L’India dei Mahrajah

Un viaggio in una terra affascinante come l'India è qualcosa di indimenticabile ed imperdibile... Dieci giorni sulle tracce dei Mahrajah!
Scritto da: Los Moltenis
l'india dei mahrajah
Partenza il: 21/01/2011
Ritorno il: 31/01/2011
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €
Cominciamo dall’inizio, con le presentazioni, come da galateo: siamo una famiglia di quattro persone, due giovanilissimi cinquantenni con due bei bambinoni, un ragazzo di 17 anni e una fanciulla di 19, che sarà la vostra reporter. Tutti pronti a scoprire, conoscere, gustare, arricchirsi dentro…insomma, a viaggiare! Dopo molti viaggi diversi abbiamo deciso di affrontare il sogno di una vita: l’India. Quell’India tanto sognata, di cui si è tanto sentito parlare, così spirituale e al contempo così pratica, dai colori e gli odori pazzescamente estasianti. Non potevamo lasciarcela scappare! Ed è stato così che, con il supporto di una competente agenzia di viaggi indiana, la Popular India Vacations di Karni Singh, trovata per caso su internet (…una gran fortuna!), abbiamo organizzato l’itinerario che ci avrebbe portato alla scoperta di gioielli come Jaipur, Agra, Orchha, Gwalior e Khajuraho, passando anche per il Parco di Ranthambore (perché, essendo amanti della natura, non potevamo tralasciare una visita alla ricerca della maestosa tigrevigliacco. Lunghi preparativi, tanta documentazione e una valigia piena di voglia di immergersi nello spirito indiano sono stati tutto ciò che ci è servito per prepararci al meglio. E il 21 gennaio (compleanno del giovinotto…quale miglior regalo?) siamo partiti da Malpensa con un volo diretto Milano-Delhi della Jet Airways. Dopo circa otto ore di volo, in netto anticipo rispetto all’orario previsto, siamo arrivati all’Indira Gandhi Airport. Inutile dire che l’India era lì, a due passi da noi, pronta ad attenderci: sbrigate le solite formalità, eccoci pronti! Il piazzale antistante all’aeroporto era pieno zeppo di gente: guide ed autisti con cartelli con i nomi più disparati, ragazzotti che si offrono di portare i bagagli, qualche venditore e, soprattutto, tantissimi corvi! Un certo senso di disorientamento ci ha presi per un attimo, quando ci siamo resi conto che nessuno ci stava aspettando…e invece no! Ecco Mohan, il nostro autista, che, a causa dell’atterraggio in anticipo dell’aereo e di un controllo della polizia in vista dell’imminente Festa della Repubblica, che si sarebbe celebrata il 26 gennaio, ha avuto un po’ di ritardo.

Approfittiamo del fatto di essere atterrati a Delhi per visitare un po’ la città prima di partire alla volta di Jaipur. Prima tappa: la tomba di Humayun, imperatore mongolo del XVI secolo, uno dei primi esempi di architettura mongola che ha in seguito influenzato l’architettura di molti edifici indiani, tra cui il Taj Mahal. Siamo stati colpiti dai tanti bambini (molto probabilmente in gita scolastica, date le loro uniformi colorate e la presenza di quelli che sembravano professori) che spesso ci hanno chiesto di essere fotografati, per poi rivedersi, meravigliati, nello schermo della macchina fotografica! Abbiamo proseguito, poi, per il Lotus Temple, edificio di culto dei fedeli Bahari, luogo di meditazione e preghiera, dalla tipica forma di fiore di loto.

Ora di pranzo! Non avendo la più pallida idea di cosa mangiare, ci siamo fatti consigliare dal nostro fidato Mohan, che ha ordinato un pranzetto coi fiocchi, tutto vegetariano…che goduria! Unica raccomandazione: se si vuole qualcosa di piccante è sempre meglio precisare “not very spicy”, o si corre il rischio di andare a fuoco, mentre chi il piccante lo tollera poco, chieda sempre “no spicy”, anche perché sarà tutto molto più speziato di quanto ci si possa aspettare!

