India, Paese di grandi contrasti

Alla scoperta del Rajasthan, con tappe a Varanasi, Agra e New Delhi
Scritto da: CRIBER70
india, paese di grandi contrasti
Partenza il: 17/12/2012
Ritorno il: 26/12/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Dicembre 2012. La nostra ormai consolidata avversione al clima natalizio porta, anche quest’anno, me e mio marito a scappare e viaggiare in un luogo in cui il Natale non venga festeggiato. Da tempo l’India ci incuriosisce e decidiamo che è giunto il momento di visitarla. Come sempre, decidiamo di fare i turisti “fai da te”. In India, però, un minimo di organizzazione ci deve essere e per questo scegliamo un’agenzia locale trovata assolutamente a caso su Internet, a cui ci affidiamo per la prenotazione di alberghi, auto con autista (impensabile guidare da soli!), guide e spostamenti interni. Confesso, questa volta un po’ di agitazione al momento della partenza c’è, ma il bello di viaggiare è anche questo! Alle 10.25 voliamo da Torino a Francoforte, dove staremo nove ore prima della partenza del volo per Delhi; i voli successivi costavano decisamente più cari e noi vogliamo assolutamente risparmiare! Abbiamo tutto il tempo per pranzare, prendere il caffé, fare una pennichella, leggere, passeggiare, curiosare tra i negozi e persino cenare! Verso le 19.30, due ora prima della partenza per Delhi, ci avviciniamo al gate e ci mettiamo in coda per farci vidimare la carta d’imbarco, procedura a quanto pare obbligatoria sui voli per l’India. Ne approfittiamo per scambiare due chiacchiere con gli indiani in coda vicino a noi, che sembrano tutti molto amichevoli. Alle 21,30 il volo decolla; l’aereo è strapieno e ci sono moltissimi bambini che urleranno per buona parte del viaggio. Ci servono del pollo al curry, dopodichè tentiamo di dormire. Alle 3 ora italiana, le 7.30 indiane, ci svegliano di colpo e ci distribuiscono i moduli da compilare per l’immigrazione.

2° GIORNO

Atterriamo a Delhi con mezz’ora di anticipo. Passiamo il controllo passaporti piuttosto velocemente, ritiriamo i bagagli, cambiamo dei soldi e troviamo subito l’assistente dell’agenzia locale ad accoglierci (scopriremo poi che, in realtà, si tratta di uno dei soci proprietari). Conosciamo l’autista che ci accompagnerà nella prima parte del viaggio e andiamo in hotel. Ci offrono un te, paghiamo il tour (l’agenzia indiana si è fidata e ci ha chiesto in anticipo solo un acconto) e concordiamo la partenza per la visita di Delhi per le 13.30. Non vediamo l’ora di fare una doccia e siamo talmente stanchi che decidiamo di saltare il pranzo e di fare una pennichella prima dell’incontro con la guida. Puntualissima, arriva in hotel la guida. E’ un ragazzo giovane che parla italiano, o meglio ha imparato a memoria le spiegazioni sulla città e sui monumenti e se la cava perfettamente; stenta un po’ a parlare quando gli si fanno domande che esulano dal discorso che ha imparato, ma visto che ci avevano confermato le guide in inglese spiegandoci che sarebbe stato difficile trovarle in italiano… non chiediamo di più! Iniziamo la visita della parte nuova di Delhi con il Tempio di Loto, un tempio moderno a forma di fiore di loto ricoperto di marmo di Carrara, dedicato alla religione Bahai. In realtà è un grande salone in cui può entrare gente di qualsiasi credo religioso. Interessante, ma niente di più… Proseguiamo per il complesso del Qutub Minar, una ex moschea costituita da più edifici e con un imponente minareto. Concludiamo con una breve sosta al Palazzo del Parlamento (assomiglia a Buckingham Palace!) ed all’India Gate. Detto sinceramente, più che i monumenti ci colpiscono il traffico con il rumore assordante dei clacson, la gente che vive sui marciapiedi, i venditori di cibo e te per la strada, le donne con stupendi abiti colorati. Ci sentiamo senza dubbio spaesati ma, in fondo, è proprio come ce l’aspettavamo. Torniamo in hotel distrutti e ci appisoliamo fino alle 19. Sinceramente continueremmo volentieri a dormire, ma ora abbiamo appetito e decidiamo di provare il ristorante dell’hotel. Ordiniamo del pollo al curry, del pollo Tikka Masala (marinato nello yogurt), riso al vapore e pane naan. Vittorio chiede una birra e ci spiegano che non ne hanno, ma possono andare a comprarla in un negozio vicino, quindi hanno bisogno che anticipiamo i soldi! Stanchi ma sazi, la nostra prima giornata indiana è terminata.

