Fatiche Giapponesi 2

Potevamo forse vedere tutto il Giappone in 2 settimane?
Scritto da: roberta_d
fatiche giapponesi 2
Partenza il: 10/07/2010
Ritorno il: 25/07/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Voglia di vedere un paese lontano, diverso e misterioso per molti aspetti, da poter visitare in autonomia e tranquillità: questo desiderio mi ha portato a proporre come destinazione delle vacanze estive il Giappone. Il tempo a disposizione era di 2 settimane, occorreva fare delle scelte, ma si poteva fare. Dopo un po’ di letture per documentarsi sui luoghi da visitare e sulla cultura così diversa dalla nostra, il progetto ha cominciato ad assumere concretezza. Valutati anche gli aspetti negativi: lungo volo intercontinentale, lunghi spostamenti con treni e altri mezzi pubblici (il noleggio di un auto è molto costoso e richiede una patente internazionale particolare), clima caldo e umido, costi elevati e difficoltà di comunicazione. Decidiamo comunque che si può fare e prenotiamo il volo con Alitalia, andata e ritorno diretto Roma-Tokyo, sul quale non è stata ancora introdotta la 4a classe e quindi i posti di economica non sono solo relegati in fondo alla cabina; riusciamo ad assicurarci posti davanti ai motori, abbastanza confortevoli e silenziosi. Anche il resto del servizio si è rivelato di buon livello, per fortuna, visto che la durata di 12 ore per l’andata e 13 ore per il ritorno è veramente pesante, ma almeno una volta a terra si è già nella destinazione finale!

Pur avendo già viaggiato molto in modo autonomo e nonostante le rassicurazioni lette in molti report, restavano alcune perplessità: il fatto che l’inglese sia parlato molto poco, le linee secondarie di treni e autobus non sempre con le indicazioni in caratteri romanji, l’impossibilità di prenotare su internet i viaggi in treno, la difficoltà a prelevare contanti con il bancomat o pagare con la carta di credito. Poco prima della partenza ho letto di un corso intensivo di giapponese in una biblioteca di Bologna, 3 sere in una settimana, per un totale di 10 ore di lezione; mi sono iscritta con entusiasmo, non ho certo imparato il giapponese, ma conoscerne i principi e le regole, nonché il collegamento stretto con la cultura, mi ha reso molto più confidente! Siamo anche riusciti ad avere un po’ di yen in contanti dalla nostra banca, li avevamo chiesti con solo 2 settimane di anticipo, avrebbero preferito saperlo prima. Altra cosa che abbiamo fatto prima della partenza è stato l’acquisto del JR Pass: per 2 settimana costa 410 euro, ma sono veramente ben spesi. A tal proposito ecco alcune note: – occorre comperarlo in Italia, nel senso che bisogna proprio avere materialmente in mano il carnet dell’agenzia emittente (ai tempi di Internet pensavano ad un codice o documento da ricevere via e-mail), bisogna quindi pensarci in anticipo per gli eventuali tempi di spedizione; – è convenientissimo ed include anche i costi di prenotazione (utile per le lunghe percorrenze), visto che i treni in Giappone sono puntuali, efficienti, frequenti e puliti, ma costosi; – nel valutare se comprarlo per 1, 2 o 3 settimane (il costo non è proporzionale), considerare che può essere utilizzato anche per il Narita Express (il treno dall’aeroporto al centro di Tokyo, che costa quasi 3000 yen/28 euro) e per alcune linee ferroviarie urbane, non solo l’utilissima Yamanote Line di Tokyo, ma anche tratte a Kyoto, Osaka, Nagoya, oltre che sul traghetto per Miyajima.

Unico aspetto negativo: se si perde non c’è modo di ottenerne un altro in tempo brevi, per il rilascio occorre il magico coupon acquistabile solo all’estero. Unica speranza è di chiedere nell’ufficio oggetti smarriti della stazione, dove gli onesti giapponesi dovrebbero riportarlo in caso di ritrovamento.

1°- 2° giorno

Finalmente è il giorno della partenza, al check in imbarchiamo un bagaglio a testa di meno di 10 kg, abbiamo deciso di viaggiare leggeri, visto tutti i treni che dovremo prendere. Il volo parte circa a mezzogiorno e fa una rotta polare, tra la Russia e il Mare Artico, per ridiscendere verso sud quando è ormai sul nord del Giappone: essendo luglio non vediamo mai la notte, ma arriviamo a Tokyo nella mattina del giorno dopo. Sbrighiamo le formalità di dogana velocemente e ritiriamo il prezioso JR Pass, rigorosamente di cartoncino e compilato a mano. Prendiamo quindi il primo Narita Express disponibile, impiega più di un’ora per raggiungere la Tokyo Station. Qui troviamo l’ufficio JR e ci facciamo fare tutte le prenotazioni per i giorni successivi: avevo stampato tutti gli orari dei treni e le coincidenze dal sito Yperdia.com, dove le stazioni sono scritte anche in giapponese. Questo ha facilitato il dialogo con l’impiegata, che comunque parlava un po’ di inglese. Alcuni treni erano già pieni nell’orario scelto, per fortuna ce n’erano di disponibili in orari molto vicini.

