Dal Senegal alla Guinea

La Repubblica di Guinea, conosciuta anche come Guinea – Conakry, non è una meta segnalata dai tour operator e, a dire la verità, nemmeno il ministero del turismo guineano è mai riuscito a fornire o a produrre una qualche informazione efficace che inviti a visitare il paese. Turisti o semplici visitatori erranti sono proprio rari, forse poche...
Scritto da: mazarak86
Partenza il: 25/05/2004
Ritorno il: 23/06/2004
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
La Repubblica di Guinea, conosciuta anche come Guinea – Conakry, non è una meta segnalata dai tour operator e, a dire la verità, nemmeno il ministero del turismo guineano è mai riuscito a fornire o a produrre una qualche informazione efficace che inviti a visitare il paese.

Turisti o semplici visitatori erranti sono proprio rari, forse poche decine all’anno e vengono definiti coraggiosi, infatti l’accoglienza all’aeroporto di Conakry richiede, a volte, una pazienza e un sangue freddo che non tutti immaginano di avere.

Beh, è tutto un po’ vero, ma un atteggiamento conciliante spiana la strada e, come molti sanno, in Africa con un po’ di pazienza tutto si risolve, l’importante è non avere fretta (…O non darlo a vedere!).

Io ho cominciato a frequentare l’Africa dal 1986 e in tutto ci ho passato circa 15 anni della mia vita e certe zone, soprattutto il Fouta Djallon (Moyenne Guinée), le ho girate in lungo e in largo…E in fondo.

Villaggi e gente, colline, montagne, fiumi e cascate, tutti tesori di un paese che molti viaggiatori “blancs-africains” descrivono come un concentrato di bellezze d’Africa.

Questo resoconto è di maggio 2004 e descrive il di viaggio via terra effettuato dal Senegal, zona di Mbour (80 km a sud di Dakar) alla Guinea, zona di Labé (Fouta Djallon).

La strada percorsa è stata di circa 950 km, dei quali 550 di strada più o meno asfaltata e i restanti di pista in cattive o pessime condizioni; la durata è stata di due giorni e una notte con 23 ore di guida effettiva.

…Ed ecco i 5 partecipanti al viaggio: Comincio dalla mia famiglia e quindi c’è Raby, mia moglie, guineana di etnia Peul, nomade nei cromosomi e dal viaggio”facile”; Gabriele, 11 anni e Regina, 8 anni, cresciuti tra la Guinea, il Senegal e un po’ d’Italia.

La quinta persona, Corinne Gassie, francese, carissima amica conosciuta durante gli ultimi tre anni vissuti nella Petite Côte in Senegal, precisamente nel villaggio di Somone.

La partenza è fissata per il giorno 25 maggio verso le 10 della mattina e la macchina , una Toyota PickUp Hilux 4×4, la carichiamo delle cose importanti la sera precedente non dimenticando la seconda ruota di scorta, una tanica di gasolio di riserva e, sempre come riserva-auto, 20 lt d’acqua nonchè la cassetta degli attrezzi.

La mattina, caricando gli ultimi bagagli personali e assicurando il tutto saldamente, riusciamo a limitare il ritardo a neanche un’ora: perfetto, la giusta fretta per bloccare sul nascere ogni eventuale sciagurata idea di fermarsi ogni momento ai vari baracchini di coca-cola ghiacciata …Questo è poi un problema che si limita alle zone abitate del Senegal e che svanirà non appena imboccata la pista che porta verso la Guinea.

‘Stavolta si va a salutare amici e parenti in Guinea prima di rientrare in Italia in forma relativamente stabile, un viaggio di vacanza insomma.

Il tragitto, in molte delle sue varianti, l’ho gà fatto altre volte ma tutta la relativa parte di pista che collega le strade asfaltate del Senegal alle frontiere e via via fino alle diverse destinazioni in Guinea varia anche di molto ogni anno a secondo dell’intensità delle piogge della stagione precedente, di ponti o passaggi d’acqua crollati.

A tutto questo si aggiuge il variare delle vessazioni dei vari posti di dogana senegalesi nei confronti dei camion e taxi-brousse guineani; questo aspetto determina più di ogni altro l’abbandono di un tracciato in favore di un altro e la sua sicura impraticabilità nel giro una sola stagione.