Con lo stomaco pieno visitiamo, quindi, l’ultimo monumento della giornata: il Qutub Minar. Trovata una guida “di fortuna”, scopriamo che la torre risale, in realtà, all’epoca induista e che aveva la funzione di gnomone di un’enorme meridiana, come testimoniato dai numeri romani incisi sul suo basamento; fu trasformata, in epoca moghul, nel minareto della moschea adiacente, prima tempio indù successivamente ampliato e modificato.

È giunta l’ora di partire per Jaipur! Dopo sei ore di tragitto in auto, con Mohan che si diverte da pazzi ad ascoltare la musica italiana, raggiungiamo la capitale del Rajasthan nonché sede della Popular India Vacations: spettacolare! Ad attenderci lungo la strada che ci avrebbe portato all’albergo non solo la fantastica facciata del Palazzo dei Venti, ma anche un’entusiasmante processione: è un matrimonio o, per meglio dire, la festa della sposa! Stanchi, ma con gli occhi pieni di India, ci sistemiamo al Shah Pura Hotel per la notte, per riposarci prima di una giornata all’insegna della scoperta di Jaipur.

Accompagnati da Raju, la nostra guida per la giornata, ci sentiamo subito a nostro agio: dopo qualche nozione di storia sulla città, giungiamo al Forte di Amber, o meglio, alla “stazione” degli elefanti che ci condurranno al Forte, ma non prima di essere assaliti da diversi venditori, da cui compriamo già degli elefantini (preludio di una giornata di spese!). Giunti nel mezzo dello spiazzo circondato dalle mura del Forte, lasciamo i pachidermi variopinti che ci hanno accompagnati e proseguiamo con Raju per visitare il tempio poco distante: suoniamo la campana che risveglia i nostri dei e ci facciamo benedire con un segno rosso sulla fronte, memori della lezione della guida che ci aveva accompagnato in Thailandia: “Tanto male non fa, al limite porta fortuna”. Dopo di che inizia la visita del Forte vero e proprio: cortili, stanze, portici, antichi sistemi di riscaldamento e di aria condizionata (troppo avanti, questi Moghul!), giardini e piscine si susseguono, uniti alle spiegazioni sulla storia di Jaipur, dei Moghul e degli Inglesi, sulla cultura indù, sulla società e le tradizioni indiane e sulla vita dei maharajah. Lasciato il Forte di Amber, ci dirigiamo verso il Palazzo dell’Acqua, visibile solo da lontano in quanto ora appartiene al ricchissimo Tata (esatto, quello delle auto) ed è in ristrutturazione per diventare un hotel di lusso o un museo. Dopo pranzo ci si ferma per immortalare il Palazzo dei Venti illuminato dal sole e per visitare l’osservatorio astronomico, il Jantar Mantar: tra meridiane (tra cui anche la più grande del mondo!), strumenti per il calcolo del segno zodiacale e dell’ascendente, ma anche dell’inclinazione del sole e della posizione delle stelle, Raju sa ben destreggiarsi, essendo quasi laureato in astronomia! Si continua a piedi per il Palazzo Reale (ovviamente, senza farci mancare l’acquisto di altri piccoli souvenir lungo il tragitto!). Qui possiamo ammirare le corti interne, gli edifici, gli intarsi, i bassorilievi in marmo e gli affreschi realizzati con colori minerali, oltre a visitare il museo degli abiti dei maharajah e delle loro spose, quello delle armi e la galleria dell’artigianato. Proseguono le compere quando visitiamo un centro di lavorazione delle pietre preziose e semi-preziose ed un laboratorio di stoffe: Raju resta impressionato dalla capacità di contrattare del capo famiglia, tanto che, secondo il nostro cicerone, dovrebbe far parte della casta dei commercianti! La cena è leggera, a base di arachidi appena tostate, gentilmente offerte dal buon Raju, e di banane comprate al mercato, tanto dolci e saporite da far tornare l’acquolina in bocca a distanza di mesi!