3° GIORNO

Sveglia alle 7 dopo una dormita di nove ore… stiamo meglio! La colazione non ci entusiasma: una zuppa, delle frittelle, delle frittatine con patate, pane tostato con una marmellata di frutti misti. Alle 8.30 partiamo per la visita della vecchia Delhi. Prima tappa la Tomba di Humayun, ma c’è qualche personalità in visita ed è chiusa. Proseguiamo per la moschea Jama Masjid, costituita da un grande cortile ed una sala aperta sui lati, molto particolare. All’ingresso controllano se abbiamo una macchina fotografica, perchè per fotografare si deve pagare un biglietto a parte. Spieghiamo che l’abbiamo lasciata in auto e ci chiedono di mostrare i cellulari. Alla vista dei nostri telefoni vecchissimi e senza fotocamera, ci guardano con aria schifata e ci lasciano entrare… neanche in India apprezzano i nostri pezzi d’antiquariato! Dopo la moschea, passeggiamo per le viuzze della città vecchia, con bancarelle e negozi di ogni genere. Prendiamo un risciò per raggiungere il mercato delle spezie. Fogne a cielo aperto, topi che vagano per la strada… ma i colori ed i profumi sono fantastici e non possiamo fare a meno di comprare te e spezie varie! Ripartiamo in auto e ci fermiamo a visitare il museo di Ghandi, costruito nel luogo in cui fu assassinato. Ci sorprende vedere che si tratta di un museo multimediale con video, musica ed effetti speciali, modernissimo ed in netto contrasto con cosa abbiamo visto poco fa. Verso mezzogiorno salutiamo la guida e ritroviamo Dilip, il socio dell’agenzia che ci aveva accolti ieri. Partiamo per Jaipur. Ci aspetta un viaggio di circa cinque ore su quella che per loro è autostrada, con tanto di caselli dove pagare il pedaggio; in realtà è una grande strada percorsa da auto, camion, carretti tirati da cavalli o cammelli, con mucche ovunque e villaggi di case diroccate ai lati. Capiamo immediatamente che solo un autista indiano può essere in grado di guidare con quel traffico infernale, dove non esistono regole; si sorpassa sia a destra che a sinistra, si procede a zig-zag tra i camion, si schiva chi si immette e chi va contromano, sempre rigorosamente suonando il clacson. Siamo molto tesi, ma ci rendiamo conto che dobbiamo rassegnarci e, pur rendendoci conto che sulle strade in India si rischia la vita ogni istante, cerchiamo di goderci lo spettacolo! Chiacchierando con la nostra guida e con l’autista, chiediamo cosa occorra per prendere la patente in India. Ci spiegano che basta imparare per conto proprio a guidare, senza bisogno di studiare la teoria; si dà un piccolo esame di pratica e si ottiene la patente. Verso le 14 ci fermiamo a pranzo in un ristorante lungo la strada. Ordiniamo il solito riso con pollo al curry, ma siamo curiosissimi di capire cos’è il piatto che sceglie Dilip: pezzetti di formaggio fresco cucinati in umido con verdure; prima o poi lo assaggeremo anche noi! Ci spiega che il 70% degli indiani è vegetariano, quindi ogni ristorante offre ampia scelta di piatti senza carne. Ripartiamo e nel tardo pomeriggio arriviamo in hotel a Jaipur, dove incontriamo Avinash, il socio di Dilip, con cui ho scambiato decine e decine di e-mail in fase di prenotazione.Ci offre da bere, chiacchieriamo un po’ e ci diamo appuntamento a domani sera, quando saremo ospiti della sua famiglia per cena. Ebbene sì, durante il nostro scambio di corrispondenza, ad un certo punto mi ha proposto di conoscere la sua famiglia e noi, curiosissimi di entrare in una casa indiana e cenare con una famiglia del luogo, ovviamente abbiamo accettato! Saliamo in camera e notiamo che le lenzuola sono macchiate e ci sono dei piccoli insetti che corrono lungo i muri. Chiediamo di cambiare le lenzuola e di spruzzare dell’insetticida e, soprattutto, ci rassegniamo… siamo in India e stiamo facendo i turisti “fai da te”, niente tour organizzato con hotel 5 stelle! Ceniamo in hotel, dove c’è un fantastico buffet. Ci fermiamo un po’ all’Internet Point nella hall, dopodichè la stanchezza si fa sentire anche stasera ed andiamo a dormire.

4° GIORNO

La sveglia è puntata alle 6.45, ma stanotte faceva caldo, c’era rumore nelle stanze vicine ed il cuscino non era comodo… non abbiamo dormito bene. In compenso, la colazione a buffet ci soddisfa e troviamo dell’ottima frutta fresca. Alle 8 arriva puntuale il nostro autista che, in un inglese un po’ stentato, ci spiega che ci porterà alla città vecchia, dove incontreremo la guida che ci accompagnerà a visitare Jaipur. Entriamo da una delle porte della città e scopriamo che la parte più antica è costituita da edifici rosa; è tutto molto malandato e sporco, ma l’atmosfera è spettacolare. Incontriamo la guida e con lui andiamo all’Amber Fort. Si tratta di un’ex residenza del Marahja (la cui pronuncia corretta scopriamo essere Maràhja e non Marahjà come abbiamo sempre detto noi!), arroccata su una collina. L’auto ci lascia ai piedi di questa collina e di qua proseguiamo a dorso di elefante. La cosa curiosa è che gli elefanti sono riuniti in un cortile, tutti in fila come se fossero delle auto in sosta; si sale sul baldacchino posizionato sulla schiena degli elefanti attraverso una scaletta che porta ad una piattaforma rialzata; molto pratico! Un po’ meno pratico è il viaggio… si dondola molto! Visitiamo il forte, che è un vero spettacolo. La guida ci dà spiegazioni in un italiano un po’ stentato, ma in modo molto coinvolgente; siamo entusiasti. Ritorniamo all’auto e ci fermiamo per una foto al Palazzo di Caccia, costruito in mezzo ad un lago artificiale. Proseguiamo per la città vecchia e visitiamo il Jantar Mantar, un osservatorio astronomico all’aperto con strumenti risalenti al 1700 che determinano le ore, la posizione del sole ed i segni dell’oroscopo. E’ particolare, non c’è che dire, ma non siamo appassionati di astronomia né di astrologia e ci annoiamo un po’. A poca distanza si trova il City Palace, l’attuale residenza del Marahja. Una parte del palazzo è trasformata in museo ed è uno spettacolo. Sono ormai le 13.30 e sembra che la guida non abbia intenzione di fermarsi per pranzo. Decidiamo di chiederglielo ed a quel punto ci accompagna in un ristorante un po’ troppo turistico per i nostri gusti, dove però assaggiamo il Paneer, il piatto vegetariano a base di formaggio che avevamo visto mangiare ieri; è ottimo, siamo soddisfatti. Dopo pranzo la guida ci porta in un negozio di gioielli, dove non compriamo nulla e ci innervosiamo per il tempo perso per un presunto shopping che noi non faremo mai… Spieghiamo che non ci interessa acquistare nulla e ci rifiutiamo di visitare altri negozi di tappeti e pashmine. A questo punto la guida ci spiega che il tour è terminato… a quanto pare è il pegno da pagare per non aver accettato di visitare i negozi in cui lui ha la percentuale! Gli chiediamo spiegazioni dicendo che abbiamo pagato per la giornata intera di visita guidata, ma lui un po’ seccato ci risponde che non c’è altro da visitare a Jaipur… se proprio vogliamo, con lo stesso biglietto del City Palace si può visitare l’Hawa Mahal (il Palazzo del Vento, simbolo di Jaipur), ma secondo lui non merita. Beh, questo lo decideremo noi… ci impuntiamo e ci facciamo accompagnare là, ma lui ci lascia i biglietti in mano, ci saluta e ci dice che l’autista tornerà a prenderci dopo mezz’ora; no comment! Non ci scoraggiamo certo per questo. Entriamo e giriamo per conto nostro per questo palazzo dall’architettura molto particolare ed affascinante. All’uscita troviamo l’autista, che però ha parcheggiato piuttosto lontano e ci accompagna a piedi facendo lo slalom tra auto, moto, tuk-tuk e biciclette. A questo punto la visita di Jaipur è veramente finita. Ieri il socio dell’agenzia ci aveva raccontato che molte aziende in India donano soldi in beneficenza, perchè in questo modo pagano meno tasse. La sua agenzia sovvenziona un orfanotrofio in zona e vedendoci incuriositi da questa cosa ci ha chiesto se ci interessasse andare a visitarlo. Ovviamente abbiamo risposto di sì ed oggi abbiamo appuntamento per questa visita fuori dal programma turistico. Incontriamo uno dei soci dell’agenzia e con lui andiamo a comprare dei biscotti da portare ai bambini. Arriviamo in questo orfanotrofio gestito da volontari, dove al momento ci sono 80 bambini da un anno e mezzo fino a quindici anni di età; sono tutti orfani o trovati abbandonati per strada, cosa che capiamo essere abbastanza frequente in India.

