Ladakh, Rajasthan, Isole Laccadive

INTRODUZIONE Viaggio estremamente vario ma stancante, in soli 23 giorni siamo riusciti a visitare Ladakh, Rajasthan e Isole Laccadive. Il fatto di avere visto posti così differenti ha certamente reso più interessante la visita dell’India, ma è stato sicuramente un viaggio molto duro che raccomandiamo di fare, se possibile, con qualche...
Scritto da: Luca Tartaro
ladakh, rajasthan, isole laccadive
Partenza il: 03/08/2007
Ritorno il: 26/08/2007
Viaggiatori: in gruppo
INTRODUZIONE Viaggio estremamente vario ma stancante, in soli 23 giorni siamo riusciti a visitare Ladakh, Rajasthan e Isole Laccadive.

Il fatto di avere visto posti così differenti ha certamente reso più interessante la visita dell’India, ma è stato sicuramente un viaggio molto duro che raccomandiamo di fare, se possibile, con qualche giorno in più.

La parte del Rajasthan è stata la più faticosa, per cercare di vedere il più possibile nei soli 11 giorni a disposizione, abbiamo passato diverse ore delle giornate in viaggio. Il clima non è stato favorevole, in Ladakh è stato quasi sempre coperto, in Rajasthan lo stesso ma con in più un caldo micidiale che ha in parte rovinato le nostre visite alle varie città. Spesso paradossalmente si era talmente stremati dal caldo che non vedevamo l’ora di rientrare nel nostro mini pullman per poter stare al fresco. Alle Laccadive ha piovuto quasi sempre, i rari momenti di sole si stava però veramente bene. Non so se siamo stati sfortunati noi o se in agosto è sempre così, ma la sensazione che abbiamo avuto noi è che fare lo stesso viaggio con qualche giorno in più e un clima più favorevole debba essere un’esperienza indimenticabile.

Consigliamo vivamente la visita del Ladakh, la visita ai monasteri in quel paesaggio così incredibile è veramente suggestiva, non servono molti giorni, quelli che abbiamo fatto secondo noi sono sufficienti.

Capitolo cibo: premetto che noi tutti adoriamo il cibo indiano, ma dopo averlo mangiato a pranzo e a cena per alcuni giorni abbiamo fatto il pieno e alla fine eravamo veramente schifati alla sola idea di andare al ristorante a mangiare il solito pollo fatto in tutte le maniere ma sempre ricchissimo di spezie fortissime. Sapori buoni, ma molto forti in tutti i nostri viaggi nei paesi in giro per il mondo è stato quello dove abbiamo avuto più problemi con il cibo… E non l’avremmo mai detto! Isole Laccadive: molto belle, ma non vale la pena partire dall’Italia solo per quello. Ideali per un completamento di un viaggio in India.

Costi: l’India è veramente economica, raccomandiamo di non badare a spese e di andare sempre nei migliori ristoranti dove si hanno più garanzie di qualità del cibo e d’igiene. A volte la differenza di prezzo tra il miglior ristorante della città e uno qualunque consigliato da qualche guida può essere davvero ridicola. Per gli hotel vale lo stesso discorso, anche se in certe città per salire di qualità bisogna spendere un po’. 3 agosto 2007: … Ci siamo! I magnifici 7 sono di nuovo al check in. Come nelle migliori tradizioni, partenza all’alba: ci incontriamo verso le 5 in aeroporto a Bologna, ma il gruppo si divide quasi subito (tanto per non perdere la sana abitudine di insperati agganci in giro per il mondo): Tuni, Luca, la Claudia e Tralli si imbarcano per Milano e di lì a Delhi; Jerry, Uccio e la Barbara la prendono un po’ più larga passando per Amsterdam. Appuntamento allo sportello della Bank of India all’aeroporto di New Delhi.

C’è giusto il tempo per la colazione al termine della quale Luca annuncia trionfale le prime avvisaglie di movida: partiamo bene!! Fortunatamente l’allarme-cagone sembra rientrato … per ora! Verso mezzanotte, aggancio riuscito, e con tutte le valigie: c’è da gridare al miracolo! E adesso, freschi come delle rose, ci dirigiamo direttamente all’imbarco per Leh (Ladakh): 8 km su un pulmino che ricorda i collectivos guatemaltechi, ma il colpo di grazia è l’attesa: 5 ore in una ghiacciaia; l’intappo di Jerry è indescrivibile.

4 agosto: eccoci in Ladakh.

Finalmente arriviamo a Leh: in effetti, fa freschino … La città è piuttosto piccola ed è la base di partenza per visitare la regione. Pur essendo a 3.500 mt. È incastonata tra montagne di 3-4.000 mt. Più alte; tutto intorno solo roccia nuda: sembra un paesaggio lunare.

L’albergo è davvero carino, soprattutto se confrontato con le bettole che vediamo dal finestrino pregando che non ci scarichino proprio lì. Siamo a pezzi e l’aria rarefatta ci mette al tappeto. La Barbara non campana più niente e rischia lo svenimento sulle scale: la salva la Claudia, sotto lo sguardo indifferente di Tralli che, da vero cavaliere senza macchia e senza paura, non muove un dito.

Finalmente ci danno le camere: ci buttiamo sul letto stremati. A mezzogiorno, usciamo per pranzo: si fa davvero fatica a fare anche pochi passi. Proviamo la prima specialità: i MOMO al pollo e al montone (su richiesta di Jerry, naturalmente …).

Rientriamo in albergo e ci polleggiamo un po’ sulla terrazza panoramica, non prima di aver pazientemente spiegato alla Barbara, ormai priva di qualunque orientamento spazio-temporale, che è sabato 4 e siamo partiti da un giorno … stiamo valutando l’interdizione … Ecco il primo autoscatto del viaggio: tutti alla finestra delle camere, confidando che il nuovo telecomando dei paparazzi funzioni … neanche a parlarne! Tralli – saggio ma decisamente poco agile – nel tentativo di comparire nella foto dopo aver eroicamente programmato l’autoscatto, rischia più volte di schiantarsi al muro e alla fine, spompato come se avesse fatto la maratona, rinuncia.

