L’artico d’inverno: Kangerlussuaq e Ilulissat

Nella leggendaria Thule gli uomini antichi, stando alle testimonianze del navigatore greco Pitea di Messalla, identificavano la terra che si stendeva a Nord. I racconti di Pitea su quelle terre che si trovavano fuori dai confini allora conosciuti suscitarono scalpore e incredulità. Nessuno a quei tempi poteva immaginare che di notte il sole se ne...
Scritto da: adrimavi
l'artico d'inverno: kangerlussuaq e ilulissat
Partenza il: 08/03/2007
Ritorno il: 13/03/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
Nella leggendaria Thule gli uomini antichi, stando alle testimonianze del navigatore greco Pitea di Messalla, identificavano la terra che si stendeva a Nord. I racconti di Pitea su quelle terre che si trovavano fuori dai confini allora conosciuti suscitarono scalpore e incredulità. Nessuno a quei tempi poteva immaginare che di notte il sole se ne andava per un sonno di poche ore e la notte era molto corta perché esso tornava subito a sorgere ed esattamente il contrario accadeva con l’avvento della stagione invernale…, che montagne di ghiaccio galleggiavano nel mare, le sue storie, in cui non faceva altro che descrivere con minuzia di particolari queste regioni ricoperte dai ghiacci, risultarono per la società dell’epoca così tanto incredibili che venne etichettato come un bugiardo. Fin dove arrivò resta un mistero certamente dovette raggiungere luoghi prossimi al Circolo Polare Artico, ossia a quella linea geografica ben definita, a nord della quale il sole almeno per un giorno dell’anno non tramonta o non sorge nell’arco delle ventiquattrore.

La Groenlandia rappresenta ancora una meta lontana, da intendersi non come distanza, ma in senso di diversa e strana… lontana dalla nostra società e dai paesaggi a noi consueti. Il grande nord inizia a 66°33’ di latitudine (Circolo Polare) e finisce a 90° del Polo Nord; così almeno è segnato sulle carte geografiche, ma in realtà è un luogo senza confini che richiama la sfera dell’immaginazione a mitiche spedizioni e che oggi offre al viaggiatore avventure entusiasmanti, in aree poche frequentate dal turismo.

Si pensa alla Groenlandia e subito la si associa, a dispetto del nome “terra verde”, a una sconfinata e monotona distesa bianca e proprio così appare dal finestrino dell’aereo. La calotta glaciale, nonostante la si osservi dall’alto, mostra già tutta la sua imponenza. Il manto di ghiaccio ricopre la Groenlandia per 2400km, con uno spessore di circa 700mt. Prima di giungere a Kangerlussuaq, man mano che l’aereo si prepara all’atterraggio, si rivelano i particolari di questa superficie che dall’alto sembrava completamente piatta e invece è molto crepacciata e seraccata. Kangerlussuaq è l’hub aeroportuale della Groenlandia essendo il suo aeroporto dotato di una pista abbastanza lunga da consentire ai voli internazionali di atterrare e di decollare collegando il paese con il resto del mondo. Questo non deve trarre in inganno perché la città è invece inaspettatamente piccola, conta, infatti, appena 600 abitanti. In inverno il centro vitale è l’aeroporto. L’hotel, il ristorante, i negozi, il cambio, le previsioni meteo, il bar, la sala giochi, il night, l’agenzia di viaggio, il capolinea dell’unico bus del paese, tutto si trova all’interno dell’area aeroportuale. Kangerlussuaq sembra una città dormitorio, le case sono dei capannoni, è asettica, indifferente, fredda, senza anima e sembra il set cinematografico di un film dell’orrore.

Viste le premesse, al di là dell’inevitabile transito per raggiungere le altre località della Groenlandia, che cosa spinge a venirci? Almeno tre sono i motivi! Il “ghiacciao Russel”, la possibilità di avvistare qualche “bue muschiato”, ma soprattutto la “luce del nord”. Ecco svelato l’arcano. D’inverno, in particolar modo, è famosa in tutto il mondo per essere uno dei posti sulla terra dove più facilmente si manifestano le aurore boreali, uno dei fenomeni più impressionanti che possa offrirci la natura. A marzo se il cielo è terso, sgombro da nubi e il freddo abbastanza intenso, lo spettacolo è visibile pressoché tutte le notti. Il massimo di frequenza aurorale si registra, infatti, in una fascia compresa tra 60° e 70° di latitudine. Per questo ci troviamo a Kangerlussuaq, ognuno di noi nutre la segreta speranza di vedere l’aurora boreale.