Acquistiamo i biglietti per la metro, le macchine automatiche accettano anche le banconote di grosso taglio che ci ha dato la nostra banca, il biglietto base costa 160 Yen (circa 1,5 euro). Per comodità facciamo poi sempre i conti dividendo i prezzi per 100, così manteniamo anche un po’ di margine nelle decisioni. Con una metro raggiungiamo l’hotel e qui notiamo una prima differenza rispetto a tutte le metropolitane europee utilizzate: le stazioni sono enormi, con tantissime uscite, anche molto distanti dalla fermata del treno. L’hotel dista effettivamente 200 metri dall’uscita della metro, ma quasi un km dalla fermata del treno. Oltretutto questa stazione è collegata con un’altra, dove ferma una linea diversa. Il fatto di aver capito presto tutto ciò e di aver trovato l’hotel al primo colpo, in tempi brevissimi, ci rende da subito più confidenti verso questa enorme metropoli di 30 milioni di abitanti. Siamo ovviamente stanchissimi, ma dobbiamo cercare di adattarci al nuovo fuso, quindi usciamo subito per una prima visita di Tokyo. E’ domenica e raggiungiamo una chiesa cattolica per la Messa. E’ grande, piena di gente; una addetta ci accompagna in un posto libero e c’è un rito di Battesimo collettivo per circa 30 adulti: per un paese buddista/shintoista è una vera sorpresa! Pranziamo velocemente in un Danmark Cafè e andiamo quindi verso il tempio Mejio, dove ci sono moltissimi visitatori, anche parecchi turisti occidentali e facciamo una passeggiata per i negozi del quartiere Harajuku, con le strade piene all’inverosimile di persone, soprattutto ragazzine. Il vicino viale Omotesando è invece molto più tranquillo, con negozi più belli e chic. Arriviamo quindi allo Spiral Building, dove visitiamo una mostra fotografica molto particolare, adatta alla location moderna ed essenziale. Per oggi può bastare, sta anche cominciando a piovere forte. Torniamo nella zona dell’Hotel e troviamo un ristorante di tipo occidentale in un vicino centro commerciale: meglio adattarsi un po’ alla volta. Qui abbiamo la conferma di quanto già verificato velocemente in aeroporto e a pranzo: i prezzi dei bar e ristoranti sono abbordabili, con circa 3000 yen prendiamo due piatti con hamburger e patatine, una piccola insalata e una birra, oltre ad acqua fredda gratuita.

3° giorno

Anche oggi piove. Abbiamo dormito abbondantemente ma non ce la sentiamo di affrontare visite impegnative, quindi restiamo a Tokyo, nonostante sia lunedì e i musei siano chiusi. Visitiamo il santuario Senso-jo e la vicina zona commerciale di Nakamise, per turisti, poi il tempio Toshogu nei giardini Ueno. Tornando verso la stazione scorgiamo una strada commerciale, si tratta di un mercato cinese, con ogni genere di merce. Nella prima parte ci sono soprattutto generi alimentari, in particolare pesce secco, poi c’è veramente di tutto, anche tanti articoli “griffati” che non mi aspettavo. Acquistiamo un economicissimo ombrello pieghevole, visto che continua a piovere. A tal proposito diventiamo molto pessimisti quando notiamo depositi per ombrelli e sacchetti per riporli all’ingresso di tutti i locali e grandi magazzini. Continuiamo la giornata facendo shopping per Sibuya e Shinju-ku, non tanto per acquistare, ma soprattutto per osservare. Quello che ci colpisce di più sono i reparti alimentari dei grandi magazzini: tutti i prodotti sono perfetti, confezionati con cura ed esposti con meticolosità, viene da chiedersi se siano solo da guardare o anche da mangiare. Impressionante la perfezione della frutta, soprattutto le pesche, confezionate in scatole elegantissime, che costano come gioielli. Anche le food hall di Harrod’s o Fortnum&Masons non potrebbero reggere il confronto. Altra cosa che colpisce è che, nonostante tutto appaia molto raffinato, con prezzi alti in proporzione, i venditori urlano e gesticolano per attirare i compratori, come in un mercato rionale. In una pausa della pioggia riusciamo a raggiungere Tokyo-bay con la monorotaia senza autista, visitiamo l’isola di Odaiba, con i suoi parchi, shopping mall e grattacieli, nonché una copia della Statua della Libertà, donata dalla Francia come quella di New York. Ci sono ancora molti cantieri aperti, ma il panorama è molto bello. Per cena andiamo in un ristorante che di americano ha solo il nome, quindi facciamo il primo incontro con la cucina giapponese, in particolare i piatti di riso e curry. Anche stavolta siamo soddisfatti, sia del cibo che del conto.