Partiamo con la guida per un primo giro della città: visitiamo il tempio buddista di Leh (rigorosamente senza scarpe) e ci adoperiamo, con appostamenti e imboscate degne di un veterano dei marines, nel tentativo di fotografare due pittoresche vecchine in preghiera: prendiamo due nomi e desistiamo.

In serata, la Barbara manifesta ulteriori preoccupanti segni di squilibrio: al momento di scegliere il ristorante, chiede con fare indagatorio se riusciremo a trovare cucina indiana (oltre che tibetana) … MA SIAMO IN INDIA!! A tavola, poi, dopo aver recitato la parte della donna di mondo ordinando “Club Soda”, pensa bene di sgasare l’acqua con la bottiglia aperta … decisamente rarefatta!! Cena da ricordare da Summer Harvest: cibo delizioso e abbondante per 3,14 € a testa … è record! 5 agosto: the monks.

Notte decisamente problematica per la Tuni, colpita dal mal di montagna: si riprende sul finale grazie ad una miracolosa pasticca, mentre il fido Luca combatte con un’insolente aerofagia che condividerà con tutti i compagni di viaggio. L’alta montagna può avere i sintomi più disparati! Dopo un’abbondante colazione a FAST FOOD (la Barbara si conferma tale anche oggi …), partiamo con una nuova guida alla volta dei primi monasteri: Hemis e Thiskey. I monaci vivono in piccole comunità, formate da pochi edifici arroccati in posizioni quasi inaccessibili, dove ognuno ha un proprio compito. Essere monaco è motivo di orgoglio per la famiglia e talvolta rappresenta l’unica possibilità di sfuggire alla miseria. La vita all’interno del monastero scorre lenta, tra momenti di meditazione e preghiera e piccole attività utili al sostentamento della comunità.

Entriamo (ovviamente scalzi) in diverse stanze piene di immagini sacre e libri antichi. All’ennesimo cambio di scarpe, Jerry si dichiara devota alle 3 divinità buddiste: Buddha, Shiva e SABOT FISSO!! Nuovo record mondiale: pranzo a 2,21 € (anche se il ristorante di ieri resta nel complesso insuperabile).

Nel pomeriggio, proseguiamo la visita ai monasteri di Shay e Stock. Da segnalare l’avvistamento nell’ex palazzo reale, ad opera della sola Barbara, di un formichiere impagliato all’ingresso.

Rientriamo in albergo e ci prepariamo per la cena tibetana super consigliata dalla Lonely e prenotata in anticipo: una vera tragedia! L’apice del dramma lo raggiungiamo al momento di scoperchiare la tinozza infuocata che il cameriere ha orgogliosamente poggiato al centro del tavolo: un mischione di verdure bollite, carne, uova e noodles miscelati in una brodaglia biancastra molto sospetta. Jerry si scatena in una pesca alla cieca, distribuendo d’ufficio broccoli bolliti, rotolini di montone ancora galoppante e carne non ben identificata.

Al momento di sparecchiare, il cameriere pretende di verificare la quantità di brodaglia che siamo riusciti a ingurgitare: superiamo l’esame a pieni voti … e la grande sorpresa del tibetano avrebbe dovuto dircela lunga sulle conseguenze, che scopriremo solo più tardi.

6 agosto: more monks! La camera di Luca e Tuni viene nuovamente colpita durante la notte: Luca, dall’una in poi, non fa altro che – nell’ordine – sospirare, vomitare, cagare, liberare lo squaraus e vomitare di nuovo. Al mattino, la Barbara interviene d’urgenza con un punturone di Plasil, infierendo sul chiappone di Luca, dallo sguardo atterrito.

Manchiamo di un attimo il Dalai Lama, in visita a Leh proprio in questi giorni. A quel punto, partiamo per i nuovi monasteri: Rezong, Alchi e Likir.

Il viaggio mette a dura prova il già fiaccato Luca; dopo 2 ore di tornanti e sterrati sul ciglio del burrone, arriviamo stremati a Rezong, dove la Claudia, a fronte di sì faticoso viaggio, pretende monaci giocolieri che saltano in cerchi infuocati … Ovviamente, niente di tutto ciò: solo una salita massacrante, con pendenza al 90%, che dà il colpo di grazia allo scorreggione e alla Barbara, sorpresi pericolosamente in sosta su un cornicione, lo sguardo perso nel vuoto … Pranzo praticamente sotto l’acqua, a temperatura glaciale.

In fretta ci dirigiamo verso il monastero di Alchi, dove appena 2 giorni fa hanno ucciso due monaci: atmosfera da “Il nome della rosa” … Il monastero è molto particolare: è l’unico visto sino ad ora in stile indiano, con enorme statue di Buddha in piedi (solitamente appaiono seduti) a fronte di porte d’ingresso per gnomi. Jerry mostra i primi segni di disorientamento, pretendendo di vedere ovunque il Futur Buddha: ovviamente, non c’azzecca mai.

Da qui ci dirigiamo verso l’ultimo monastero, un po’ delusi in verità: ci aspettavamo di assistere a riti e preghiere, e di incontrare monaci un po’ più socievoli… Ma il finale ci riserva il colpaccio: arriviamo a Likir per ammirare l’enorme statua dorata del Buddha e veniamo accolti sulle scale dal monaco anziano che chiama a raccolta gli altri suonando il gong. Nel tentativo di scattare finalmente il pulitzer annunciato da mesi, Tralli viene messo miseramente in fuga dal religioso ottantenne: figura pessima! Di lì a poco assistiamo all’adunata generale sul piazzale centrale: i monaci, grandi e piccoli, avvolti nei loro tradizionali abiti rossi, si lasciano fotografare tranquillamente prima di entrare nella stanza della preghiera. Ci aggiriamo silenziosamente tra di loro, seduti davanti a un libro e a una tazza di tè, fin quando iniziano a intonare le preghiere: davvero affascinante! Già contenti, ci dirigiamo verso il maestoso Buddha dorato, dove incontriamo un monaco giovane e cordiale che si ferma a chiacchierare e si presta per un foto di gruppo.