Il “ghiacciao Russel”, vera e propria reliquia dell’era glaciale, si raggiunge dopo circa 25km, avanzando verso l’interno, su piste immacolate di neve e ghiaccio, grazie a mezzi speciali adatti a questo genere di percorso. Si tratta di Iveco Turbostar (come quelli utilizzati dalle spedizioni di Overland) a quattro ruote motrici e pneumatici montati con catene.

Nevica quando partiamo, ciò nonostante i raggi del sole ogni tanto si insinuano tra le nubi, rischiarando il paesaggio. Il passaggio più delicato del tragitto è il superamento di un lago ghiacciato che l’autista affronta a velocità molto moderata, un’ultima impervia salita e si è infine di fronte alla falesia laterale del ghiacciaio. Fa’ molto freddo, siamo vestiti come sul Monte Rosa pur essendo a livello del mare, troviamo momentaneo rifugio in due igloo costruiti da alcuni cacciatori. Qui la nostra guida, Jesper, approfitta per spiegarci come la neve una volta fosse l’unico materiale di costruzione a disposizione degli inuit, in particolare durante la caccia sul pack. L’ice-stock, lo strumento utilizzato per farli, è un bastone con una punta adatta a rompere e lavorare il ghiaccio. Molte sono le tradizioni scomparse, ammette malinconicamente, solo una ancora resiste ed è la caccia. Dopo i mesi bui invernali, la caccia primaverile è un evento liberatorio. La cattura della balena, in particolare, continua ad essere ben radicata e finisce sempre con una grande festa. A tutta la comunità ne è riservato un pezzo. Della balena non si butta niente oltre alla carne per mangiare (i cui scarti vanno a saziare i cani), il grasso viene bruciato per produrre luce, i fanoni e la pelle utilizzati per fabbricare piatti, utensili, vestiario e giocattoli, i tendini usati per cucire. Gli inuit (eschimesi della Groenlandia), gli abitanti della terra che vivono più a nord, cacciano civilmente, ammazzano per sopravvivere, non come purtroppo gli viene tante volte rimproverato dalle associazioni animaliste. Bastoni e uccisioni scriteriate non fanno parte della loro cultura. In Groenlandia non si spara alle femmine e ai piccoli. È un etica ben fondata.

Si riparte e inizia la breve camminata sul ghiacciaio già di per sé non facile è resa ancor più difficile da un sottile strato di neve fresca che copre la superficie ghiacciata. Scivolate e capitomboli si susseguono pur calzando tecnici scarponi con tanto di suola in vibram. Per fortuna si è su un terreno completamente piatto. Spazzata via con una mano la neve che ricopre il ghiacciaio ci si rende conto di come si sia proprio sul manto di ghiaccio, stiamo calpestando la calotta glaciale (il ghiaccio senza la terra sotto come spiega Jesper). Lo spazio assume contorni indefiniti, davanti a noi il regno del gelo e della desolazione, se proseguissimo toccheremo luoghi incontaminati e davvero isolati. Se ci s’incanta a guardare l’orizzonte il paesaggio sembra sparire in un turbine bianco.