Si parte quindi con un percorso preciso a metà ma grosso modo così: si va verso Tambacounda (Tamba), via Fatick e Kaolack; a Tamba si prendono informazioni circa la praticabilità delle piste verso la Guinea per decidere subito se prendere la via più normale a destra, per la ”route nationale” che porta in direzione di Kolda – Casamance, passa per Velingara e 70 km dopo, al villaggio di Kounkandé, lascia l’asfalto e prende la pista a sinistra che, scorrendo lungo la frontiera con la Guinea Bissau, arriva “poste de frontiere” senegalese di Niji e quindi a Missirà, Guinea.

L’altra possibilità può essere la pista del che passa per Medina Gounass attraverso il Parco del Niokolo Koba e che arriva al poste frontalier guineano “Kilometre 111”, che si trova appunto a 111 km da Koundara, capologo della prima prefettura della Guinea a ridosso del confine.

Questa’ultima comunque è una scelta quasi impraticabile e altamente sconsigliata in stagione delle piogge o comunque per fuoristradisti di sicura esperienza (o senza famiglie al seguito!) perché il tratto tra Medina Gounass e la frontiera è abbandonata da Dio, dal Senegal e dalla Guinea …E anche da tutti gli esseri umani non facenti parte del club degli “chauffeurs” più audaci! Resta un’altra possibilità , quella di prendere a sinistra la strada nazionale che porta verso est fino a Kedogou (300 km da Tamba o giù di lì) e lì girare a destra passando per il posto di frontiera senegalese di xxxxx e attaccare la pista di 75 km che scalando i contrafforti più alti del Fouta Djallon porta alla prefettura guineana di Mali (Mali – ville) …Roba da prima ridotta sui massi per 6 – 7 ore! Poi è tutta discesa… Partiamo.

La prima parte del viaggio porta verso est e quando siamo a Fatick siamo già con il sole che fischia e in questa stagione il vento da nordest è caldo come un asciugacapelli acceso a 30 cm dalla testa, meglio tenere i finestrini chiusi da quella parte e aperti gli altri, perchè tanto il climatizzatore dell’auto non ce la può fare.

16 e 30 del pomeriggio, siamo a Tambacounda; troppo presto per fermarsi, meglio continuare e guadagnare tempo. Chiediamo informazioni a un paio di autisti che ci confermano che i guineani passano da Kounkandè e quindi prendiamo la nazionale a sud – ovest, verso la Casamance, contando di fermaci per la notte nel villaggio di Velingara dove sembra che ci siano ben due “campement touristique”.

Verso le 19 siamo a Velingara e troviamo alloggio libero in un “campement touristique” senza nome ma il pannello “boungalows climatisés” ci fa sperare: ci saranno 36°! Alla reception… niente “climatisèes”, tutto è fuori uso, c’è solo il ventilatore: meglio che niente! Ci sitemiamo e mia moglie, unica africana, soffre di un colpo di caldo preso durante la giornata e lamenta una fortissima emicrania da stenderla a letto: due analgesici potenti e una birra ben fredda fanno l’affare e si va a mangiare un piatto di rognoni (non c’è altro, però son gustosi) al lume di candela (non c’è altro, ma ci si vede un po’). La notte se ne va lentamente tra una passata di la doccia e l’altra; l’acqua che scende dallo spruzzo è di sicuro a più di 40° ma poi, stesi fradici nel letto, davanti al ventilatore c’è un po’ di refrigerio e si riesce a dormire quei 15 – 20 minuti alla volta: in tutto ho contato 18 “cicli” di sonno e alle sei del mattino decido che la notte è durata anche troppo.

Sveglia e via!… tant’è! Fa fresco e ci si rilassa, viaggio tranquillo, si arriva a Kounkandè alle otto e mezza e vi troviamo alcuni taxi-brousse guineani che aspettano gli ultimi passeggeri per intraprendere il viaggio di ritorno.

La pista è praticabile, passa in mezzo a pianure e boscaglie punteggiate da rari villaggi ma non ci si può sbagliare, dicono, perché si incontreranno di sicuro dei taxibrousse guineani in arrivo e questo ci confermerà la buona strada.

-Attenti comunque a non tirare dritto fra dieci – dodici chilometri, dove c’è un grande albero sulla sinistra…Sì un “kaycedrat” molto grande, ecco, prendete la pista piccola a destra in mezzo agli alberi sennò finite a girare in tondo nella savana!- -Attenti anche a non girare a destra al ponte rotto fra quaranta chilometri, sennò finirete in Guinea Bissau!- È tutto chiaro, adesso… …E in effetti tutto è ok, soprattutto i taxibrousse guineani, quelli proprio non li possiamo confondere con altro.