Giusto il tempo per l’ennesimo errore di Jerry, che questa volta opta sicura per il Present Buddha e viene sbeffeggiata anche dalla guida.

Ci spariamo un’altra ora e mezzo di sterrato per rientrare a Leh, ma la giornata non è ancora finita: manca infatti il cultural show con canti e balli tradizionali ladakhi.

7 agosto: in viaggio per il Rajasthan.

Oggi salutiamo il Ladakh diretti in Rajasthan. Alle 5.30 il boss viene a ritirarci in albergo per condurci in aeroporto: dopo 1000 controlli (in particolare, Uccio è guardato a vista come un pericoloso terrorista …) partiamo per Delhi, dove finalmente conosceremo il mitico Mr. Dinesh. Con “sole” 2 ore di ritardo arriviamo nella capitale dove, piacevolmente stupiti, troviamo tutti i nostri 14 bagagli; da segnalare solo la cialtronata di Luca, praticamente già in coda all’ufficio reclami, se non fosse per il saggio Tralli che avvistava uno zaino solitario tristemente abbandonato sul rullo … che fosse proprio quello dello stordito Luca?!? Eccoci a Delhi. Contrariamente al toto-Dinesh che aveva impazzato nelle ultime settimane, niente occhiali e niente turbante! Dinesh è in realtà un uomo di circa 40 anni, vestito all’occidentale (Levis a righe very fashion …) e molto professionale. Il pulmino, poi, è al di sopra di ogni aspettativa: interni perfetti (il mezzo ha appena 3 mesi), con asciugamani e cuscini inclusi; televisore e aria condizionata a manetta, con grosso rischio cervicale per tutti.

L’autista è in divisa bianca, mentre il suo aiutante è in pantaloni e camicia.

L’impatto con Delhi è sconvolgente: mai visto un traffico così variegato! Un assurdo meltin pot di mucche, cani randagi, pedoni, cammelli, biciclette, risciò sembra essersi dato appuntamento alla prima rotonda che incontriamo: un vero girone dantesco, da cui fatichiamo non poco a uscire! Dopo un centinaio di inversioni e cambi di rotta, nel disperato tentativo di sfuggire a quell’intricatissimo ingorgo di uomini, animali e macchine, ci rendiamo conto che il nostro autista decisamente brancola nel buio: le 5 ore preventivate per arrivare a Mandawa, la nostra prima tappa, saranno niente più che una chimera.

Dopo 9 ore di viaggio, ormai rassegnati a trascorrere la prima notte rajasthana in pullman, anziché nei lussuosi palazzi dei maharaja, arriviamo miracolosamente a destinazione: l’haveli dove alloggiamo è davvero incredibile per la ricchezza delle decorazioni! All’ingresso indiani con lunghi baffi e turbante accolgono ogni ospite con una collana multicolor al collo e un bollino rosso in fronte … siamo in Rajasthan!! La cena non è esaltante: si susseguono portate non identificabili… potrebbero essere qualsiasi cosa!!! 8 agosto: saranno pure sacri, ma restan topi! Iniziamo la giornata con una visita ai numerosi haveli che si affacciano sulle strade polverose: molto belli ma in alcuni casi decisamente decadenti … la calma della città quasi dormiente è rotta dall’energia dei bimbi della scuola locale: in un baleno veniamo accerchiati da gruppi di mocciosi incuriositi dalla macchine digitali, che pretendono un vero e proprio servizio fotografico! Dopo un centinaio di scatti e la firma nel registro del preside, torniamo in albergo dove troviamo l’autista già pronto per la partenza: destinazione Bikaner con sosta a Fatehpur; tempo stimato: 4 ore … speriamo! Visitiamo Fatehpur sotto un sole infuocato. Da segnalare il primo acquisto delle squinzie: bellissimi braccialetti di ceralacca realizzati da un pittoresco vecchietto sotto i nostri occhi ammirati … evidentemente, però, le indiane hanno polsi decisamente più smilzi dei nostri: gallina beccaci se ne passa uno di ‘sti maledetti bracciali!! Visitati 2 haveli e presi 2 nomi dal custode – un uomo di mezza età buttato pigramente su un letto, con un lenzuolo annodato sui “gioiellini” – per aver lasciato una mancia troppo scarsa, ripartiamo alla volta di Bikaner, dove ci aspetta il tempio dei topi … mah … Durante il tragitto, ci lasciamo abbindolare dall’autista che ci propone una visita, invero piuttosto deludente, ad un allevamento di cammelli, al termine della quale la sedicente guida (4 informazioni in tutto, e anche banali …) pretende, con malcelato fare truffaldino, ben 30 rupie a testa. Nemmeno l’intervento dell’autista ci aiuta: non ci sono santi, paghiamo a malincuore e ce ne andiamo. Risaliti in pullman, la Barbara (che stranamente non sembra beneficiare del cambio di regione: ora siamo in pianura …), ancora imbestialita per il furto subito, comincia una sdegnata arringa sui principi della correttezza nel commercio e nell’economia, ma viene zittita dalla acuta osservazione della Claudia: in fin dei conti, abbiamo lasciato 1 euro a testa …! Non paga, la Barbara dà dimostrazione della sua granitica preparazione in geografia, spiegando a Tralli che Bologna – Amsterdam saranno 100, massimo 200 km … sì, meno che andare a Riccione!!! Arrivati finalmente al tempio dei topi (Karni Mata Temple) la Tuni getta la spugna e resta alla porta; gli altri (alcuni invero un po’ titubanti) entrano: centinaia di topi scorrazzano per il tempio e mangiano le offerte portate dai fedeli, ma fortunatamente sembrano disinteressarsi dei turisti. Alla prima vera prova di coraggio la Barbara e la Claudia rimangono al palo, mentre i 4 intrepidi superstiti attraversano uno stretto pertugio, ai cui lati si dondolano decine di topastri, che porta al fulcro del tempio, ove i devoti pregano e porgono le loro offerte … la densità di topi è impressionante.

