieri senza tentare vanamente di opporre resistenza. Quando c’è l’alta marea, comunque, è impossibile raggiungere a piedi l’isoletta rocciosa sulla quale si trova il tempio, ma si può raggiungere al massimo una piccola penisola di scogli che vi si avvicina. Il panorama più spettacolare del tempio in mezzo al mare si ha però dall’estremità opposta di una piccola baia, o addirittura dalla punta della penisola successiva sulla quale si trova anche un ennesimo altro tempio. Nella seconda baia arrivano grosse e lunghe onde che spumeggiando si abbattono sulla spiaggia, ed alcuni surfisti ne approfittano per mostrare la loro abilità sulla tavola. A mano a mano che si avvicina l’ora del tramonto i surfisti tornano a terra e si appollaino sugli scogli, che si popolano anche di decine di grossi granchi neri. Contemporaneamente le centinaia di turisti accorse qui per lo spettacolo del tramonto si contendono a suon di gomitate e pestaggi di piedi le tante zone panoramiche con tanto di tavoli, sedie e cocktail di frutta a mo’ di aperitivo. La cosa migliore è scendere invece sulla spiaggia in compagnia degli innocui granchi per potersi gustare lo spettacolo (quando non c’è foschia!) con il solo rumore del mare e la compagnia di pochi pescatori al di là dell’arco naturale formato dalle rocce. 02/05/2005 Zona del Danau Bratan: tempio lacustre di Bedugul, mercato dei fiori di Candikuning, risaie e batik Oggi il cielo è grigio e minaccia pioggia, ma, anche se il clima è sempre umidissimo, nonostante il brutto tempo la temperatura è sempre molto elevata. Fortunatamente il programma prevede un’escursione ad 800 metri s.L.M., dove il tempo è sempre fresco e ventilato anche quando c’è il sole. La meta è nella zona del Danau Bratan: il tempio lacustre vicino a Bedugul, il mercato dei fiori di Candikuning, e, per finire, un pranzo finalmente pseudo-indonesiano vista risaie.

Come al solito un lungo tragitto in pullman (un’ora e mezzo circa arrampicandosi sulle montagne) permette alle guide di descrivere con dovizia di particolari quello che si andrà a visitare. L’occasione è propizia per introdurre la religione balinese: la maggior parte degli abitanti di quest’isola si definisce hinduista, ma comunque il loro hinduismo è ben diverso da quello indiano. Alle tre divinità hindu “classiche” (la trinità composta da Brahma, Shiva e Vishnu), a Bali si venera un dio supremo: Sanghyang Widi. Esse non vengono mai rappresentate direttamente, ma piuttosto si allude a loro, ad esempio, con un trono vuoto; inoltre vengono interpretate come una multiforme rappresentazione di un unico dio. L’animismo è una radice fondamentale della cultura di Bali, e per i suoi abitanti gli spiriti sono ovunque. Le offerte effimere presentate ogni mattina in ogni casa, negozio, ufficio sono presentate in egual misura agli dèi buoni ed ai dèmoni. Si tratta di opere d’arte in miniatura destinate a non durare nel tempo, così come le decorazioni per templi e cerimonie, le piramidi di frutta e cibo decorato per le celebrazioni ed i lamak, i lunghi fasci di foglie di palma usati come decorazioni durante i festival. Il tempio (Pura) Ulun Danu Bratan è situato in posizione spettacolare su piccole isole ed è completamente circondato dal lago. Fondato nel XVII secolo, è un tempio sia hindu che buddhista, ed è dedicato a Dewi Danu, la dea delle acque. Qui, infatti, si svolgono i pellegrinaggi e le cerimonie per assicurare abbondante acqua ad i contadini di tutta Bali. Caratteristici e molto famosi sono i suoi classici meru, ovvero i santuari a più tetti di paglia hindu, che si riflettono sulle acque del lago e contrastano con le montagne circostanti ed il cielo nuvoloso. All’arrivo, una graditissima sorpresa: poco prima del gigantesco Ficus Beniamina all’ingresso del tempio, una coloratissima processione sfila risalendo la collina. Una lunga fila di donne vestite con abiti tradizionali dai colori molto sgargianti reca offerte di cibo, frutta e fiori: uno spettacolo stupendo! Prima di pranzare si fa ancora a tempo a visitare il mercato dei fiori di Candikuning, tradizionale centro dell’orticoltura balinese che rifornisce di frutta e verdura tutta la zona turistica sulla costa meridionale di Bali. Un cambiavalute accanto al mercato capita a fagiolo: con qualche centinaio di migliaia di rupie in tasca (ovvero qualche dollaro!) qui si possono fare ottimi affari. Non è difficile trovare bellissimi sarong e parei, scatole ed oggetti di legno intagliato, oggetti per la cucina in cocco, soprammobili, abiti, album portafotografie in foglia di banano e tantissimi altri prodotti di artigianato locale ad un prezzo molto conveniente rispetto ad altre parti dell’isola. La contrattazione è come al solito indispensabile, assieme all’immancabile teatrino: due prezzi assurdi (uno, altissimo, del venditore, ed uno anche dieci volte più basso ed altrettanto improbabile proposto dal compratore), decine di proposte, esclamazioni, espressioni esagerate e frasi concitate (“bancarotta!” in italiano è una delle esclamazioni preferite dai balinesi quando si fa un’offerta più bassa di quanto loro si aspettino, anche quando la contrattazione si svolge in inglese o in Bahasa Indonesia)… Fino a quando il compratore se ne va rifiutando l’acquisto, ed il venditore lo insegue proponendo l’ultimo prezzo. Avendo tempo a disposizione è un ottimo metodo per acquistare al prezzo giusto ma anche per avere occasione di entrare in contatto con i sempre sorridenti, cortesi ed onesti abitanti dell’isola. Attorno alle bancarelle girano anche molti venditori di orologi, muniti di grandi valigie a scomparti stracolme di riproduzioni quasi perfette degli orologi di lusso che tanto piacciono al turista occidentale: Rolex, Gucci e così via. Chi li ha acquistati anni fa sostiene che funzionino perfettamente ancora oggi, sia quelli a pila che quelli automatici. I prezzi vanno da 3 a 30 euro a seconda del modello.

