Da Pietra a Petra

Ci sono paesi che ti sbattono in faccia tutta la loro bellezza. E’ già lì, davanti a te, più che evidente, inevitabile, e tu non devi far altro che prenderne atto. In Giordania invece in molti casi bisogna faticare un po’ per raggiungerla. Un esempio a caso: paghi il biglietto, due passi sulla ghiaietta ed il Taj Mahal si erge...
Scritto da: kipling
da pietra a petra
Partenza il: 11/10/2010
Ritorno il: 18/10/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Ci sono paesi che ti sbattono in faccia tutta la loro bellezza. E’ già lì, davanti a te, più che evidente, inevitabile, e tu non devi far altro che prenderne atto. In Giordania invece in molti casi bisogna faticare un po’ per raggiungerla. Un esempio a caso: paghi il biglietto, due passi sulla ghiaietta ed il Taj Mahal si erge maestoso. A Petra non è mica così. C’è più di un chilometro da percorrere per arrivare al primo prodigio, il Tesoro; la prima volta che l’ho visto è stato nel film di Indiana Jones, e ricordo di aver pensato che uno scenario così fiabesco non poteva essere reale, ma doveva essere stato per forza creato artificialmente apposta per il film. Non parliamo poi del Monastero, 800 gradini sotto un sole impietoso per buona parte della salita. E cosa dire della discreta camminata per conquistare la cima della montagna che ti consente di ammirare il Tesoro dall’alto… Tesoro, Monastero, non sono un puntino lontano, che piano piano, mentre lo raggiungi, si manifesta nella meraviglia che è, anzi, quest’ultimo riesci a fotografarlo solo dopo averlo affiancato o superato. Per citare uno spot, che a sua volta cita Shakespeare, sembrano essere fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Diciamo che un viaggio in Giordania non è proprio una passeggiata. Ci si può accontentare di vedere le cose da distante, ed allora vanno bene 3 ore a Petra, 15 minuti di sbirciatina al Wadi Mujib dal belvedere sulla Strada dei Re, un pranzo veloce sotto una tenda al Wadi Rum. Al contrario, se ci si lascia rapire, o più razionalmente si desidera approfondire, senza grossi limiti di tempo, tipo un bus che aspetta col motore acceso, c’è di che consumare la suola delle scarpe, arrampicarsi, infradiciarsi nei torrenti, riscaldarsi e riposarsi finalmente alle sorgenti termali, e chi più ne ha più ne metta.

Questo è il link per le foto:

http://travel.webshots.com/album/578935398wuWROJ

Piccola spiegazione sul titolo: Pietra (Ligure) è la stazione da cui siamo partiti, dato che Lorenzo, il mio compagno di vita e qualche volta di viaggi, vive in zona. Sto cercando di addomesticarlo alle asperità del viaggio fai da te estremo, ossia bus pubblici e zero prenotazioni. Nel frattempo, procedo per gradi. Fra l’altro, il 50% del sopra menzionato in Giordania è pura fantascienza, data la carenza di mezzi di linea. Per il restante mi sono adattata a lui, visto che sarebbe stato più problematico il contrario.

Introduco un breve scheda tecnica.

Durata del viaggio: 1 settimana in Giordania ed 1 in Egitto a Dahab (segue diario a parte nella sezione apposita)

Volo Egypt Air pagato 352 Euro

11/10/2010 Milano 00.55 – Cairo 04.35 Cairo 08.30 – Amman 11.00

24/10/2010 Sharm el Sheik 08.30 – Cairo 09.30 Cairo 12.15 – Milano 16.15

Partire all’1 di notte non è il massimo, ma permette, arrivando alle 11, di avere comunque ancora buona parte della giornata a disposizione. Gli hotel sono stati, come accennavo, prenotati dall’Italia. Ho preso accordi direttamente con le reception. In alcuni casi hanno voluto il numero di carta di credito, ma non hanno addebitato nulla.

Madama – Mariam Hotel http://www.mariamhotel.com/ 3 notti, 40 JD a notte per una stanza doppia con prima colazione Le foto del sito corrispondo a realtà

Petra, Amra Palace Hotel (Wadi Musa) http://www.amrapalace.com/ 3 notti, 69 JD per una stanza doppia con prima colazione

Aqaba, My Hotel http://www.myhotel-jordan.com/ 1 notte, 70 JD per una doppia con colazione Ho speso una fortuna, maledizione!

In effetti, la Giordania è una destinazione costosa, rispetto ad esempio al Marocco, o all’Egitto. Bisogna infatti spostarsi con taxi o macchine a noleggio, i collegamenti con mezzi di linea molto spesso non servono le località turistiche. I siti archeologici hanno prezzi da Eurolandia, a Petra da Giappone, oserei dire…

Tutti gli hotel di Madaba, nel loro sito web, hanno una sezione dedicata alle escursioni prepagate in taxi. Il Mariam è stato un pioniere in tal senso. La cosa buona è che i prezzi indicati sono veritieri, e gli autisti ci si attengono senza scassarti l’anima, come accade invece in Egitto, ad esempio.

Stranamente, visto che è il contrario di quello che si legge in giro, contattando i taxisti normali si riescono a spuntare prezzi migliori, d’altra parte è logico, se vogliono campare. Anche in questo caso, però, una volta fissato il prezzo non sopraggiungono in corso d’opera richieste di maggiorazioni e bakshish vari. Che liberazione! E nemmeno cercano di fermarsi ai negozi dei loro amici per convincerti a comprare cianfrusaglie. Che liberazione! (nuovamente).

Altra cosa “strana”, visto l’andazzo di certi paesi confinanti, se chiedi informazioni su un bus e ti dicono che non c’è (tipo il JETT delle 18.30 da Wadi Rum a Aqaba) è vero. E’ da tempo annunciato ma non ancora operante. Non mentono nella speranza che tu salga sul loro mezzo e ti possano spillar soldi. Leggete il mio racconto su Dahab e vedete come cambia la musica non appena si attraversa il golfo di Aqaba.

11/10

Atterriamo alle 11 con un leggero anticipo in terra giordana. Per la prima volta in vita mia, uno sconosciuto mi aspetta agli arrivi con il mio nome stampigliato su un cartello, per 14 JD. E’ comodo, in ogni caso, caspita! In un batter d’occhio, ci ritroviamo a Madaba. La strada di nuova costruzione fiancheggia campi di profughi palestinesi che il paese ospita. Visto il poco tempo a disposizione, ho deciso di evitare Amman. Da Madaba si possono infatti raggiungere comodamente tutte le destinazioni della Giordania settentrionale. La nostra camera (nr. 414) è al quarto piano, semplice, ma molto pulita. Le finestre hanno i doppi vetri, e l’ambiente è perfettamente insonorizzato…. Dai rumori della strada, che è già gran cosa. In compenso viene amplificato qualsiasi tipo di rumore interno, soprattutto un simpatico sbattimento di porte, e poi struciamenti di tavoli, rollii di trolley, rutti dei vicini, e amenità varie..

Nonostante tutto, ci letargizziamo per un paio d’ore e verso le 15, decidiamo di raggiungere Jerash, per portarci avanti nel programma.