La costruzione è piuttosto fatiscente, anche se ci sono lavori in corso per migliorarla. Un volontario che parla perfettamente inglese ci accompagna a vedere le stanze. Vediamo delle reti con dei grossi materassi senza lenzuola, dove più bambini dormono insieme. Sono seguiti da insegnanti, medici e numerosi volontari. Incontriamo molti dei bambini ospiti, quasi tutti con abiti della misura sbagliata, recuperati da qualche donazione. Tutti ci salutano sorridenti, i più piccoli ci danno la mano e ci cantano una canzone… il cuore ci si riempie di tristezza! Mio marito inizia a giocare con qualcuno di loro ed io spiego che lui non parla inglese; il volontario che ci accompagna mi risponde: “Non è importante che lingua si parla, l’importante è parlare col cuore”… quanta saggezza in queste parole! Prima di ripartire decidiamo di fare una piccola donazione, anche se in realtà nessuno ci ha chiesto nulla. Mentre salutiamo, il volontario ci dice: “Questa è casa vostra”. Forse ha ragione… la casa non è per forza il lusso, ma un posto dove qualcuno ti vuole bene. Abbiamo di che riflettere su questo pomeriggio di forti emozioni. Torniamo in hotel ed alle 18.30 ci attende l’autista per portarci a casa di Avinash, dove ceneremo. Arriviamo in una palazzina non molto lontana dal centro e saliamo in un appartamento al primo piano. Ci accolgono la mamma, la zia e la nonna, mettendoci al collo una ghirlanda di fiori e facendoci il segno rosso sulla fronte in segno di benvenuto… che emozione! Ci chiedono per cortesia di togliere le scarpe, dato che verremo ospitati nella stanza in cui ci sono gli altarini dedicati agli dei, ma per metterci a nostro agio spargono tappeti su tutto il pavimento… Ci accomodiamo ed inizia ad arrivare una quantità incredibile di gente, che ci presentano come zii, cugini, nipoti, ecc. Ci spiegano che avere stranieri ospiti è un evento e tutto il vicinato è curioso di conoscerci! Chiacchieriamo amabilmente e rispondiamo a molte domande che i giovani della famiglia, in perfetto inglese, ci pongono sull’Italia. Ad un certo punto ci servono la cena, ma scopriamo che mangeremo solo noi; ci spiegano che in India si servono gli ospiti da soli e che la famiglia mangerà più tardi in un’altra stanza. Ci sentiamo un po’ osservati, ma assaggiamo con piacere la vera cucina indiana, in questo caso rigorosamente vegetariana: zuppa piccante, riso, cavolfiori al curry (da questo momento cucineremo anche noi a casa i cavolfiori con il curry… ottima soluzione per nascondere l’odore ed il gusto non proprio piacevole di questa verdura!!!) e pane chapati (più piccolo e croccante del pane naan). Durante tutta la serata la nonna, vestita con uno splendido sari bianco, resta seduta su un divano con le gambe incrociate come nello yoga; ci spiegano che ha circa 80 anni e mi chiedo se io a quell’età riuscirò a stare seduta in quel modo! Verso le 21 salutiamo questa bella famiglia e torniamo in hotel. Ricorderemo a lungo questa serata!

5° GIORNO

Ci svegliamo alle 7, facciamo colazione ed alle 8.30 siamo pronti per partire in direzione Agra. Lungo la strada ci fermiamo ad Abhaneri per visitare un antico pozzo intorno al quale è stata costruita una struttura a gradoni, decisamente impressionante. Siamo in aperta campagna, dove ci sono più mucche e capre che persone… che atmosfera! Ripartiamo e ci fermiamo a pranzo lungo la strada. Da stamattina abbiamo qualche problema di stomaco, quindi cerchiamo di evitare salse e pietanze troppo condite; del pollo Tandoori (cotto al forno) è quello che ci vuole. Dopo pranzo imbocchiamo quella che, ufficialmente, è un’autostrada, ma esattamente come la tratta da Delhi a Jaipur, si tratta in realtà di una strada che attraversa i villaggi e su cui si incrociano carretti trainati da cavalli o cammelli, camioncini e auto anche in contromano… in India si può veramente affermare che viaggiare sia un’avventura! Arriviamo a Fatehpur Sikri, dove si trova un antico palazzo imperiale abbandonato pochi anni dopo esser stato costruito, principalmente per la difficoltà di reperire dell’acqua nei dintorni. Qua abbiamo una guida che parla inglese e spagnolo; gli chiediamo di parlare lentamente in spagnolo e lui fa di tutto per inventare qualche frase in italiano! Il palazzo è imponente, pur non essendo paragonabile all’Amber Fort di Jaipur.