4° giorno

Nonostante il maltempo, oggi cominciamo a fare sul serio e andiamo a Nikko, prima con un treno veloce, prenotato in anticipo, poi con un treno locale non prenotabile. C’è comunque posto a sedere e anche questo è puntualissimo e arriva velocemente alla stazione di Nikko, un edificio storico bianco e rosa. Piove sempre più forte, quindi non facciamo il Nikko pass per visitare anche le cascate e acquistiamo solo il biglietto per visitare tutti i siti patrimonio dell’Unesco. Alcuni templi sono chiusi per restauro, altri non si possono visitare, mancano completamente indicazioni in inglese; d’altra parte i visitatori sono tutti giapponesi, soprattutto scolaresche. Il sito è completamente immerso in una rigogliosa foresta tropicale, con alberi altissimi e fitto sottobosco, sulle lanterne c’è abbondante muschio: questo ci fa pensare che non siamo arrivati nell’unico giorno piovoso dell’anno, ma ci consola poco. Visitiamo comunque tutti i templi, sparsi in una ampia area, in molti si può entrare anche nelle sale di preghiera, dopo aver tolto le scarpe e messo l’ombrello in un sacchetto. Alla fine siamo bagnati fradici, per fortuna non è freddo. Ci fermiamo a pranzo in un fast food locale, dove hanno un bel menu illustrato solo in giapponese. Scegliamo un piatto, ma pur non parlando inglese ci fanno capire che la specialità del giorno è un’altra e dobbiamo prendere quella: si tratta comunque sempre di riso con carne e verdura + zuppa. E’ tutto caldo e ci fa bene, anche al morale. Visto che piove sempre più forte rinunciamo definitivamente a visitare le cascate Kigon e rientriamo a Tokyo, dove saliamo sul Metropolitan Government Tokyo Building. La salita al 45° piano è gratuita e la vista è molto bella, nonostante la foschia. Per cena andiamo a Rappongi, dove vediamo anche la Tokyo Tower, veramente spettacolare di notte. Spinti dalla curiosità mangiamo in un ristorante cinese in cui si ordina alla macchinetta: si sceglie il piatto da un elenco illustrato e numerato, si introducono i soldi, si schiaccia il bottone con il numero corrispondente al piatto scelto ed esce un biglietto che si dà al cameriere, in questo caso una minuta signora cinese. Ci si siede in un bancone a ferro di cavallo, all’interno del quale la cameriera si muove veloce ed attenta, servendo anche tè verde gratuito in abbondanza, unica bevanda disponibile. Di posate nemmeno l’ombra, solo bastoncini, l’uso dei quali è tutto sommato più facile di quel che sembra, soprattutto con piatti di riso, verdure e carne a pezzetti (e in presenza di necessità e fame).

5° giorno

Il tempo sembra decisamente migliorato e proviamo di andare in zona Mt Fuji, in particolare ad Hakone. Con il JR Pass si può arrivare fino a Odawara e qui c’è un efficiente ufficio turistico dove chiedere informazioni. E’ di nuovo molto nuvoloso e la signora ci dice che la funivia è ferma per il troppo vento e le gite sul lago Ashi sono sospese. Non ci resta che tornare indietro e dedicarci alla visita dei musei di Tokyo. Scegliamo il Museo Nazionale, il Museo Nazionale di Arte Contemporanea e il Museo delle Arti Decorative (gli ultimi due hanno un biglietto unico), tutti estremamente interessanti, soprattutto perché espongono quasi esclusivamente opere di artisti giapponesi, raramente esposte all’estero. Facciamo anche una passeggiata per i giardini del Palazzo Imperiale. Con il tempo decisamente migliorato apprezziamo sempre di più una istituzione giapponese molto diffusa: le macchinette che vendono bibite fredde. Ce ne sono ovunque, non solo nelle stazioni, ma anche per le strade, praticamente in ogni isolato ce n’è almeno una: dispensano ogni genere di bevanda, gasata o naturale, acqua, succhi di frutta, tè, caffè e integratori salini a cifre modiche, tra 100 e 300 yen. Per finire sperimentiamo anche un Manga/Internet point, dove ci si può trascorrere anche un intero giorno o passarci la notte, con bibite e gelati gratuiti, oltre a pasti pronti da un distributore automatico, distesi su divani o futon. Sono un po’ costosi per un utilizzo sul breve periodo, ma ne vale la pena per il contesto; d’altra parte volevamo fare alcune modifiche al nostro programma per poter ritentare la visita della zona di Hakone. Ceniamo nella pizzeria Casa Napoli vicina all’hotel, dove c’è un cameriere che parla inglese abbastanza bene, ma non si era mai reso conto che il menu è scritto anche in italiano. Si guadagna comunque tutta la nostra simpatia chiedendoci informazioni su di noi e sul nostro itinerario in Giappone. Concludiamo la serata con un drink nella lounge al 36° del nostro hotel, con ampia vista sulla skyline di Tokyo.