Ripartiamo alla volta di Bikaner, non prima di esserci liberati dei calzini usati nel tempio: saranno anche sacri, ma sempre ratti sono! Cena sulla terrazza dell’albergo: buon cibo, vista magnifica e un impagabile venticello allietano la serata, che se ne va in chiacchiere … i camerieri devono cacciarci per riuscire a finire il servizio! 9 agosto: a spasso per Bikaner.

Partiamo subito con un pittoresco giro in tuk-tuk attraverso la città vecchia: le formazioni (Luca&Tralli; Uccio&Barbara; Tuni&Claudia&Jerry) si mostrano subito agguerrite, ma l’intraprendenza del pilota farà la differenza. Ci infiliamo in viottoli strettissimi, pieni di mucche, cani, impavidi ciclisti e altri indemoniati tuk-tuk: sembra un girone dantesco, tra clacson e grida … ma ci divertiamo. Primo pit stop al bancomat dove Jerry rimedia una magra figura con le sue 1000 carte che la macchina sputa fuori schifata, mentre noi accogliamo tutti gli altri prelievi con un ola da stadio.

Si riparte diretti al tempio gianista, dove ci accoglie un figuro a petto nudo che si proclama “il prete” del tempio. L’interno è davvero incredibile per la ricchezza di decorazioni, intarsi e colori. A seguire visitiamo il Lunargarh, imponente forte del XVI secolo ricco di cortili interni, balconate, chioschi e tutto quanto serve a rendere eccezionale la vita di un maharaja.

All’uscita siamo carichi per lo sprint finale: vincono largamente Luca&Tralli; Jerry&Co. Vengono beffate verso l’arrivo da Uccio&Barbara, sino ad allora sempre in scia.

Dopo aver evitato l’agguato dei portantini (per risparmiare 1 € …) partiamo alla volta di Jaisalmer, dove arriviamo dopo circa 6 ore di viaggio: l’accrocchio anti-aria condizionata con le pashmine funziona perfettamente! Arriviamo all’albergo: spettacolare … e c’è anche la piscina! 10 agosto: Jaisalmer … Spettacolo assoluto! Per oggi, programma piuttosto intenso. Partiamo alle 9 per il giro di Jaisalmer, detta “la città d’oro” per via del colore con cui la luce del tramonto tinge i suoi bastioni di pietra. Partiamo dal lago artificiale, con dei pesci gatto grandi come delfini; poi ci addentriamo nella città vecchia, davvero grandiosa. Si susseguono uno dopo l’altro palazzi in arenaria gialla completamente intarsiati: sembrano un ricamo. Visitiamo anche 5 templi gianisti: incredibili, con colonne maestose interamente lavorate. In uno, tuttavia, ospiti particolari: è pieno di pipistrelli! Purtroppo non sarà il solo … nell’ultimo palazzo che visitiamo ce ne sono centinaia! La guida ci incoraggia dicendo che dalla cima c’è una vista meravigliosa, così, accompagnati dalla colonna sonora di Batman, decidiamo di salire. In effetti il panorama è bello: scattiamo qualche foto e scendiamo tutto d’un fiato … salvo Jerry che come sempre fa da tappo! Stremati, andiamo a pranzo in un vicino ristorante con terrazza, per ritemprarci in vista della cammellata pomeridiana. Rientriamo in albergo e optiamo per un rinfrescante bagno nella piscina immersa nel parco. Eccoci pronti per la cammellata! Dopo una quarantina di chilometri di pullman siamo ai blocchi di partenza: salita agile per i primi 2 equipaggi, mentre Bablù, il cammello destinato a Tuni e Luca, comincia a lamentarsi alla sola vista dei due passeggeri!! All’inizio si traballa un po’, ma poi prendiamo il ritmo e andiamo via abbastanza lisci. La Barbara è la prima a partire al trotto, abbandonata al suo destino dal cammelliere. Arriviamo alle dune (non proprio come ce le aspettavamo) … ed è nuvolo! Perdiamo il tramonto … ma recuperiamo con lo spettacolo di JUMP. Iniziamo una estenuante gara con i 3 bimbi che ci accompagnano, lanciandoci giù per una duna fino allo sfinimento. Tra l’iniziale stupore dei bambini si cimentano anche le ladies … con risultati piuttosto scarsi! Al rientro, da segnalare il tentativo di abbordaggio della Barbara (che invero non sembra disdegnare …) da parte del cammelliere, che romanticamente le rutta sul collo durante tutto il viaggio di ritorno.

11 agosto: la città azzurra. Partenza alle 7.30 con destinazione Jodhpur e sosta a Osiyan. Visita all’interessante tempio gianista con una guida costantemente sul punto di collassare … Una volta a Jodhpur, ci scaricano all’Umaid Bhawan Palace, dimora attuale dell’erede del maharaja: grandioso, fin troppo (una metà è adibita ad albergo, con camere dai 400 ai 2000 € …). Visitiamo il museo (assolutamente da saltare: sono 4 foto della famiglia reale e poco più), tallonati da un addetto alla sorveglianza che, spacciandosi per guida, pretenderebbe anche la mancia: tagliamo la corda! Tappa ulteriore al mausoleo Jaswant Thada: carino, di marmo bianco, fatto costruire dalla moglie del maharaja in memoria del marito.

Di corsa al forte, prima che chiuda: noleggiamo l’audioguida finalmente in italiano. Visita carina. Il guerriero Rajput indossava una pesantissima armatura, pugnale, spada, sciabola, elmo, scudo, faretra, lancia … peccato che schifasse la polvere da sparo. I più astuti Moghul, armati di fucili, li hanno fatti fuori in men che non si dica.