Ripartiamo per Agra, dove incontriamo la guida che ci accompagna a visitare il Forte. E’ un ragazzo giovanissimo, parla un inglese tremendo e non è assolutamente in grado di darci spiegazioni esaurienti; si limita ad elencare i re che hanno segnato la storia indiana e le date in cui hanno vissuto… rinuncio a tradurre a mio marito. Ci limitiamo a gironzolare per il forte e fare qualche foto e ci rallegriamo scoprendo che non sarà lui la nostra guida per il Taj Mahal domani. Arriviamo in hotel, dove come al solito troviamo le lenzuola macchiate, che prontamente ci cambiano. Iniziamo a pensare che in realtà non siano sporche, ma che i sistemi con cui le lavano non siano così moderni da poterle smacchiare e sbiancare. D’altra parte… siamo in India come viaggiatori “fai da te”, non possiamo lamentarci! Ceniamo in hotel, dove ci servono una zuppa piccantissima con erbette varie, del pollo con una salsa al pomodoro, delle polpettine speziate, il tutto accompagnato da ottime patate al curry, riso e pane naan. La cucina indiana ci piace parecchio, siamo soddisfatti. Decidiamo di andare a dormire presto, visto che domani mattina ci aspetta la visita del Taj Mahal all’alba. Stasera dobbiamo lottare con le zanzare, che qua troviamo per la prima volta; siamo in una zona malarica e la cosa ci preoccupa un po’, visto che prima di partire abbiamo pensato fosse decisamente esagerato fare la profilassi…

6° GIORNO

La sveglia è puntata alle 6 ed alle 6.30, senza fare colazione, siamo pronti per la visita al Taj Mahal. Incontriamo la guida che parla un italiano discreto ed in dieci minuti di auto raggiungiamo il parcheggio da cui partono le navette che portano all’ingresso del mausoleo. Una volta arrivati, io e mio marito veniamo divisi, in quanto la coda per uomini e donne è obbligatoriamente separata. Attendiamo l’apertura delle porte, prevista per le 7, in un clima decisamente fresco; noi abbiamo giubbotti e pantaloni lunghi, ma siamo attorniati da turisti nordici che tremano in pantaloncini e ciabatte… All’apertura ci fanno passare sotto il metal detector, ci perquisiscono e controllano gli zaini, dopodichè iniziamo la visita ammirando questo monumento, simbolo dell’India, avvolto in una nebbiolina che rende l’atmosfera quasi surreale, con il sole che sta sorgendo e lo colora di rosa… non ci sono parole per descrivere questo spettacolo! La guida, preparatissima, ci spiega ogni particolare del monumento simbolo dell’amore, fatto costruire da un imperatore per la moglie morta dando alla luce uno dei loro figli. Peccato che non si limiti alle spiegazioni, ma insista per mostrarci i punti migliori dove scattare foto (ci fa salire a tutti i costi su una panchina e ci fa alzare le braccia in modo che in foto sembrino incorniciare il Taj Mahal… ma ci ha presi per comuni turisti giapponesi?), ci insegni come usare la macchina fotografica ed alla fine si impossessi della macchina stessa giocando a fare foto con effetti speciali… Non ci vedo più dal nervoso, gli strappo la macchina fotografica dalle mani e gli urlo dietro (persino mio marito si spaventa!). Possibile che non riusciamo a trovare una guida “normale”? Ah… scordavo, stiamo facendo i turisti “fai da te” ed abbiamo rifiutato il tour di gruppo con hotel 5 stelle e guide super professionali! Torniamo in hotel, facciamo colazione, prendiamo le valigie ed alle 10 siamo pronti per partire con l’autista e Dilip, che ci accompagneranno alla stazione ferroviaria. Qua si conclude la parte “tranquilla”, accompagnata del nostro itinerario. Ora dobbiamo salutare l’autista che ci ha portati fino qua e il socio dell’agenzia, che torneranno a Jaipur. Noi proseguiremo per un tratto in treno ed incontreremo un nuovo autista. Confesso che il treno indiano ed il non essere più sotto l’ala protettiva di Dilip ci preoccupa un po’ ma… questo è il modo di viaggiare che piace a noi, ce la caveremo! Il nostro treno per Jhansi (3 h. e mezza di viaggio) dovrebbe partire alle 11.05, ma inizia a ritardare e la guida attende con noi; meno male, perchè passano treni in continuazione ed è complicatissimo capire la destinazione e le fermate, quindi da soli saremmo di sicuro saliti su un treno sbagliato! C’è molta gente ed i ragazzini attraversano senza problemi i binari ma, a parte questo, l’atmosfera non è così diversa rispetto ad una stazione italiana. Ci immaginavamo di vedere convogli stracolmi, con la gente appollaiata sul tetto ed appesa ai finestrini, come spesso mostrano i film. Chiediamo a Dilip se esistono ancora treni simili e lui ci spiega che se ne vede qualcuno nelle campagne, non di certo vicino alle grandi città. Compriamo dei biscotti e delle banane in una bancarella, il nostro pranzo che consumeremo in treno. A forza di attendere, ho assolutamente bisogno di andare in bagno e sono decisamente preoccupata per cosa mi aspetta. Beh… è proprio vero che spesso abbiamo pregiudizi sbagliati e bisogna sempre provare per credere; le toilette della stazione di Agra sono esattamente come quelle di qualsiasi stazione italiana… non belle ma accettabili.

Alle 12 arriva finalmente il nostro treno. la guida sale con noi per aiutarci a trovare la carrozza ed i posti prenotati. Ci prende un attimo il panico… siamo in “2a classe con aria condizionata”, ovvero una classe intermedia tra la 2a e la 1a classe (non so perchè non abbiamo chiesto la 1a, forse per immedesimarci meglio nella quotidianità della vita indiana…).Non ci sono sedili, sono tutte cuccette perchè il treno fa un percorso molto lungo, anche notturno. Ai nostri posti troviamo lenzuola e coperte usate dai viaggiatori che ci hanno preceduto, resti di cibo e spazzatura per terra ed un odore nauseabondo… aiuto! Dilip ci saluta e noi cerchiamo di organizzarci. Buttiamo a terra lenzuola e coperte e decidiamo di usare la cuccetta in alto come appoggio per le valigie; ci sediamo su quella in basso, cercando di toccare il meno possibile con le mani. I posti a fianco a noi sono vuoti, c’è solo un ragazzo nello scompartimento vicino. Tiriamo fuori il nostro pranzo ed osserviamo il panorama dal finestrino: campi coltivati, villaggi poverissimi, stazioncine minuscole, mucche ovunque… sembra di essere nel bel mezzo di un film, siamo senza parole! Anche sul treno ci tocca usare la toilette ed anche qua dobbiamo ricrederci… nonostante il timore, non è peggio di cosa ho visto su un interregionale Torino-Milano! Alle 16.30, con due ore di ritardo, arriviamo a Jhansi e troviamo l’autista che ci porterà fino a Orchha. A prima vista, Jhansi sembra una città più tranquilla, ma è solo un’impressione; ben presto ci ritroviamo nel solito traffico caotico, con un rumore continuo di clacson, auto e motorini che sgusciano dappertutto, mucche da schivare e gente a piedi ovunque.

