Sud dell’India

Viaggio nel cuore di una delle civiltà più antiche del mondo
Scritto da: Jessica78
sud dell'india
Partenza il: 20/01/2013
Ritorno il: 10/02/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Mossi dal desiderio di ritornare in un continente a noi molto caro, io e mio marito partiamo per l’India, questa volta per esplorare on the road il sud, in particolare le magnifiche regioni del Kerala e del Tamil Nadu. Quest’ultimo è considerato la culla della cultura dravidica, risalente a circa 5000/6000 anni fa. Alcune ipotesi affermano che i dravidici, ossia gli attuali abitanti del sud dell’India, non siano altro che gli antichi popoli autoctoni che risiedevano nella valle dell’Indo, nel nord dell’India, e poi, in seguito alla invasione/migrazione aria (1500/1000 a.C.) si spostarono nel sud del continente.

Ci fermiamo in uno speciale angolo di paradiso tropicale tra i canali fluviali del Kerala, le backwaters, in un’isoletta a forma di banana Valiyapazhambillythuruth, che da il nome al piccolo resort che ci ospita, BBI Retreat (Big Banana Island) distante circa 1 ora da Fort Cochin, la cittadina più importante del Kerala. Deepan, autoctono del villaggio, gestisce il posto e si occupa praticamente di tutto, compresa la cucina.

Un risveglio unico

La magia di questo luogo inizia all’alba, alle 4:30, quando i canti mistici provenienti dalla sponda opposta al fiume ci svegliano. Gli indù a quest’ora adorano le divinità nel tempio recitando i mantra, antiche formule sacre, i musulmani pregano Allah e gli indiani cristiani suonano le campane. Le melodie si fondono nella nebbia mattutina, e prendere la canoa diventa un’attrazione irresistibile. Remando ci perdiamo in un paesaggio magico e onirico, dove si intravedono a tratti le canoe dei pescatori che buttano le reti.

Il Kerala si distingue per il più alto tasso di pluralismo religioso. Le relazione tra le diverse comunità di credenti – ossia indù, mussulmani e cristiani – sono molto forti. La sua popolazione è per il 30% cristiana. La prima chiesa dell’India fu costruita proprio qui a Fort Cochin nel 1500, dove un tempio indù si trova accanto ad una moschea e a una chiesa cattolica. A pochi passi, si trovano una sinagoga, un tempio giainista e anche una bandiera rossa con falce e martello. Il Kerala ha raggiunto un’alfabetizzazione del 91% contro il 65% del resto del Paese, un’aspettativa di vita più alta e ha ridotto le differenze socio-economiche tra caste, uomini e donne.

Mestieri antichi

Pescare è uno dei mestieri più antichi e diffusi in Kerala, come lo è arrampicarsi sugli alberi da cocco. Camminando sull’isola è facile imbattersi in un toddy tapper, che tre volte al giorno sale sulle cime degli alberi per estrarre una bevanda alcolica assai diffusa qui, il tody.

Cerimonia di buon auspicio

Uno dei miglior modi per entrare in contatto con un popolo è provare, non solo a rispettare, ma anche a seguire le sue tradizioni. Con l’aiuto di Deepan, organizziamo una puja (cerimonia indù) di purificazione e buon auspicio. Il pujari, sacerdote indù, ha calcolato astrologicamente il giorno e l’ore propizi per la cerimonia al dio Narayana ( o Vishnu, Krishna), tenendo conto anche delle nostre date di nascita. Tre pujari del villaggio disegnano, con polveri di colori, un elaborato yantra per terra, impiegando circa 4 ore. Lo yantra (strumento), meglio conosciuto in Occidente come Mandala (cerchio), è costituito da varie forme geometriche che identificano la rappresentazione totale del cosmo e quindi, con questa visualizzazione universale, sarà più facile per noi metterci in contatto con il divino. Davanti al fuoco, il sacerdote comincia ad eseguire diversi mudra (gesti liturgici), accompagnandoli dalla recita silenziosa di formule sacre, poi getta nel fuoco varie offerte, tra cui olio di cocco, riso, orzo e acqua, iniziando una litania di versi vedici a voce sostenuta. Anche io e mio marito gettiamo le offerte nel fuoco, così facendo ci purifichiamo dalle nostre caratteristiche negative e dall’ Ego. Al termine della cerimonia, durata circa 2 ore, siamo pronti per mangiare il Prasadam, il cibo sacro della divinità, costituito da frutta, miele e fiori. La puja è la cerimonia religiosa creata dagli indù per stabilire un contatto con il sovrannaturale, ed effettivamente ora ci sentiamo più leggeri e pronti per proseguire il nostro magico viaggio.