6° giorno

Oggi lasciamo Tokyo per Hiroshima, con una sosta per visitare il castello di Himeji. Di buon mattino prendiamo un velocissimo treno Kodama per Himeji, dove lasciamo i bagagli negli armadietti automatici della stazione. Sono molto pratici, ce ne sono di tutte le dimensioni, il costo è proporzionale alla grandezza e basta avere una buona dotazione di monete da 100 yen; per le nostre borse bastano 400 yen a testa. Il castello è in restauro, cosa ampliamente comunicata, ma non si può non visitarlo comunque, visto che è il più maestoso dei soli 3 castelli ancora autentici del Giappone. Al momento della nostra visita era in restauro la torre centrale, parzialmente nascosta dalle impalcature e non visitabile; si poteva entrare solo nell’ala laterale, molto grande ma completamente spoglia. Il costo del biglietto d’ingresso è stato comunque ridotto a 560 yen, compresi i Koko-en, i giardini dei Samurai. Sono molto belli, anche se li dobbiamo visitare sotto una pioggia battente. Tornando verso la stazione vediamo un ufficio postale. Nei giorni scorsi abbiamo visto che i bancomat delle banche non hanno il circuito Maestro/Cirrus e anche quelli nei supermercati 7eleven e Family Mart da dicembre 2009 hanno sospeso la convenzione; i bancomat degli uffici postali restano quindi l’ultima speranza, visto che le carte di credito sono accettate in pochi posti e i contanti che avevamo stanno rapidamente esaurendosi. La prima tessera che proviamo non è autorizzata, proviamo la seconda e funziona, ci consente pure di selezionare i tagli di banconote! Adesso siamo decisamente più tranquilli. Riprendiamo i bagagli e il treno verso Hiroshima. Con un tram, che qui chiamano street car, raggiungiamo l’hotel, di fianco all’unica casa rimasta integra dopo il bombardamento atomico. Era una banca e fu utilizzata come luogo di cura e soccorso subito dopo. Nell’hotel troviamo il water più incredibile di tutta la vacanza: non solo ha 3 docce per i diversi tipi di lavaggio, ma ha anche la funzione di asciugatura. Inoltre si può scegliere la temperatura sia dell’acqua che dell’asse ed è tutto automatico: ci si avvicina e il coperchio si apre, l’asse si alza e si abbassa con un bottone e quando ci si allontana il coperchio si richiude da solo. Hiroshima è una città veramente sorprendente, innanzitutto si rivelerà quella con il maggior numero di turisti occidentali, soprattutto americani. Il livello dei negozi è strepitoso, tutti i più famosi stilisti europei, americani e giapponesi hanno una loro presenza con boutique esclusive o corner nei grandi magazzini. Non altrettanto si può dire per i ristoranti, almeno nelle stesse zone. Optiamo quindi per il bel buffet dell’hotel, che ha un prezzo differenziato per uomini e donne, risp. 3000 e 2800 yen, poco più di 25 euro; decisamente conveniente vista la buona qualità e l’ampia scelta di portate, inoltre include acqua, tè e caffè.