Sembra impossibile che questa terra di ghiaccio tanto lontana dal mondo industrializzato sia seriamente minacciata dall’effetto serra e si stia sciogliendo. Oggi i ghiacciai si stanno davvero ritirando a seguito del progressivo aumento della temperatura terrestre e i primi ad accorgersene sono proprio gli inuit. Questo incredibile scenario di cristallo che è l’artico comincia a denunciare segni di disgregazione che preoccupano gli scienziati di tutto il mondo. Le cause sono conosciute, l’allarme è stato dato, ma si fa’ qualcosa? Sensibilizzate i vostri amici quando tornate nel vostro paese – ci chiede Jesper – e ricordate loro che “La più grande riserva di acqua dolce del pianeta si sta’ via via esaurendo”. L’altra escursione è quella chiamata “safari del bue muschiato”. Nell’area intorno a Kangerlussuaq vivono 5.000 esemplari di questa specie. Si svolge alla stessa maniera di un safari africano. Senza una meta fissa, in fuoristrada, armati di binocolo e con un po’ di fortuna si possono avvistare non solo i buoi muschiati, ma anche altri animali dell’inverno artico come le renne e la volpe artica. E’ incredibile come questi animali possano vivere stabilmente nell’artico per tutto il corso dell’anno. Su una collina, alta forse un centinaio di metri, tocchiamo la temperatura minima di tutto il tour in Groenlandia ben 25°C sotto lo zero termico. Raffiche di vento s’insinuano anche sotto gli strati sovrapposti del piumino facendoci rabbrividire, per un attimo, per fortuna solo per un attimo, riviviamo le avventure patite dagli antichi esploratori che hanno dovuto sfidare questi territori di grande suggestione, ma dannatamente impervi e selvaggi. Una scrittura groenlandese dice – il nostro è il paese più pacifico al mondo perché noi siamo abituati ad impegnare il tempo contro nemici naturali quali il gelo, la lunga notte polare, il procurarsi il cibo, non abbiamo mai avuto tempo e modo a schierarci contro altre comunità. Il freddo è il nostro unico e solo nemico. – Abbiamo conosciuto il freddo Groenlandese, quello vero, quello artico! Insigni scrittori con la loro penna hanno cercato di descrivere la “Luce del Nord”; per Nansem «va al di là di qualunque cosa si possa sognare»; per il norvegese Theodore Caspari «Nessuna matita può disegnarla, nessun colore può dipingerla e nessuna parola può descriverla in tutta la sua bellezza». Ma non scrivere dell’Aurora Boreale, dice una metafora, è come negarsi una fetta di cielo. Lunedì 12 marzo, periferia di Kangerlussuaq, é da più di un’ora, che aspettiamo, a una temperatura di -17°C, imbacuccati nel nostro materiale tecnico di gorotex, che si manifesti l’aurora boreale. Camminiamo sulla neve, su è giù per una strada, per alleviare il freddo. Ancora un’altra mezzora e ancora niente, eppure le condizioni sono quelle ottimali. Il freddo diventa stridente, il morale sempre più affranto, tutti, silenziosamente, non desideriamo altro che ritirarci nel tepore delle nostre camere d’albergo. All’orizzonte tenue luci indugiano ad accendersi, Beppe me le fa’ notare, ma nessuno vuole illudersi, assaliti come siamo dalla demoralizzazione. Ormai in procinto di rientrare, Beppe si gira un’ultima volta verso quel debole bagliore quando esclama ad alta voce: l’aurora, l’aurora! All’improvviso uno spettacolo senza uguali, centinaia di drappeggi verdi e bianchi, di tanto in tanto con riflessi arancione, iniziano a svolazzare, in cielo, proprio sopra alle nostre teste, e come se se si fosse aperto il sipario di un teatro e fosse incominciato lo spettacolo. L’euforia, l’eccitazione risvegliano i nostri sensi addormentati dal freddo, dimentichiamo l’oppressione del gelo polare spalanchiamo gli occhi e restiamo impotenti davanti a così tanta bellezza. Ora la volta celeste splende interamente di queste luci che si manifestano per tutto il cielo in diverse e stravaganti forme: raggi, drappeggi, archi, incandescenze, pieghe, spirali, corone e ancora veli scintillanti, fuochi fluorescenti, figure danzanti, nastri di luce, onde impetuose continuano a passare e ripassare in cielo, sempre con maggior impeto, più o meno intense, ora tremolanti e l’attimo dopo brillanti. L’incantesimo non si attenua, neppure dopo due ore, indifferenti delle prime avvisaglie di congelamento, siamo come bimbi che vedono per la prima volta uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio. L’aurora compare in innumerevoli varianti e con incredibili giochi di luce per cui ogni volta il fascino si rinnova. Anche se il fenomeno oggi è scientificamente ben spiegato, grazie ai contributi di numerosi scienziati che hanno fatto luce sui misteri che l’aurora celava, dissolvendo così tutte le superstizioni che la loro inspiegabile origine aveva creato, voglio continuare a pensare all’ubbia che si manifestino quando il dio di tutti gli uomini (non importa di quale religione), tavolozza alla mano, per svago, inizia a dipingere quella immensa tela che è il cielo.