In India è impossibile annoiarsi

Devo dire che in India ho preso l’abitudine di pregare spesso, è successo soprattutto dopo aver affittato una moto per andare nei Western Ghats, le montagne del Kerala, famose per le antiche piantagione di tè risalenti ai colonizzatori inglesi. Le moto indiane più comuni vanno al massimo a 40 all’ora, sembra poco ma in realtà non lo è affatto, se si tiene conto della totale anarchia che vige sulle strade indiane. Non ci sono regole, vinca il migliore! Gli autobus sono i più veloci e pericolosi, perché, in concorrenza con gli altri, devono accaparrarsi più passeggeri possibili alla fermata. Ho rischiato più volte un infarto, ma forse è solo questione di abitudine, non saprei!

Immersi nelle piantagioni di tè

Chilometri e chilometri di montagne completamente tappezzate da piante di tè creano uno dei paesaggi più affascinanti di tutto il sud dell’india. A Munnar, la più importante cittadina immersa tra le piantagioni, conosciamo Senthil, una guida locale che ci promette un’escursione da brivido, conosciuta a pochi ovviamente, a 2000 metri di altezza; la sveglia è alle 3:30 del mattino. E si perché per riuscire a vedere l’alba da Kolukkumalai, sede di una delle più alte piantagioni di tè di tutta l’India, bisogna percorrere circa 3 ore di Jeep. Fortunatamente eravamo a stomaco digiuno, e abbiamo retto i centinaia di crateri che incontravamo sul percorso, ma ne è valsa la pena, l’alba a quell’altezza è mozzafiato! In questo villaggio vive una piccola comunità tribale dedita esclusivamente alla raccolta e alla preparazione del tè nero che avviene in una fabbrica accanto al villaggio. Il chai è la più diffusa bevanda indiana. Al sud il chai si prepara con una miscela di latte, tè nero e spezie come zenzero, chiodi di garofano e cannella. Per ottenere una bevanda corposa e densa gli indiani fanno bollire il preparato di latte quattro o cinque volte, poi, come dei giocolieri, lo versano abilmente da un bicchiere all’altro per farlo leggermente raffreddare. Il chai viene venduto normalmente per strada su piccoli baracchini, ossia dei tavolinetti attrezzati di fornello, pentolino, qualche bicchiere, una bacinella d’acqua – in cui sciacquare velocemente e senza sapone i bicchieri usati – latte e occorrenti, una sedia per il barista e una piccola sedia per i clienti.

Templi dravidici in Tamil Nadu

Il sud dell’India, soprattutto il Tamil Nadu, considerato la culla della cultura dravidica, ospita migliaia e migliaia di templi realizzati durante le dinastie che si susseguirono: dalle architetture rupestri dei Pallava (III secolo d.C), fino alle magnifiche realizzazioni dei Chola, dei Pandya e dei Vijayanagara (XVI secolo), epoca in cui si costruirono, forse a scopo difensivo, i Gopuram, quattro torri piramidali che sovrastano i portali d’accesso dei templi. La costruzione di un tempio dravidico si basa su complicati calcoli matematici, astronomici e astrologici. La sua pianta è come un mandala, al cui centro è collocata la statua del Dio. Il complesso diagramma di cerchi e quadrati intersecati va letto come una mappa dell’universo, delle sue energie e del rapporto tra gli uomini e il divino. Alcuni esempi di queste architetture dravidiche sono il tempio di Srī Minākshi a Madurai, considerata la città più antica del Tamil Nadu, i templi scavati nella roccia della dinastia Pallava a Mamallapuram, il tempio Vedagiriswarar a Thirukazhukundram, il tempio shivaita Arunachaleswar (o Annamalaiyar) a Tiruvannamalai.