7° giorno

Anche oggi è nuvoloso, ma non piove. Raggiungiamo la stazione di Hiroshima per prendere il treno locale fino al traghetto JR per Miyajima. E’ tutto indicato molto bene e presto siamo in vista del famoso torij galleggiante, una dei 3 paesaggi più fotografati del Giappone. La luce e i colori non sono certo dei migliori, ma facciamo anche noi del nostro meglio per alimentare questo primato. Mentre visitiamo il tempio Itsukushima c’è ancora la bassa marea, ma il livello dell’acqua si sta alzando e dopo lo potremo ammirare e fotografare mentre sembra galleggiare sul mare. Oltre al tempio ci sono da vedere alcune pagode, musei e altre costruzioni, disseminate in ripidi sentieri da cui si ha anche una bella vista sul tempio e il torij. Visitiamo anche una interessante mostra su Kurosawa, allestita all’interno di un tempio in cui sono esposte anche gigantesche pale da riso. Ma la più grande del mondo è nella strada commerciale che riporta al porto, dove sono vendute anche come souvenir in grande quantità e varietà. Qui acquistiamo dei dolcetti prodotti e cotti sul posto con una macchina meccanica che ha tante formine in ghisa sul tipo di quelle usate per le tigelle (panini tipici della zona tra Modena e Bologna): è espressamente vietato fotografarla!. Sono di vario tipo e farciti in vari modi, soprattutto di fagioli dolci e tè verde. Ne acquistiamo un misto da assaggiare, confermano l’impressione che ci siamo già fatti a proposito dei dolci giapponesi: belli, ma inconsistenti, poco dolci e poco sazianti. Mentre li mangiamo veniamo anche assaliti dai numerosi cervi dell’isola, che finora ci avevamo ignorato, ma riusciamo ad avere la meglio e a salvare il nostro pranzo. Ritorniamo a Hiroshima, dove visitiamo i giardini Shukkeien, bellissimi e molto giapponesi, con il laghetto pieno di isolette ricoperte da bonsai, caratteristici ponti molto arcuati e graziosi gazebo per la meditazione zen. Arriviamo poi al castello, ricostruito in cemento e circondato da un grande parco. Infine eccoci al Parco della Pace, il vero centro della città. Ci fermiamo impressionati davanti al A-bomb dome, lo scheletro rimasto in piedi di una maestosa villa. Si susseguono poi il Cenotafio, il Monumento per la pace dei Bambini e si arriva al Museo della pace, dove si paga un ingresso simbolico di 50 yen a testa. E’ veramente ben fatto e fa pensare, con una ampia documentazione storica e una ricca raccolta di materiali e reperti. Ci sono tutte le indicazioni in diverse lingue, è il posto più internazionale che visiteremo in tutto il viaggio. Nella vicina International Exchange Lounge è possibile utilizzare gratuitamente internet per un periodo limitato, ne approfittiamo. Nel frattempo ci siamo anche documentati meglio sui ristoranti, effettivamente ce n’è tanti e di tutti i tipi e ceniamo al Cuzco Cafè in stile tex-mex.

