Qualche mese tra mare, templi, grotte, tigri, montagne e Dalai Lama
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Itinerario: Mumbai, Goa, Hampi, Bijapur, Aurangabad, Ajanta Caves, Ellora Caves, Nasik, Bhandardara, Jalgaon, Indore, Sanchi, Bhopal, Kanha National Park, Khajuraho, Orchha, Gwalior, Delhi, Amritsar, Mcleod Ganj, Leh
Queste sono le talvolta lunghissime mail che ho spedito ad alcuni amici durante i cinque mesi che ho passato in India. Non troverete molte informazioni pratiche, parlano però di come vedevo l'India mentre ci passavo in mezzo, con tutti gli errori e i fraintendimenti del caso.
India 2013 1: Mumbai, Goa
Due ore, più o meno esatte, ci impiego su un arcaica Ambassador gialla e nera guidata da un tassista musulmano che avrà quattrocento anni e che contro ogni logica e finestrino spalancato non mi lascia fumare, per arrivare al centro di Mumbai dall'aeroporto internazionale. Se l'odore dell'India è probabilmente rimasto quello di cui scriveva Pasolini, il rumore dell'India, ora certamente molto più di allora, è il suono del clacson. Ogni veicolo, anche il più bizzarro, ha scritto sul retro “Horn Please” o “Blow Horn OK”. Il risultato indiano è un imponente, inarrestabile e continuo suono di tutti i clacson inventabili: tutte le note, le sfumature, gli acuti, le musiche che può avere un clacson sono rappresentate senza eccezioni. Ovviamente, sopratutto in una città enorme come Mumbai, tutto questo appare scandalosamente inutile, ridondante e superfluo ma allo stesso tempo invincibile, come un demone ancestrale che non si può nemmeno pensare di combattere. Quando tutti suonano il clacson in continuazione, nessuno saprà mai chi sta suonando a chi, chi sta chiedendo la precedenza, chi vorrebbe passare, e probabilmente nemmeno chi sta suonando sa veramente perché lo sta facendo. Si suona per sorpassare una mucca o un pedone, per farsi strada in un traffico dove non c'è spazio, ad ogni incrocio, rotatoria, traversa, si suona quando si parte, quando si accellera, quando si rallenta, quando si parcheggia. Dentro a questo rumore assoluto, c'è chi vive nelle baracche e chi vive sopra alle baracche, in case minuscole a cui si accede attraverso scale improvvisate e per scendere al piano terra è obbligatorio tenersi stretti a una corda. C'è chi gioca nella polvere e chi sembra polvere, immobile e cieco, assente, altrove. E poi l'enorme e sparpagliata umanità dell'India, sempre dovunque e sempre in movimento, colorata come la fantasia, a volte rumorosa come una fabbrica, altre volte chiusa in un silenzio solitario ed inespressivo. Vista dall'alto, la grande strada che parte dall'aeroporto deve sembrare un miracoloso alveare di persone che continuamente si sfiorano senza mai scontrarsi, in cui un suono continuo di clacson avvolge l'universo come una nebbia, che si mischia alla polvere delle strade e allo smog della città, rendendo anche il tramonto sugli scheletri dei palazzi in costruzione una visione confusa ed innaturale, fiabesca e fantascientifica allo stesso tempo. Un brusio a volume alto eterno ed inevitabile, un rumore perenne di uomini e di animali, di veicoli, di strada, di grida. Centinaia di facce in poche decine di metri, e un'architettura di periferia che sembra improvvisata, in cui gli spazi abitabili sembrano rubati, conquistati invece che costruiti.
Non sempre prenoto gli alberghi, sopratutto se arrivo con la luce del giorno. In questa scelta c'è un pizzico d'incoscienza, una manciata d'esperienza, quello che basta di spirito d'avventura e la pigrizia di cui non vado fiero, ma tutto il resto è pura fonofobia
freefred, 29/1/2014 19:43
"Amatissima e folle" è una bella descrizione dell'India:-)
bye
rennie, 27/1/2014 15:36
rennie