Arriviamo in albergo: molto carino, con una bella terrazza per la cena; in più è in una posizione strategica, vicinissima al mercato! Partiamo carichissimi per lo shopping, con l’intenzione di replicare il delirante trionfo di Chichicastenango … ma qui è decisamente un’altra cosa. Ci ritroviamo immersi in una confusione allucinante, tra vacche, merde di vacche, tuk-tuk indiavolati, motociclisti impazienti e clacson assordanti … così è impossibile comprare. Azzardiamo solo le spezie e ce ne torniamo con le pive nel sacco. I Tralli, che rientrano per primi, assistono al tragico investimento di una mucca. Il maldestro conducente di una jeep urta in retromarcia l’animale, che cade al suolo emettendo uno straziante lamento. Una moltitudine di devoti si prodiga per prestare soccorso all’incidentata che, lisciata e rincuorata per lo spavento, viene rimessa in piedi. La vacca è salva e il conducente se la cava con una serie di improperi.

12 agosto: in viaggio verso Udaipur.

Partenza ore 8.30 per Udaipur, con sosta a Ranakpur dove visitiamo il Chaumukha Temple, tempio gianista più grande di tutta l’India, all’entrata del quale, oltre alle solite preclusioni (vietato l’ingresso a donne mestruate, oggetti in pelle, acqua, e ovviamente scarpe) veniamo anche obbligati a sputare la gomma da masticare. Il tempio è costituito da 29 sale sorrette da 1444 colonne tutte finemente intarsiate. All’interno, un implacabile vigile fischia ad ogni passo falso dei turisti. Ripartiamo alla volta di Udaipur, dove aver scattato un po’ di foto alle scimmie che incontriamo per strada.

Dopo 6 ore filate di pullman, eccoci a Udaipur, la “Venezia d’Oriente”, la città più romantica di tutto il Rajasthan … L’albergo ci dà il colpo di grazia: nella camera di Luca e Tuni manca l’acqua calda e, dopo le rimostranze del ragioniere, il personale tenta di rimediare con un secchio di acqua riscaldata; dai Tralli i lenzuoli sono bucati; ma quella messa peggio è indubbiamente C’mon: priva di condizionatore e con gli asciugamani sporchi di merda, si trova a dover combattere una guerra impari con un gigantesco scarafone che tenta di uscire dal lavandino. Chiude la giornata la cena a lume di candela in uno splendido ristorante con vista sul lago: molto romantico … peccato che sia meta preferita anche dei topi! 13 agosto: alla scoperta di Udaipur.

Durante la notte, Tralli capitola: indebolito dal cagone pomeridiano si arrende al sopraggiungere della febbre (38°), di fronte alla quale invoca il rimpatrio immediato, nel tentativo di evitare la Tachipirina che potrebbe portarlo al collasso! A ranghi ridotti visitiamo il City Palace, la stamberga del maharaja, dove siamo inseguiti da una coppia di scrocconi italiani che vogliono sfacciatamente usufruire della nostra guida.

Segue un giro per la città vecchia, con tappa ai giardini gremiti per la festa locale per sole donne: un turbinio di veli e colori sgargianti che si aggirano tra le bancarelle. Veniamo ammessi tutti, anche Luca che evidentemente ha un che da finocchione … Dopo pranzo partiamo per Pushkar, importante centro di pellegrinaggio hindu: altre 6 ore di pulmino … la pazienza comincia a scarseggiare. Arriviamo finalmente all’albergo, bello e con vista sul lago, dove veniamo accolti da un vecchio con turbante e lancia che ci fa il saluto militare.

Optiamo per un ristorante con cucina anche internazionale (che sarà la nostra salvezza: scopriamo infatti che a Pushkar sono tutti vegetariani) e ci gettiamo famelici sulla pizza: il vero stereotipo dell’italiano all’estero, ma 10 giorni di pollo e spezie ci hanno davvero fiaccato. Subito dopo aver ordinato, Jerry, depositaria di tutti i passaporti, chiede, con occhio vitreo, chi li abbia presi: alla risposta “tu!”, sbianca e dichiara candidamente “allora li abbiamo persi” … Tra lo sgomento generale e le proteste di Uccio, Jerry si avvia in albergo, scoprendo di aver lasciato tutti i documenti su un tavolino fuori dalla stanza … a disposizione di chiunque! La pizza non è male, considerato dove siamo (roba che se ce la presentano a Bologna chiamiamo i carabinieri), ma il meglio deve ancora arrivare: ormai obnubilati dai ritrovati sapori di casa, supplichiamo il gestore di venderci un vasetto di Nutella esposto in una vetrina. L’indios, mosso a compassione e fiutato l’affare, ce la vende a più di 3 €! Durante il rientro all’albergo snobbiamo un ambulante che cerca di propinarci una Nutella tarocca e pregustiamo finalmente una colazione come Dio comanda.

14 agosto: … Bramino dei miei stivali! Primo pensiero del mattino: oggi c’è la Nutella! Ci alziamo carichissimi e facciamo una gran colazione con vista sul lago, dove intravediamo alcuni fedeli intenti a riti propiziatori. Scendiamo nella hall, dove la guida che ci accompagnerà nel tour esordisce con un piccato rimprovero per il nostro ritardo di 15 minuti: il cialtrone parte male … e finirà peggio! Il culmine del tour si raggiunge sulle sponde del lago dove la guida, con fare molto solenne, ci spiega che Pushkar è un luogo sacro, in particolare per il dio Brama di cui qui c’è l’unico tempio al mondo, e che quindi dobbiamo portare rispetto più che negli altri posti visitati sino ad ora … mah! Alla fine di questa predicozza, ci consegna nelle mani di uno strano figuro che pare essere il bramino, il quale attacca con una nenia sul karma, informandosi sui componenti delle nostre famiglie mentre ci incolla dei chicchi di riso in fronte e ci dà una noce di cocco in mano. Al culmine del rito “sacro”, ecco che il bramino batte cassa con grinta, pretendendo 10 € a testa dietro la minaccia di disgrazie e sfortune a noi e ai nostri cari … ce ne andiamo indignati lasciando poche rupie … ma l’anatema si abbatte su di noi: restiamo sotto una pioggia battente e Tralli pesta anche una merda! Molto indispettiti dal falso bramino, terminiamo velocemente il tour e torniamo in albergo, non prima di aver litigato con la guida per averci portato dal suo compare.