Il pranzo previsto oggi è stato prenotato in un ristorante parte di un resort di lusso: il Pacung. Abbarbicato su una collina, ha un grandissimo balcone con i tavoli da pranzo che si affaccia su una valle interamente coperta da risaie a terrazza. Le terrazze adagiate sui fianchi delle colline stupiscono per la loro armonia, in un caleidoscopico insieme di forme, proporzioni, colori e luci da cui si evince la cura “spirituale” che i balinesi vi profondono. Con i rari momenti di sole, poi, tutta la valle si illumina di verde chiaro in un panorama che toglie il fiato. La lingua indonesiana ha ben tre parole per definire il riso: padi, la pianta in crescita, beras, il chicco di riso crudo, e nasi, il riso cucinato, come l’ottimo nasi goreng (cioè riso fritto) servito in questo spettacolare ristorante. A Bali, dato il clima estremamente favorevole, si riescono a fare fino a 4 raccolti all’anno di riso comune, e circa 2 di riso nero, di qualità pregiata. La leggenda narra che un gruppo di agricoltori balinesi avesse promesso di sacrificare un maiale nel caso che il raccolto fosse stato particolarmente abbondante, ma poiché non si trovava nessun maiale, non restava altra scelta che sacrificare un bambino. Riluttanti, i balinesi – che amano particolarmente i bambini perché li ritengono più vicini a dio – ebbero un’idea: siccome la promessa era di sciogliere il voto al momento del raccolto, se ci fosse stato sempre del riso da raccogliere il sacrificio non sarebbe stato necessario. Da quel giorno si pianta sempre un nuovo campo di riso prima di raccogliere la messe del precedente. Tornando a Nusa Dua una graditissima sosta è ad una fabbrica artigiana di Batik. Arrivare preparati è molto importante, perché le “fregature” sono in agguato, specialmente in questo campo. Questa tecnica di tintura è adottata dai balinesi per realizzare a mano stoffe per abiti dai disegni sgargianti, quadri ed altri oggetti e capi. Il colore è molto vivace e, se il batik è originale, la tintura penetra in tutte e due le parti del tessuto. All’esterno dell’area espositiva alcuni artisti lavorano in diversi modi: chi disegna nuovi motivi per i tessuti, chi mostra ai visitatori gli stampi, chi disegna su stoffe coloratissime che poi espone al pubblico. Molti turisti si fanno fare piccoli disegni sui vestiti che indossano a mo’ di souvenir. All’interno diverse sale raccolgono sarong, abiti, tende, stoffe, vestaglie e moltissimi quadri. Il risultato del batik su cotone non è lontanamente paragonabile a quello su seta, ma anche i due prezzi differiscono parecchio. C’è da dire, però, che i prezzi esposti sono, come al solito, molto più alti di quelli che si riuscirà a strappare dopo qualche minuto di chiacchiere e proposte. Mettendosi poi d’accordo con il venditore stesso, con una mancia di qualche dollaro si riescono a fare ottimi affari per prodotti belli e di altissima qualità. Dopo una giornata come quella di oggi, se non ci si è pensato dall’Italia sarà il caso di acquistare un borsone da poche rupie per portare a casa le decine di acquisti fatte! 03/05/2005 Kuta, lo shopping e le vacanze organizzate Kuta è un ghetto turistico a metà tra la nostrana Rimini ed una cubana Varadero: alberghi, fast food, ristoranti, insegne luminose, interi immensi palazzi adibiti a centro commerciale, gigolò, motorini, venditori, karaoke, surfisti australiani, discoteche e così via. Tutta la zona è racchiusa sotto una campana di vetro che la isola dal resto di bali e la rende un inverso avulso da esso.