Dopo un’ora e mezza siamo in hotel a Orchha. Si tratta di una costruzione in stile arabo, con giardini ed edifici bassi; le camere hanno un terrazzino che dà sul fiume vicino. E’ un po’ umido, ma molto caratteristico. Concordiamo con l’autista di andare a vedere la cerimonia hindu chiamata Aarti che si terrà alle 19 in un tempio in centro ad Orchha. Arriviamo vicino al tempio e per raggiungere l’ingresso camminiamo in mezzo a bancarelle di ogni genere. Mi incuriosiscono dei contenitori con polveri coloratissime; mi spiegano che servono per disegnare il bollino sulla fronte. Fuori dal tempio ci fanno togliere le scarpe e le guardie mi fermano per via del marsupio che ho legato in vita e che non si può portare all’interno. Ho i documenti, il portafoglio e non ho tasche, non posso lasciarlo fuori! Interviene in mio aiuto un signore che, facendo da interprete tra me e le guardie che parlano solo hindi, mi chiede se ho la macchina fotografica (fortunatamente l’ho lasciata in hotel) e mi fa spegnere il cellulare; a questo punto posso entrare, anche con il marsupio! La gente è riunita in piedi in un cortile. Ad un certo punto si apre una porta ed esce un sacerdote agitando una sorta di candelabro, mentre tutti cantano. Qualche minuto dopo il sacerdote lancia qualcosa (forse del riso?) verso la folla, apre un cancello laterale e tutti si precipitano a portare dei fiori in dono, mentre viene sparso dell’incenso. E’ interessante, ma non capiamo un granchè… i canti continuano e noi decidiamo di tornare in hotel. La cena è a buffet e, oltre ai piatti che ormai conosciamo, troviamo delle polpettine vegetariane con una salsa agrodolce; ottime! Torniamo in camera e scopriamo di essere proprio di fronte ad una sala in cui c’è musica ad altissimo volume… chiediamo spiegazioni e ci assicurano che la festa finirà alle 22.30. Effettivamente, alle 22.30 torna il silenzio e ci addormentiamo.

7° GIORNO

Ci svegliamo alle 7 e facciamo una colazione piuttosto veloce (stamattina al buffet troviamo lenticchie, piselli, patate… non ce la sentiamo!). Alle 8.30 partiamo dall’hotel e ci dirigiamo verso la zona storica di Orchha, dove incontriamo la guida che ci accompagnerà nella visita dei palazzi antichi della città e del memoriale dell’imperatore. Ufficialmente dovrebbe darci le spiegazioni in inglese, ma parla un po’ di italiano e si sforza di raccontarci il più possibile nella nostra lingua. Il posto è molto tranquillo, siamo gli unici turisti in giro, i palazzi sono imponenti… siamo soddisfatti. Verso le 11 partiamo per Khajuraho. Ci accorgiamo subito che le strade da queste parti sono in condizioni molto peggiori che a Delhi, Jaipur e Agra. L’autista è spericolato, va velocissimo e sorpassa in curva. Ora siamo veramente preoccupati e, dato che io non oso intervenire, mio marito mette insieme le poche parole di inglese che conosce e molto seriamente gli dice: “Please, slow!”. Ci sono mucche ovunque lungo la strada, come dappertutto in India e ne approfittiamo per chiedere all’autista cosa succede se per sbaglio se ne investe una. Lui sbarra gli occhi, resta senza fiato un attimo, poi con voce tremante ci spiega: “E’ una cosa tremenda, se accade bisogna chiedere perdono agli dei, fare delle offerte, pregare a lungo, è terribile!”. Ci fermiamo a pranzo in un ristorante piuttosto squallido, dove troviamo una coppia francese con cui iniziamo a chiacchierare ed a scambiare le nostre impressioni sul viaggio (io che faccio amicizia con dei francesi… solo in India può accadere!).

Arriviamo a Khajuraho verso le 15 ed in hotel incontriamo il rappresentante locale dell’agenzia a cui Avinash si è appoggiato per le nostre prenotazioni. Per prima cosa ci propone uno spettacolo di “suono e luci” ai templi ed uno di danze folcloristiche… ma ci ha presi per comuni turisti che frequentano questo tipo di attrazioni? Ovviamente rifiutiamo, stupendolo all’inverosimile. Ci propone allora di farci vedere la parte vecchia della città; questo ci piace, accettiamo! Arriviamo in quello che a noi sembra un villaggio di campagna, con viuzze strette, case piccole e basse, cortili che si intersecano l’un l’altro, mucche a spasso, pompe d’acqua dove la gente senza acqua corrente in casa riempie le taniche, fogne a cielo aperto. Entriamo, apparentemente per caso, ma scopriremo che è tutto organizzato, in una scuola fondata da una signora francese e gestita da volontari. Ci sono aule minuscole senza banchi; i bambini siedono per terra. Ci immaginiamo quali polemiche farebbero da noi genitori ed assistenti sociali, ma ci spiegano che in India riuscire a studiare non è così scontato ed il sedersi per terra è il problema minore! Come durante la visita dell’orfanotrofio a Jaipur, siamo colpiti dalle condizioni di vita della gente da queste parti. L’atmosfera si guasta, però, quando il responsabile della scuola tira fuori da un cassetto il blocchetto delle ricevute e ci invita a fare una donazione… all’orfanotrofio nessuno ci ha chiesto nulla ed abbiamo donato di nostra spontanea volontà; se ci obblighi noi ci tiriamo indietro, non accettiamo questo “commercio” di sentimenti, ci spiace. Il rappresentante dell’agenzia ci chiede di seguirlo a casa sua, perchè deve cambiarsi… Entriamo in una stanza che dà su un cortile, dove ci fa accomodare su un pagliericcio. Intravediamo la cucina, che affaccia sullo stesso cortile, e all’interno la mamma, vestita in sari, a piedi nudi. Ci chiedono se vogliamo del te, ma sinceramente non ci fidiamo e diciamo di averlo preso in hotel prima di uscire. Tornando verso l’auto veniamo abilmente trascinati in un negozio gestito da un artigiano che vende oggetti e gioielli d’argento. Ovviamente non compriamo nulla e rifiutiamo anche il giro nella parte nuova della città, “dove ci sono diversi negozi”… chiediamo di tornare in hotel. Nella hall un manifesto pubblicizza una lezione di yoga alle 18 in giardino… mi piacerebbe tanto! Chiedo informazioni e mi dicono che è solo su prenotazione ed al momento non ci sono altre richieste; se lo desidero posso iscrivermi e la faranno anche solo per me… l’idea di essere da sola con l’insegnante, io principiante nella terra in cui lo yoga è stato inventato, mi mette in agitazione; rinuncio.