Partiamo subito per Jaipur (saltando la visita ad Ajmer), dove ci sistemiamo in un albergo molto carino. A bordo di 2 indiavolati tuk-tuk andiamo da Pizza Hut: non ce la facciamo davvero più a mangiare pollo! Dopo un paio d’ore di relax nel giardino dell’albergo, verso le 5.30 andiamo al mercato, ma anche questa volta lo shopping si presenta complicato: dopo qualche indecisione partiamo all’attacco di 2 coperte ricamate: chiudiamo al 50% del prezzo iniziale, ma Tralli non è soddisfatto … si poteva fare meglio! Prima di cena, visitiamo il Marble Temple … giusto al momento del rito pomeridiano.

15 agosto: the indipendence day.

Partiamo per il tour di Jaipur, detta la città rosa per gli edifici che caratterizzano la parte vecchia. Finalmente abbiamo una guida che parla italiano, che ci spiega anche un po’ di tradizione indiane: nei villaggi ci si sposa verso i 12 anni; nelle città anche a 25-30, ma la moglie te la scelgono i tuoi genitori e tu la vedi solo il giorno delle nozze … Ma tanto “se piace a mia madre piace anche a me!”.

Il primo luogo che visitiamo è forte Amber, antica residenza del maharaja più ciccione della storia: 245 kg per 2 metri di altezza. Il forte è carino, ma non conservato benissimo.

E’ il turno del City Palace, attuale residenza del discendente dell’ultimo maharaja, dove all’entrata ci accoglie un bigliettaio dalle cui orecchie spuntano peli lunghi non meno di 5 cm e per giunta perfettamente pettinati! Torniamo a pranzo da Pizza Hut per un’altra ottima pizza, la pausa dai sapori indiani prosegue… Dopo pranzo andiamo a Tripolia Gate per accaparrarci dei buoni posti da cui assistere alla festa per l’anniversario dell’indipendenza dell’India (15 agosto 1947).

L’attesa è lunga ma molto pittoresca: c’è un sacco di gente che si accalca lungo la via principale, i motorini sfrecciano suonando l’immancabile clacson e sventolano bandiere, venditori di frutta e centinaia di donne sfilano in sari davvero molto belli. Finalmente comincia la parata: si susseguono trampolieri, elefanti completamente decorati, cavalli, ballerine, cammelli … il tutto accompagnato dalle musiche di una banda che dà il ritmo. Indubbiamente molto suggestivo.

Torniamo all’albergo non senza problemi: dopo la parata trovare un taxi è impossibile, dobbiamo ripiegare sui soliti tuk-tuk, uno dei quali è senza benzina e rimane a piedi 4 volte.

16 agosto: finalmente il Taj Mahal! Partiamo molto presto per Agra, dove ci aspetta il Taj Mahal, con sosta a Fatehpur Sickri: 2000 gradi per un bel sito che però visitiamo piuttosto velocemente per il caldo soffocante. Antica capitale dell’impero Moghul, ora abbandonata e lasciata in balia del tempo, Fatehpur Sickri offre un interessante sito insolitamente privo di turisti caratterizzato da pregevoli costruzioni in arenaria rossa.

Ripartiamo non prima di un’occhiata alla moschea, dove veniamo assaliti da un’orda di venditori veramente molesti.

Ad Agra pranziamo da Pizza Hut (ormai appuntamento fisso) e lungo la strada carichiamo la guida che impesta il nostro favoloso pulmino con un insopportabile fetore di sudore.

Arriviamo al Taj Mahal carichi di aspettative e veniamo ampiamente ripagati … spettacolare! Ancora con quella meraviglia negli occhi (da segnalare il pianto commosso della Barbara … senza parole!) ci dirigiamo verso l’albergo e lì ci aspetta la tragedia. Le stanze sono fetide, puzzolenti e naturalmente dotate di scarafaggi. Proponiamo di cambiarle: peggio che andar di notte! I geni dell’albergo hanno pensato bene di rimediare disinfestando le nuove camere 1 minuto prima di farcele vedere e la puzza di insetticida è insopportabile. Vorremmo aerare ma le finestre sono bloccate e non si possono aprire. Accendiamo il condizionatore al massimo sperando che mentre noi siamo al ristorante ricircoli l’aria e diminuisca il micidiale tanfo.

Il ristorante girevole con vista sul Taj che c’è in cima all’albergo è assolutamente in linea con le camere … meglio mangiare fuori. Questa volta puntiamo in alto optando per il ristorante di un elegantissimo albergo a 5 stelle dove ci presentiamo come sempre vestiti da barboni. Il posto è molto bello, sul tavolo abbiamo posate d’argento e diversi calici, intorno solo uomini e donne in abito da sera, mangiamo molto bene per soli 16 euro a testa…Dopo tutto l’India è talmente economica che avremmo potuto “sbocciare” più spesso.

Torniamo all’albergo dove ci rendiamo conto che la situazione non è migliorata; decidiamo l’ennesimo cambio e finiamo in una camera decisamente sporca e fetida dove però la puzza non è chimica e quindi non ci dovrebbe far svegliare con uno spaventoso mal di testa. Le lenzuola sono ovviamente fetide, dormiamo sui preziosissimi parei e ci copriamo con i teli da bagno.

17 agosto: fuga da Agra! La mattina abbandoniamo la bettola e partiamo per l’ultima tratta che ci porterà a Delhi, non prima di avere visitato il forte di Agra (carino) e fatto sosta a Sikandra per visitare un mausoleo decisamente poco interessante a parte la bella facciata.

A metà pomeriggio arriviamo a Delhi dove incomincia il toto albergo: sarà di nuovo fetish style? Purtroppo si! Lenzuola nuovamente sporche e acqua fredda, ma almeno è vicino all’aeroporto: tra poche ore Jerry, Uccio e la Barbara partiranno per l’Italia mentre gli altri 4 faranno l’ultima settimana alle Laccadive. 18 agosto: in volo per Cochin.