Il giorno successivo ecco che si parte per il parco di Ranthambore. Mohan, minacciato dal “boss”: “O ci fai vedere i treni con le persone sopra, o niente mancia!”, prega Ganesh fino allo sfinimento e…siamo riusciti ad immortalare ben tre treni! Ok, Mohan si è meritato la mancia!!

Verso mezzogiorno raggiungiamo il parco e ci prepariamo prima per il pranzo al Ranthambore Regency, poi per il primo safari, accompagnati da Bobby, guida del parco che ci spiega qualcosa in più sulle tigri e sugli animali che avvistiamo: antilopi, pavoni, cervi, volatili vari e scimmie, tante scimmie! Il colpo di scena principale l’abbiamo vissuto all’ingresso del parco: abbiamo quasi “rischiato” di vedere un leopardo, ma il vigliacco si è nascosto e non c’è stato nulla da fare, non siamo riusciti ad immortalarlo nelle nostre foto: codardo!

Ci ha attesi un altro safari, l’indomani mattina, all’alba, ma niente da fare, sempre gli stessi avvistamenti: valanghe di cervi, un’aquila, diversi uccelli, pavoni e…uno scoiattolo! E, tra un animale e l’altro, il nostro autista ha pensato bene di forare una gomma….povero, non è colpa sua…o meglio, sì, dato che continuava a correre come un pazzo beccando tutti i sassi possibili e immaginabili!! Beh, fatto sta che dopo la sosta x il cambio-ruota si è calmato un po’. Abbiamo continuato a cercare la tigre, pure provando con una zona “alternativa”, quella della tigre 17, che solitamente va a fare il bagno nello specchio d’acqua che si trova nel suo territorio e che si affaccia su una radura dove ci siamo appostati per poter osservare il “felino natante”…ma niente!

Rientriamo, quindi, in fretta e furia in albergo, facciamo colazione a velocità supersonica, dato che siamo terribilmente in ritardo, e appioppiamo le nostre pesantissime valigie ai ragazzi che erano saliti per portarle nella hall (si erano organizzati, dato che quando siamo arrivati uno ci ha quasi rimesso la schiena, talmente era insopportabile il peso!).

Finalmente si torna in auto con Mohan, lasciato ieri al nostro arrivo…subito ci chiede della tigre, se le sue preghiere a Ganesh fossero state utili, ma, povero Mohan, si deve rassegnare: il dio-elefante a cui tutti si rivolgono per un po’ di fortuna, stavolta non ha fatto il suo mestiere…sarà per un’altra volta, Ganesh caro…e ricordati che ci devi un favore!

Questa volta la direzione è Agra, nuova meta, ma non prima di una tappa a Fatehpur Sikri. Sebbene stiamo percorrendo l’autostrada, ci sono diverse auto che procedono contromano, per poi svoltare alla prima apertura dello spartitraffico (esatto, perché qui in India non solo esiste la linea, ma pure lo spartitraffico tratteggiato!!!). E qual è la risposta del nostro fidato autista? “Eeeeh…This is India!” ma sì….fate con comodo…! Nel frattempo ci dobbiamo fermare, causa una lunghissima coda di camion. Mohan scende, parla con qualche altro autista lungo la strada, poi si rimette al volante e abilmente riesce a svoltare al di là dello spartitraffico, imboccando una stradina sterrata. L’idea è quella di aggirare il blocco facendo il giro largo, passando per i vari villaggi che si affacciano sull’autostrada, per poi rientrare nella circolazione “normale” (se così si può definire). Durante il tragitto scopriamo da Mohan che il traffico del tutto bloccato è dovuto a una delle frequenti manifestazioni messe in atto dagli abitanti locali per lamentarsi del problema di turno: il governo, le tasse, la scuola, l’inflazione e quant’altro; sinceramente non si è capito se fossero i camionisti ad essere scesi a bloccare l’autostrada o se anche loro come noi fossero semplici “vittime” delle proteste. Fatto sta che, dopo una mezz’oretta abbondante, forse anche un po’ di più, ci ritroviamo sull’autostrada, seguiti da un’auto bianca con lampeggiante rosso: un ministro, che aveva condiviso l’idea di Mohan. Ma quanto è geniale il nostro autista?!?

Giunti a Fatehpur Sikri, ci attende una guida che ci accompagna all’interno del complesso di palazzi fatto edificare dall’imperatore moghul Akbar per le sue tre mogli: una cristiana, proveniente da Goa, una musulmana da Lahore (in Pakistan) e una induista (probabilmente da Agra, da quanto abbiamo capito), l’unica che gli diede un erede, e per la quale, quindi, fece edificare il più grande dei palazzi. Tutto è incantevole, ma dobbiamo uscire subito, perché si avvicina l’orario di chiusura. Visitiamo, quindi, la moschea, con la tomba di Chisti, un santone, tutta in marmo bianco, che spicca rispetto al resto, in arenaria rosa…uno spettacolo! Peccato che fosse quasi il tramonto e, per via della preghiera imminente, siamo dovuti uscire presto. In ogni caso, Mohan ci ha dovuti aspettare ancora un bel po’: la guida, evidentemente non senza interesse, ci porta in un negozio dove si vendono vari oggettini di marmo, tutti lavorati finemente: nuovi acquisti! Torniamo, quindi, in auto per compiere l’ultimo tratto di strada ed arrivare, finalmente, ad Agra, prima al ristorante e poi all’hotel Clark Shiraz, dove scarichiamo i bagagli e salutiamo Mohan (che si merita un bel po’ di riposo!).

Siamo al 26 gennaio, il giorno della Festa della Repubblica…ma non sentiamo l’atmosfera dei festeggiamenti: al Taj Mahal sembra che il tempo si sia fermato a quel lontano 1632, quando l’imperatore Shah Jahan, distrutto dal dolore per la perdita della sua amata Mumtaz, fece erigere per lei questo incantevole mausoleo in marmo bianco, con ricchissimi intarsi ed inserti in pietre preziose…uno spettacolo senza tempo, se solo non fosse per l’innumerevole quantità di macchine fotografiche e di videocamere digitali e per il pulmino elettrico che conduce dal parcheggio delle auto all’ingresso dell’edificio, dove, ad attendere i turisti, c’è una lunga fila per i controlli al metal detector. Una volta varcata la soglia, eccolo stagliarsi contro l’orizzonte: il Taj, simbolo del Paese. Un piccolo consiglio: non vale la pena pagare il ticket per l’utilizzo della videocamera, benché non costi molto, in quanto una volta superato l’ingresso non è più consentito filmare. Dopo la visita all’interno del Taj e una passeggiata soli soletti a scoprire, dall’esterno, la moschea e il palazzo degli ospiti, siamo rientrati in albergo per la colazione, pronti a ripartire alla scoperta di Agra in compagnia di tre nuove compagne di viaggio arrivate da Bologna ed accompagnate da Gaju, altro autista di Karni. Una guida parlante inglese ci accompagna prima al Forte Rosso, con le magnifiche decorazioni che, però, in alcuni punti sono state rovinate per l’intervento dei “soliti” colonizzatori inglesi, e con i numerosissimi scoiattolini a cui si possono dare dei semini da mangiare, e poi al Baby Taj sul fiume Jamunay. In seguito, da soli, ci siamo fatti accompagnare da Mohan e Gaju ai giardini che avrebbero dovuto circondare il Taj nero, che Shah Jahan voleva far edificare proprio di fronte a quello bianco, sull’altra sponda del fiume; sfortunatamente suo figlio lo fece imprigionare all’interno del Forte rosso prima che potesse realizzare il suo progetto, avendo gettato solo le basi del secondo mausoleo per l’amata Mumtaz. Dalla rete di filo spinato che separa il prato fiorito dei turisti dalla strada sporca e polverosa di chi ad Agra ci vive, spuntavano le manine dei bambini alla ricerca di qualche rupia, biro o caramella: una scena toccante, come il sole che, al tramonto, dipingeva di rosso ed arancio il Taj Mahal, creando un’atmosfera tra la magia e la miseria assoluta. Rientrati in albergo ci prepariamo per la cena: offre Karni! Che brav’uomo! Cena ottima, inutile dirlo…l’ideale dopo una giornata del genere!

L’indomani si parte alla volta di Gwalior, con il suo fantastico Forte, il Palazzo di Man Singh, in arenaria e decorato da maioliche azzurre, che sembra quasi uscito da un racconto delle Mille e una notte: uno spettacolo senza pari, forse anche meglio del Taj per la sua particolarità. Fortunatamente abbiamo trovato una guida competente (non era prevista una visita guidata per il Forte, così ci siamo affidati ad un abitante del posto, proprietario di un negozietto appena fuori il cancello che delimita il sito), che, sebbene in inglese, è riuscita a spiegare in maniera chiara e dettagliata la funzione di ogni stanza, aggiungendo interessanti aneddoti sulla vita dei maharajah che qui vivevano. Scendendo verso la città non potevamo lasciarci sfuggire una sosta per ammirare le numerosissime figure di Mahavira, maestro spirituale dei giainisti, scolpite direttamente nella roccia: sembra quasi di essere tornati indietro nel tempo, con queste imponenti figure che ci osservano dall’alto, abbracciate da rami di rampicanti o bagnate dall’acqua delle piccole cascate che le circondano.

Lungo la strada che ci condurrà ad Orchha ci fermiamo per pranzare in un ristorante locale; aspettando che ci portino da mangiare, seguiamo Mohan, che ci invita nel tempio indù poco distante: mentre il nostro autista prega, noi ci guardiamo intorno, incuriositi ed affascinati. Dopo la benedizione del bramino, torniamo a tavola, per poi ripartire. Giunti ad Orchha, restiamo esterrefatti dalla bellezza del posto: una miriade di templi in stile khmer (come quelli di Angkor Wat, per intenderci) si susseguono uno dopo l’altro, spesso raccolti in piccoli gruppetti. Il forte che visitiamo è sorprendente, estremamente ben lavorato e ricco di decorazioni in ogni angolo. Da qui ci dirigiamo verso l’hotel, il “The Orchha Resort”, proprio di fronte a uno dei molti edifici khmer. Ma non finisce qui! Dopo la cena con Mohan, che l’indomani avrebbe dovuto salutarci, veniamo invitati in un altro tempio, per una particolare funzione che, a suo dire, ci può sicuramente piacere. Purtroppo, però, non riusciamo ad arrivare in tempo, ma poco male: mentre l’autista prega noi ci diamo alle fotografie dei mendicanti fuori dal tempio e delle vacche sacre che ci hanno accompagnato durante tutto il viaggio. Mohan ci regala, quindi, un CD con alcuni canti religiosi dedicati a Rama, come se fosse un ringraziamento per avergli fatto ascoltare la musica italiana che ci eravamo portati da casa.

Il giorno seguente rieccoci di nuovo in viaggio, questa volta con destinazione Khajuraho. La strada non è poi così lunga e in poco meno di tre ore arriviamo ai famosi templi dai bassorilievi erotici, come ben testimoniano anche i venditori ambulanti che prendono d’assedio i turisti con i loro portachiavi, libri fotografici e mazzi di carte in cui ci sono uomini e donne che “fanno tiki tiki” (testuali parole!). Anche qui ad attenderci è una guida locale: parla benissimo italiano! Infatti ci spiega di essere stato a Bologna e di aver studiato lì diversi anni. Con lui inizia la visita dei vari templi: per descrivere quello che abbiamo visto non c’è niente di meglio delle parole di Pasolini, che fece il suo primo viaggio in India esattamente cinquant’anni or sono: “Khajuraho è il posto più bello dell’India, anzi forse l’unico posto che si può dire veramente bello, nel senso “occidentale” di questa parola. Un immenso prato-giardino di gusto inglese, verde, d’una tenerezza struggente, con delle buganvillee sparse a grossi cespugli rotondi, davanti a ognuno dei quali l’occhio si sarebbe perduto a goderne il rosso paradisiaco per ore intere. File di giovinette, col sari, tutte inanellate, lavoravano il prato […]. E sparsi in questo prato, i piccoli templi: che sono quanto di più sublime si possa guardare in India.” Parole talmente belle che non potevano non essere riportate! Dal gruppo Ovest ci spostiamo ai templi della zona Sud-Est: tutti stupendi, “non cose di pietra, parevano: ma d’un materiale quasi commestibile, più che prezioso, aereo. Nuvoloni e nuvolette cadute in quel gran prato verdino, condensate, coagulate, diventate simili a grandi grappoli d’uva, col gambo ficcato a terra, gocciolanti, e i grani fitti, quasi incastrati l’uno nell’altro”.

Purtroppo è arrivato il momento di salutare Mohan, che ci lascia con un’ultima sua gentilezza: ci cede la sua medicina naturale per curare il raffreddore della mirabolante “mamma”. Ci affida a suo fratello, anch’egli autista per Karni, con cui andiamo a cena. E così si allontana, a bordo dell’auto, con il suo sguardo da bambino, vivace e curioso, attento a tutto e quasi ingenuo, puro… Arrivederci Mohan…perché ci rivedremo, ne siamo certi!

Manca poco al ritorno in Italia. Siamo al penultimo giorno: mattinata libera, che occupiamo con qualche passeggiata e gli ultimi preparativi prima del pranzo, per poi trasferirci all’aeroporto di Khajuraho per il volo verso Nuova Delhi, che raggiungiamo dopo poco più di due ore. Qui ci attende niente popo di meno che… Rullo di tamburi… Karni! È arrivato nella capitale esclusivamente per incontrarci: che onore! Dopo i saluti e la promessa di ritrovarci per cena, noi quattro ci affidiamo all’autista, che ci porta a vedere la Moschea Jami Masjid. Per raggiungerla si deve passare tra cartoni, spiazzi e bancarelle su cui si vende di tutto; qui la miseria, la vera miseria di cui si sente tanto parlare quando ci si riferisce all’India, si fa tangibile, quasi qualcosa di materiale: bambini che giocano in mezzo alla spazzatura, mendicanti ad ogni angolo, persone ed animali che convivono quasi ambiguamente. Una volta entrati nella moschea, purtroppo, causa l’avvicinarsi dell’ora della preghiera, ci sono stati concessi al massimo cinque minuti. E…un’altra cosa: dopo aver fatto il biglietto ed esser stati praticamente cacciati, abbiamo scoperto che non c’è nessun ingresso da pagare: fantastico! Scottati dalla fregatura siamo tornati al The Park Hotel per riposarci un po’ prima di cena; tutto squisito, come sempre…e Karni ha voluto offrire ancora! Che dire? Grazie!

Ecco che è giunto l’ultimo giorno. Con la fine di gennaio, anche il nostro viaggio arriva al termine: il volo che ci riporta in Italia decolla in mattinata. Addio India! È così che dobbiamo salutare un Paese così straordinariamente sorprendente ed unico! Grazie India, grazie di cuore: è stato un sogno che si è realizzato!

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...una goccia di rugiada dal profumo indiano...



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