8° giorno

Stamattina ci svegliamo molto presto, il treno che volevamo prenotare era pieno e abbiamo dovuto ripiegare su quello di un’ora prima. D’altra parte ci stiamo rendendo conto che in Giappone il sole sorge prestissimo, poco dopo le 4, ma alle 19 è già buio completo, quindi bisogna anticipare tutte le cose. Anche i siti tendono ad aprire presto alla mattina e a chiudere presto alla sera. La destinazione è Matsuyama, nell’isola di Shishiu, completamente fuori dagli itinerari turistici. Si poteva raggiungere anche in traghetto da Hiroshima, ma era molto costoso e il porto è molto lontano dalla città. Prendiamo quindi il treno veloce per Okayama e da qui un espresso locale, che attraversa il lungo ponte sul Mare Interno, facendoci ammirare un bellissimo panorama di isolette verdi e mare blu: finalmente è anche una bella giornata di sole e cielo azzurro. L’isola è molto verde, tutta coltivata, soprattutto a riso; vediamo anche alcuni contadini col il tipico copricapo a cono largo di paglia. Appena arrivati alla stazione notiamo subito come le scritte in inglese siano molte di meno che nel resto del paese, anche quella del nostro hotel è solo in giapponese, tranne che sullo zerbino, per fortuna… Dall’hotel si ha già la vista sul maestoso castello, per raggiungere il quale intraprendiamo una ripida camminata nel bosco, circondato dal tipico fossato e dal recinto fortificato. Lungo il percorso ci fermiamo ai giardini storici di Ninomaru Shiseki Tei-en. Il castello è del 1602 ed è ancora autentico, nel senso che le parti logorate o distrutte nel corso degli anni sono sempre state ricostruite o restaurate nel rispetto della tradizione. E’ possibile visitarlo completamente, ad ogni piano ed in ogni sala sono esposti cimeli delle famiglie di samurai che si sono avvicendati nelle varie epoche, oltre a dettagli sulla costruzione del palazzo. La vista, soprattutto dai piani alti, è grandiosa e arriva fino al mare. Scendiamo con la seggiovia (sarebbe stato meglio usarla per salire e scendere per la strada) sul lato opposto della città, verso le terme imperiali del Dogo Onsen e il loro bellissimo parco adiacente. Adesso ci aspetta la parte più difficile, trovare l’Ishite-ji. Si tratta del 51° degli 88 templi sull’isola, che costituiscono uno degli itinerari più tradizionali di pellegrinaggio. Per fortuna non ci sono tante strade che escono dalla città, seguiamo quella nella direzione corretta, una statua di divinità ci fa pensare di essere sulla giusta strada. Dopo un po’ vediamo una indicazione in giapponese, la confrontiamo con quella della Lonely Planet e constatiamo che siamo arrivati, o quasi. C’è una stretta stradina laterale, ci avviamo e incontriamo due signori. Chiediamo del tempio e ci indicano la fine della stradina che stiamo percorrendo. Due elementi aiutano in questi casi: 1) la pronuncia e i suoni del giapponese sono quasi uguali all’italiano, quindi ci si fa capire; 2) i giapponesi gesticolano molto, quindi guardandoli si intuisce un po’ di cosa dicono. Dopo poche centinaia di metri arriviamo al tempio, composto da molti edifici; è credibile sia il più grande dell’intero circuito ed è anche molto frequentato. Vicino c’è un cimitero con una fila di buddha con tovagliolo e ciotola di riso davanti. Sembra tutto molto autentico, non certo per turisti. Ritorniamo sulla strada principale, attraverso un sentiero più grande di quello percorso all’andata e rientriamo in hotel per la doccia: è stata la prima bella giornata di sole e abbiamo portato a termine un programma di visite veramente intenso e impegnativo. Per cena andiamo in una galleria commerciale vicino all’hotel, dove c’è anche una sorta di fiera cittadina, la chiamano “Truck market”. Questa è veramente una cosa strana: utilizzano tantissimo le parole inglesi, spesso in modo originale o a sproposito, ma non sanno parlare inglese, pur avendo un grado di scolarizzazione elevato e studiando inglese a scuola molti anni; sembra sia un problema di metodo di insegnamento, unito alla paura di sbagliare. Siamo gli unici occidentali in giro e, da come ci guardano, non devono vederne molti; siamo sicuramente alti rispetto alla media locale, soprattutto mio marito e io sono bionda con gli occhi azzurri, ma non ci aspettavamo tanta attenzione. D’altra parte noi siamo sorpresi dall’alto numero di donne in kimono, anche ragazzine, forse è dovuto anche al fatto che è sabato sera? Troviamo un ristorante carino, le fotografie dei piatti sul menu all’esterno sono invitanti ed entriamo. Si ordina alla cassa a personale giovane che parla solo giapponese, ma estrae da sotto il banco un menu in inglese, dove indichiamo quello che vogliamo (se lo dicessimo non lo capirebbero!). Danno un numero, che poi chiamano quando il cibo è pronto, ovviamente in giapponese. Sotto alle sedie c’è una scatola per riporre la borsa o altre cose. Notiamo anche che il ristorante è pieno di solo donne, principalmente madri e figlie; oltre a mio marito c’è solo un altro ragazzo. Riusciamo comunque a recuperare i nostri piatti, qui sono presenti anche le forchette, usate pure dagli avventori giapponesi. Quando usciamo dal ristorante, verso le 10, nel “Truck market” stanno già smontando i banchetti, facciamo giusto in tempo a rivedere quello di coleotteri giganti, ma è troppo tardi per un gelato.

9° giorno

Usciamo dall’hotel poco dopo le 7, ma il sole è alto e il caldo si fa già sentire. E’ domenica e in giro non c’è nessuno. Diamo un’ultima occhiata al castello, bianco splendente sul bel cielo blù, mentre camminiamo verso la stazione. Prendiamo il treno per Okayama e riattraversiamo il ponte sul Mare Interno: ancora il bel panorama di isole, isolette e barchette di pescatori. Arriviamo a Okayama con 3 minuti di ritardo, ovviamente ripetute le scuse dello speaker in treno, rigorsamente solo in giapponese, visto che era un treno locale. Ciononostante prendiamo senza problemi la coincidenza per Skin-Osaka, la stazione dove fermano i treni veloci. Da qui bisogna prendere un treno locale per Osaka, sempre JR. Dopo un veloce pranzo, completato da alcuni waffles belgi al tè verde (i dolci verdi ci attirano sempre di più, almeno per l’aspetto insolito, visto che comunque non sanno di niente), prendiamo la JR Loop line verso il castello, la fermata è sul retro del parco. Qui c’è un raduno di gruppi musicali punk-rock, che attira poco pubblico ma che ci incuriosisce e lo passiamo in rassegna con attenzione. C’è anche un monaco che canta sulla musica sintetizzata da un laptop e un gruppo travestito sul genere Famiglia Addams. Il castello è molto grande e imponente, ma si tratta di una ricostruzione in cemento per cui non crediamo valga la pena entrare. Ci dirigiamo invece verso la zona commerciale Dotombori, attraversando una via commerciale cinese, dove sono in vendita quantità impressionanti di fuochi artificiali, di dimensioni anche notevoli: ci chiediamo se in Italia sarebbero di libera vendita. Troviamo una folla esagerata nella galleria Shinsaibashi, dove ci sono tutti i negozi delle catene internazionali, oltre ai soliti grandi magazzini con gli stupendi reparti alimentari al piano interrato. Li giriamo con più calma del solito, assaggiando tutto quanto ci viene proposto dagli attivi venditori e acquistando anche qualche articolo da portarci a casa: bellissimi cristalli di zucchero, tè verde e un sacchetto di riso in carta plissettata. Al reparto casalinghi troveremo anche una tipica paletta per il riso.