Ilulissat. Inverno. Primi di marzo. Quattro giorni da trascorrere a 69°23’40’’ di latitudine nord, ben 280 chilometri oltre il “circolo polare artico”, in un luogo sperduto del pianeta. A bordo di un Dash-7, l’aero a doppia elica che collega Kangerlussuaq a Ilulissat, con lo sguardo incollato ai finestrini per tutti i 45 minuti di volo, indifferenti dell’assordante rumore del bimotore, la Groenlandia appare per quel che è: “un mondo ghiacciato”. Sulla destra, del senso di marcia, la calotta glaciale, immensa distesa bianca che si perde in lontananza; proprio sotto la banchisa di ghiaccio, che ancora ricopre la parte di mare più prossima alla riva, spezzata qua e là, segni dell’arrivo della bella stagione; a sinistra il mare aperto, libero dal pack, dove galleggiano enormi isole di ghiaccio, gli iceberg. Il fascino che la Groenlandia esercita è qui rinchiuso: i ghiacci, i paesaggi e l’estreme condizioni atmosferiche. In questo brandello urbano ai confini dell’universo, d’inverno, s’arriva solo con l’aereo, …E non sempre. Ilulissat prima ancora di essere un ben determinato luogo fisico (69° di latitudine e 51° di longitudine) è un luogo, secondo i punti di vista, sublime e spietato, smodato e limitato, fausto e apocalittico. Un piccolo paese sperduto tra i ghiacci Groenlandesi, dove la gente vive la propria scialba vita con dignità e spiccato senso comunitario. L’inverno buio, gelido e tetro miete annualmente le sue vittime. La piaga dell’alcolismo in primis e, poi, i suicidi, che si diffondono sempre più fino a diventare la prima causa di morte tra i giovani, colpiti da forme depressive per la mancanza di luce e svaghi, oppressi dagli angusti confini entro cui si svolge la loro esistenza, frustrati dall’impossibile realtà ambientale. Ecco perché il 13 di gennaio, tutti gli anni, la piccola comunità sembra risvegliarsi a nuova vita, quando il sole ritorna a fare capolino dopo la lunga notte artica (2 mesi di buio totale). Si gioisce e si festeggia sulla collina di Sermermiut. Quella che per noi è un’anomala bizzarria per i giovani soprattutto è una triste condizione di vita. Se non si cede all’alcool si fa’ l’amore. Ilulissat pullula di bambini e asili infantili. Ilulissat, “la città degli iceberg”, (in lingua inuit) convive oltre che con i ghiacci con una comunità di quasi 6.000 cani, così numerosa da superare i 4.700 abitanti della città. Sono gli eskimo, razza pura, dato che non è possibile portare alcun cane in Groenlandia, proprio per preservare questa specie, forte da sopportare le intemperie del clima e resistere a lunghi digiuni. Di vitale importanza nell’economia della città, servono a trainare le slitte nel periodo invernale, in particolare per andare a cacciare. I cani da slitta fanno parte del paesaggio. Si sentono abbaiare e ululare di continuo. Vivono legati a delle corde all’incirca di sei metri e il loro spazio vitale è un misero fazzoletto di terra. Solo ai cuccioli e alle femmine, in attesa, è consentito girare liberamente per la città. I cani vecchi, ormai inutili, sono lasciati deliberatamente, senza collare, affinché diventino facile preda degli accalappiacani comunali che li abbattono a colpi di fucile. Le case hanno tutte colori sgargianti: blu, azzurro, rosso, arancione, giallo, verde; questo per alleviare le lunghe notti e le cupe giornate di brutto tempo. Le strade sono un continuo saliscendi e finiscono ai bordi della città. L’unica asfaltata, al di fuori dei limiti cittadini, è quella che porta all’aeroporto. Il manto stradale ghiacciato per tutta la giornata le rende pericolose non solo per i pedoni (attenzione a camminare); ma per le auto stesse, molti sono i mezzi ammaccati che sbandano a causa della scivolosità. Esiste una sola industria e si trova al porto. Si tratta della Royal Greenland, che lavora gamberetti e altro genere di pesce, dando lavoro alla maggior parte della popolazione. Il porto è semi gelato e ci sono delle barche ancora bloccate dal ghiaccio. Da annoverare tra le città più sperdute del pianeta, Ilulissat è da visitare non solo per la forma d’arte eccelsa dei suoi iceberg, che capeggiano nell’antistante baia, ma per l’insolito stile di vita, o anche, semplicemente, perché fa pensare Ecco allora il punto: luogo idilliaco o luogo nefasto? Ilulissat che posto occupa nel villaggio globale? Sta per aprirsi al mondo o è esattamente il contrario? Ognuno avrà la sua personale risposta. Quella di Silver, il cui vero nome è Silverio Scivoli, ex Corvi, “mitico” gruppo degli anni sessanta, titolare dell’agenzia Tourist Nature, insieme al figlio Crhistian, personaggio carismatico, la sua risposta la diede tempo fa’, …Lui vi vive ormai da trenta lunghissimi anni.