La cena in hotel, questa sera, è alla carta. Scegliamo del pollo Korba, con una salsa alla panna, e del Paneer (il piatto vegetariano a base di formaggio), questa volta con una salsa di spinaci. Ci sembra tutto molto pesante e, per la prima volta, avanziamo la cena. Anche oggi siamo abbastanza stanchi per andare a dormire presto.

8° GIORNO

Sveglia alle 7. A differenza delle altre mattine, qua al buffet della colazione troviamo qualcosa di dolce oltre a riso con verdure, frittelle di patate e pasta cinese… Alle 8.30 incontriamo la guida, che anche in questo caso avrebbe dovuto parlare solo inglese, ma ci spiega di aver studiato a Perugia, quindi parla perfettamente italiano! Visitiamo per primi i templi nella zona est della città, dislocati in un enorme giardino molto curato. Peccato ci sia una nebbia piuttosto fitta ed alcuni monumenti si intravedano appena. La particolarità di questi templi sono i bassorilievi raffiguranti le posizioni erotiche del Khamasutra. La guida ci spiega che per l’induismo il sesso non è tabù; viene considerato parte della vita e si pensa che l’appagamento del corpo consenta di raggiungere l’appagamento dell’anima. Lungo il percorso vediamo in lontananza un banchetto con tavoli e sedie e mio marito è convinto di aver intravisto la macchina per il caffé espresso… ci avviciniamo e la guida chiede per noi un caffé, poi ci accompagna sul retro del banchetto, dove dei giardinieri stanno facendo una pausa seduti sul prato. Vediamo come viene preparato il caffé (altro che macchinetta!): un pentolino con dell’acqua tenuto sul fuoco con delle pinze, un po’ di Nescafé ed eccolo servito! Ci auguriamo che l’acqua sia ben bollita, rifiutiamo il latte che ci offrono e beviamo il nostro caffé. I giardinieri scherzano con la guida e chiedono se possiamo offrire il caffé anche a loro. Facciamo i grandiosi… caffé per tutti a circa 100 Rupie, mancia inclusa (poco più di 1 EUR)! Io ne approfitto per fare una sosta in toeletta e per la prima volta le trovo in condizioni tremende… Proseguiamo per i templi nella zona ovest della città, meno interessanti dei primi. All’uscita la guida ci porta in un negozio dove lavorano e vendono oggetti di pietra, bronzo e argento… basta, non compriamo nulla! Torniamo in hotel, da dove dovremmo partire alle 12.15 per andare in aeroporto a prendere il volo per Varanasi. Il rappresentante locale ci avvisa, però, che il volo è ritardato a causa della nebbia. Meditiamo se pranzare in hotel, ma la velocità del servizio non è tipica in India ed abbiamo l’ansia di fare tardi. Decidiamo quindi di farci portare subito in aeroporto e cercare là qualcosa da mangiare mentre aspettiamo il volo. Peccato che all’aeroporto di Khajuraho non esista un ristorante nè una caffetteria; c’è solo un banchetto dove riusciamo a comprare dei crackers e della cioccolata, che scopriremo essere scaduta! Mentre sgranocchiamo i crackers ci guardiamo intorno; ci sembra di essere sul set di un film che rappresenta gli esordi dell’aviazione… Alle 13 aprono il check-in per il nostro volo. Viene ad avvisarci un addetto che ci ha presi di mira dal momento in cui siamo entrati in aeroporto e ci fa da “angelo custode” in mezzo alla confusione, aspettandosi ovviamente la mancia. Non esistono display, non si conoscono gli orari dei voli ed al banco del check-in il cartello metallico “OPEN” viene appeso a mano da un addetto. Otteniamo le carte d’imbarco, ma non ci fanno ancora passare il controllo passaporti. Attendiamo e meditiamo sul fatto che la pazienza è una qualità fondamentale in India. Finalmente ci controllano i documenti ed al gate notiamo un aereo appena atterrato, quello su cui saliremo noi. Stanno scaricando e ricaricando i bagagli tramite carrelli trainati da trattori ed accostano le scalette spingendole a mano. Alle 16.15, con più di due ore di ritardo, decolliamo ed arriviamo a Varanasi alle 17. Troviamo ad attenderci un autista che non parla inglese. Ci fa salire in macchina e chiama la guida, che al telefono ci spiega che si farà trovare in un punto della città per accompagnarci alla cerimonia Aarti sul Gange, una delle attrazioni principali a Varanasi. Proseguiamo in un traffico infernale, ancora più rumoroso che nelle altre città che abbiamo visto. Recuperiamo la guida, che questa volta parla solo inglese, e passando da un ingorgo all’altro arriviamo sulle rive del Gange. Percorriamo l’ultimo pezzo a piedi, in mezzo alla folla, con l’angoscia di perderci di vista. Siamo ormai consapevoli del fatto che camminare per strada in India sia un’impresa; occorre schivare risciò, tuk-tuk, bici, moto e auto, bisogna fare attenzione a non pestare escrementi di cani o mucche e a non finire nel fango… Arriviamo sulle rive del Gange, dove c’è una folla immensa che si accalca intorno a sette pedane, su cui si trovano altrettanti bramini (sacerdoti) che cantano dei rituali, agitano lampade su cui arde il fuoco, lanciano fiori e suonano delle campane. Ci offrono delle vaschettine di fiori con delle candele, che compriamo contrattando il prezzo, accendiamo e lasciamo scivolare nell’acqua del fiume esprimendo un desiderio, proprio come fanno gli indiani. C’è troppa gente e ci sembra tutto troppo turistico, ma la cerimonia di per sè è suggestiva, oltre al fatto che un paio dei bramini non sono niente male! Finita la cerimonia andiamo in hotel. Siamo consapevoli di essere in un 3 stelle, dato che i 4 stelle erano tutti al completo, e che al momento della prenotazione anche qua erano disponibili solo camere standard e non superior. Facciamo un tentativo e spiegando che pagheremo la differenza, magicamente salta fuori una camera superior! La camera è accettabile; le lenzuola sono sporche e, come al solito, chiediamo di cambiarle; ormai siamo abituati, non ci spaventa più nulla. Ceniamo in hotel e scopriamo che il ristorante è la parte migliore dell’albergo, molto carino e con un ottimo menu. Solo ora ci accorgiamo che è il 24 dicembre… stiamo facendo il nostro cenone di Natale a base di pollo al curry e riso!