Girare per le due vie è una delle esperienze più stressanti che si possano fare sull’isola, tra il bombardamento pubblicitario delle vetrine e i venditori ambulanti che qui sono insistenti e quasi fastidiosi. Come al solito i metodi per riuscire a girare “quasi” in pace sono il cercare di non incrociare mai lo sguardo di chi cerca di attaccar bottone (sempre che la cosa non interessi!), e, se possibile, non considerarlo minimamente, a costo di esser scortesi. Un’altra buona idea può essere quella di fingersi di una nazionalità di cui quasi nessuno conosce la lingua, per esempio la Norvegia… A parte questo Luna Park dello shopping, ed una spiaggia affollatissima ed altrettanto caotica adatta forse solo a fare surf, a Kuta non c’è assolutamente nulla da vedere. In enormi repliche della nostra Rinascente si vende esattamente quello che che siamo abituati a trovarci: vestiti delle nostre marche costose, scarpe da ginnastica, le solite riproduzioni quasi perfette degli orologi di lusso ma a prezzi più alti che altrove, capi griffati e grandi firme. Si trovano anche alcuni brutti esempi di artigianato locale ma a prezzi fino a 10 volte più alti che nei mercati. In alcuni casi può essere comunque un’idea intelligente fare un salto a Kuta, a patto di riuscire a scapparne subito: molti capi sono evidentemente contraffatti ma sono comunque di qualità ottima, ma per alcune marche addirittura si tratta di vestiti originali prodotti in Indonesia per conto della casa madre che ha concesso qui una licenza. L’esempio più lampante è Ralph Lauren, che produce qui gli abiti che sono poi venduti a prezzi spropositati in Europa, e che a Bali non vengono certo regalati ma hanno un prezzo più che accessibile per qualunque turista (e per ben pochi locali). I negozi Polo, infatti, qui sono un po’ ovunque, e forse vale la pena visitarli, non fosse altro che per l’aria condizionata! Un altro luogo decisamente meno spiacevole per fare un po’ di shopping per chi alloggia a Nusa Dua è raggiungibile invece a piedi da tutte le lussuose prigioni a cinque stelle e si trova subito fuori dal Main Gate: qui si trova, infatti, un mercato abbastanza grande con decine di repliche identiche degli stessi oggetti, ma il clima è invece rilassato e piacevole. I venditori non sono affatto insistenti, ma invece socievoli e piacevolissimi. Con molta tranquillità si riescono spesso a contrattare prezzi onesti. Molte madri sorvegliano la loro bancarella sedendocisi davanti e chiacchierando con le amiche mentre tutte sorvegliano i figli che giocano assieme: molte di queste si fanno fotografare volentieri e spesso chiedono loro stesse di esserlo, o di immortalare i figli, per poi vedere il risultato sul display delle macchine fotografiche digitali… L’unico problema è convincerle a non mettersi in posa! La sera il programma prevede l’incubo temutissimo delle vacanze organizzate: la cena al ristorante italiano! Tra l’altro, per avere l’ambitissima occasione di mangiare finalmente lasagne e tagliolini (era il sogno di una vita!) bisogna andare fino a Sanur, sacrificando per la causa un’ora di sole. Ad onor del vero, comunque, la cena preparata da un cuoco italiano che vive a Bali da una ventina d’anni è ottima, anche se del Nasi Goreng sarebbe stato più gradito. 04/05/2005 Ulu Watu e le sue scimmie, la cerimonia nel tempio, Sanur e Mengwi L’ultima giornata intera sull’isola di Bali va sfruttata intensamente ed organizzata al meglio: la partenza per Ulu Watu, che si trova non lontano da Nusa Dua, è di prima mattina.