Siamo a Tiruvannamalai, all’Arunachaleswar (dinastia Chola- IX sec. ), un tempio che si estende su dieci ettari di terreno ed è considerato uno dei più grandi di tutta l’India. Alle 4.30 del mattino, orario in cui la notte e il giorno coincidono, si assiste al momento più sublime all’interno del tempio. Tra le antiche mura, domina il silenzio, alcuni yogi (praticanti dello Yoga) trovano un posto appartato per meditare, altri pellegrini accendono gli incensi ai piedi delle Mūrti (statue di divinità). Al sorgere del sole, il tempio comincia ad illuminarsi, svelando le antiche sculture e i devoti in preghiera. Il canto degli uccelli e i versi di scimmie e scoiattoli fanno da sottofondo ai mantra. Gli uomini sono a petto nudo e indossano un lunghi bianco o rosso; i sādhu, i rinunciatari, portano invece un lunghi e uno scialle arancione sul quale poggia spesso una lunga barba bianca. Questi ultimi siedono per terra recitando il japa (rosario indù), il loro sguardo è concentrato, noncurante della folla che man mano comincia ad arrivare. Le donne vestono sari (tradizionale abito indiano femminile composto da 6 metri di tessuto) coloratissimi, verdi, gialli, rosa, ma soprattutto rossi, il colore di Shiva; la loro testa è coperta dal velo dell’abito, com’è usanza all’interno dei templi, e al collo portano collane di fiori.

In questo tempio molte divinità sono oggetto di un rispettoso culto quotidiano, come Shiva, Kālī, Ganesh ecc. Il Dio Shiva è venerato nel Lingam, una pietra dalla forma fallica. I devoti, per rispetto, restano a debita distanza dallo Shivalingam, contemplandolo da lontano, gettandogli sopra alcuni petali di fiori o del riso. Su di una colonna maestosa è scolpito Hanuman, il semidio dalla testa di scimmia, dipinto di rosso, intorno a lui i devoti girano tre volte tingendosi la fronte con la pasta di sandalo di cui è cosparsa la Mūrti; alcuni di loro recano come offerta una foglia di banana sulla quale vi sono fiori, riso e frutta, deponendola ai piedi della colonna dopo le rituali preghiere.

Sono le otto, e il tempio è ormai gremito da una folla colorata e frenetica. Il silenzio ha dato il posto ad un brusio continuo simile a quello di un mercato. Gli elefanti, animali sacri in India, sono sempre presenti nei templi dravidici. Un devoto di Shiva dell’Arunachaleswar segna la fronte di un pachiderma con tre linee bianche e rosse orizzontali e parallele, poi l’animale benedice chi gli fa un’offerta di cibo, posando la sua proboscide delicatamente sulla testa dell’offerente. Accanto a lui un grosso toro, ricoperto di collane di fiori, attende tranquillo le offerte dei devoti.

Villaggio tribale

A Tiruvannamalai conosciamo per caso un indiano della zona che ci accompagnerà a visitare un villaggio tribale a qualche ora da lì; in cambio ci chiede di offrire dei regali ai bambini orfani del villaggio. Ci dirigiamo verso i monti Kalvarayan, il nostro nuovo amico ci racconta che qui esistono circa duecento villaggi tribali, che fino a trent’anni fa vivevano sotto il potere di due grandi famiglie locali che imponevano ai tribali imposte molto alte e li facevano lavorare come braccianti nelle loro terre. Nel 1973 Indira Gandhi, allora primo ministro dell’India, pose fine a questa schiavitù.