Automobili nell’insieme, oggetti in perenne bilico tra la meccanica e la magia, a volte vere e proprie materializzazioni metalliche nelle savane, che osservo con lo stesso interesse dell’apparire improvviso di un animale selvatico. E sopra sempre tanta gente! Si può fare un solo commento, un commento fatto con l’umile rispetto dovuto a chi è capace di fare cose inarrivabili per te: sono dei coraggiosi! Anche perché non c’è alternativa.

Io penso che nessun occidentale possa onestamente affermare di”aver capito l’Africa” neanche dopo averci passato tutta una vita, nel migliore dei casi si riesce a credere a ciò che si vede, a prendere serenamente atto della realtà quale essa è, a fare l’abitudine agli aspetti della vita quotidiana; più probabile che dopo aver vissuto in Africa si finisca con l’aver capito meglio sé stessi, ciò à cui si è legati, gli aspetti utili, quelli decisamente superflui della propria esistenza e molti dei propri limiti.

In questo senso mi ritengo un fortunato, ho vissuto più della metà della mia vita adulta in Africa, ne ho viste di ogni sorta ma basta un taxibrousse per farmi rendere conto un’altra volta di chi sono e da che mondo vengo, molto viziato per parecchi aspetti, un “blanc” insomma.

Comunque avanti pian piano, l’asfalto è finito, adesso ci sono buche, fossi, ramaglie e sassi e velocità media di 20 km/ora (neanche tanto male, però!).

Alle 11 il sole è molto caldo e i bambini preferiscono traferirsi sul cassone dietro, “en plein air” e accovacciati sul telone che copre le valige si sentono un po’ cow-boys sul dorso di un grande cavallo traballante. Li invidio molto! Finalmente arriviamo a Niji, frontiera senegalese, brevi formalità, due chiacchiere con i soldati e via nella terra di nessuno, termine quanto mai appropriato d’altronde, fine della linea elettrica, fine del telefono: più nessuno.

Verso la mezza ecco la Guinea!: il poste frontalier di Missirà, che a Modena si definirebbe “ ’n fat pustàz !“.

A Missirà si ha sempre l’impressione che faccia molto più caldo che altrove, il che vuol dire molto da quelle parti; ‘stavolta troviamo anche una parte del villaggio bruciata da un incendio accidentale che ha fatto una vittima e si ha come la sensazione che gli dei li abbiano maledetti e ci si guarda in giro con un misto di commiserazione e fretta di andare via…Calma! Il funzionario di frontiera un omone ben panciuto, vestito con un’ampia camicia di stile un po’ hawaiano, ci mette subito calmi ad aspettare che lui trascriva diligentemente i nostri dati sui vecchi registri consumati: comunque è gentile e sicuramente deve “avere degli studi”, ce ne si rende conto dalle domande che ci fa per “uccidere il tempo (dell’attesa)”.

Esco fuori dall’”ufficio” a sgranchirmi le gambe e seminascosto dalle capanne intravedo un cavallo sellato: strano! Mi avvicino e i cavalli sono due, vicino ci sono presumibilmente i proprietari cioè una coppia con un bambino piccolissimo: mi spiegano che sono americani, sono partiti da Tamba la settimana prima e, sempre a cavallo, volevano arrivare fino a Labé, in Guinea, ma non hanno il visto perché degli amici senegalesi avevano detto loro che il visto d’entrata per la Guinea non era necessario: per i senegalesi no di certo! Li saluto dispiaciuto, sono obbligati a tornare indietro e sono a 120 km in linea d’aria da Tambacounda…”pas facile”.

La morale è: attenzione a come si pongono le domande! Fine delle formalità, tutti fuori dal forno di lamiere dell’ufficio, bambini sul cassone, tanti saluti e via! Verso la “route nationale”, dove arriviamo un’ora più tardi, prendiam a destra verso sud, un’altra ora ed eccoci arrivati a Sambaïlò: altri controlli, io faccio sfoggio delle quattro parole di poular che so per sedurre gli agenti (e rendere soft le formalità!) con risultati alterni.