Il sito si trova sulla punta occidentale della penisola, in cima ad una scoscesa collina. Nonostante la poca distanza dalla nostra Disneyland degli hotel, che si nota immediatamente il clima leggermente più secco, anche se non molto più fresco.

Anche Ulu Watu, come Tanah Lot, è un’importante tempio marino costruito lungo la costa meridionale di Bali in onore degli spiriti del mare. È stato fondato nell’XI secolo da un sacerdote di Java di nome Empu Kuturan, e successivamente è stato ampliato da Nirartha, famoso anche per avere costruito altri templi, tra cui Tanah Lot. Questo sacerdote, anch’egli giavanese, si ritirò proprio ad Ulu Watu per trascorrere gli ultimi giorni della sua vita dedicandosi al raggiungimento della libertà dai desideri terreni All’ingresso, se non ci si avesse pensato prima, è possibile noleggiare il sarong e la fascia necessari per entrare nel tempio. Attraverso un corridoio fiancheggiato da statue di Ganesha si arriva alla vera particolarità ed attrattiva di questo luogo: il punto più alto della scogliera su cui sorge il tempio, diversi metri sopra un mare cristallino, dal quale si gode di una delle viste migliori di tutta l’isola.

Il tempio Pura Luhur Ulu Watu è comunque famoso soprattutto per le scimmie che girano tra i vari edifici, e si divertono a portare via occhiali da sole, orecchini, cappelli, ciondoli e qualunque cosa riescano ad afferrare, compresi zaini pesantissimi più grandi di loro: sanno che per di riaverli il turista sarà ben volentieri disponibile ad offrire la loro delle noccioline da sgranocchiare, che il venditore ambulante di turno gli procurerà in un baleno. Queste scimmie sono davvero tantissime, e non hanno – fortunatamente – alcuna paura dell’uomo; al contrario hanno volentieri contatti con lui. È bellissimo vedere file di appartenenti allo stesso nucleo familiare che si spulciano a vicenda tra le statue a forma di elefante decorate con i quattro colori sacri, oppure mamme con piccolissimi cuccioli che, aggrappati alla pelliccia sotto la pancia, sopportano corse e salti senza rischiare minimamente di cadere, per poi essere allattati e coccolati con movimenti e gesti umani.

Nel pomeriggio non resta che noleggiare un motorino e buttarsi nel traffico sperando d’aver fortuna. La maggior parte degli scooter in affitto, pur essendo degli “cinquantini”, ha il cambio manuale, anche se per guidarli non serve la patente. Il prezzo per ventiquattr’ore di noleggio è veramente irrisorio: sette dollari per il cambio manuale e 10 per quello automatico, compresa regolare assicurazione. Portarsi un cappellino con visiera da mettere sotto il casco è un’idea provvidenziale perché il casco, anche se nuovo di zecca, è enorme su qualunque tipo di cranio e, senza la visiera, cade sugli occhi impedendo di vedere la strada. Vista la leggerezza dello stesso, viene comunque da dubitare sulla sua resistenza in caso di incidente: uno sguardo scaramantico all’immancabile offerta floreale nel porta oggetti del motorino di sicuro non fa male! Il traffico verso Denpasar è veramente intenso, ma è soprattutto incredibile la quantità di scooter e motorini con una media di tre persone a bordo che forma gorghi ed anse come il più impetuoso dei fiumi. Guidare qui non è comunque più pericoloso che guidare in uno qualsiasi metropoli europea, anche se bisogna abituarsi alla circolazione “all’inglese”. La meglio anche non discutere con un poliziotto che prepara un verbale per un sorpasso a sinistra mai effettuato e che chiede cinque dollari “da spedire al governo dell’Indonesia” in un inglese impreciso.