A ranghi ormai ridotti, partiamo alle 5 per l’aeroporto, dove il nostro autista non scende nemmeno a salutarci … non meriterebbe nemmeno la mancia ma ci coglie impreparati e alla fine gliela diamo.

Con un volo di circa 3 ore con l’Air Sahara arriviamo a Cochin: città sul mare molto più moderna e ricca di quelle viste sin ora. Le macchine sono decisamente più nuove e in giro c’è meno povertà, ma l’odiosa abitudine di suonare sempre il clacson imperversa anche qui.

Ci mettiamo più di un’ora ad arrivare a Fort Cochin (la città vecchia) dove si trova il nostro albergo. Ci accompagna il nostro referente per la seconda parte del viaggio (Mr. Pavanan della Mercury Travels) che è praticamente un non vedente: per controllare gli orari sui nostri biglietti se li appoggia alle lenti degli occhiali.

Alloggiamo al Club privato di Cochin. Le camere sono enormi e pulite, le lenzuola sono fresche di bucato e c’è l’acqua calda … dopo le ultime esperienze non ci sembra vero. Unico neo un enorme scarafaggio avvistato nel bagno dei Tralli che li obbliga a sigillare la stanza e a chiedere ospitalità a Luca&Tuni.

Siamo molto carichi: ormai manca poco alle agognate Laccadive. A Fort Cochin regna una grande tranquillità, gli ambulanti sono meno molesti e soprattutto ci aspetta un gran pranzo a base di pesce!! Nel pomeriggio facciamo una pennichella e poi un piccolo giro per il paese dove in realtà non c’è niente da vedere. La passeggiata si rivela utile perché ci consente di comprare 3 barattoli di Nutella che ci porteremo alle Laccadive… comincia a girare bene! Per cena scegliamo il ristorante di un albergo con la piscina: di nuovo pesce e definitivo addio al maledetto pollo! 19 agosto: finalmente alle Laccadive! Pronti per le Laccadive! Con circa un’ora e mezzo di volo su un aereo da 15 posti della Indian Airlines arriviamo ad Agatti, capitale dell’arcipelago. Da segnalare un attacco fulminante di squaraus della Claudia ancora prima del decollo, debellato con una sosta nel micro bagno dell’aereo tra gli sbeffeggiamenti dell’equipaggio.

L’aeroporto di Agatti è composto da 2 stanze dove il solerte personale non manca di effettuare i soliti controlli ai bagagli e le perquisizioni ai passeggeri.

Primo intoppo: l’elicottero che ci dovrebbe portare a Bangaram Island è rotto, pertanto veniamo caricati in un barcone che, a dispetto dei 5 minuti di elicottero, in 2 ore ci porta al resort.

Il posto è veramente bello, proprio come ce l’avevano descritto: essenziale ma molto grazioso. Decisamente lontano però dai resort extralusso che si vedono sui cataloghi.

Ci sono circa una ventina di bungalow che possono ospitare al massimo una cinquantina di persone, un ampio ristorante, un bar e una sala ricreativa con qualche libro e un mazzo di carte. Nient’altro. Il silenzio è incredibile, viene interrotto solo dal canto di alcuni fastidiosissimi galli che razzolano nella piccolissima isola. La laguna sulla quale si affacciano i bungalow è incantevole, il mare verde smeraldo: non strepitoso come in altri posti che abbiamo visitato, ma perfetto per una settimana di relax dopo l’inferno dell’India continentale.

I bungalow sono molto graziosi, manca però l’acqua calda. Non c’è neanche l’aria condizionata, ma non fa molto caldo e di notte si dorme bene.

Intanto si è fatta l’ora di pranzo e ci avviamo fiduciosi al ristorante. Un trionfo!! I pasti sono a buffet e c’è un sacco di roba buona tra cui anche molto pesce. Purtroppo niente bibite perché gli ultimi monsoni non hanno permesso alla barca con i rifornimenti di arrivare.

Chiuso il dive center: purtroppo non è stagione. Sotto un bel sole, ripieghiamo sullo snorkeling, che però si rivela abbastanza deludente: la visibilità in agosto non è buona e la ricchezza dei fondali non è il massimo.

La cena è ancora meglio del pranzo: tutte le sere il personale del resort posiziona all’esterno una grande griglia e cuoce tranci di pesce appena pescato. Menzione d’onore anche per i dolci: i primi dall’inizio del viaggio.

La notte è caratterizzata da un impressionante diluvio e dai galli che inspiegabilmente vengono lasciati liberi di girare e di rompere le palle agli ospiti.

20 agosto: “… Probabilmente una perturbazione di passaggio …” La mattina il cielo è coperto; colazione a base di Nutella e poi giro dell’isola a piedi: ci vuole circa un’ora e un quarto, non si incontra nessuno se non alcune capanne abitate occasionalmente da pescatori.

Al pomeriggio il tempo peggiora: giochiamo a carte fino all’ora di andare a letto, con pausa solo per la cena che rompe la monotonia della giornata.

21 agosto: Pioggia e carte … Carte e pioggia.

Questo maledetto monsone comincia davvero a rompere le scatole! Piove tutto il giorno, all’orizzonte solo nuvole nere: essere in un posto così ed avere questo tempo fa veramente arrabbiare.

Ci ammazziamo di Scala 51 e Tressette … se non altro Luca comincia a capirci qualcosa.

22 agosto: chi si rivede! Si comincia ad intravedere la fine dell’incubo: oggi la pioggia ci lascia almeno qualche ora di tregua.

Contagiati dallo spirito dei sabaudi nostri vicini di bungalow, che inanellano una escursione dietro l’altra millantando di aver visto pesci incredibili, decidiamo di uscire in kayak per andare a fare snorkeling più lontano, ma ovviamente una volta arrivati in mezzo alla laguna veniamo sorpresi dal solito acquazzone monsonico! 23 agosto: meglio tardi che mai.