Restano 300 km di pista (un po’ migliore) e partiamo tra i saluti e qualche sorrisetto (mi vien il sospetto che gli agenti mi abbiano usato la gentilezza che si usa coi matti), direzione: Koundara, XXXX, fiume Bantalà, Thiàguel Bòri, Popodarà e Labé.

Koundara, altri controlli e tutto regolare, si riparte e si punta verso sud-est.

A questo punto la pista si normalizza e per quanto scassata la si vede bene e si procede in mezzo alle praterie tra una buca e l’altra, gruppi di babbuini e le prime minuscole vacche n’dàma dei peul di Guinea…E il paesaggio che comincia pian piano a cambiare: iniziano le prime colline, le palme diventano sempre più rare e i pianori si alternano a grandi boschi fino a che la pista si fa tortuosa e finalmente cominciamo a salire le prime montagne : inizia il Fouta Djallon! Su e giù per le montagne evitando i rari camion nei tornanti stretti ed è quasi sera quando arriviamo sul fiume Bantalà: aspettiamo solo un po’per salire sul pontone a fune poi traversiamo pagando l’equivalente di 2,5 euro in tutto.

Si riparte e dopo un’ora i bambini chiedono le giacche: saremo già a 600 m d’altitudine, si fa notte e fa fresco.

Ormai anche si arriva, si sente l’aria frizzante , ci saranno 16 gradi, e ci avviciniamo alle luci di Labé: casa! Gli ultimi 5 chilometri sono i più scassati del viaggio e ci mettiamo mezz’ora farli ma ormai è finita, eccoci nel cortile dell’”hotel Tata”, siamo arrivati. C’è anche di nuovo la corrente elettrica! Scendo anchilosato e guardo i bambini saltar giù dal cassone, due esseri impolverati, ridono allegri mostrando i denti e stropicciandosi le palpebre, e meno male, sennò non riuscirei a distinguerli dalla terra color ruggine! Sono stati forti, bisogna ammetterlo, ci hanno lasciato comodi anche noi dentro e durante il giorno ci hanno chiesto solo tre bottiglie d’acqua e tre baguettes di pane: due adulti ci avrebbero di sicuro fermati ogni mezz’ora con lamentele di ogni tipo.

Tutti si sitemano, io mi siedo in veranda tra la gente, e con un’ultimo pensiero alla famigliola americana incontrata a Missirà ordino una “bière climatisée”, e sorseggiandola dimentico la pista e tutto quanto.

Da domani inizieremo i giri alle cascate, ma questo è un’altro itinerario! Informazioni pratiche: -Visto per la Guinea- Dall’Italia:il visto va richiesto prima della partenza, meglio se tramite un’agenzia di viaggi; se serve la lettera d’invito ve la posso procurare io.

Dal Senegal: all’Ambasciata di Guinea a Dakar, bisogna prevedere qualche giorno di tempo per il rilascio –potete sempre passarli al mare alla Petite Côte- e 40.000 FCFA, circa 60,00 euro.

Vaccinazioni: febbre gialla, obbligatoria, la validità è poi di dieci anni.

Viaggio faidatè: non è particolarmente complicato anche se apparentemente avventuroso. Partenza da Dakar da una delle diverse stazioni dei “transports en commun” e taxi verso Tambacounda.

Da Tambacunda prendere i trasporti locali in partenza per Kolda – Casamance precisando che si vuole arrivare fino a Kounkandè.

Considerate che a Kounkandé è meglio esserci al mattino presto ma non ci sono strutture “ufficiali” per passare la notte per valutare se fermarsi a Velingara per la notte e partire il mattino presto per Kounkandé. Durata del tragitto Kounkandé – Labé: A seconda dello stato della pista può variare tra le 12 – 16 ore in stagione secca o a piogge finite. Mesi da luglio a settembre: indefinita.

Prezzi da Kounkandè a Labé: circa 40 euro a persona e potete acquistare due posti a testa – o tre per due!- se volete stare un po’ più comodi (sono certo che alla fine del viaggio troverete questa opzione meno snob di quello che sembra).

Consiglio fraterno. Non sedete vicino al finestrino di un’auto sul cui portabagagli è caricato un montone o un caprone: ogni tanto piscia anche lui! PS: Com’è la “bière climatisée: Birra ben fredda, un bicchiere da mezzo litro o una caraffa. Riempire a tre quarti il bicchiere o la caraffa di birra, aggiungere 4 o 5 (non meno!) cubetti di ghiaccio e due fette di limone. Bere pian piano



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