Per 40 JD ci trovano con rapidità sorprendente un taxista che ci accompagnerà e ci aspetterà per tutto il tempo che vogliamo. La tabella tariffe dell’albergo prevede invece 30 JD ma solo un’ora di sosta. In realtà, scopro in seguito, per ogni ora supplementare di attesa la cifra che pretendono è di 3 JD, ma mi faccio fregare dalla mia stessa ignoranza, e ne rimango all’oscuro per tutto il viaggio. Del resto, come per le corna, l’importante è non saperlo… Me ne renderò conto solo leggendo in spiaggia a Dahab tutte le dispense ed i papiri relativi alla Giordania; infatti la mia peculiarità è che io visito un posto e poi se mi piace mi informo, non lo faccio “prima”, preferisco il fattore sorpresa…

In realtà prima di partire non sapevo se avrei visitato Jerash, trattandosi di rovine romane mi sembrava un luogo assai poco esotico, ma invece già col senno del durante, e nemmeno con quello del poi, sono contenta di essere qui. L’ingresso costa 8 JD.

Diciamo che vagabondare fra colonne ed archi senza leggere una virgola di quanto riportato sulla guida, (d’altra parte, perché sfruttare un’occasione per acculturarsi quando si può rimanere ignoranti e felici di esserlo??) semplicemente osservando e ascoltando, mentre la luce dorata del tardo pomeriggio ammanta il paesaggio già vale il prezzo. Ma ecco che, alle 18.30, quando già la luna spunta e le finestre delle case circostanti si illuminano come tanti presepi, il sito storico sorge infatti accanto all’abitato, ecco che arriva il magico tocco di esotismo tanto agognato: l’appello del muezzin, che ci coglie di sorpresa sul palco del magnifico e ben conservato anfiteatro, amplificando alla perfezione ogni vibrazione acustica. Il suono ci invade e ci avvolge.

Un guardiano, dall’alto degli spalti, richiama la nostra attenzione con un fischio, e ci invita a sloggiare.

Il nostro autista ci aspetta all’uscita, quando già è notte. E’ un signore di una certa età, non saprei quantificare. Già all’andata mi aveva suscitato qualche perplessità, data la sua tendenza a parlare, inveire e gesticolare con un potenziale nemico immaginario. Ora che è buio Lorenzo mi fa notare evidenti carenze dell’apparato visivo, complicate dalla tendenza a premere troppo il piede sull’acceleratore, ovviamente sempre mentre parla e bestemmia fra sé staccando a volte le mani dal volante. Insomma, con una certa apprensione riusciamo a raggiungere il Mariam, poiché siamo stanchi morti non vogliamo assolutamente saperne di uscire in città e trovare un ristorante, e ci accontentiamo di quello mediocre dell’albergo che ci serve un piatto unico (da dividere in due) di pollo legnoso e filaccioso, di quelli che si mastica e mastica senza concludere nulla. Purtroppo non si vedono gatti in giro a cui allungare qualche boccone, e mi tocca svuotare tutto. Lorenzo vorrebbe pure che finissi la sua parte, ma non ci penso proprio… Spendiamo 12 JD in due.

Per il giorno dopo, abbiamo in programma il classico giro che combina storia, svago, e relax del corpo: Monte Nebo, Betania, Mar Morto, Dead Sea Panorama, e le sorgenti calde di Main (50 JD in due)

Lascio Lorenzo in camera, e scendo in reception verso le 21.30 per prenotare un taxi, specificando però che al Mar Morto non voglio fermarmi più di tanto, poiché abbiamo in programma di starci a lungo il mercoledì.

Nella hall arriva un giovanotto sulla trentina, mi parla in italiano abbastanza spedito, infarcito di qualche parola dialettale del sud, tipo “seggia” , ma con accento australiano. Quando invece si rivolge al tizio della reception, il suo inglese è perfetto, come i madrelingua. I suoi genitori sono di Lipari, ma Antonio è nato a Melbourne. Dopo essermi fatta raccontare tutta la trafila che l’ha condotto a Madaba con un’auto a nolo, ossia due settimane in Libano e due in Siria, mi ricordo che ero scesa per il taxi, prendo accordi, lo saluto, e rientro in camera.

12/10

La colazione è abbondante, pancakes buonissimi, e barattoli enormi di marmellata casalinga, da cui si può attingere a cucchiaiate, non quelle tristi microscatoline da 3 millimetri cubi. Lo sciroppo di palma poi, è fantastico!

Insomma, una mangiata di dolci da coma diabetico..

Nella hall ad attenderci, alle 11, c’è il signore di ieri. Si rivelerà una persona adorabile e simpaticissima.

Prima considerazione sul paesaggio: colline brulle, color sabbia, linee morbide ondulate che si susseguono degradando verso il Mar Morto in lontananza, tinto di un blu un po’ appannato; appena interrotte, di tanto in tanto, da qualche macchia verde di vite ed uliveto. Ancora più raro, si snoda qua e là il serpente nero del manto stradale.

Al Monte Nebo (ingresso 1 JD) stanno costruendo un santuario, la cosa più interessante, a parte un piccolo museo che raccoglie vasellame e alcune fotografie, è un piccolo piazzale da cui si gode il panorama e dove troneggia una specie di mappa. Da qui Mosè vide la terra promessa.

Sono nel bel mezzo della polveriera del mondo, la madre di tutti i conflitti attuali, Giordania ed Egitto sono ora amici di Israele, ma a 20 chilometri Betlemme si trova nei territori occupati strappati alla Giordania, e la contesa città santa di Gerusalemme è a 50. Avrei tanto voluto visitarla, ma il balletto dei visti sul passaporto mi ha fatto scappare la voglia. Sarà possibile un giorno tornare e passare liberamente da Gerico a Gerusalemme, e poi tornare a Beirut o Damasco? Chissà, al momento no, e speriamo di non beccarci un razzo in testa.

Seconda tappa: Betania, sul Giordano, il luogo dove fu battezzato Gesù Cristo.

Ci troviamo in un territorio delicatissimo, non si può girare da soli. Una navetta fa la spola fra l’ingresso (7 JD) e il sito vero e proprio, giusto al confine con Israele, filo spinato, bandiere e, immagino, mitra spianati dall’altra parte. Il Giordano è ora ridotto a fiumiciattolo, il luogo del battesimo ricordato da una targa è oggi all’asciutto.

Anche l’acqua è oggetto di contendere, Israele fa la parte del leone e se ne appropria della maggior parte lasciando le briciole ai palestinesi. Il nostro accompagnatore, che ci fa un po’ anche da guida non ci molla un attimo, e ci mette una certa fretta. Visto dove mi trovo, io avrei voluto magari fermarmi un attimino a riflettere. Benché non sia una persona particolarmente credente, sono comunque molto sensibile a recepire l’aspetto mistico e religioso, di qualunque dottrina si tratti. E qui si fonderebbe con la politica, con l’attualità…. Ma purtroppo mi trascinano via a forza!!

Terza sosta: toccata e fuga al Mar Morto. In zona ci sono soltanto hotel di lusso, l’Holiday Inn più a nord, proprio vicino all’incrocio di chi arriva da Madaba e poi più a sud il Moevenpick ed un paio di altri. Accanto all’Holiday stanno costruendo vari tipi di residenze, al momento ci sono solo scheletri di cemento. Lungo la strada fra i due gruppi di alberghi ci sono una serie di parcheggi, oggi non c’è assolutamente nessuno ma immagino che il venerdì qui sia pieno zeppo di gente. Non ci sono spiagge vere e proprie ma l’accesso al mare è gratuito.

Se non si vogliono utilizzare le spiagge degli albergoni (i non ospiti possono farlo pagando una tassa di ingresso che è sui 30 JD e comprende anche l’utilizzo delle loro piscine termali), ne esistono alcune pubbliche attrezzate, a pagamento, dotate di lettini, ombrelloni, docce, ristoranti, piscine, ecc. La più famosa, nominata sulla Lonely Planet, è Amman Beach, ingresso 15 JD ma, guidando verso sud, ne scorgeremo un’altra, poco distante, la O Beach.

Sistemati su alcune sediacce di plastica, tormentati dalle mosche, consumiamo il nostro pranzo al sacco (formaggini, grissini, banane), scendiamo sino al mare, senza peraltro bagnarci, scattiamo due foto e ripartiamo.

L’intenzione è tornare domani e fermarsi per un po’…

Costeggiamo per poco la litoranea, dopodichè, svoltando a sinistra ci inerpichiamo su un arduo pendio fra tornanti e canaloni (ricordo che il Mar Morto si trova a 376 mt sotto il livello del mare), sino a raggiungere il Dead Sea Panorama, un punto da cui si gode una vista incredibile sul paesaggio sottostante. C’è anche un ristorante.

L’ultima sosta della giornata è ad Hammamat Main, un gruppo di sorgenti termali, ingresso 15 JD.

Dopo la ripida salita, curviamo improvvisamente su una china scoscesa che ci porta nel fondo di una gola bellissima. Sulla destra un ristorante, sulla sinistra un sentiero piastrellato ed una cascata di acqua calda.

Ci sono spogliatoi ove cambiarsi d’abito ma non armadietti per custodire i propri averi.

I frequentatori sono prevalentemente abitanti del posto, le poche donne si immergono nell’acqua completamente vestite. Io mi sono portata il costume da piscina.

La temperatura credo che sia intorno ai 38-40 gradi, calda ma non fastidiosa. Questi vapori sono un vero toccasana per il mio raffreddore. Per contro, mi buttano a terra la pressione, già in macchina poco dopo sarò vittima di un rilassamento molto accentuato. In due parole, mi stroncano.

Mentre sono già uscita dalla fonte e intenta ad asciugarmi, ecco che se ne arriva un’altra coppia di stranieri (sino ad ora c’eravamo solo io e Lorenzo), sul genere nord europeo. Lui è già un po’ anzianotto, lei è una bella donna credo sui 45, avvolta in un pareo. Scioglie il nodo, mettendo in mostra un fisico statuario ed un bikini ridotto, non so se sia rifatta o se passi il suo tempo in palestra, comunque è una gran gnocca tipo Ursula Andress nel film di James Bond. Tutt’attorno, fra i maschi giordani, si scatena una frenesia incontenibile, il delirio, persino le guardie accorrono abbandonando le loro postazioni. La bionda si immerge nella cascata, e si mette in posa mentre il marito non smette di fotografarla. Avete presente la scena della fontana della Dolce Vita? Beh, qualcosa che gli assomiglia. L’agitazione raggiunge i massimi livelli, un adolescente cicciotto in braghette e canottiera, pure lui nell’acqua, la guarda con l’acquolina in bocca e non sta più nella pelle. Insomma una scena divertentissima, anche se mi viene da pensare: “ma questa non si rende conto di dove si trova??“.

Rientrati a Madaba, dopo esserci riposati un attimo in camera, decidiamo di uscire in città per cenare decentemente. Il Mariam si trova infatti a 10 minuti di passeggiata dal centro cittadino.

Nella hall incontriamo l’Antonio, e lo invitiamo ad uscire con noi. Su sua indicazione, vorremmo raggiungere il ristorante Haret Jdoudna. Strada facendo, diamo un’occhiata anche agli altri, soprattutto quelli nominati sulla Lonely Planet. Certi, come l’Ayola, sono soltanto dei caffè, altri, come il ristorante del Moab Land offrono cibo che ci sembra un po’ troppo “western”. L’Haret Jdoudna è all’interno di un cortile, in una splendida casa in pietra, affollatissimo di gente del posto, pare che sia in corso un banchetto, ma i commensali sono esclusivamente donne, e non capiamo di cosa si tratti. Un cantante sta eseguendo melodie del posto, in chiave dance, molto orecchiabili, e parecchie signore ballano sinuosamente ondeggiando fianchi e braccia tipo danza del ventre.

La cena è spettacolare. Il ricchissimo menu propone cibo tipico giordano, la lista delle mezze (antipasti), sia fredde che calde, mi disorienta. Sarà l’esperienza gastronomica più importante della nostra vacanza. Antonio è un vero e proprio sperimentatore, Lorenzo un tradizionalista italiano ma è già tanto che sono riuscita a portarlo qui. Io sto nel mezzo, e mi butto sulle mezze!!. Mangio una zuppa di lenticchie, profumata al cumino (2 JD), un fattayer (1.75 JD) ossia una pastella che contiene dentro erbette verdi tipo spinaci, i sambousek (2.25 JD), altra pastella con ripieno di formaggio caprino, e poi un chicken sawani (5.75 JD), ossia pollo al forno con verdure. Antonio prende delle salsiccette di agnello ai chiodi di garofano o noce moscata, sono molto appetitose ma non riuscirei a finire il piatto, poi il famoso baba ghanuj, una crema di melanzane fredda. Poi un piatto simile al shawarma egiziano, ossia tipo una parmigiana di melanzane, ma al posto del nostro formaggio mettono della panna acida.

Il pane è fantastico, come mangerò più nel resto del viaggio. E’ una specie di piadina calda, con la pasta molto sottile e leggermente oleata, una bolla d’aria separa i due strati croccanti, me la sogno ancora adesso. Ricorda un po’ il naan indiano, ma è più sottile e meno unto, un’untuosità quasi impalpabile, e che non dà fastidio.

Rientrati al Mariam, chiedo in reception quanto mi costi, per l’indomani, un taxi andata e ritorno al Mar Morto. Mi sparano 40 JD, e qui inizia a farsi strada in me il sospetto che questi prezzi non siano poi così economici come vogliono far credere.. Chiedo anche lumi sull’altra spiaggia attrezzata che ho notato oggi, la O Beach. Mi spiegano che è più o meno simile all’Amman Beach, ma è più cara, 25 JD contro i 15 JD di Amman Beach. Contrariamente a quanto scritto sulla Lonely Planet, inoltre, mi rassicurano che potrò indossare un bikini senza essere morbosamente scannerizzata dagli sguardi dei maschi locali.

L’Antonio, che per l’indomani è diretto a Petra, ci offre un passaggio sino al Mar Morto.

13/10

Ci troviamo a colazione con Antonio, la partenza è fissata alle 10.

Sbagliamo strada: Non c’è dubbio che stiamo scendendo, il Mar Morto placidamente adagiato sul fondo ci incoraggia, ma il sentiero stretto, ripidissimo, zeppo di curve a gomito non è la strada comoda che ricordo aver già percorso. In ogni caso, in un modo o nell’altro, dopo qualche peripezia arriviamo nello stesso incrocio di ieri, quello del cantiere di condomini. Incontriamo un posto di blocco, quando vedono che siamo stranieri ci lasciano passare. Antonio ci scarica ad Amman Beach. Paghiamo i 15 JD a testa in reception, ma ci requisiscono il cibo che ci eravamo portati appresso. E’ quindi meglio imboscarlo nello zaino. La ragione di questo gesto credo consista nel fatto che vogliono obbligare quanta più gente possibile a consumare nel ristorante. Oltre a questo, una bella piscina, spogliatoi con armadietti, un piccolo emporio che vende creme, costumi, pinne, ecc. Sono disponibili lucchetti, a 1.5 JD più qualche spicciolo per la cauzione.