Finalmente il sole!!!! La laguna di fronte al resort è popolata da numerose testuggini che vengono a brucare le alghe a pochi metri da riva. Se si osserva l’acqua si vedono in continuazione le teste emergere per respirare. Che spettacolo! Verso le 10 partiamo per l’escursione al reef con la barca. I 3 posti dove ci fanno fare snorkeling sono stupendi, l’acqua è di un colore incredibile e di una trasparenza assoluta; vediamo molti più pesci dei giorni scorsi compresa una grande murena insolitamente fuori dalla tana.

Pomeriggio all’insegna del relax, con tanto di immancabile aperitivo a base di noce di cocco … questa sì che è vita! Siamo all’ultima cena: la pacchia è finita. Peccato solo per il tempo: le Laccadive sono il perfetto finale di una vacanza in India.

24 agosto: Sigh! Addio Bangaram.

Partiamo verso le 10 sotto il nubifragio, questa volta con l’elicottero dal quale si può godere della vista dall’alto dell’arcipelago.

Dopo 4 o 5 minuti siamo già ad Agatti.

Da lì salutiamo le Laccadive e ci imbarchiamo per Cochin; poi ancora in volo per Bombay dove ci fermiamo un giorno prima di partire per l’Italia.

Tornare nell’inferno delle caotiche città indiane non è facile, la quiete delle Laccadive ci aveva abituati bene.

Il peggio deve ancora venire: appena usciti dall’aeroporto ci ferma un ragazzino che si offre di trovarci il taxi. Arrivati al parcheggio, ci aspettano 3 servizievoli persone che, caricate le valigie, ci chiedono in anticipo i soldi: “è un taxi prepagato”. Noi ovviamente diciamo di no minacciando di rivolgerci ad un altro taxi; loro un po’ scocciati si rassegnano. Salgono in due: l’autista, che non sembra molto a suo agio con il mezzo, e un complice. Dopo soli 5 minuti il taxi si ferma in una via buia e i 2 indiani scendono ribadendo che quello è un taxi prepagato e che quindi vogliono essere pagati subito. Noi ci arrabbiamo un po’, ma siamo in una via isolata e, in fin dei conti, si tratta di pochi soldi … Consegniamo il denaro al compare del sedicente autista che, con un abile e veloce mossa, cambia le banconote con tagli più piccoli, dicendo che ci siamo sbagliati. Dopo un attimo di incertezza capiamo il gioco e minacciamo di chiamare la polizia.

La situazione non è delle più belle: siamo da soli in una via buia con 2 soggetti che potrebbero portarci via tutto (valige comprese) o farci di peggio. Gli diamo altri soldi e finalmente ripartiamo. Dopo pochi minuti, nuova sosta a un distributore dove ci aspetta il vero proprietario del taxi, complice dei 2 truffatori. Ricevuta la sua parte del malloppo partiamo con il vero taxista alla volta dell’albergo. Rinunciamo a ogni contestazione sulla truffa: erano appena 15 euro e vogliamo solo arrivare all’hotel … ma quando il taxista chiede anche il pedaggio della corsa è davvero troppo! Viene preso a male parole da Luca e dal personale dell’albergo che prende le nostre difese.

25 agosto: tour di Bombay Abbiamo l’intero giorno per visitare la città. Incominciamo una contrattazione memorabile per un tour di 3 ore con il primo taxista incontrato davanti all’albergo. La sua richiesta è di 26 dollari: decisamente troppo, sdegnati offriamo 1000 rupie. Concludiamo l’affare giusto un attimo prima di renderci conto che 1000 rupie corrispondono esattamente a 26 dollari … che stolti!!! Partiamo con il cordiale taxista per il giro di Bombay, la capitale economica dell’India, sede di alcune delle più importanti software house del mondo.

Lo scenario però è sempre lo stesso: confusione, baracche, mucche ovunque … fino a quando non arriviamo ad un lungomare caratterizzato da moderni grattacieli, concessionari di auto di lusso e negozi con marche molto note.

Il taxista ci spiega che a Bombay alcuni fanno carriera in fretta e guadagnano un sacco di soldi, a discapito della maggioranza che fa la fame e dorme per la strada.

Di colpo, l’ennesima contraddizione dell’India: proprio nella zona più ricca della città, all’interno di un fitto bosco sorgono le torri dove i Parsi, una delle mille etnie indiane, usano eseguire particolari riti funebri per i loro morti. I cadaveri vengono portati in cima alle torri, cosparsi di urina di bue e lasciati in pasto ad enormi avvoltoi che in poche ore ne scarnificano i corpi.

Durante il tragitto il loquace taxista si cimenta in un comizio anti americano contro la politica di Bush che, a suo dire, avrebbe in mente il tentativo di occupare la Cina, di cui teme la crescita economica.

Nel pomeriggio ci imbarchiamo per l’isola di Elephanta, dove veniamo accolti da un acquazzone che interrompe il giro del sito che probabilmente sarebbe interessante. Siamo troppo provati per camminare sotto la pioggia incessante, decidiamo quindi di tornare all’albergo per prendere le valige e farci portare all’aeroporto da dove partiremo per l’Italia.

Arriviamo con circa 6 ore di anticipo sul volo… e all’aeroporto non c’è neanche una sedia! Cena a base di Twicks e KitKat, poi lunga attesa fino all’imbarco. Da segnalare solo l’ennesimo tentativo indiano di superare la fila al check in: alu madre, alu figlio e alu amica della madre tentano il colpo gobbo ma vengono respinti… alu troppi!!! Atterriamo a Bologna e troviamo la Barbara, puntualissima e … ma dove sono i genitori di Tralli? La Tuni e Luca caricano le valigie sulla macchina della Barbara ma un attimo prima di partire ecco spuntare i Tralli, appiedati: i genitori aspettavano la chiamata sul divano di casa … e noi finiamo in 5 con 4 valigie e 4 zaini sulla punto della Barbara … praticamente un tuk-tuk!! Dopo dieci aerei, un elicottero e una barca non potevamo che finire in bellezza!!! Se avete domande da fare scrivete a: fa14701@iperbole.Bologna.It babalua@tin.It luca.Tartarini@libero.It



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