La baia davanti alla città è quella famosa di Disko, il pack che si scioglie è il segno del risveglio della natura e dell’ormai prossimo arrivo della primavera, ma soprattutto il mare non è più imprigionato dal ghiaccio e questo significa che è possibile effettuare la gita in barca fino a Iluminaq. Per arrivarci è gioco forza passare in quel braccio di mare che centinaia e centinaia di iceberg, staccatisi dalla calotta glaciale, raggiungono dopo aver disceso per circa 30 km, il Kangia Icefjord, il fiordo di Ilulissat. Quando il fronte del ghiacciaio Sermeq Kujalleq, che vanta la maggiore produzione di iceberg di tutto l’emisfero settentrionale, viene a contatto con l’acqua marina, la temperatura più calda del mare provoca il distacco di blocchi di ghiaccio, dando origine a monolitici iceberg. Paradosso della natura l’acqua è una sostanza che allo stato solido pesa meno che allo stato liquido, per questo gli iceberg galleggiano. Una volta in mare aperto le correnti li spingono verso sud…, proprio da qui partì l’iceberg che a sud di Terranova, la notte fra il 14 e 15 aprile 1912, affondò il Titanic.

Questi iceberg dalle dimensioni e forme stravaganti, tutti insieme, formano il più strano e meraviglioso dei musei a cielo aperto, costituito da migliaia di monumenti di ghiaccio: obelischi, macigni, colonne, cime, pinnacoli. Ogni iceberg è in sé un’opera unica. Qui, per un attimo, l’era glaciale sembra ancora realtà. Non si può immaginare la grandezza che raggiungono; alti cento metri e più, lunghi un chilometro e più. Le onde del mare vi si abbattono come frangenti contro gli scogli. Vi passiamo vicino quasi a sfiorarli, mi domando se non sia pericoloso dato che sotto la parte emergente si nasconde una massa sette volte maggiore di quella visibile. Sinistri pensieri mi assalgano quando vediamo in lontananza un blocco di ghiaccio crollare in acqua, spezzando quello che fino allora era stato l’unico rumore: lo schioppettio della nostra imbarcazione. Capisco, finalmente, perché gli inuit hanno quasi cento parole diverse per definire il ghiaccio, costituito com’è da una miriade di striature e infiniti colori: bianco, grigio, blu, indaco, azzurro, celeste, turchese, verde chiaro, prugna, lilla, rosa.

La banchisa di ghiaccio (il pack) è ancora particolarmente unita e spessa in prossimità della costa tanto che l’imbarcazione non riesce ad avanzare così si è costretti a passare più al largo. Nel corso della navigazione il timoniere è attento a schivare grandi e piccoli pezzi di banchisa alla deriva, ciò nonostante tonfi funesti e improvvisi proseguiranno ininterrottamente per tutto il giorno. La prua sbatte di continuo, stiamo attraversando una zona cosparsa da una miriade di piccoli pezzi di ghiaccio galleggianti che salgono e scendono seguendo il moto ondoso. Il panorama spazia tra i gelidi vuoti di orizzonti di cristallo e atmosfere mitiche, assolutamente pure e limpide. Di tanto in tanto stormi di uccelli annunciano i pescherecci vi volano sopra pronti a catturare prede facilmente accessibili, gli scarti e le interiora del pescato.