Il villaggio che visitiamo è composto per lo più da capanne fatte di fango e letame e tetti di paglia. Gli spazi interni sono molto ristretti e bui: per entrare ci si deve abbassare a quattro zampe. Al centro del villaggio una piccola baracca offre in vendita pochi generi alimentari, biscotti, caramelle e oggetti vari. Un’enorme parabola domina la piccola piazza e fornisce il segnale ai televisori delle case attorno. Per i locali sembra essere l’unico mezzo che li unisce al resto del mondo. Le abitazioni hanno un’unica stanza dove si dorme durante la notte, a terra, e ci si siede durante il giorno. Il bagno e la cucina sono sempre esterni alla casa.

Le donne occupano il loro tempo nelle faccende domestiche, lavano le pentole con cenere e sabbia, si recano al fiume per il bucato. Le più forti lavorano nei campi, le più anziane rimangono con i bambini all’ombra dei piccoli portici nelle capanne. Alcune di loro intrecciano cestini di bambù su commissione, i clienti portano il materiale e loro lo lavorano vendendolo poi per 1 rupia l’uno. Ognuna di loro riesce mediamente a guadagnare 25 rupie al giorno, un po’ poco se si considera che oggi 1 euro equivale a circa 84 rupie. Gli uomini lavorano molto nei campi e nella manutenzione delle capanne.

Artisti tamil

In Tamil Nadu si riscontra un’intensa attività artistica e un artigianato tra i più rinomati del sud, come a Mamallapuram, una piccola cittadina che si estende sulla costa che bagna il golfo del Bengala. E’ ricca di storia e ospita monumenti e templi di architettura dravidica, alcuni dei quali scavati nella roccia, che attirano milioni di pellegrini e turisti ogni anno. Ma sono gli artigiani del cuoio e gli artisti dello scalpello a renderla ancora più caratteristica e speciale. Tra le stradine del paese si trovano i piccoli lavoratori dei maestri calzolai, dove due o tre artigiani siedono per terra tutto il giorno a lavorare ogni generi di pelli. Decidiamo di farci fare la nostra prima scarpa su misura. Scelgo dapprima uno tra i numerosi modelli di scarpe esposte, poi posiziono il mio piede su un foglio bianco, sul quale il maestro prende la misura con una matita. Le scarpe saranno pronte in due tre giorni, all’eccezionale prezzo di 10 euro.

Gli scultori lavorano lontano dal centro turistico, le loro botteghe occupano interi quartieri e i loro prodotti sono esposti ben in vista sulla strada: enormi statue di Ganapati, busti grandi e piccoli di Vishnu, Krishna, Shiva, Buddha, rappresentazioni di filosofi e maestri spirituali indiani. Io e mio marito visitiamo una di queste botteghe, dove si trovano statue immense, alte più di due metri, come l’intero busto del famoso filosofo Vivekananda, e statue molto piccole che richiedono un certo lavoro di precisione. Tra gli artigiani, una donna impugna un grosso martello e spacca il granito in piccoli pezzetti, esegue il lavoro indossando un sari e porta dei sandali ai piedi, con i quali tiene fermo il blocco di granito da rompere. La sua acconciatura è estremamente curata e adornata di fiori. Una volta spaccati i pezzi di granito li mette in dei grossi cesti per poi trasportarli sulla testa da una parte all’altra del villaggio. Un lavoro durissimo che queste donne svolgono con una dignità e un’eleganza sbalorditiva.

Il linguaggio del corpo inganna

Quando chiedete ad esempio ad un indiano se potete scattargli una foto, e lui piega la testa a destra e sinistra dondolandola ripetutamente – gesto che per noi potrebbe sembrare un “no” – è invece un “sì”. Se invece rimane immobile a fissarvi, non vuol dire che non ha capito, ma che non è d’accordo.

La colazione più buona al mondo

Per chi è amante delle spezie suggeriamo quella che per noi è la colazione più buona al mondo: gli idly, piatto tipico del sud dell’India. Assomigliano a delle grandi polpette tutte a base di riso, accompagnate da un curry composto da polpa di cocco, spezie e peperoncino. La maniera migliore per gustarli è mangiarli con le mani, in modo da impastare per bene la polpetta con il curry. Scegliete un tipico locale indiano, prediligendo quelli frequentati da locali, dove il cibo è fresco e si paga poco, circa 1 euro a testa.

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