Ovunque lungo la strada ci sono negozi di mobili che espongono sedie e tavoli da giardino in teak davvero graziosi, ed altre componenti dell’arredamento. I prezzi, poi, sono realmente convenienti anche considerando una spedizione via nave in Italia. Oltrepassata la città, un colpo di fortuna che da solo vale un viaggio Bali: poco dopo un ponte si sente una musica amplificata, e delle parole incomprensibili recitate come una messa. Lungo il fiume, infatti, diversi lamak contrastano con il cielo azzurro e l’acqua sottostante. Si tratta di lunghi fasci di foglie di palma usati come decorazioni durante i festival, ed anche il resto del tempio è decorato a festa. Tutte le statue hanno legato intorno alla vita a un drappo a quadrati bianchi e neri, due dei colori sacri balinesi, e sono riparate da un ombrellino dello stesso colore. Una ha perfino una sigaretta in bocca! Alla base, gli immancabili piccoli cestini di foglie di palma creati ogni mattina per ospitare graziose composizioni floreali e bastoncini di incenso si affiancano ad altissime colonne di coloratissima frutta, cibo, decorazioni. Anche se all’interno del tempio si sta svolgendo una cerimonia, i turisti sono benvenuti, a patto che indossino la fascia sacra prima di entrarvi. All’interno tutti sorridono, e quasi tutti accettano anche volentieri di essere fotografati, ringraziando subito dopo. Quasi tutti sono vestiti da cerimonia, il colore prevalente è il bianco; molti hanno anche dei chicchi di riso in mezzo alla fronte o in altre parti del viso, compresi i bambini. In una prima “stanza” si svolge una sorta di “benedizione”. A turno, prima una donna e poi un uomo si inginocchiano in preghiera seguendo un rituale preciso. Una sorta di sacerdote con un secchiello argentato e di una specie di pennello spruzza acqua su di loro, sulle offerte e sull’altare, più volte. Al termine del rituale vengono fatti ulteriori offerte di fiori, frutta etc. Più avanti si trova una grande piattaforma coperta, sopra la quale siedono due uomini davanti ad un tavolo. Uno dei due è quello che recita le parole incomprensibili in bahasa bali nel microfono. Infine c’è il tempio interno vero e proprio, dove possono entrare solo gli hinduisti. All’interno si intravedono decine di persone vestite di bianco intente in una cerimonia decisamente affascinante. Se è vero che a Bali ci sono templi ovunque, non è così scontato incontrarne per caso uno in festa nelle poche ore libere di una vacanza organizzata. Resterà l’esperienza più bella di tutta la settimana.

In un motorino sull’asfalto e con un casco sulla testa sotto il sole dell’equatore il caldo si fa decisamente sentire nonostante la brezza. Sanur non è lontana, ed un bagno in una delle spiagge più famose di Bali è una prospettiva allettante. Anche per raggiungere la spiaggia libera in motorino è necessario pagare un parcheggio, ma il valore della moneta pagata per il pedaggio è così basso che non è traducibile in euro! La spiaggia realtà non è granché: la sabbia è a grana grossa con molte alghe secche specialmente sul bagnasciuga, il mare è opaco e biancastro per via dei sedimenti sabbiosi che si sollevano grazie alla corrente che qui è abbastanza forte, e grossi sassi appuntiti rendono difficile muoversi se non nuotando anche dove si tocca. Qui l’acqua è molto più fredda che nella baia protetta del Sol Melià, di fronte a Nusa Penida.

In una spiaggia che non è riservata ad un albergo, però, si conoscono molti balinesi che si concedono una pausa rinfrescante. Tra di loro Nura, una ragazza di Java che si è trasferita qui quando si è sposata. Ha 27 anni, fa la cameriera in un locale, e parla molto velocemente lo strano inglese che si parla qui in Indonesia. Ha tre figli, ed il più grande ha sette anni. Si stupisce del fatto che in Italia le sue coetanee difficilmente abbiano una famiglia così numerosa, ma che spesso, anzi, vivano ancora con la famiglia d’origine.