L’escursione a piedi sino a Sermermiut sarebbe poco più di una scampagnata; la quota, il dislivello e la lunghezza sono irrilevanti, ma le condizioni della giornata sono quasi proibitive. Il percorso è completamente ghiacciato, la temperatura s’aggira sui -15°C, c’è vento e un po’ di foschia, ma il sentiero è molto ben segnalato da pali che fuoriescono di circa un metro dallo strato di neve. Gli immensi iceberg visti ieri sono oggi appena riconoscibili il trekking perderebbe il suo scopo trattandosi di una camminata panoramica che si sviluppa a circa 100mt sopra il livello del mare proprio di fronte al punto dove gli iceberg lasciano il fiordo di Ilulissat. Ma le avverse condizioni ambientali trasformano la gita in qualcosa di speciale. Si assapora l’ebbrezza dell’esplorazione, intorno è tutto bianco, se ne è totalmente sopraffatti, e si prova la sensazione, fino ad oggi sconosciuta, dell’assoluto silenzio. Procediamo ognuno col suo passo e con i propri pensieri, ascoltando il silenzio.

Per effettuare l’escursione in slitta al “Kangia – Ilulissat Icefjord” fino ad arrivare a costeggiare il fiordo di Sikuluitsoq si sfida il gelo mattutino. Nel campo alla periferia della città l’agitazione tra i cani cresce sempre più, man mano che intuiscono che tocca proprio a loro partire. I fortunati lanciano ululati di gioia, come veri e propri lupi; gli altri, alzando il muso verso il cielo, fanno lo stesso, ma i loro sono ululati di pianto. Tutte le volte è sempre così: quando si prepara una slitta regna la confusione per l’irrefrenabile desiderio che hanno i cani di correre. La calma torna solo quando si parte e iniziano finalmente a correre.

Lungo il percorso della nostra carovana, tre slitte, trainate ognuna da 15 cani, il vero e unico protagonista è il paesaggio. Regna un panorama desolato e senza alcuna apparente vita. I cani, uno accanto all’altro, corrono in maniera sfrenata, corrono, corrono tanto che sembra siano inseguiti, da chi e da che cosa non si sa, ma forse corrono semplicemente verso una presunta o immaginaria libertà. A tirare, in testa alla slitta c’è il capo branco, il cane più forte, dietro a ventaglio tutti gli altri. Costui guida i compagni di cordata ringhiando quanti cercano di sorpassarlo. Accelera e diminuisce la corsa a seconda delle condizioni del terreno. Il resto lo fa’ il conducente, che nel caso della mia slitta, frusta un cane che non vuole saperne di tirare e invece di stare in formazione “a ventaglio” con gli altri se ne va per conto proprio e rimane indietro intralciando il lavoro della comitiva. I cani rispondono a pochi e semplici comandi: Idì! Idì! Idì! quando devono andare a destra, Yù! Yù! Yù! quando devono andare a sinistra; uno scudiscio di frusta quando devono accelerare. Procedendo il loro pelo irsuto si ricopre di un sottile strato di brina mentre le calde lingue penzolanti, a contatto con l’aria fredda, sprigionano vapore che gela subito e si ghiaccia sui peli del viso. Le slitte sono di legno interamente ricoperte di pelli con due sorte di binari che scivolano sulla superficie della neve. I cani sono bardati con finimenti di cuoio e sono attaccati alla slitta con una corda. Lasciata la piana di Ilulissat una lunga salita, di circa 400 metri di dislivello, porta ad un altopiano. Ci sono voluti cinquanta minuti per superarla, i cani ansimano dalla fatica così si fa una sosta per farli riposare. Gli animali s’accovacciano sulla neve, i più giovani giocano azzuffandosi, i più anziani sonnecchiano stiracchiandosi, quasi a voler conservare saggiamente le forze. Tra una fermata e l’altra s’incomincia a prendere confidenza, sono cani mansueti e docili, ma puzzano terribilmente. Il colore dominante del pelo è il beige, il bianco e il nero, con riflessi marrone. Si raggiunge la sommità di una collina con un belvedere da qui si vede il primo, dei tanti stupefacenti spettacoli naturali che vedremo nel corso dell’escursione: le vedute dall’alto del fiordo di Kangia (Ilulissat Icefjord). S’attraversa ora una regione ancora più desolata e silenziosa, unico suono il sibilo del vento, la sensazione palpabile e visibile e di trovarsi a far parte di una spedizione d’altri tempi. Un’ora trascorre, e poi un’altra ancora. Fino alle undici il sole in cielo risplende una luce morente che si ravviva solo intorno a mezzogiorno, per ritornare tale dopo le tre. Un tramonto lunghissimo al di sopra dell’orizzonte, pallido e dorato, ci accompagnerà fino al tardo pomeriggio. Finito di costeggiare il fiordo di Ilulissat s’imbocca una pista, ben tracciata e battuta, dove i cani faticano meno, che porta all’ennesimo belvedere che domina il Sikuluitsoq, la parte più interna del fiordo di Ilulissat. Essendo qui molto vicini è possibile vedere nei dettagli il surreale paesaggio. Si vedono distintamente grattacieli e palazzi di ghiaccio emergere dalla banchisa, senza neanche troppa immaginazione sembra di trovarsi nella Manhattan dei ghiacci. Il paesaggio è fantastico, ancor di più rispetto al fiordo di Kangia, qui si vedono centinaia e centinai di iceberg, immobili e compressi nel ghiaccio. Sulla via del ritorno si scende tanto quanto si è salito all’andata. Le discese sono divertenti ma pericolose, la slitta scivola velocissima così i muschers sono costretti a mettere i cani dietro le slitte a far da freno. In una discesa più ripida, su una pista in cattive condizioni i cani rovesciano la slitta di Mavi che rimane capovolta e incastrata nella neve finché non giungiamo ad aiutarla e liberarla. Percorrendo un punto in piano a velocità sostenuta, da un orizzonte all’altro, non si sentono che “lo scivolare delle slitte e l’ansimare dei cani”, questo è il ricordo più autentico dell’inverno artico e solo ora comprendo quanto scrisse Knud Rasmussen:“…Datemi l’inverno, datemi dei cani e prendetevi pure tutto il resto…”



  • Federica Pedrotti Federica Pedrotti
    Meravigliosa questa esperienza. Vorrei anche io viverla una volta nella vita. Mi fanno paura le condizioni climatiche e vorrei essere guidata da una persona esperta, che mi prepari anche prima di partire: allenamento, abbigliamento tecnico, alimentazione...l'artico non è per tutti! Ho visto delle foto molto belle di una spedizione "nelle terre selvagge" groenlandesi, qui spiegano anche come vestirsi per affrontarle [url]http://www.dryheat.it/it/doc-s-85-5134-1-i_capi_tecnici_dry_heat_utilizzati_da_una_spedizione_altoatesina_in_groenlandia.aspx[/url] Si tratta di una spedizione altoatesina che ha attraversato il ghiacciaio Proestefjeld Sermilikvejen, affrontando un dislivello complessivo di circa 1000 metri. Coraggiosi!"
  • Federica Pedrotti Federica Pedrotti
    Meravigliosa questa esperienza. Vorrei anche io viverla una volta nella vita. Mi fanno paura le condizioni climatiche e vorrei essere guidata da una persona esperta, che mi prepari anche prima di partire: allenamento, abbigliamento tecnico, alimentazione...l'artico non è per tutti! Ho visto delle foto molto belle di una spedizione "nelle terre selvagge" groenlandesi, qui spiegano anche come vestirsi per affrontarle [url]http://www.dryheat.it/it/doc-s-85-5134-1-i_capi_tecnici_dry_heat_utilizzati_da_una_spedizione_altoatesina_in_groenlandia.aspx[/url] Si tratta di una spedizione altoatesina che ha attraversato il ghiacciaio Proestefjeld Sermilikvejen, affrontando un dislivello complessivo di circa 1000 metri. Coraggiosi!"
  • Federica Pedrotti Federica Pedrotti
    Meravigliosa questa esperienza. Vorrei anche io viverla una volta nella vita. Mi fanno paura le condizioni climatiche e vorrei essere guidata da una persona esperta, che mi prepari anche prima di partire: allenamento, abbigliamento tecnico, alimentazione...l'artico non è per tutti! Ho visto delle foto molto belle di una spedizione "nelle terre selvagge" groenlandesi, qui spiegano anche come vestirsi per affrontarle [url]http://www.dryheat.it/it/doc-s-85-5134-1-i_capi_tecnici_dry_heat_utilizzati_da_una_spedizione_altoatesina_in_groenlandia.aspx[/url] Si tratta di una spedizione altoatesina che ha attraversato il ghiacciaio Proestefjeld Sermilikvejen, affrontando un dislivello complessivo di circa 1000 metri. Coraggiosi!"
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