9° GIORNO

Da programma, questa mattina era previsto il giro all’alba in barca sul Gange, ma visto che da ieri il tempo è nebbioso ed è impossibile veder sorgere il sole, ci siamo accordati con la guida ed abbiamo posticipato la partenza dall’hotel alle 8. Ci svegliamo alle 6.45 e facciamo la solita colazione un po’ triste, che oltre a pane e marmellata offre solo pietanze che siamo più abituati a trovare a pranzo o a cena. In auto raggiungiamo il Gange e qua saliamo su una barchetta condotta a remi da un signore anziano e minuto. Il giro dura circa mezz’ora e, come ci era successo in treno, ci sembra di osservare un film piuttosto che la vita reale: gente che pesca, che lava i panni, che fa il bagno nel fiume sacro. Arriviamo vicini al punto in cui si cremano i defunti; vediamo i mucchi di legna accatastati ed il fumo dei roghi funebri. La guida ci spiega che ogni induista viene cremato dopo la morte e l’aspirazione di tutti è quella di far gettare le proprie ceneri nel Gange. Questo lo sapevamo già, ma non sapevamo che i malati di lebbra, i bambini al di sotto dei cinque anni e le donne incinte, quando muoiono, non vengono cremati ma gettati nel fiume integri… ci convinciamo una volta di più che non è il caso di toccare l’acqua! Le sensazioni che si affollano nella nostra testa sono forti, ma per assurdo ci sembra tutto così normale e ci sentiamo noi fuori luogo, non il contrario. Scendiamo dalla barca e camminiamo per la città vecchia, tra case e negozietti, facendo attenzione a non calpestare escrementi di mucca ed immondizia di ogni genere. Dovremmo visitare il Tempio Dorato, ma oggi è in visita a Varanasi il Presidente del Nepal ed il tempio è chiuso al pubblico, non è consentito neanche avvicinarsi. La guida ci porta in un negozio che, guarda caso, ha una finestrella da cui si intravedono le guglie dorate del tempio. Diamo un’occhiata, ma ovviamente evitiamo di fare acquisti. Risaliamo in auto e la guida ci spiega che, sempre per via delle personalità nepalesi in visita, tutti i templi oggi sono chiusi (sarà vero, o sarà anche in questo caso una ritorsione per il fatto che rifiutiamo di fare acquisti?). Riusciamo a vedere solo il tempio della Madre India. E’ una costruzione quadrata con all’interno una mappa dell’India scolpita sul marmo; interessante, ma niente più. Ci viene nuovamente proposto di vedere negozi e manifatture varie e quando spieghiamo che non ci interessa nulla di tutto ciò, la guida ci dice che il programma prevede ancora la visita a Sarnath, il luogo in cui Buddha ha pronunciato il suo primo discorso, dopodichè potremo tornare in hotel e “rilassarci in piscina” (fuori ci saranno 10° e la piscina è all’aperto!) in attesa di andare in aeroporto la sera per prendere il volo di ritorno a Delhi. A questo punto siamo furibondi… non abbiamo visto praticamente nulla di Varanasi e non siamo venuti fin qua per stare in piscina; abbiamo prenotato e pagato la visita per la giornata intera e lui ci sta facendo perdere solo tempo! Riesco ad esprimere il tutto in un inglese pazzesco, come forse neanche la regina Elisabetta saprebbe fare! La guida prima mi risponde di essere stato pagato solo per mezza giornata, poi rigira il discorso dando la colpa a noi che “abbiamo rifiutato di alzarci all’alba per la navigazione sul Gange”. Non riesco più a trattenermi… urlo, lo insulto e se mio marito non mi convincesse a tranquillizzarmi, credo gli metterei le mani addosso. Niente da fare, per colpa del Presidente nepalese a Varanasi non si può vedere nulla (mi spiegheranno poi in hotel che non è vero, che alcuni templi possono essere visti comunque), quindi ormai furibondi e parlandoci a monosillabe veniamo accompagnati a Sarnath, che si trova a circa 10 km. da Varanasi. Altra sorpresa; se vogliamo visitare il complesso dobbiamo pagare l’ingresso. Peccato che il nostro programma preveda tutti gli ingressi già inclusi, quindi si ricomincia a discutere. La guida chiama l’agenzia corrispondente (non capisco perchè Avinash si appoggi ad altre agenzie in India e non prenoti tutto direttamente…) e mi faccio passare la persona con cui è al telefono, che prontamente insulto raccontando quanto siamo scontenti del nostro soggiorno a Varanasi. Alla fine non tiriamo fuori un centesimo, la guida compra i biglietti ed ormai offesissimo ci accompagna a visitare il parco con le rovine del tempio costruito nel luogo in cui Buddha fece il suo primo discorso. Sarà che siamo arrabbiati, ormai stanchi di discutere, sarà che la guida ormai ci spiega il minimo indispensabile, oppure sarà che veramente c’è poco da vedere… il tutto ci delude un po’ e non abbiamo più alcun entusiasmo. Alla fine della visita, la guida ci saluta dicendoci che l’autista ci riporterà in hotel mentre lui va in un’altra direzione. Gli diamo la mano ma non la mancia, un’offesa enorme in India! Torniamo in hotel ed abbiamo tempo libero fino alle 15.30, quando l’autista tornerà a prenderci per portarci in aeroporto (il volo è alle 19.40 e ci sembra assurdo partire così presto, ma ci spiegano che, sempre per via del Presidente nepalese, potremmo trovare traffico e strade chiuse, quindi per sicurezza occorre partire molto in anticipo). In teoria dovremmo fare il check-out e liberare la camera, ma dato che siamo stanchi, fuori fa freddo e mio marito ha qualche problema di stomaco, chiediamo alla reception se ci concedono un late check-out. Tutto è consentito in India, basta pagare… con la modica cifra di 1500 Rupie, circa 20 EUR, otteniamo di avere la camera disponibile anche nel pomeriggio. Pranziamo in hotel (in fin dei conti oggi è Natale!) e facciamo una pennichella in camera. Alle 15.15 ci chiamano dalla reception, dicendoci che l’autista è agitato e che dobbiamo partire subito… ma stiano calmi! Come immaginavamo, la strada è libera ed in venti minuti siamo in aeroporto, ovvero quasi quattro ore prima della partenza del nostro volo… In realtà scopriamo che l’orario del volo è cambiato e la partenza è prevista alle 17.55, ma nessuno ci ha avvisati! Siamo stanchi anche di arrabbiarci; l’aeroporto di Varanasi è decisamente più moderno di quello di Khajuraho ed il check-in è già aperto. Imbarchiamo i bagagli, passiamo il controllo passaporti ed attendiamo, dato che sembra stia arrivando il Presidente del Nepal (è una persecuzione!!!) e nessun volo decollerà finchè non sarà partito lui. Il tabellone indica un primo ritardo del nostro volo, riprogrammato alle 18.45; poi il ritardo continua ad accumularsi ed alla fine decolliamo alle 19.45.

Atterriamo a Delhi alle 21 e troviamo ad attenderci un autista allegro ed esuberante, che in pochi minuti di transfer per l’hotel ci racconta la storia della sua vita e si informa sulla nostra; sarebbe anche simpatico, ma la nostra giornata è stata lunga e stressante e non abbiamo granchè voglia di fare amicizia… L’hotel, scelto da me personalmente per la vicinanza all’aeroporto, si rivela una delusione. E’ vecchio, malandato, frequentato solo da indiani che fanno rumore nei corridoi. Le lenzuola, però, sono pulite! Ceniamo di corsa, dato che il ristorante dell’albergo sta chiudendo ed andiamo a dormire distrutti; oltretutto, la nebbia di Khajuraho e Varanasi mi hanno fatto venire il mal di gola…

10° GIORNO

Ci svegliamo alle 8.30 e da quel momento corro più volte in bagno… proprio l’ultimo giorno. Mi imbottisco di medicinali (sarò per ore su un aereo, non posso star male!) e scendiamo a far colazione. E’ sicuramente la colazione peggiore di tutto il viaggio. Tutta la sala ha l’aria molto sporca e ci sono pietanze strane che non ci fidiamo ad assaggiare. Ci limitiamo a prendere del pane tostato (che viene messo nel tostapane da un cameriere con delle unghie nere da far paura, ma che per nessun motivo ci lascia fare da soli) e della marmellata, bevendo del te fortissimo, probabilmente lasciato troppo tempo in infusione. Alle 10 viene a prenderci l’autista e ci accompagna in aeroporto. Check-in, controllo passaporti e passeggiamo per il modernissimo Duty Free. Compriamo del te masala, un te speziato che abbiamo assaggiato a casa di Avinash e che ci è piaciuto molto, ed attendiamo l’imbarco. Alle 13.45 partiamo. L’aereo è mezzo vuoto, quindi possiamo spostarci in modo da avere più spazio ed allungarci. Ci servono il pranzo e, pur non essendo un granchè il catering Air India, ci godiamo per l’ultima volta il profumo di curry, che ci ha accompagnato per tutto questo viaggio (è talmente presente ovunque in India, che anche le persone, i vestiti e persino le banconote profumano di curry!).

Ci addormentiamo e alle 18 atterriamo a Francoforte. Un panino con würstel e crauti, un krapfen ed attendiamo la coincidenza per Torino. Partiamo puntuali alle 21.40 ed alle 23 siamo a Caselle, in mezzo ad una nebbia fittissima. Recuperiamo i bagagli, l’auto e guidiamo fino a casa, increduli per il silenzio che troviamo lungo la strada, senza il traffico infernale indiano e senza i clacson che suonano in continuazione!

CONCLUSIONI

L’India è un Paese con luoghi affascinanti e monumenti imponenti, ma non si può fare a meno di notare la gente che vive sui marciapiedi, i topi che corrono lungo le strade, le persone dei villaggi che attingono acqua da un pozzo, la gente nelle campagne che lavora la terra a mano.

Cosa ci ha colpiti di più? I nostri occhi ricorderanno a lungo l’Amber Fort di Jaipur, il Taj Mahal di Agra, i templi di Khajuraho, ma il nostro cuore non può dimenticare la miseria, la sporcizia, gli odori.

Ci aspettavamo più spiritualità, ma abbiamo capito che gli indiani pregano a casa loro o nei templi, non esternano molto la loro fede.

Ci aspettavamo più sorrisi, invece gli indiani sono gentili ma schivi, riservati.

Forse ci aspettavamo di essere catturati dall’atmosfera indiana e così non è stato, ma una cosa è certa: un viaggio in India non è una vacanza, è un’esperienza di vita e, come tale, ci ha fatto riflettere. Lo ricorderemo spesso nella nostra vita quotidiana, perchè là c’è gente che lotta ogni giorno per avere un piatto di riso e per sopravvivere.



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