*** Per l’ultima sera in Indonesia, l’azienda ha organizzato una “serata di gala” decisamente sfarzosa. Uomini e donne hanno ricevuto in regalo un abito indonesiano da cerimonia dai colori sgargianti. Quello femminile è composto da un sarong e due lunghe fasce: una va rigirata più volte attorno al busto, l’altra la copre fasciando anche una spalla. Purtroppo il tutto è in tessuto sintetico assolutamente non traspirante, ideale per il clima dell’equatore. Nei capelli vanno inserite decorazioni dorate dai motivi floreali. Gli uomini hanno un sarong da indossare in maniera differente, e altri due “pezzi” da avvolgere attorno al busto sotto alle ascelle, più una fascia da mettere in testa. Se le donne vengono premiate da un abito così vistoso, nella maggior parte dei casi gli uomini occidentali vestiti così sono goffi e ridicoli! All’arrivo dei pullman inizia una lunghissima sfilata di uomini e donne in abiti tradizionali, con musica, decorazioni, cesti di frutta e maschere di legno intagliato e dipinto con colori vivaci, che aprono la strada verso il tempio di stato Pura Taman Ayun, illuminato e vivacissimo. Donne e bambine lanciano petali di fiori profumati su chi entra, al quale è poi offerto del succo di cocco come “aperitivo”, prima che un esempio di Arja abbia inizio. Diversi uomini a torso nudo sono seduti sull’erba in cerchio attorno ad un falò. La rappresentazione è un momento della lotta eterna tra il Bene ed il Male, con effetti sonori fuori campo e personaggi buoni (raffinati) e cattivi (grezzi) facilmente riconoscibili. Il sipario è costituito da una tenda attraverso la quale entrano ed escono i personaggi, che si avvicinano al fuoco mettendo in scena un ibrido tra una danza ed uno spettacolo teatrale. La cena si svolge sul grande prato del primo cortile interno del tempio di Mengwi, che un tempo era il tempio principale dell’omonimo regno. Nonostante la rappresentazione artefatta ad uso turistico (più di quattrocento persone tra attori, camerieri, fotografo ufficiale – negato! – e così via), l’ambiente con i meru di sfondo è suggestivo ed incantevole.

05/05/2005 Saluto all’Indonesia Le ore sull’isola ormai sono contate. Con il motorino ancora a disposizione fino all’ora di pranzo si può cercare di afferrare le ultime scene di vita, gli ultimi ricordi indonesiani da portare a casa. Poco dopo Denpasar l’istinto porta a cercare risaie, coltivazioni a terrazza, aratri, mondine e contadini. Un paesaggio del genere non è molto difficile da trovare, a Bali! Nelle zone meno turistiche la popolazione resta cortese e cordiale come sempre, e si prodiga a dare aiuti, a fornire indicazioni sulla strada e ad accompagnare per un pezzo, solo per avere l’opportunità di scambiare due parole. Anche i contadini mostrano le tecniche per la trebbiatura del riso e l’aratura del campo fangoso più che volentieri. Prima di riconsegnare il motorino bisogna fare un pieno: si fa un po’ di fatica a riconoscere un benzinaio. Di solito è un negozio che fa anche da officina, con esposta fuori una serie di ripiani con delle ex bottiglie (di birra, vino, vodka) piene di un liquido giallastro: è la benzina. L’appuntamento per la partenza è subito dopo pranzo. C’è giusto il tempo per un ultimo bagno nell’acqua caldissima di Nusa Dua, ed una capatina a dire addio al tempio hinduista e buddhista che c’è in cima alla penisola. Le guide balinesi accompagnano il gruppo all’aereoporto: beate loro che non devono tornare in Italia. Nuovamente le formalità prima della partenza si svolgono velocemente, ed in un tempo che sembra brevissimo è tempo di salutare Bali dal finestrino dell’aereo Thai lilla diretto a Bangkok. Bali ci dice addio con le sue risaie luccicanti alla luce del primo pomeriggio, ed i suoi alti vulcani. Selamat tinggal! Le foto del viaggio:



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche