Giordania, shway shway di piano piano, dolcemente

Eccomi qua, ad una settimana dal mio ritorno da un tour in Giordania + soggiorno a Marsa Alam, cercando di mettere su carta (virtuale) le impressioni, le emozioni, le suggestioni che rendono una meta scelta quasi per caso, un viaggio davvero speciale (Mahdi e Vittoriano, grazie!). Quasi per caso, infatti, la scelta è caduta su questa...
Scritto da: anelim
giordania, shway shway di piano piano, dolcemente
Partenza il: 04/08/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Eccomi qua, ad una settimana dal mio ritorno da un tour in Giordania + soggiorno a Marsa Alam, cercando di mettere su carta (virtuale) le impressioni, le emozioni, le suggestioni che rendono una meta scelta quasi per caso, un viaggio davvero speciale (Mahdi e Vittoriano, grazie!).

Quasi per caso, infatti, la scelta è caduta su questa destinazione: da tempo Mauro ed io desideravamo visitare la Giordania, ma considerazioni di vario tipo espresse da chi ci è vicino, ci avevano fatto sempre desistere. Questa volta, invece, grazie ad un’offerta Turisanda piuttosto conveniente, ci siamo decisi a partire.

Ecco dunque il resoconto del viaggio; mi si perdoni il sentimentalismo, la lunghezza del racconto e l’abbondanza degli aggettivi: questo è quello che ho provato, questo è quello che voglio ricordare.

1° giorno-mercoledì 4 agosto – ITALIA/AMMAN Partenza da Milano Malpensa (terminal 2), con volo charter Livingston per l’aeroporto Marka di Amman.

Orario previsto di partenza ore 14,20; l’aereo ha però più di due ore di ritardo. Non ci lamentiamo: siamo nel periodo cruciale d’agosto. Arriviamo al piccolo aeroporto per i voli charter verso le 21,30.

La maggior parte dei viaggiatori continuerà per il soggiorno nel Mar Rosso; solo una cinquantina di persone scende ad Amman.

Ci accolgono Vittoriano, rappresentante Turisanda ad Amman (in pochi minuti tutte le formalità sono espletate) e Mahdi, la nostra guida giordana.

Ci guardiamo intorno, cercando di capire chi farà parte del gruppo del tour giordano (38 persone): alcuni poi proseguiranno per la Siria, altri compiranno un tour misto Giordania/Siria.

Lunga attesa in autobus: un nostro compagno di viaggio non ha trovato la sua valigia all’arrivo (si scoprirà che non è mai stata imbarcata a Milano).

Verso mezzanotte arriviamo al primo hotel destinato ad una parte del gruppo (Radisson hotel – 5 stelle- lussuoso), quindi veniamo accompagnati al secondo albergo (Golden Tulip – 4 stelle- meno appariscente, ma confortevole).

2° giorno-giovedì 5 agosto – AMMAN /CASTELLI DEL DESERTO (100 km) Alle 8,30 partenza in autobus per il Nord Est del Paese, ai confini con l’Iraq.

Mahdi, la nostra guida, ha studiato all’Università di Perugia e conosce molto bene l’Italia.

Per il nostro primo giorno insieme ha scelto di indossare una maglietta con la cartina della Giordania: gli servirà per farci orientare nei nostri primi spostamenti. Ci rendiamo subito conto che non sarà la solita guida-cicerone: Mahdi non solo è molto preparato, ma non perde occasione per cercare di avvicinarci al suo paese, facendoci notare anche i più piccoli particolari. Primo approccio con la città di Amman: la “città bianca” è moderna, pulita, servita da buone strade (il traffico scorre veloce).

Passando per i quartieri più “poveri”, Mahdi ci fa notare la presenza di molti egiziani, che costituiscono la manodopera del paese.

I lavori più faticosi sono lasciati agli immigrati dai giordani che, forniti di un alto livello medio di istruzione, preferiscono impieghi pubblici o professioni più remunerative (molti sono i giordani che lavorano in Arabia Saudita).

La Giordania non ha molte risorse naturali (potassio, fosfati) ed investe molto nell’istruzione. Il livello scolastico della Giordania è altissimo e la politica del governo investe gran parte delle risorse in questo settore.

Le scuole sono presenti anche nei centri più sperduti e, chi affronta con buoni risultati lo studio, può accedere alle migliori università statali.

Dopo parecchi Km in un paesaggio arido e monotono (i cartelli con le segnalazioni per Bagdad e l’Iraq fanno una certa impressione), durante i quali la nostra guida ci parla delle spartizioni di queste terre da parte dei vincitori della seconda guerra mondiale, arriviamo alla nostra prima meta: Qasr al-Kharanah, antico caravanserraglio a pianta quadrata, in mezzo alla piana desolata del deserto. E’ una costruzione alta e massiccia in pietra, decorata con il caratteristico fregio con mattoni posati in diagonale: le stanze al piano inferiore erano usate come stalle per gli animali dei carovanieri; al centro dell’ampia corte una vasca raccoglieva l’acqua piovana.

Le stanze al piano superiore sono ben conservate e mantengono medaglioni e fregi a “dente di lupo”.

Dalla piattaforma sulla sommità si gode un panorama vasto sui territori dei paesi confinanti (Iraq e Arabia Saudita), il silenzio è rotto dai sibili di un vento forte e costante.

Il Qusair (diminuitivo di Qasr = castello) Amra, è la nostra seconda destinazione: dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, è un castelletto di caccia, un piccolo palazzo che ci riserva all’interno inaspettate sorprese.

All’esterno un pozzo profondo 40 metri ed una noria (meccanismo per attingere acqua) testimonia la necessità di molta acqua per l’hammam (calidarium, tepidarium e frigidarium) di questo casino di caccia, che il califfo omayade Al Walid (che interpretava con disinvoltura i precetti islamici) fece costruire intorno al 710.

Ciò che fa di questa costruzione un’insolita piccola perla sono le decorazioni degli ambienti: affreschi proibiti di danzatrici e donne al bagno, scene di caccia e vita quotidiana, sopravissuti alle distruzioni degli iconoclasti; alcove intime con decori di gazzelle e grappoli d’uva, nelle quali si svolgevano gli incontri galanti del califfo non proprio ortodosso. Una curiosità: nel soffitto annerito di una di queste stanze, qualcuno crede di scorgere l’immagine del volto di Gesù Cristo.

Ancora alcuni Km ed arriviamo al Qasr al Azraq, antica fortezza nabatea e quartier generale, nel 1917, di Lawrence d’Arabia.

E’ una roccaforte con possenti mura, costruita in basalto nero (ciottoli di lava testimoniano la presenza di piccoli vulcani nella zona in ere lontane) in prossimità di un’oasi anticamente ricca d’acqua (opere di canalizzazione portano ora il prezioso liquido ad Amman).

Originariamente la costruzione, cui si accede attraverso una porta con pesantissime ante di pietra e che comprende torrioni, scuderie e una piccola moschea al centro del cortile, era molto più grande, ma gran parte delle strutture sono crollate durante un terremoto nel 1927.

Il viaggio non è stato molto faticoso: le temperature sono mitigate dal clima secco e dall’onnipresente vento.

Dopo cena, quindi, prima uscita serale: ci accompagna Vittoriano che, pur essendo da pochissimo in Giordania, ci guida con disinvoltura fra il temibile traffico cittadino e le frequentate vie adiacenti l’albergo, nella zona dello shopping (locale) della Jebel al Hussein.

3° giorno- venerdì 6 agosto – AMMAN/ GADARA/AJLUN/JERASH In mattinata partenza per il Nord, verso il confine con Siria e Israele.

Lungo il cammino incontriamo molti insediamenti palestinesi.

Golda Meir definiva Israele “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, ma, viste la numerosità (18) e la densità di questi campi palestinesi impiantati in Giordania nel 1948 e nel 1967, si comprende che quella terra proprio senza popolo non era.

Arriviamo a Umm Qays, un villaggio montano (380 m s.L.M.) che ospita le rovine dell’antica città di Gadara, la “nuova Atene”, una delle città più importanti della Decapolis (in territorio giordano le altre città erano Philadelphia-Amman, Gerasa e Pella), la lega che riuniva dieci città-stato che dipendevano direttamente dal proconsole romano Pompeo.

Dopo aver percorso il cardo romano, giungiamo all’acropoli e ad un tratto, davanti a noi, si apre un vasto panorama: a sinistra il lago di Tiberiade (mare di Galilea), di fronte le alture del Golan, con i territori occupati da Israele (altopiano che Israele esita a restituire alla Siria perché da esso ricava un terzo del suo fabbisogno idrico) ed il confine con la Siria.

Un nodo di commozione mi prende alla gola; siamo nella terra in cui visse Gesù Cristo: qua vicino è il paese di Nazareth, laggiù la valle del Giordano, con il lago presso le cui rive, secondo il Vangelo, il nazareno parlava ai seguaci; qui di fronte si compì il miracolo della divisione dei pani e dei pesci e proprio qui, a Gadara, Gesù cacciò i demoni che erano entrati in possesso di alcuni abitanti della città.

La semplicità del villaggio, con le sue casupole bianche fra alberi di fico ed ulivo, più che la maestosità delle rovine della città romana, creano un’atmosfera suggestiva, ed è molto facile immaginare una figura avvolta in teli di lino che, con i suoi calzari, calpesta queste antiche pietre.

Visitiamo le rovine di Gadara: il decumano (la strada che percorre la città da Ovest ad Est) che, insolitamente, è più grande del cardo (da Nord a Sud), il ben conservato teatro (Mahdi è dispiaciuto perché non è ancora stato ripulito da cartacce e lattine, tracce fastidiose di uno spettacolo della sera precedente), le terme.

Torniamo sul pullman e torniamo a Sud verso Ajlun, dove si trova il castello fortificato arabo di Qala’at ar-Rabad, arroccato sulla cima di una collina (1000 m s.L.M.) dominante tutta la zona circostante, che è considerato uno dei migliori esempi di architettura militare araba. Il Castello di Ajlun, fatto costruire dal Saladino nel XII sec. Per dominare le vie carovaniere che si dirigevano alla Mecca, verso il Sud, nonché i pellegrinaggi cristiani verso Gerusalemme, resistette all’invasione dei Crociati. Oggi è venerdì, giorno di festa per i musulmani, e il sito è visitato da molti turisti locali: Ajlun è un luogo di villeggiatura fresco e ricco di verde. Il castello è maestoso, ricco di torri, gallerie, scale ed ampie camere; dalla terrazza del torrione centrale si gode uno splendido panorama a 360° sulla fertile valle del Giordano.

Le parole di una canzone di Fabrizio De André ci accompagnano nel nostro percorso di avvicinamento alla prossima meta.

“Re Carlo tornava dalla guerra lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor.

Al sol della calda primavera lampeggia l’armatura del Sire vincitor.

Il sangue del Principe e del Moro arrossano il cimiero d’identico color ma più che del corpo le ferite da Carlo son sentite le bramosie d’amor…” Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers (F. De André – P. Villaggio) Mahdi mostra sempre più di essere una persona squisita, intelligente e molto speciale.

La sua conoscenza dell’Italia non finisce mai di sorprenderci e le sue parole ci fanno comprendere e ci fanno vedere con nuovi occhi il paese dal quale siamo ospitati.

Arriviamo così a Jerash, l’antica Gerasa, una delle città meglio conservate dell’Impero Romano.

Dopo il pranzo, accompagnato da un ottimo khobz, un delizioso pane arabo fragrante di forno, ci ritroviamo sotto l’arco di trionfo costruito in onore della visita dell’imperatore Adriano, fiancheggiando un ippodromo, pronti per la visita alla “Pompei d’Oriente”.

Attraversata la porta sud-porta di Philadelphia della cinta muraria (che si estende per 3,5 Km) ci accoglie la stupenda piazza ellittica (90 x 80 m), circondata da 56 colonne con capitelli ionici; per alcuni studiosi era un foro, luogo deputato al commercio, per altri un’area sacra (témenos) di fronte al tempio di Zeus.

Da qui inizia la Via delle Colonne, il lunghissimo cardo (800 m) ancora dotato del lastricato originale, ai cui lati si ammassano resti di colonne, magnifici capitelli, fregi di frontoni di templi…

Il sito è molto frequentato, anche perché nel mese di luglio si svolge nella città l’importantissimo Festival Internazionale di Gerasa, voluto dalla regina Noor, moglie di re Hussein, nel 1981.

L’antica strada è percorsa da turisti locali, da donne coperte dalla testa ai piedi, che accompagnano i loro numerosi bambini; gli sguardi nostri e loro si incrociano, nel tentativo di capire qualcosa di più sulle nostre rispettive abitudini e culture… Assistiamo ad un balletto estemporaneo di alcuni bambini in gita, che si cimentano in un tipico balletto giordano sulla balaustra del Nynphaeum, accompagnati dal battito ritmato delle mani nostro e dei loro genitori.

Il grande ninfeo, monumentale fontana ricca di marmi e stucchi, testimonia la presenza nella zona di molta acqua, acqua che scorreva intorno e veniva trasportata attraverso canalizzazioni.

Questa mattina Mahdi ha indossato una maglietta con l’immagine del tempio dedicato ad Artemide, ed eccoci di fronte a quest’edificio, il più importante di Gerasa.

Il tempio, dedicato alla dea protettrice della città, sorge su un piccolo rilievo, e con le sue colonne sembra sorreggere il cielo soprastante.

Le colonne risplendono dorate alla luce del tardo pomeriggio e sembrano sfidare, con i capitelli corinzi miracolosamente intatti, l’azione del vento.

Già, il vento. Ecco un nuovo gioco di Mahdi: per dimostrare come le colonne si muovano nel vento, sistema in una fessura alla base di una di queste una chiave. Incredibilmente la chiave si muove in su e in giù. Non resistiamo all’invito di provare l’ondeggiare della colonna con le nostre dita: è proprio vero, le colonne oscillano mosse dal vento, dondolandosi su un perno nascosto al loro interno.

Continuiamo la visita fino al raccordo con il decumano, quindi saliamo più in alto, dove ci aspettano altre rovine, in attesa di essere ancora portate completamente alla luce e i resti di chiese cristiane e bizantine, che conservano all’interno mosaici policromi.

La nostra passeggiata a ritroso nel tempo termina con il Teatro Sud: la realtà ci viene incontro nelle uniformi di soldati giordani a guardia dell’entrata della costruzione. E’ in programma il concerto di un famoso cantante locale, ma Mahdi riesce a farci entrare per alcuni minuti.

Davanti agli spalti gremiti da giovani, ci aggiriamo intimiditi nel proscenio, sotto gli occhi incuriositi dei fans in attesa. E’ ora di tornare ad Amman.

Dopo cena noi del Golden Tulip (io, Mauro, Chiara, Daniela, Beatrice, Daniela, Paolo, Monica, Fatma, Francesca ed Antonio) passiamo una piacevole serata in compagnia di Vittoriano.

4° giorno-sabato 7 agosto – AMMAN/ MONTE NEBO/ MADABA/KERAK/PETRA (260 Km) Ci aspetta oggi un lungo viaggio verso il Sud, alla volta di Petra.

Prima tappa, il monte Nebo (710 m), nel punto più alto di un piccolo sistema montuoso.

Fu dalla cima di questo monte che Mosè, a 120 anni, contemplò la Terra promessa, nella quale a lui e alla sua generazione era impedito entrare. “… Dalle steppe di Moab, Mosè salì sul Monte Nebo, e Dio gli mostrò tutta la terra: tutto Neftali, tutta la terra di Giuda sino al Mare Occidentale, il Negheb, il distretto della valle di Gerico. Dio gli disse: – questa è la terra che ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe. Te l’ho fatta vedere coi tuoi occhi, ma tu non vi entrerai…” (Deuteronomio) La sua tomba non fu mai ritrovata, ma i cristiani della vicina Madaba costruirono qui, sul Gebel Musa, nel IV sec., una basilica per ricordare la figura del profeta.

Il luogo ci colpisce subito per il silenzio e la sua semplicità.

All’entrata del viale che porta alla Basilica delle Rimembranze un monumento ricorda la visita di Giovanni Paolo II nel 2000.

E’ qui che svolge la sua opera Michele Piccirillo, frate francescano, studioso, archeologo ed esperto di mosaici, che accompagnò il Papa nella sua visita in Medio Oriente.

Dalla cima del colle si gode una splendida vista sulla valle del Giordano e sul Mar Morto, di fronte a Gerico, Betlemme e Gerusalemme.

Entriamo nella basilica bizantina in pietra e subito scorgiamo lo straordinario mosaico.

Scene di caccia con leoni, zebre, pantere, orsi, struzzi, dromedari maculati, elefanti: siamo di fronte ad un’opera artistica unica, che è anche un importante documento storico sulla flora e la fauna locali dell’epoca e sulle attività degli abitanti della zona.

I monaci della basilica riuscirono a salvare il mosaico dai furori iconoclastici, coprendolo con uno strato di sabbia e posando sopra esso un altro mosaico, con motivi geometrici, che ora è appeso alle pareti della chiesa.

Solo nel 1976, grazie anche all’opera di Padre Piccirillo, i mosaici antichi riapparvero nella loro intatta bellezza.

Fa caldo all’interno della basilica (il tetto è in eternit e i frati aspettano da tempo un aiuto per una nuova copertura) e usciamo di nuovo sulla terrazza naturale rinfrescata dal vento, sulla quale svetta un monumento in bronzo rappresentante il bastone di Mosè, avvolto dalle spire di un cobra.

Dopo aver fatto tappa ad un centro di artigianato (ceramica e bellissimi mosaici) nel quale lavorano anche ragazzi svantaggiati, ci dirigiamo verso Madaba, la città dei mosaici. Qui, nella chiesa ortodossa di S. Giorgio, ammiriamo l’eccezionale mappa a mosaico (560 d. C.) della Palestina.

In origine il mosaico misurava 15,7 x 5,6 m. Ed era formata da circa cinque milioni di tessere di pietra (non di ceramica).

La Cartina della Terra Santa (compresa a Nord fra le fenicie Tiro e Sidone e a Sud l’Egitto; tra il Mediterraneo ad Ovest ed il deserto ad Est) è chiaramente leggibile: si riconoscono il Giordano, il Mar Morto (con i pesci del fiume che tornano indietro a causa dell’alta salinità e mercanti che trasportano sale su barche), città come Gerusalemme, Neapolis (Nablus), Gaza, Kerak, Gerico…

Torniamo sull’autobus e percorriamo la mitica Via dei Re, con i suoi 5000 anni di storia, che segue il percorso del biblico esodo dall’Egitto degli ebrei e che fu una delle vie di comunicazione più importanti del medio Oriente.

Cullati da musiche fascinose transitiamo sulla strada tortuosa , poi Mahdi ci prepara ad un abile colpo di scena, invitandoci a chiudere gli occhi e a riaprirli ad un suo segnale: una spettacolare gola profonda 1000 metri si apre ora improvvisamente davanti ai nostri occhi, è il Wadi Mujib, con il suo impressionante paesaggio lunare.

Ammirando il grande canyon, con i suoi panorami mozzafiato su lande desolate, ancora una volta ci rendiamo conto dell’importanza della presenza /assenza dell’acqua e del vento per la Giordania.

Mahdi ci fa ascoltare musiche di Battiato: di nuovo ha colpito nel segno.

“Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.

Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza.” La cura, F. Battiato Si prosegue quindi, arrampicandoci su sinuosi e ripidi tornanti, per Kerak (950 m.), dove sorge l’antica fortezza dei Crociati fatta costruire da Baldovino, re di Gerusalemme, nel 1132, su ordine di papa Urbano II. La roccaforte sorge in posizione privilegiata, dalla quale domina l’intera vallata; Kerak si arricchì con le tasse che percepiva dai carovanieri e dai pellegrini diretti alla Mecca.

Considerata inespugnabile, divenne uno dei punti di forza del regno crociato di Gerusalemme; fu più volte assediata dagli Arabi e cadde nelle mani di Yusuf ibn Ayyub Salah al-Din (il Saladino), nel 1188.

Il nome di Kerak è legato a quello di Rinaldo di Chatillon, martire per i cristiani, demonio per i musulmani; un cavaliere-brigante che taglieggiava i pellegrini fra Damasco e la Mecca. Fu ucciso per mano del Saladino che, nonostante l’epiteto di “feroce” con il quale è conosciuto, era in realtà un principe mite (si racconta che, mentre assediava Kerak, fu informato di una festa di nozze che si stava celebrando nel castello; il Saladino ordinò ai suoi artiglieri di non colpire il torrione dove erano alloggiati gli sposi).

Un fossato separa la roccaforte dall’antica città, le mura sono imponenti; all’interno un labirinto di corridoi, passaggi segreti, sale con giochi ininterrotti di luci ed ombre.

Continuiamo a percorrere la Strada dei Re, che si apre ora su vallate e paesaggi più ampi e dolci ed arriviamo infine nella valle di Petra, la città dei Nabatei.

Alloggiamo al Golden Tulip King’s way, uno dei più recenti hotel a 4 stelle, che si trova a 4 Km dall’ingresso della città di Petra, sulla strada principale a Nord del villaggio Wadi Musa, nelle vicinanze della sorgente fatta sgorgare dal bastone di Mosè, per colpa della quale il profeta sarà condannato a non entrare nella Terra promessa.

“E Mosè alzò la mano, percosse la roccia col bastone e ne uscì acqua in abbondanza” (Numeri, 20, 9) 5° giorno-domenica 8 agosto- PETRA “Petra è il più bel luogo della terra. Non per le sue rovine, ma per i colori delle sue rocce, tutte rosse e nere con strisce verdi ed azzurre, quasi dei piccoli corrugamenti, e per le forme delle sue pietre e guglie, e per la sua fantastica gola, in cui scorre l’acqua sorgiva e che è larga appena quanto basta per far passare un cammello. Ne ho letto una serie infinita di descrizioni, ma queste non riescono assolutamente a darne un’idea e sono sicuro che nemmeno io sono capace di farlo. Quindi tu non saprai mai che cosa sia Petra in realtà, a meno che tu non ci venga di persona.

Solo le immagini in un sogno di fanciullezza si affacciano talvolta così immense e silenziose.” da T.H. LAWRENCE (Lawrence d’ Arabia), I Sette Pilastri della Saggezza Siamo così giunti al momento clou del nostro viaggio: Petra! Le emozioni che offre questa mitica città non possono essere sufficientemente tradotte con parole e le immagini impresse nella memoria si affastellano disordinatamente, come se la mente si rifiutasse di dare ordine alle impressioni e suggestioni registrate.

Mi soffermerò il meno possibile sulla descrizione delle meraviglie di Petra, ma cercherò di non lasciarmi sfuggire le sensazioni provate.

Verso le 8,30 partiamo dall’hotel per raggiungere l’entrata del sito.

Mahdi ci fa notare le montagne che chiudono l’orizzonte: sulla cima della montagna più alta, il monte Hor o Jebel Haroun, un punto bianco segnala il cenotafio di Aronne, il fratello di Mosè, morto per aver ceduto alle richieste idolatre di venerare il vitello d’oro.

Entriamo nel sito archeologico e percorriamo una strada polverosa, accompagnati dalle richieste dei conducenti di cavalli, muli e dromedari che, per alcuni dinari, vorrebbero alleggerirci il cammino.

Ma siamo preparati ad affrontare una giornata faticosa e ad assaporarne ogni attimo.

(Un consiglio: le carrozzelle sono proprio da evitare; non sono dotate di ammortizzatori e rendono il tragitto un calvario).

E, dopo pochi passi, iniziamo ad incontrare le prime costruzioni.

La città nascosta dei Nabatei sorge in un’area di 9 Kmq, situata su un altopiano a circa 900 metri di altezza, circondato da alte montagne di arenaria, con pareti a picco che si elevano per altri 300 metri.

Gli Edomiti, nemici degli Israeliti, furono i primi abitanti, cacciati poi, nel 500 a.C, dai Nabatei, beduini nomadi provenienti dalla penisola arabica, che in questo luogo eressero la loro capitale. Strategicamente situata al punto d’incrocio fra antiche arterie commerciali (la famosa via dell’incenso), Petra era gremita di mercanti che vi trasportavano i loro prodotti da Damasco e dall’Arabia, dal Mediterraneo e dall’Egitto. Grazie a questa posizione strategica, i nabatei poterono così arricchirsi, controllando le rotte dei mercanti, facendo pagare elevati dazi per il passaggio delle carovane e fornendo risorse e approvvigionamenti agli uomini e agli animali per il proseguimento del loro cammino. La roccia non costituì un problema per questa popolazione, tanto che la loro principale divinità, Dushara, era simboleggiata da massi di pietra e obelischi disseminati ancora oggi nel siq e un po’ dappertutto nella città.

Nel 63 a.C. I Romani tentarono di impadronirsi della città sferrando un assalto improvviso, ma essi riuscirono nel loro intento solo nel 106 d.C., quando Petra entrò a far parte, sembra senza opporre resistenza, della provincia romana d’Arabia. Nonostante la dinastia nabatea si fosse ormai estinta, la popolazione locale coesistette con quella romana per oltre un secolo. Fu poi assorbita dall’Impero Bizantino, e, dall’ascesa dei musulmani – se si eccettua la breve permanenza dei Crociati che innalzarono posti di guardia fortificati su due cime dei dintorni – la storia tace sul destino di Petra, fino al 1812, quando un viaggiatore anglo-svizzero, J.L. Burckhardt, sentì parlare di un’antica città stretta fra montagne impenetrabili e decise di andare a cercarla. Sapeva parlare arabo e così, col nome di Sheik Ibrahim e travestito da commerciante musulmano, raccontò di aver fatto voto ad Allah di sacrificare una capra al profeta Aronne, presso la sua tomba in cima a Jebel Haroun.

Con una simile storia convinse due abitanti della zona a guidarlo attraverso il siq, l’angusta gola scura con pareti a picco, larga in certi punti poco più di un metro, che si snoda per quasi un chilometro e mezzo tra torreggianti blocchi di arenaria rossa decorati e intagliati.

All’improvviso, dall’oscurità del siq emerse il primo e più sensazionale monumento della città: il Khazneh, il Tesoro.

Là Burckhardt tracciò sui suoi ampi indumenti uno schizzo dell’edificio, poi compì una breve visita attorno alla città e, al cadere delle tenebre, sacrificò la capra ai piedi del tempio di Aronne.

I diari di Burckhardt sulla scoperta di Petra divennero pubblici solo cinque anni dopo la sua morte, nel 1822, suscitando grande clamore soprattutto in Inghilterra.

Oggi Petra è patrimonio mondiale dell’umanità, salvaguardato dall’Unesco.

Ci troviamo finalmente all’imbocco del siq, la stradina tortuosa in leggera discesa, lunga circa 1 Km e mezzo, creata da erosioni e sconvolgimenti naturali (la vallata del Giordano fa parte della grande fossa tettonica africana, denominata Rift Valley ) tra due pareti rocciose a picco alte fino a 200 metri, che quasi segretamente conduce all’interno della città. Oggi non si sente più l’intenso profumo di incenso, di cinnamomo, di mirra, che costringeva i mercanti ad annusare la barba maleodorante dei caproni per liberarsi dallo stordimento provocato loro dagli aromi delle spezie, tutt’al più si avverte l’acuta scia lasciata da muli e cavalli che percorrono talvolta il canalone (nonostante sia ora proibito percorrere a dorso di asini il siq, qualche ragazzo del posto riesce ancora ad eludere le norme).

Nel siq si convogliavano d’inverno le acque del Wadi Musa, ma, in seguito ad alcuni incidenti (nel 1974 ventiquattro turisti francesi e spagnoli furono travolti da un torrente in piena) sono state apportate opportune modifiche.

Ed è da qui che Mahdi compie il suo capolavoro: entrando nel siq ci fa assaporare i silenzi, le infinite variazioni di luci e colori, le diverse atmosfere che si respirano, i mille particolari che, di solito, nell’ansia di arrivare al Tesoro, sono del tutto inavvertiti e trascurati dalla maggioranza dei turisti.

Mahdi ci invita a seguire un ritmo rilassato, a notare con pazienza ed attenzione i contrasti fra luci ed ombre, i cambiamenti dei colori che spaziano dal bianco al rosa, all’arancio, al rosso, al celeste, al blu, all’indaco, all’azzurro, al viola, a toccare l’arenaria, piacevolissima al tatto. Petra shway shway (piano piano, dolcemente), quindi.

Riusciamo così a notare la perizia con la quale i nabatei, attraverso condotti scavati nella roccia, convogliavano la preziosa acqua alla città, l’antico lastricato di epoca romana, i tempietti dedicati alla divinità di pietra, le prime tombe rupestri; scopriamo i graffiti, le tracce lasciate dall’uomo nel corso dei secoli: su una parete un’erosione che sembra naturale si rivela essere invece un grande bassorilievo, rappresentante un carovaniere che conduce i suoi dromedari ad abbeverarsi! Col passare dei minuti le rocce, ricche di minerali ferrosi, si colorano sempre più di un ocra carico, che contrasta mirabilmente con l’azzurro intenso del cielo, in alto.

E lassù, con un po’di fantasia, è facile immaginare un soldato nabateo che controlla i movimenti nel siq.

Ora le rocce del siq si avvicinano e sembrano quasi chiudersi su di esso: è il momento di un’altra magia.

Mahdi ci invita a tenerci per mano e a procedere ad occhi chiusi; emozionati avanziamo, notando (anche con le palpebre abbassate) l’improvvisa variazione di luce, e il passaggio dal silenzio che ci avvolgeva ad un’improvvisa animazione.

Ancora pochi istanti ed apriamo gli occhi: nella luce accecante del mezzogiorno, davanti a noi, imponente, il Khasné Firaun, il Tesoro del faraone.

La stupenda facciata è interamente scavata nella pietra per 43 metri di altezza e 30 di larghezza.

Secondo alcune teorie aveva la funzione di tomba regale, ma, la recentissima scoperta di una serie di tombe ai piedi del Khasné, fa ritenere più probabile l’ipotesi che si possa trattare di un tempio (il livello attuale del piazzale dovrebbe essere di qualche metro più alto rispetto alla pavimentazione originaria).

Fu chiamato “Tesoro”per una vecchia leggenda beduina secondo la quale i tesori dell’antica città vennero nascosti nell’urna sulla sommità del monumento (che fu, per lungo tempo, bersaglio delle fucilate dei locali). Nel piazzale antistante (témenos?) numerosi turisti, muli, dromedari, uomini con il caratteristico copricapo a quadri bianchi e rossi dei beduini.

A guardia dell’entrata al Tesoro, una sentinella in uniforme ufficiale giordana.

Dopo aver salito alcuni gradini ci affacciamo all’interno.

Ci appare una stanza completamente vuota, perfettamente squadrata e tagliata nella roccia, fino a una quindicina di metri di altezza. Sul soffitto, alle tipiche striature di colori naturali, si è aggiunto il nero del fumo dovuto ai bivacchi dei beduini, che utilizzavano questi monumenti come abitazioni e luoghi di riparo per gli animali. Probabilmente qui, un tempo, avevano accesso solo i sacerdoti che, approfittando dell’acustica della stanza che amplificava le loro voci (altro gioco di Mahdi), riuscivano a suggestionare gli abitanti della città.

Entriamo quindi a destra nella città nabatea, per scoprire gli altri tesori: dappertutto nicchie naturali, templi, tempietti e tombe ricavate nella roccia punteggiano le pareti di arenaria; montagne che sembrano liquefarsi al sole caldo, sciogliendo pian piano gli elementi architettonici che le decorano; mescolanze di colori che sembrano prodotte dall’azione armoniosa di un vento combinatore.

La zona della necropoli è costellata di grotte scavate nella roccia con incredibili striature di colori naturali.

Una ragazzina dai profondi occhi neri mi fa cenno da un’apertura circolare di una parete: sembra un’immagine all’interno di una bellissima e coloratissima cornice.

La bambina mostra alcuni ciottoli colorati che ha raccolto e me li offre per pochi dinari.

Ma, precedentemente, Mahdi ci aveva pregato di non acquistare i sassi colorati, per evitare un rapido degrado dell’ambiente naturale e ci aveva chiesto, soprattutto, di non offrire monete ai bambini per salvaguardare la loro dignità.

La bambina, delusa dal mio rifiuto, prima cerca di regalarmi le pietre, poi, rassegnata, mi accompagna per un tratto di strada. Dopo aver ammirato il Teatro, in origine nabateo, poi ampliato e usato dai romani, che accoglie 3.000 posti a sedere e alte costruzioni dalla funzione ignota su un rilievo di fronte, ci riposiamo e consumiamo il pranzo nel ristorante adiacente il piccolo museo archeologico.

Mahdi propone un’escursione al Monastero, che ci permetterà di avere una visione panoramica della zona.

Ci accingiamo quindi a salire gli 800 e più gradini di pietra che portano al Deir, o Monastero, accompagnati dalla musica degli zufoli e dalle offerte di passaggi a dorso di mulo da parte di ragazzi beduini.

Una impegnativa salita di un’ora attraverso fantastici scenari ci attende.

Nei tratti in ombra, sotto tende approssimative, beduine con abiti finemente ricamati ci invitano dignitosamente, con discrezione e senza la minima insistenza, a guardare i monili in vendita su un improvvisato banchetto. Arriviamo finalmente sulla cima della montagna dove, dopo un’ultima curva, ci appare a 1200 metri di altezza e quasi protetta dall’abbraccio della cima del Jebel el-Deir, l’imponente facciata del Monastero (45 m. X 50).

Breve sosta all’interno di una grotta attrezzata per accogliere chi sale sulla vetta: ammiriamo i gioielli beduini in argento (sono oggetti provenienti dalla fondazione, voluta dalla regina Noor, per la tutela dell’artigianato) che sono qui esposti e, su comodi tappeti, ci ristoriamo con tè alla menta.

Poi di nuovo continuiamo a salire finché arriviamo proprio sulla cima, per spaziare con lo sguardo sulle vette delle montagne circostanti ed ammirare canyons e profonde vallate. Ed è il momento di Mahdi, il mistico.

Ottiene da noi cinque minuti di perfetto silenzio, durante i quali ascoltiamo la voce del vento di volta in volta sussurrare e gridare oscuri messaggi.

Terra, Gibran Kahlil Gibran “Con forza e potenza emerge la terra dalla terra, poi terra si muove sulla terra con dignità e fierezza; e la terra innalza dalla terra palazzi per i re, e alte torri e squadrati templi per tutti, e intreccia bizzarri miti, severe leggi e sottili dogmi. Quando tutto questo è fatto, è stanca la terra del lavoro della terra, e dalla sua luce e oscurità crea grigie ombre, e assonnate fantasie, e fascinosi sogni.

Il sonno della terra seduce allora le grevi palpebre della terra, che si serrano su tutte le cose in un profondo e quieto sonno.

E la terra chiama la terra, e dice: “Guarda, io sono un grembo e sono una tomba; grembo e tomba io sarò per sempre, sì, anche quando non vi saranno più stelle, e finché i soli non si volgeranno in morte ceneri.” Torniamo sui nostri passi, scendendo quindi per il sentiero che è ora quasi all’ombra, fermandoci ogni tanto a mantenere le promesse di acquisto che avevamo fatto all’andata.

Ripercorriamo la strada del mattino, senza far caso alla fatica per i Km percorsi (13), rivivendo le emozioni vissute.

Siamo grati a Mahdi per i momenti che ci ha offerto con gentilezza e attenta partecipazione.

Ed è proprio dopo l’esperienza di questa giornata che la nostra comitiva vacanziera si trasforma in un gruppo legato da vincoli di amicizia e affinità di sentimenti.

6° giorno- lunedì 9 agosto – PETRA /BEIDA/WADI RUM/DISEH Stamattina ci dirigiamo a Beida, la “piccola Petra”.

Sorge a circa 4 Km. A Nord di Petra, a 1000 m. Di altitudine; è una meta poco battuta dal turismo di massa, ma, grazie alle sue dimensioni contenute, è dotata di un suo sorprendente fascino.

Prima di arrivare notiamo, sulla sinistra, il villaggio fatto costruire dal governo giordano per convincere la popolazione del posto ad abbandonare le abitazioni ricavate negli anfratti di Petra.

La maggior parte delle famiglie vive con quel poco che il turismo, ora molto ridotto, può offrire loro.

Mahdi ci annuncia che la nostra visita a Beida sarà allietata dalla compagnia di molti bambini; al nostro arrivo inaspettato, ma molto gradito, la piazzetta antistante l’entrata del sito archeologico si anima velocemente; una guardia, però, nonostante le insistenze di Mahdi che è palesamente molto amato dalla gente del posto, impedisce che i piccoli ci seguano (qualcuno di loro, però, più avanti, farà capolino fra le rocce).

Anche le pareti di arenaria della piccola Petra sono spaccate da un profondo e stretto crepaccio, il Siq-el-Barid, un passaggio largo poco più di due metri.

Dopo questa strettoia appare una piccola valle, ed ecco le testimonianze dell’antico passato: un tempio con una scalinata che invita ad entrare e triclinii che invitano a riposare; un altro tempio a quattro colonne con capitelli nabatei (ad aquila), con la roccia che sembra volere di nuovo inglobarlo in sé; una grotta, cui si accede per una scala intagliata nella pietra, con una stanza dalla volta a botte dipinta a tralci di vite, simbolo di fortuna e abbondanza.

Dappertutto si notano ripide scale che portano verso cisterne, su in alto: qui i nabatei avevano ideato un sistema ardito di canalizzazione, sfruttando cavità naturali, scavando innumerevoli piccoli canali, costruendo pozzi per la raccolta dell’acqua… A Beida i mercanti delle carovane, dopo l’arsura del deserto, potevano sostare e piantare le tende, ristorare se stessi e i loro animali; qui si faceva la cernita delle spezie, prima di ripartire per Petra.

Un vecchio beduino, seduto sulla sabbia, intona per noi un antico canto, accompagnandosi con la sua tradizionale “rababa” dall’unica corda.

All’uscita dal sito le donne beduine ci salutano, sperando in un nostro acquisto: comperiamo alcune mascherine-copri-volto decorate con conchiglie e specchietti.

E intanto, i bambini attorniano la nostra guida.

Sul pullman Mahdi racconta la vita semplice e dignitosa di questa gente, il loro senso di libertà, dell’onore e dell’ospitalità, racconta di come i suoi piccoli amici lo tengano informato dei loro progressi a scuola…Poi traduce per noi il canto beduino: “E’ il sole la nostra forza, è la luna la nostra bellezza, è il deserto la nostra ricchezza.

Tenda nera, ma cuore bianco.

Il colore del nostro sangue è lo stesso della sabbia; del profumo del nostro caffè è rimasto solo roccia” Naturalmente, non riesco a trattenere le lacrime.

Accompagnati da immagini di colline irreali e da musiche evocative, ci avviciniamo al “vasto, echeggiante e divino” Wadi Rum (così sir T.H. Lawrence lo descrisse), un meraviglioso complesso geologico di montagne di arenaria e granito, dalle forme e dai colori straordinari.

Alla nostra sinistra i famosi “Sette pilastri della saggezza” decantati dal solito Lawrence; proprio qui El Orens, come lo chiamavano gli arabi, usava accamparsi per discutere i piani di rivolta contro i Turchi.

Ci fermiamo poco dopo nel villaggio beduino di Diseh, all’interno della vallata, dove ci attendono vecchi fuoristrada per un’escursione nel deserto.

Alcuni di noi, per creare un’atmosfera-tipo-Lawrence d’Arabia e proteggersi dalla polvere del deserto, non esitano ad avvolgersi in keffyah bianche o quadrettate.

La nostra jeep parte in testa, e subito ci addentriamo in questo paesaggio difficile da descrivere: torrioni giganteschi, enormi monoliti di arenaria con la base di granito, che sembrano apparire dalla sabbia per incanto; sotto l’ombra di una grande acacia un bambino si riposa con il suo gregge di capre… Scendiamo per osservare, su un enorme masso ai margini di una piana desertica, misteriose scritte incise sulla pietra.

Probabilmente indicavano ai nomadi la presenza di acqua: qui vicino, è, infatti, una sorgente (ora canalizzata), attribuita al Lawrence, ma, in realtà, molto più antica.

Ancora il nostro autista si lancia per piste nascoste nella sabbia; tra paesaggi che evocano antiche scorrerie e lente carovane alla ricerca di un po’ d’acqua.

L’ocra si trasforma lentamente in rosa, poi arancio carico, quasi rosso.

Scendiamo passando accanto a cumuli di sabbia ora rosso scuro; Mahdi mi regala un ciottolo da cui si ricava “la terra del deserto”, usata un tempo dalle donne come fard naturale.

Ci avviciniamo ad una montagna nella quale notiamo una grande fenditura: la presenza di un alberello di ficus benjamin e di altri arbusti indica la sicura presenza di acqua.

Ci avventuriamo all’interno dello stretto canyon e subito Mahdi ci indica straordinari graffiti disegni rupestri: una donna che sta partorendo (in piedi, alla maniera delle beduine antiche), uomini, animali, impronte di piedi (che stanno a indicare la possibilità di fermarsi) e, proprio in fondo, cisterne per l’acqua.

Altro giro in fuoristrada ed infine tappa obbligata di fronte ad un bellissimo e scenografico cumulo di sabbia color arancione vivo, appoggiato ad una parete di pietra, che sembra messo lì apposta per incantare chi si avventura in questo deserto.

Torniamo nel villaggio beduino per il pranzo.

Assaggiamo specialità locali a base di ceci, yogourth, cuscus, melanzane… poi ci lanciamo in balli tipici, accompagnati dalla musica di camerieri improvvisatisi suonatori di tamburi.

Torniamo quindi a Petra con le immagini del deserto negli occhi ed accettiamo la proposta di Mahdi di rilassarci in un hammam (bagno turco).

Abbiamo prenotato l’hammam un po’in ritardo, e, in gruppo, entriamo nel calidarium, dove ci troviamo immersi improvvisamente in una nuvola densa e caldissima di vapore acqueo.

Respiriamo un po’ a fatica e cominciamo a liberarci dalle tossine e dalla stanchezza accumulate.

Poi passaggio nel tepidarium dove ciascuno di noi viene prima letteralmente strigliato con un guanto di crine, poi insaponato con schiuma all’olio d’oliva e infine sciacquato con benefiche e rinfrescanti “bacinellate” d’acqua.

Stesi infine su tavoli di marmo veniamo unti e piacevolmente massaggiati; altri bacili di acqua fresca sul nostro capo e poi via, nella stanza accanto, avvolti in asciugamani, a gustare un ristoratore tè alla menta.

L’esperienza, molto piacevole in verità, ci ha riservato anche un attimo di imbarazzo per l’interruzione della luce elettrica, alla quale però si è subito rimediato con più suggestive fiammelle di candele.

Non riusciamo a programmare un’escursione notturna nel deserto per assistere, stesi su stuoie, allo spettacolo naturale delle stelle, ma non fa niente: stasera Mahdi e Vittoriano sono con noi e in loro compagnia trascorriamo piacevolmente la serata.

7° giorno-martedì 10 agosto – PETRA/MAR MORTO/AMMAN (320 km) Riprendiamo la strada per il Nord, verso Amman.

La strada comincia a poco a poco a scendere; una breve sosta per consumare fichi e susine comprati in loco, durante la quale ammiriamo una tranquilla e verdeggiante valle al confine con Israele e poi, dopo parecchi Km., arriviamo al cartello che indica l’altitudine 0 sul livello del mare.

Da qui in poi scendiamo ancora, entrando nella depressione del Mar Morto, annunciato dalle prime saline.

Il Bahar Lot o Mare di Lot è a circa 400 m. Sotto il livello del mare, ha un’estensione di circa 1000 Km. Quadrati, è lungo 65 Km, largo 16 (6 Km nel punto più stretto), profondo fino a 400m.

Qui sorgevano Sodoma e Gomorra, qui la moglie di Lot fu trasformata in statua di sale per essersi voltata a guardare la distruzione delle città.

Il Mar Morto è, in realtà, un grandissimo lago salato, deve il suo nome al fatto che, a causa dell’altissima concentrazione salina (tre volte superiore alla media), non c’è nelle sue acque alcuna forma di vita. E’ formato dal fiume Giordano, che vi entra a Nord. Non ha altri immissari e purtroppo il livello delle sue acque scende ogni anno sempre di più, a causa della notevole evaporazione dovuta alle alte temperature della zona e ai sempre più massicci prelievi idrici dal Giordano.

Costituisce una frontiera naturale con Israele (o meglio, con i territori palestinesi occupati) e infatti, sull’altra sponda del lago, seppure velate da un po’ di foschia, vediamo le colline del Moab, dietro le quali si trovano Gerusalemme e Gerico.

Sulle rive, caratterizzate da bianche concrezioni saline, stanno sorgendo stabilimenti termali che sfruttano le virtù terapeutiche delle acque e dei fanghi.

Sulla strada ci sono alcuni posti di blocco: semplici controlli che si risolvono in pochi secondi.

Ci fermiamo ad uno stabilimento balneare nel quale consumeremo anche il pranzo.

Fa molto caldo rispetto al resto del Paese, scendiamo quindi subito in spiaggia, curiosi di provare le particolarità di queste acque.

Fare un bagno nel Mar Morto è un’esperienza davvero curiosa: si galleggia infatti in qualunque posizione.

E’ molto difficile nuotare, l’acqua ti sorregge in modo tale che è come se si fosse sdraiati su un materassino; ci si gira a fatica, è impossibile cercare di immergersi completamente.

Dando un’occhiata intorno è buffo vedere come tutti ci stiamo comportando: ci lasciamo trascinare in un eccesso di puro e semplice divertimento.

Poi esageriamo: ci spalmiamo il corpo con il fango raccolto sul fondo, sperando di ottenere, in pochi minuti, i miracolosi effetti di una insolita cura di bellezza.

La temperatura è alta, l’acqua è molto calda, il sale brucia sulla pelle: ci culliamo nell’acqua con l’impressione di essere immersi in un brodo primordiale.

Più tardi, dopo un’abbondante doccia, visto che ormai non tentiamo più neppure di conservare un atteggiamento decoroso, ci lasciamo coinvolgere in discese sfrenate sul toboga elicoidale della piscina.

Verso sera, dopo una sosta (a grande richiesta) in un’azienda produttrice di prodotti di bellezza a base di sale e fanghi del Mar Morto, torniamo ad Amman.

Ci aspetta un’ultima sorpresa: invece che al Golden Tulip, pur piacevole, passeremo l’ultima notte al Regency (un lussuoso 5 stelle pieno di stucchi e specchi dorati, frequentato da ricchi arabi).

Spostando le pesanti tende damascate della deliziosa camera arredata in stile impero (WOW!), guardo con occhi nuovi la città al tramonto: sarà la strana luce del momento, sarà la consapevolezza che ci resta ancora poco tempo da passare in questo paese, ma ora mi sembra di comprendere molto di più sulla terra giordana e sul suo popolo.

Dopo aver consumato (un po’ intimiditi) una cena squisita, decidiamo di affidarci a Vittoriano (Vitto, sei unico!) per concederci un’ultima serata nella città bianca.

A pochi passi dall’hotel, raggiungiamo una zona frequentatissima da giovani, coppie e famiglie, a passeggio o seduti fuori dei tanti bar della zona.

Una musica invitante, proveniente da una terrazza sulla strada, ci fa decidere nella scelta di un locale al primo piano di un palazzo. Saliamo alcune scale ed arriviamo in un’ampia stanza affollata: ai tavoli, piacevolmente intrattenuti da un cantante locale veramente preparato, donne, uomini, persino bambini, sorseggiano bibite e fumano narghilè (le donne e gli uomini, naturalmente).

Troviamo posto in un angolo: siamo gli unici turisti, molti sguardi si posano con finta noncuranza su di noi.

Anche noi non siamo da meno e, con malcelata curiosità, cerchiamo di capire dagli atteggiamenti le usanze del posto.

Molte sono le ragazze velate, ma altrettante non lo sono e, guardando una ragazza in jeans, ma con il capo coperto da un velo nero, che si scatena, al ritmo di una melodia pop orientale, in una danza sinuosa e coinvolgente, comprendiamo che l’abbigliamento (velo sì/no) è una libera scelta soggettiva.

Complice la musica, ci lasciamo assorbire dalla particolare atmosfera: ci passiamo l’uno con l’altro una tazza di caffè aromatizzato al cardamomo, simbolo dell’amicizia e dell’accoglienza, partecipiamo all’allegria della serata, addirittura fumiamo tabacco alla mela dalla pipetta di un narghilè (Antonio e Mauro esagerano e la notte sono strapazzati da incubi, frutto di inconsci, anche se immotivati, sensi di colpa).

8° giorno-mercoledì 11 agosto– AMMAN/MARSA ALAM Dati i bagordi notturni, ci alziamo con più calma stamattina: abbiamo appuntamento con Fatma, Chiara, Monica, Antonio e Francesca alle 9,30.

Con un taxi (3 dinari) raggiungiamo la città bassa, per lo shopping nel suq di Amman, che contrariamente ad altre città arabe, non è che un insieme di negozi (prevalentemente non turistici) ai lati delle strade, nei pressi del teatro greco-romano.

Proprio questa atmosfera non turistica è quella che ci piace del posto: siamo fra i pochissimi stranieri che si aggirano fra negozi di stoffe, profumerie, pasticcerie, sartorie, bancarelle di spezie, fra donne irakene ex-facoltose sedute a terra fra mercanzia scadente e pacchetti di banconote, con l’effigie di Saddam, senza più ormai alcun valore.

Verso mezzogiorno, con sacchetti dai quali spuntano becchi di caffettiere “dalleh” in rame ed ottone, pipe di narghilè… torniamo all’albergo.

Pranzo al Tawaheen Al-Hawa Restaurant (da provare!), dove, sotto una tenda simil-beduina, apprezziamo una gustosa cucina tipica.

E poi l’ultima escursione per prendere commiato, con nostalgia, dalla città di Amman.

Un tempo la città, l’antica Philadelphia, era costruita su sette colli (jebel), ora ne occupa circa una ventina e conta quasi un milione e mezzo di abitanti (un terzo degli abitanti dell’intera Giordania).

E’ una città che si è sviluppata abbastanza recentemente (dal 1920), ma che conserva ancora le tracce della sua storia antica.

Nella zona alta la Cittadella, dalla quale si ha una stupenda visione panoramica su quella che, non a torto, è conosciuta come la città bianca.

Da ogni lato siamo abbracciati da una distesa immensa di case e casupole in pietra calcarea bianca, ammassate le une sulle altre; su una collina, svetta, molto in alto, un’enorme bandiera giordana, di fronte, sulla Jebel Amman, si nota una bella moschea dalla geometrica facciata bianco/nera. Ci aggiriamo fra i resti del Tempio di Ercole, con le sue tre belle colonne che si stagliano nel cielo azzurro, visitiamo il castello omayade, con la sua madrasa (scuola coranica) decorata con fregi a denti di lupo, osserviamo la grande cisterna scavata nella roccia, mentre il richiamo dell’imàm alla preghiera del tardo pomeriggio (incisa su disco, ma pur sempre suggestiva) rimanda il nome di Allah da una moschea all’altra.

Fra le case bianche della zona povera di Amman risalta il verde di un grande parco: è qui la residenza dell’attuale sovrano, re Adullah II, figlio dell’amato re Hussein.

Un grosso aereo militare sorvola il cielo a bassa quota, ricordandoci che venti di guerra soffiano molto vicini a noi; non qui, però, dove un vento gentile sostiene in alto un aquilone.

Nel vicino Museo Archeologico ammiriamo reperti che risalgono al neolitico, all’età del ferro, al periodo nabateo, alle età ellenistiche, romane, bizantine ed infine arabe.

Notevoli i preziosi rotoli di Qumran, ritrovati sul Mar Morto, che riserveranno sorprese a chi, in futuro, si dedicherà al loro studio.

Scendiamo poi alla Città Bassa, dove sorge il monumentale Teatro greco-romano, che poteva ospitare 5000 persone.

Breve visita quindi al Museo del Folclore e a quello delle Tradizioni Popolari, posti ai lati del Teatro stesso: ci sorprendiamo di fronte alla bellezza di gioielli beduini, vestiti ricamati pazientemente, tappeti, pugnali cesellati, mobili intarsiati di madreperla.

Una telefonata avverte che l’aereo sarà in aeroporto all’ora stabilita: non c’è più tempo.

Ripercorriamo velocemente in autobus le vie del suq, nel quale stamattina avevamo passeggiato tranquillamente; scorgiamo la Moschea in pietra rosa e bianca di Hussein, passiamo attraverso i nuovi quartieri residenziali con decine di bellissime e ampie ville, tutte costruite e rivestite con l’elegante pietra calcarea a vista estratta dal sud della Giordania.

L’ultima immagine della Giordania è un’immagine di benessere, di ordine, di pulizia, la speranza di un futuro migliore per un paese, che, tra tutti gli altri paesi arabi, si distingue per la gentilezza, la cordialità, la sensibilità, la dignità del suo popolo.

Tralascio i saluti a Mahdi e Vittoriano, che hanno reso questo viaggio un’esperienza speciale (ci rivedremo ragazzi!).

Rimangono a loro biglietti con i nostri pensieri, che qualcuno forse raccoglierà, per dimostrare come, in un paese straniero, da molti ritenuto a rischio, noi abbiamo trovato un paese amico.

Abbiamo poi proseguito per Marsa Alam, ma questa è un’altra storia.

Vento di Giordania Il vento proveniente dal Nord e dall’Ovest, che porta ricordi di tempi passati e messaggi aspri di paesi vicini, al contempo lontani.

Il vento instancabile, che plasma e rimodella le città nascoste, fra le pietre misteriose del Sud.

Il vento carico di suggestioni, che sussurra parole di mistero sulla cima di montagne e canyons dai mutevoli colori.

Il vento soccorrevole, che accarezza la pelle infuocata dal sole, nel deserto di arenarie sfarinate.

Il vento dolce e gentile della città bianca, che sostiene in alto, al tramonto, gli aquiloni dei bambini, messaggeri di pace.

Milena



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