I bagnanti sono per lo più stranieri, e qualche famiglia del posto, le donne sono completamente coperte. Aveva ragione il receptionist, il bikini non attira sguardi curiosi.

Ci sono ombrelloni e lettini in piccola quantità, poiché noi arriviamo presto riusciamo ad appropriarcene. Il sole non è forte, e tranne che a bagno siamo tormentati dalle solite fastidiosissime mosche. Per 3 JD (che si pagano al bagnino in spiaggia) si possono attingere manate di fango nero da spalmarsi addosso, ci si risciacqua poi nel mare, tranne la faccia.

L’acqua del mare è calda, poiché ho delle pellicine smangiucchiate attorno alle unghie, temevo di soffrire, ma il bruciore non è così terribile come mi aspettavo. Lorenzo per lo stesso motivo non si è sbarbato stamattina. E’ invece tremendo quando un po’ d’acqua mi finisce negli occhi, caspita che sofferenza. La facilità di galleggiamento è eccezionale! Le gambe proprio non riescono a stare giù.

A poco a poco la spiaggia si riempie, ma la maggior parte della gente si ferma quel tanto che basta per fare un bagnetto, e poi riparte subito.

A parte il fatto che non avevamo voglia di fare le corse, ma mi sarebbe sembrato un delitto non regalarmi il piacere di rilassarmi un po’ in questo posto così particolare, senza contare le innumerevoli proprietà di quest’aria e di quest’acqua.

Dopo un paio d’ore di cazzeggio, ci trasferiamo nella piscina, tanto per asciugarci un attimo, e contrattiamo per 18 JD il ritorno a Madaba.

Ci riposiamo un po’, usciamo che è quasi buio, e facciamo il bis nel magnifico ristorante di ieri.

Domani si parte per Wadi Musa. Le escursioni preconfezionate del Mariam (ma che, ricordo, sono le stesse proposte negli altri hotels, cambia probabilmente l’associazione di taxi a cui si appoggiano) prevedono, per 70 JD, che Petra venga raggiunta percorrendo la strada dei Re, con sosta al belvedere del Wadi Mujib, dove il canyon si può vedere dall’alto, e poi ai castelli crociati di Kerak e Shobak.

Invece, noi vogliamo percorrere dapprima la strada del Mar Morto, fermarci al Wadi Mujib per visitare il canyon all’interno, quindi l’autista ci dovrebbe aspettare per il tempo necessario a percorrere il Siq Trail, il percorso più facile, che stimo ci prenda un due ore, e poi, a Mazra’a, svoltare verso Kerak, fermarci al castello, e poi ricongiungerci alla Strada dei Re. Incontro un sacco di ostruzionismo, come se la cosa non fosse possibile perché la strada è troppa, e si perde troppo tempo, poi, dopo un lungo conciliabolo, mi viene sparata l’astronomica cifra di 100 JD. Contrariata, lascio perdere. Mi incammino bofonchiando tipo Paperino, mentre a Lorenzo viene la brillante idea di cercare un taxista a caso in strada.

All’inizio non è semplice, perché alcuni interpellati non parlano inglese, ma alla fine riusciamo a trovarne uno che, per 65 JD asseconda i nostri desideri. Provo a contrattare un po’, ma alla fine 65 JD mi sembra un’ottima cifra, soprattutto comparata a 100 e non insisto più di tanto.

14/10

Attendiamo il taxista di fronte alla International Bakery. Comprensibilmente, non poteva venire a prenderci in hotel per non creare conflitti con la concorrenza.

Il Wadi Mujib si trova a una decina di minuti d’auto dai resorts.

La “chicca” della vacanza, e anche l’esperienza più faticosa, nonostante sia solo un paio di chilometri. Potrei infatti camminare e fare scale per giorni, ma non chiedetemi di usare le braccia!

Si tratta di un canyon, visto dal basso non è tanto diverso da quelli di Petra o del Wadi Rum, con la differenza che qui perennemente scorre un corso d’acqua, che a seconda della conformazione del terreno, può essere un ruscello o un torrente. Il Siq Trail è il percorso più facile, l’unico accessibile senza una guida. L’acqua al momento al massimo arriva ad un’altezza di 1.20-1.30 mt, ma ottobre è al limite della stagione secca, quindi i livelli sono al minimo e non immagino come possa essere alla fine dell’inverno. Anche così, comunque, non è uno scherzo, infatti ci sono pochissime persone che arrivano sino alla termine, ossia alla cascata di 20 metri. In ogni caso, ci fanno firmare una liberatoria che esonera i gestori da ogni responsabilità, e ci obbligano a indossare i giubbotti di salvataggio. A dire il vero, su youtube ho visto filmati di gente che ne è sprovvista.. Noto anche che alcune persone rimangono solo all’inizio del cammino, dove l’acqua arriva alle caviglie e la corrente è debole, si fanno due foto, e poi ritornano. Per buona parte del percorso il livello non supera le ginocchia, ma già quando la corrente è più forte un po’ si barcolla. Ulteriori particolari da tenere in considerazione: ci si bagna completamente. Un po’ perché è facile perdere l’equilibrio, un po’ perché in certi casi è più semplice buttarsi in acqua dalle rocce più alte piuttosto che calarsi dalle corde (almeno per me).

Noi abbiamo lasciato tutto in taxi, tranne il denaro e i passaporti, che abbiamo avviluppato in molteplici strati di sacchi dell’immondizia e poi riposto nello zainetto. Non si sono neppure inumiditi. A dire il vero quelli della biglietteria sono un po’ offesi della nostra diffidenza, ma abbiamo dietro un sacco di soldi, e quindi chissenefrega anche se urto i loro sentimenti, non li lascio di certo a degli sconosciuti. E’ anche utile portarsi dietro asciugamani e cambio asciutto. Ci sono infatti delle specie di spogliatoi vicino ai servizi.

La parte difficile consiste in 3 dislivelli da superare, il primo è una roccia alta tipo 3 metri, l’unico modo per salire è attaccarsi alle corde, per scendere si può decidere fra corde e buttarsi in acqua.

C’è anche un video:

http://www.youtube.com/watch?v=p3gcFIbn-dw

Nonostante l’altezza possa incutere un certo timore, non è gran cosa, gli altri due sono molto più difficili, perché le pietre sono più basse, ma la corrente è molto più forte, e le corde cui attaccarsi e tirarsi su sono messe in posizione laterale e scomoda.

http://www.youtube.com/watch?v=hz2CiLLf-0o

Diciamo che non è un’escursione adatta a tutti. C’è un solo gruppo organizzato, ma si sono fermati senza proseguire alla roccia di 3 metri, altri a quella intermedia. Solo io, Lorenzo, ed altri due ventenni riusciamo a compiere la missione e raggiungere la cascata oltre il quale non è possibile proseguire in questo trekking.

L’esperienza ci gasa tantissimo, e ci sentiamo già appagati quando giungiamo al Castello di Kerak, ingresso 1 JD, il basso costo del biglietto è giustificato dal fatto che il castello è in rovina, un ammasso di pietre. E’ comunque divertente percorrerne i sotterranei, osservare il panorama, e improvvisare un pic nic in un cono d’ombra.

Da Kerak ci ricongiungiamo sulla Kings Highway, ampia e a rapido scorrimento. Siamo a Wadi Musa verso le 17, il nostro hotel si trova in questa parte della città, nei pressi della moschea, e lontano dal sito.

La nostra stanza, la 308, è all’ultimo piano. Il bagno è un po’ vecchiotto e necessiterebbe di un rimodernamento, ma la stanza, seppur piccolina, è ottima, diciamo che l’intenzione di questo 3 stelle è, nell’apparenza e nei servizi offerti, di cercare di assomigliare ad una categoria superiore. Le finestre hanno una doppia-doppia finestra (quindi 4 vetri), che isolano quasi perfettamente dai rumori esterni, che nella fattispecie sono rappresentati dal muezzin della grande moschea che abbiamo di fronte. Non si sente praticamente niente. All’interno, camere e corridoi sono moquettati, e ben insonorizzati. La receptionist, Ayah, è gentilissima e dispensa ogni tipo di consiglio. E’ disponibile, a 13 JD un pacchetto che consente l’uso illimitato di internet e della jacuzzi, più un bagno turco. A noi non interessa, ma ogni bagno turco costa 20 JD, la jacuzzi 7, e mezz’ora di internet 1, per cui è conveniente. Inoltre, pagando 7 JD a testa si può cenare a buffet al ristorante.

Il cibo è buono, non eccezionale come a Madaba, piatti più occidentalizzati ma cucinati comunque a dovere, utilizzando sapori e spezie esotiche. Io ho trovato ottimi gli arrosti di agnello.

Acquistiamo per la sera stessa i biglietti per lo spettacolo Petra by night (12 JD). Ayah ci ha avvisato che il prezzo di una corsa in taxi è di 2 JD massimo, e rifiutarsi di pagare di più. Lo spettacolo è un mezzo pacco, molta gente ne è delusa. Il Siq e la piazzetta del tesoro sono illuminati da centinaia di candele, nulla da dire sull’ambientazione che è fantastica e molto romantica, sotto le stelle, ma lo spettacolo offerto, un concerto di musica beduina, è un pò scadente, sia come qualità che quantità.

15/10

Dopo la colazione a buffet (qui niente pancakes, e la marmellata è quella delle scatole, ma ci si sazia comunque) scendiamo a piedi verso le rovine, saranno un po’ meno di due chilometri.

Facciamo il biglietto di entrata per 2 giorni, costo 38 JD cadauno. C’è caldo, tipo sui 33 gradi, ma è secco e non dà fastidio. Non è il caso di portarsi dietro molta acqua, perché ci sono chioschi che la vendono, anche se a prezzi maggiorati. La bottiglia grossa all’interno del complesso costa 2 JD, mentre normalmente pretendono 1 JD. I giordani la pagano (fuori dal sito) 0.35 JD, quindi vedete se siete bravi a contrattare e spuntare il loro stesso prezzo, in effetti 1 JD per una bottiglia da 1.5 litri è una ladrata. A Madaba siamo riusciti a comprare ben 3 bottiglie, (1.5 + 0.75 + 0.5) per 1 JD ma è un’eccezione, più che la regola.

Alle 9.30 c’è già parecchia gente (i cancelli aprono verso le 7, anche se dicono le 6.30).

Già nella prima parte precedente al Siq sono presenti alcune tombe antiche nabatee.

Dedichiamo la prima giornata alla visita “istituzionalmente turistica”, cioè il classico percorso dal Tesoro sino al Monastero, camminiamo normalmente, senza tirare, fermandoci a fare fotografie, a bere, a mangiare. Ci siamo portati dietro grissini, formaggini, banane, snacks al sesamo, i grissini li compriamo alla panetteria ….

Usciamo dal sito che è già buio, e rientriamo in albergo alle 19.

Molta gente pensa che Petra sia soltanto composta dal Siq, ossia il tortuoso percorso iniziale, ed il Tesoro, ma in realtà è una città enorme da esplorare, considerate anche le scenografiche escursioni (alcune da compiere con guida, altrimenti si rischia di perdersi) che la collegano alle alture o ai villaggi circostanti. Si deve faticare, ma si è ripagati dagli scenari spettacolari, e dall’assenza quasi totale di altri visitatori. Questi invece, abbondano soprattutto al Tesoro tanto che, fra cammelli, cavalli, carrozzelle, asini, capannelli di gente, e anche cani e gatti, il quadro che si presenta è quello di una discreta ressa da mercato.

La scalinata ripida che si trova sulla sinistra, indicata sulla Lonely Planet, e che permetterebbe in circa 20 minuti di raggiungere una specie di belvedere, è chiusa al pubblico, immagino troppo pericolosa. Ne percorro qualche metro, giusto per fare qualche foto senza teste davanti, scavalcando il cartello che ne vieta l’accesso. In effetti, è da brividi, stretta e senza protezioni verso lo strapiombo.

Dal Tesoro in avanti, la folla man mano si diluisce, l’effetto imbuto scema. Come tante formiche le persone si arrampicano ovunque scalini e forze lo consentano sulla Strada delle Facciate, all’Anfiteatro, alle Tombe Reali. C’è talmente, tanto, troppo, che si resta disorientati, senza sapere dove andare prima, qualunque edificio, qualunque nicchia scavata nella roccia multicolore ha un accesso, più o meno facile, più o meno ripido, basta aver fiato.

Quello che mi colpisce sono i colori della roccia, sembra gelato variegato.

Dopo un pranzetto all’ombra della tomba di Sesto Fiorentino, verso le 14.30 ci incamminiamo verso la via colonnata, e da qui, oltrepassati i due ristoranti, intraprendiamo la scalinata che porta al Monastero. La pista inizia appena ora ad entrare nel cono d’ombra. I visitatori che scendono adesso, e quindi all’andata avevano il sole pieno del mezzogiorno/l’una hanno l’aria distrutta. Arsura costante in gola a parte, nonostante beva in continuazione, non mi sento stanca. Avrò le braccia di pastafrolla, ma il jogging a giorni alterni è un buon allenamento, e non faccio una piega, anzi sorpassiamo parecchi gruppi.

Le mie preoccupazioni per un temuto maltrattamento degli asini, adibiti a trasporto di coloro che non hanno voglia di muoversi con le loro gambe si rivelano piuttosto infondate. Non so se questa sia l’oggettiva verità ma si basa su quanto da me osservato. A ben guardare, coloro che si fanno trasportare sembrano essere solo una piccola percentuale, e le bestie sembrano ben tenute.

In effetti, prima dell’ingresso al Siq, troneggia un cartello di un’associazione animalista che afferma che tutte la fauna è sotto la loro tutela, contrassegnate da un numero (che ricordo di aver notato sui cavalli e cammelli, non ricordo gli asini) e invita i visitatori a denunciare eventuali abusi e maltrattamenti. Molti asini vengono usati per il trasporto della bigiotteria che viene venduta all’interno del sito, per il resto vengono lasciati pascolare sino al momento di ritirare tutto. Ho notato, questo sì, qualche dispetto da parte dei bambini. Gli indigeni presenti nel sito, intenti prevalentemente nella gestione dei chioschi di ristorazione, affitto di animali, vendita di souvenir mi sembrano appartenere a comunità beduine, ma ci sono anche individui di etnia diversa, riesco a riconoscere soprattutto gli uomini che hanno occhi truccati di kajal nero tipo pirata Johnny Depp. Avevo infatti letto, e un taxista me lo ha confermato, che sono parte di alcune tribù zingare.

Una curiosità della Lonely Planet è l’invito a guardare l’espressione dipinta sui volti delle persone quando improvvisamente si trovano davanti il Tesoro. Ebbene, esattamente la stessa cosa, per giunta vocalizzata da un “oh oh” succede a me nei confronti del Monastero. Dopo tutta la scarpinata in un paesaggio stupendo mi sono perfino dimenticata della ragione per cui mi sono gettata in questa impresa. L’imperiosa facciata, dorata nella luce del tardo pomeriggio, si staglia improvvisamente alla mia destra dopo l’ultimo gradino, facendomi sobbalzare. A quest’ora lo spiazzo è deserto.

Da qui, con altre ore di cammino, si può arrivare persino a Beida, la piccola Petra.

Molti sono intenti a ristorarsi ad un baretto prospiciente. Dopo aver acquistato l’ennesima bottiglia d’acqua (con tutti i liquidi ingeriti, non ho fatto pipì e nemmeno mi è scappata, sino alle 7 di sera, e questo penso dica tutto..) ad una biforcazione del sentiero, io e Lorenzo ci incamminiamo verso due belvederi diversi, (io scelgo il Sacrifice View), che portano a due speroni di roccia poco distanti: entrambi si affacciano sulla valle del Wadi Araba.

Al ritorno, le tombe spiccano in una luce aranciata straordinaria, e anche il piazzale del Tesoro è praticamente deserto. L’esplosione rosa del mattino è scomparsa, dato che è quasi sera.

Siamo talmente stanchi che ceniamo in albergo. Allegre comitive di turisti sui sessanta rumoreggiano nel ristorante, come i ragazzini in gita scolastica. Voglio vederli domani, alla stessa ora. Io e Lorenzo siamo infatti mogi mogi, ma felici.

16/10

Oggi è il giorno dell’escursione alternativa. Ossia, almeno nelle intenzioni, giungere a Petra alla tomba di Sesto Fiorentino ma entrando dal Wadi Muthlin e non dal Siq, e poi salita (altri gradini) sino alla cima dell’altura che si trova davanti al Tesoro, per ammirarlo dall’alto. Il Wadi Muthlin è poca cosa, come torrente, ed al massimo ci potrebbero essere pozze d’acqua. L’eccezionalità di questo percorso è che, nell’ultimo tratto, si riduce ad un siq largo soltanto un metro. Ci sono un paio di massi da superare di circa 2 metri, ma secondo la Lonely Planet una persona normale ce la può fare.

Domandiamo informazioni in merito all’efficientissima Ayah. Secondo lei (in tutte le email che ci siamo scambiate mi ci sono rivolta al maschile, eppure avrei dovuto capirlo, dalla velocità e lunghezza delle risposte che si trattava di una donna…) è fattibilissimo. Tuttavia, ci allerta perché le guardie (il ponte dove inizia il sentiero si trova davanti alla postazione della polizia, all’ingresso del Siq), ci faranno un sacco di storie, che è pericolo, non è possibile, è proibito.

Ci suggerisce di ignorarle. Al Centro Visitatori di Petra ci fermiamo all’Ufficio Informazioni e inaspettatamente pure questi ci mettono in guardia, non lo fate, non venite poi a lamentarvi, entrate a vostro rischio e pericolo, poi non fateci storie, ve le andate a cercare, ecc. La nostra impressione è che vogliano spillarci 50 JD per farci accompagnare da una guida. Al ponte, un numeroso gruppo organizzato sta filmando e fotografando due figuranti vestiti da nabatei. Le guardie sono distratte, io e Lorenzo, quatti quatti deviamo dalla via principale, viriamo a destra e scendiamo nel letto del Wadi Muthlin, sotto il ponte. Ce l’abbiamo fatta! Per poco, però, le urla di un tizio ci richiamano indietro, i suoi schiamazzi attirano anche le guardie. Dopo qualche insistenza, ci lasciano andare, promettiamo loro che facciamo solo un giretto e poi torniamo indietro. Non siamo più tanto sicuri. La pista è piena di sassi, ma molto facile, il paesaggio è bello. Il cammino diventa a poco a poco più stretto, il fondo della valle è fiancheggiato da oleandri, non c’è anima viva, e silenzio assoluto, solo alcune lucertoline blu, che corrono in posizione eretta roteando buffamente le zampette posteriori.

Proseguendo non riusciamo più a distinguere un sentiero marcato, più che perderci temiamo di sprecare tempo finendo in un punto morto che ci impedisca di proseguire.

Decidiamo di tornare indietro, e arrivare comunque alla punta della montagna, ma passando dalla via tradizionale. E’ già passato mezzogiorno, nel Siq le comitive sono quasi scomparse, rimangono solo piccoli gruppetti. Molto più di ieri adesso siamo in grado di gustarci la magia di questo posto, la luce forte ora infiamma le rocce dalle mille calde sfumature cromatiche.

Al Tesoro, il solito caos, la facciata è già all’ombra. Capiamo quindi che il momento migliore per fare l’escursione che ci prefiggiamo sarebbe la mattina presto, anziché il pomeriggio.

La scalinata che sale dietro alla tomba di Sesto Fiorentino è all’ombra, fortunatamente, non ci sono indicazioni né segnali, speriamo quindi di non sbagliare. Incontreremo in tutto il tragitto 5 o 6 persone, e due asini. Alcuni francesi, ci rassicurano che siamo nel posto giusto, e che una volta arrivati in cima i mucchietti di sassolini segnaleranno la direzione da seguire.

Sulla sommità troviamo, piccolissimi, sotto di noi l’anfiteatro e la strada delle colonne

Non è finita, ma la meta è vicina, e almeno abbiamo un punto di riferimento che ci fa capire in che direzione muoverci. Riusciamo a trovare il belvedere senza perdere troppo tempo, si trova in un punto dove le rocce e la terra sotto di noi sono color mattone accesissimo. Il Tesoro è ai nostri piedi, e le persone sembrano formichine.

Piano piano ritorniamo sui nostri passi. Una troupe indiana sta girando un film, gli attori vestiti da cow boys stanno provando e riprovando una scena. Rimaniamo ancora un attimo davanti all’imbocco del Siq, è come quando devi salutare qualcuno ma in realtà non hai voglia di andartene. Forse non torneremo più, e vorremmo trovare un modo per accomiatarci degnamente, salutando Petra con un lungo abbraccio affettuoso.

All’uscita dal Siq, sul ponte che attraversa il Wadi Muthlin, scorgiamo figure umane che a poco a poco si stanno avvicinando, sullo stesso sentiero da noi percorso stamattina, in direzione contraria. Li aspettiamo, per interrogarli sull’esperienza. Sono straordinariamente entusiasti della strettoia da un metro che incuriosiva anche noi. A nostra differenza, però, loro sono attrezzati di GPS, e quindi non si sono persi.

Visto che non è tardissimo, siamo in albergo verso le 6, ne approfittiamo per godere della bella piscina.

Il programma per domani è lasciare Petra, raggiungere Wadi Rum, dove ho prenotato una escursione diurna con l’agenzia “Guides of Wadi Rum” e poi alla sera prendere un taxi per Aqaba, dove dormiremo una sola notte prima di salire sul traghetto per l’Egitto.

Ayah mi informa che i loro autisti convenzionati vogliono 40 JD, a me pare un po’ caro. Dopo cena, usciamo a fare un giro e contattiamo alcuni taxisti, spuntando un 25 JD che è sempre meglio di 40. A dire il vero, c’è un bus pubblico, della compagnia Jett, ma parte alle 6 e bisogna essere al terminal alle 5.30, e non ne abbiamo proprio voglia di affrontare questa levataccia

Wadi Musa non offre proprio nulla di interessante, a parte qualche macelleria.

Speravo in qualche negozietto di artigianato o souvenirs, ma non c’è nulla, questi si concentrano soprattutto nella zona attorno all’ingresso di Petra, e sono carissimi, le magliette le vendono a 5 JD, mentre ad Aqaba a 3.

17/10

L’escursione costa 35 JD a testa, incluso pranzo e acqua, dalla mattina al tramonto.

Quindi 25 di taxi da Wadi Musa a Wadi Rum, 70 di escursione e poi altri 25 per il taxi da Wadi Rum a Aqaba centro, totale 120 JD.

Abbiamo trovato, a Wadi Musa, un taxista che ci ha fatto i conti in tasca, dicendo che pagavamo troppo, che la sua famiglia ha un campo a Wadi Rum e ci avrebbe quotato il pacchetto 70 JD.

In effetti è probabile che molti a Wadi Musa siano imparentati con proprietari di campi tendati, ma a Diseh, un villaggio nei dintorni della riserva di Wadi Rum e non all’interno della stessa.

Inoltre, la nostra escursione parte dal mattino, e interessa molti punti degni di visita, questo ragazzo, rimanendo molto sul generico, afferma che si sarebbe partiti nel pomeriggio senza voler specificare nulla, nonostante le mie domande, e qui ho iniziato a diffidare. In effetti, nessuno fa niente per niente.

Il nostro taxi ci aspetta alle 8 davanti all’hotel, in un marasma incredibile, dato che, contemporaneamente a noi stanno partendo ben due autobus. Sono lieta di aver avuto l’intuizione di fare il check out la sera prima. Ayah è così presa che non siamo riusciti a salutarla e ringraziarla, se non con un cenno.

Ci fermiamo poco dopo Wadi Musa per ammirare un paesaggio particolarmente panoramico

E pensare che ieri eravamo ancora lì in mezzo…

Arriviamo al Centro Visitatori di Wadi Rum e ad attenderci troviamo Ateh, un beduino di una certa età, con una camionetta Toyota vecchia e malandata. Ci sistemiamo nel cassone dietro, con le nostre cose.

Inizialmente, siamo scontenti del mezzo. A causa dei continui scossoni dobbiamo reggerci forte per non essere sbalzati. Cambieremo idea nel corso delle ore, dopo aver visto numerose moderne jeep insabbiate e constatato come invece al contrario il nostro rottame riesca a districarsi dalle insidie del fondo stradale. In due-tre casi, abbiamo persino trainato e tolto dall’impaccio altri veicoli. Non c’è dubbio comunque che il nostro Ateh sia un guidatore molto esperto su questo genere di terreno.

Seguiamo il classico percorso turistico delle escursioni. Dapprima le Lawrence Springs, una collina tutta rocciosa, nel mezzo del quale c’è una sorgente. La vediamo dal basso, circondata da palme verdi spicca nell’ocra generale. Ateh ci invita ad arrampicarci, non ci sono sentieri, non abbiamo nessuna voglia, tanto più che non ci sembra nulla di speciale.

Lì nei pressi hanno eretto una tenda beduina, dove si vendono prodotti tipici, principalmente thè alle erbe, spezie, mirra. Qui sostano i gruppi organizzati, e, da come ho capito, ci mangiano pure. Alcuni ho letto in certi forum si sono lamentati del caldo. Io, a dire il vero, non ne sono stata infastidita, anche nei momenti di sforzo, tipo quando ho scalato le dune di sabbia. La sensazione più forte che si avverte è la sete, un’arsura costante, nonostante si beva e si beva..

La seconda sosta è il Khazali Canyon, una ferita profonda nella montagna, terra rossa e alberi secchi. Il canyon è veramente strettissimo, e dopo un po’ un masso alto circa 3 metri ci ostruisce la via, non ci sono appigli a cui aggrapparsi per superarlo, ci vorrebbero corde come al Wadi Mujib.

Attraversando paesaggi da Far West, arriviamo alle dune di sabbia, molta gente se ne entusiasma. Io in realtà pensavo a qualcosa tipo l’Erg Chebbi in Marocco, e sono un po’ delusa.

La sosta pranzo la facciamo al Burragh Canyon, all’ombra dell’altissima parete di roccia a strapiombo.

Ateh stende una stuoia per terra, e distribuisce piatti di plastica, tonno, pomodori, cetrioli, pane, merendine e succo d’arancia. Al termine, prepara il thè, usando l’acqua imbottigliata.

Proseguiamo oltrepassando alcune curiose formazioni rocciose a forma di fungo, e giungiamo al ponte di roccia di Burdah, che si trova sulla sommità di una collina rocciosa.

Ateh ci informa che per raggiungerlo ci vuole circa un’ora. A vederlo da quaggiù, così lontano non si direbbe proprio, fra l’altro Lonely Planet precisa che per raggiungere la cima si incontra un passaggio fortemente sconsigliato a chi soffre di vertigini, per cui abdichiamo. Tanto, di ponti di roccia dobbiamo ancora vedere l’Um Frouth, che è più accessibile.

Ateh ci scarica di fronte all’ennesimo Siq, di cui mi sono scordata il nome; ci avverte che ci aspetterà dalla parte opposta, il tempo di attraversata è circa mezz’ora. In tutta la giornata non ci ha mai messo fretta e ci ha sempre aspettati paziente. Davanti a certi passaggi siamo un attimo disorientati e non sappiamo come passare oltre, non ci sono segnali né indicazioni. Siamo però obbligati a proseguire se vogliamo rincontrare Ateh e quindi ci diamo una mossa. La gola è parecchio larga, e presenta un suolo sabbioso che rende più difficoltose le salite. Questo, però, in pratica è l’ultimo Siq della serie, a questo punto potrei proprio affermare che “I am sick of Siqs”.

Ridendo e scherzando abbiamo passato le 4, e proseguiamo ora verso Um Frouth. Questo ponte di roccia, più accessibile di Burdah, al tramonto è una meraviglia, e salirci è veramente una roba da bambini, questione di 5 minuti, basta avere scarpe dalla suola non liscia.

Nel frattempo, l’orizzonte si addensa di nubi, il tramonto non esalta i colori come invece di consuetudine. Non ricordo più il nome delle rocce dove ci siamo fermati, ma deve essere piuttosto famoso, infatti dopo un po’ è arrivata gente. Un giovane beduino si è messo a suonare la sua chitarra e cantare, molto meglio dello show di Petra by night. Anche se il sole si è nascosto, è stato ugualmente un momento magico che bene ha concluso la nostra vacanza.

Salutato, ringraziato, e pagato Ateh, ci infiliamo nel taxi prenotato da Guides of Wadi Rum, che ci conduce ad Aqaba, al My Hotel, prenotato in maniera un po’ bislacca, dal momento che a parte il prezzo della stanza non mi avevano più dato conferme nonostante i miei solleciti, e né si erano premurati di chiedermi il numero di carta di credito.

In ogni caso, anche se ci danno buca, non sarebbe un problema, dato che sicuramente ad Aqaba gli hotel non scarseggiano, e non siamo neppure nel fine settimana.

Siamo in pieno centro, vicino al mare, sulla prima parallela interna alla Corniche. Il My Hotel si trova in una piazzetta leggermente rientrante, accanto all’Al Cazar Hotel.

C’è abbondanza di stanze vuote, me ne vorrebbero assegnare una al primo piano, ma me la faccio cambiare, poiché ho notato che ai piani alti ci sono dei terrazzini, e devo fare un po’ di bucato. A dire il vero, non si tratta di veri e propri balconi, ma piuttosto di davanzali con ringhiera. Anche se è sera, spira un vento caldissimo, che è l’ideale per l’asciugatura. La stanza, 502, quindi all’ultimo piano, all’apparenza è bellissima, scovando un po’ però emergono le magagne, tutte concentrate nella doccia, i rubinetti ancora un po’ si staccano dal muro, un altro pezzo mi casca in testa. C’è stata una discussione col receptionist, il quale pretenderebbe per il pagamento 100 JD, quando invece il prezzo pattuito era 100 USD. Fortunatamente mi sono portata dietro l’email. Fra l’altro, il tizio mi ha fatto un sacco di pressioni per essere pagato subito, come se avesse paura che ci squagliassimo senza pagare il conto. Siccome temo che mi faccia casini con la carta di credito, lo pago in contanti, così non rompe più, anzi ora sono io a fare la pedante e a pretendere la ricevuta.

Mostrandomi una piantina della città scritta in arabo mi fornisce informazioni circa la AB Maritime, la società che gestisce i traghetti per Nuweiba in Egitto.

Ceniamo al ristorante Floka, affollato sia di turisti che di gente del posto. Un’abbondante porzione di pollo grigliato, compresa di contorno di verdure varie e patatine fritte, costa a Lorenzo 7.5 JD, io invece prendo un filetto di pesce grigliato a 9 JD. Sono prezzi italiani, quasi. Fra l’altro, Lorenzo, che di pesce si intende, assaggia il mio, e sentenzia che è surgelato e proveniente da chissà dove, e non è sicuramente fresco. Quest’ultimo è esposto in bella mostra in vetrinette piene di ghiaccio, e si paga a peso, meglio quindi non rischiare, perché ho visto che non è che te lo pesino crudo davanti a te prima di cucinarlo calcolandoti il prezzo, e temo fregature..

Il centro è pieno di negozi, e di turisti. Facciamo una passeggiata, e mentre ci siamo, per portarci avanti cerchiamo almeno già di individuare dove si trovi la sede della AB Marittime, così domani mattina non perderemo troppo tempo.

La troviamo aperta, contrariamente a quanto comunicatoci in hotel, e quindi approfittiamo. Gli impiegati sono gentilissimi, ci danno delle caramelle, e sono molto curiosi di sapere se abbiamo gradito il soggiorno nella loro terra. Un biglietto di sola andata costa 54 Euro, accettano tutti i tipi di valuta.

Compro, come souvenirs, dei sacchetti di Sali del Mar Morto, una confezione da 250 grammi costa 1.5 JD.

Alle 23, al rientro, tutta la roba stesa è già asciutta.

18/10

La colazione a buffet è fantastica, la più ricca sinora, di tutto e di più a disposizione, compresi vassoi di frutta secca.

Il ferry parte alle 13, ma bisogna essere al porto di imbarco da un’ora ad un’ora e mezzo prima. Visto il marasma, consiglio un’ora e mezzo. Ci restano a disposizione dalle 10 alle 11.30 per l’esplorazione superficialissima di Aqaba. Ci dirigiamo verso il mare, il porto turistico è in linea d’aria proprio di fronte al nostro albergo. Ci affacciamo dagli scogli, di fronte a noi sorge Eilat, ad un tiro di schioppo, anzi, ad un tiro di razzo, vista la situazione.

Alla nostra sinistra, accanto al porto ci sono alcuni edifici in costruzione, e poi si estendono alcune spiagge pubbliche cittadine, alle loro spalle troneggia un’enorme bandiera giordana.

Col senno di poi, mi sono pentita di essere andata a Dahab e non essere rimasta qua. I lidi pubblici cittadini non sembrano invitanti per via del grosso porto commerciale.

Però, forse tentare le guesthouses gestite da beduini nella zona di Tala Bay, a 12 chilometri a sud, verso l’Arabia Saudita, o almeno vederle, e poi decidere se imbarcarsi per l’Egitto o no, si poteva fare… E vabbè, ho toppato!

Il centro città è ordinato, come spartitraffico aiuole verdi ben curate e piantumate a palme, idem le rotonde, le strade sono pulite, sembra una cittadina ligure!!

Quando dico questo a Lorenzo, accennando addirittura a Sanremo, lui, da ligure, mi guarda seccato e mi dice beh, non esageriamo!!

Certo che comunque fra Giordania ed Egitto c’è un’enorme differenza!

Facciamo gli ultimi acquisti e, in taxi, con 5 JD, raggiungiamo il terminal dei traghetti. Capire cosa bisogna fare è un’impresa, il taxista ci scarica alla guardiola di ingresso, la nave è lontana, l’istinto sarebbe quello di incamminarsi verso quest’ultima, ed invece qualcuno ci indica un grosso edificio contrassegnato dall’enorme insegna “departures”. La procedura da seguire è questa, così si evita di andare su e giù coi bagagli come idioti : bisogna salire al secondo piano, ci sono degli sportelli dove timbrano il passaporto e si paga una tassa di 8 JD per l’uscita dal paese. Al momento c’è una coda lunghissima composta da turisti americani. Dopodichè, anziché scendere subito, sempre al secondo piano bisogna raggiungere altri sportelli dove controllano (o timbrano, non ricordo), il biglietto del traghetto, verificando che tutto sia regolare. A questo punto, si ritorna nel piazzale, ma non si può andare a piedi alla nave, quelli dei viaggi organizzati usano ancora il loro solito autobus, gli altri quello della AB Maritime.

Il ferry, moderno, trasporta anche auto. Appena arrivati al piano adibito ai passeggeri (non si può stare all’aperto) i viaggiatori indipendenti vengono indirizzati all’ufficio immigrazione egiziano. Qui non sono in grado di emettere visti, (Sinai pass escluso) quindi o ce lo si ha già, oppure ti spiegano dove farlo al porto di Nuweiba, non appena sbarcati. Però ti fanno capire che era meglio procurarselo prima. A noi basta il Sinai Pass, gratuito, come anche confermatoci dal Consolato a Milano (o almeno lo pensiamo, ma questa è un’altra storia e la racconterò nel diario egiziano dedicato a Dahab).

A bordo non c’è molto da fare, un negozio duty free vende più che altro padellame ed elettrodomestici cinesi, oltre a qualche capo di vestiario osceno. Il mare è tranquillo.

L’agitazione del porto mi ha del tutto distratta dai pensieri che sopraggiungono di solito nel momento in cui sto per lasciare un paese che ho amato. E’ periodo di bilancio, di riflessione, di un velo di tristezza, che invece sopraggiunge soltanto ora, mentre sono comodamente acciambellata sulle poltroncine, e Lorenzo accanto a me dorme.

Sul web si dice peste e corna di questi traghetti, e dei loro ritardi, questa volta invece tutto fila liscio e in buon orario approdiamo in terra egiziana. Penso possa essere un buon auspicio, non sarà proprio così.

La Giordania mi ha davvero stupito. Si meritava di più della striminzita settimana che le ho dedicato.



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