E’ già buio, quindi possiamo salire sul Floating Garden Observatory. Per raggiungere l’affascinante piattaforma stellata, a 173 metri di altezza, bisogna prendere un rapido ascensore, una lunga scala mobile panoramica con pareti di vetro (la caratteristica principale del posto, impressionante, soprattutto in discesa) e un altro piccolo ascensore. La vista è molto ampia e bella, Osaka è una città di mare con ampio porto, che da qui si vede bene. Ha molte strade, fiumi, ferrovie e ponti, oltre ad alcuni grattacieli particolari. Ci incamminiamo verso l’hotel, cercando un ristorante per la cena. Ci perdiamo un po’ nella zona della complicatissima stazione, piena di negozi, gallerie, sottopassi e sopraelevate e si fa un po’ tardi. Ritornati nella giusta direzione troviamo un ristorante carino, con un nome da birreria bavarese, ma i piatti in vetrina sono tipicamente giapponesi. Ci dicono che tra mezz’ora prendono l’ultimo ordine e tra un’ora chiudono, pensano che andiamo via, ma noi restiamo, che altro potremmo fare? dobbiamo cenare! Ordiniamo velocemente il piatto di soba che avevamo addocchiato in vetrina, degli involtini per antipasto e ovviamente della birra Sapporo, che sembra la loro specialità. Dobbiamo mangiare con i bastoncini, adottiamo un metodo abbastanza efficiente per mangiare le tagliatelle di grano saraceno (soba, appunto), arrotolandole nei bastoncini uniti, come fossero una forchetta. I vicini di tavola ridono, ma noi lo troviamo più consono che risucchiare rumorosamente con la testa nel piatto come fanno loro. E comunque finiamo comodamente ben prima dell’orario di chiusura.

10° giorno

Oggi è una giornata di festa in Giappone, quindi sebbene sia lunedì non incontriamo quasi nessuno mentre andiamo in stazione. Con il treno veloce alle 8.30 siamo già a Kyoto, il tempo è splendido, sembra sia passata la perturbazione che ci aveva afflitto i primi giorni e adesso sta arrrivando una ondata di caldo eccezionale, reso più insopportabile dagli sbalzi di temperatura causati dall’aria condizionata esagerata. All’ufficio del turismo ci danno una cartina in inglese e la mappa delle passeggiate. Inoltre acquistiamo due pass giornalieri per i mezzi pubblici, a 1200 yen l’uno (10 euro). Considerando che utilizzeremo soprattutto gli autobus (Kyoto ha poche linee di metropolitana), cambiando spesso linea, è molto conveniente, visto che il biglietto singolo costa 220 yen e vale solo per una corsa, senza cambi di vettura. Utilizzare gli autobus è più complicato della metro, le fermate sono più sparse, i percorsi meno definiti, bisogna ricordarsi che si circola a sinistra e molte indicazioni sono solo in giapponese, spesso dobbiamo confrontare gli ideogrammi del nome della fermata con quello scritto sulla nostra cartina. Riusciamo a visitare il famoso tempio Kiyomizu-Deja e a passeggiare nell’adiacente zona antica di Kyoto, con le stradine a saliscendi piene di negozi tradizionali e di souvenir, sale da tè e tanti templi, oltre al tranquillo Maruyama Park; un’area decisamente particolare e unica nel suo genere. Con due autobus raggiungiamo l’altrettanto famoso Ginkaku-ji, apprezzabile per il bel giardino di sabbia e la passeggiata sulla collina tra altissimi alberi. A proposito di alberi: ne stiamo notando molti, soprattutto di una particolare varietà di pini, con dei pali che tirano alcuni rami verso il basso, in modo da farli sviluppare anche in orizzontale e fare crescere l’albero con un andamento contorto, anziché verticale verso l’alto. Inoltre si vedono spesso dei lunghi rami orizzontali sorretti da pali, per evitare che si spezzino: in Italia verrebbero sicuramente tagliati; anche queste sono differenze culturali da tenere in considerazione. Infine decidiamo di visitare un santuario shintoista, anche questo incluso tra i 17 siti di Kyoto Patrimonio dell’Umanità tutelati dall’Unesco, ma fuori dagli itinerari turistici classici, il Shimogamo-jinja. Situato alla confluenza di due fiumi è dedicato alle divinità agricole, che vengono invocate e ringraziate per propiziare buoni raccolti. E’ tutto immerso nel verde, del viale di accesso si dice addirittura che non richieda mai l’uso dell’ombrello, viste le ricche fronde degli alberi. Non devono essere molti gli stranieri a spingersi qui, visto che alla fermata dell’autobus una deliziosa vecchietta ci gesticola, parlando fitto fitto in giapponese, come raggiungere il tempio e una gentilissima signora della biglietteria ci fa da guida, scusandosi molto per il suo “easy English”. Riusciamo così a visitare la parte del “Tesoro” in modo approfondito, apprezzando il grande valore degli oggetti contenuti, tutti utilizzati ancora oggi per le più importanti cerimonie imperiali e di ringraziamento. Al ritorno le abbiamo inviato una cartolina per ringraziarla, speriamo giunga a destinazione. Terminiamo la giornata con una passeggiata per il giardino imperiale, nel centro della città, decisamente meno interessante di quanto visto in precedenza. Rientriamo in hotel a sistemarci per la serata, mentre usciamo vediamo molte signore con il kimono, sono proprio elegantissime. Raggiungiamo in autobus la zona commerciale, dove molti negozi sono chiusi, forse per la festività, ma ci sono tanti ristoranti di ogni tipo. Veniamo attratti dal buffet etnico offerto dal Royal Hotel, che qui significa piatti filippini, vietnamiti, cambogiani, cinesi e indonesiani. Il prezzo di 2500 yen (22 euro) a persona include tutte le bevande, anche vino, shochu (distillato dalla patata dolce a circa 30°), tè e caffè.

11° giorno

Ancora una bella giornata, soffriremo un po’ il caldo anche oggi. In programma abbiamo di visitare Nara e Horyu-ji, il tempio più antico del Giappone, ovviamente incluso tra i patrimoni dell’Unesco. Ci andiamo subito, appena arrivati alla stazione di Nara prendiamo la linea per Horyu, sono 10’ di treno + una passeggiata di 20 minuti, durante la quale entriamo in un supermercato pieno di casalinghe intente a fare la spesa. Il reparto frutta e verdura è molto simile a quello dei negozi italiani, anche i prezzi sono più abbordabili delle food hall del centro, ma tutto è comunque molto ordinato e l’aspetto estetico è tenuto in grande considerazione. Il tempio Horuy-ji è molto vasto, tutto in pianura, con tre gruppi di edifici circondati da mura e collegati con lunghe stradine diritte. C’è anche un interessante museo che custodisce antichi cimeli, soprattutto abiti e oggetti preziosi per le preghiere e le cerimonie. Ritorniamo in treno a Nara e visitiamo questo ampio complesso di templi, tutelato dall’Unesco. Per raggiungerlo si fiancheggia il parco dei cervi, che circolano comunque pacifici per tutta la zona. Visitiamo: il complesso di pagode di Kofuku, una di 3 e una di 5 piani, la seconda più alta del Giappone; il tempio Kasuga, con le sue migliaiadi lanterne che vengono accese solo 2 volte all’anno (in una sala c’è comunque un esempio di come appaiono in quelle rare occasioni); il Todai-ji, con l’enorme Budda all’interno, il Daibutsu. Si tratta dell’edificio di legno più grande del mondo, fatto tutto ad incastri, veramente notevole. La grande statua del Budda è imponente, resa ancora più impressionante dalla sua espressione così tranquilla e rassicurante. Divertenti le scene dei bambini (e non solo) che cercano di passare attraverso il buco in uno dei pali di sostegno al tempio, segno di sicura pace eterna: per raggiungerla sembra sia necessario però riuscirci senza alcun aiuto, da qui la sofferenza dei genitori, che possono solo fotografare, senza spingere o tirare i loro figli. Per la cena rientriamo a Kyoto e cerchiamo un ristorante vicino all’hotel. Passeggiando ne vediamo uno con i tavolini all’aperto, è a base di udon. Ne prendiamo un’ampia ciotola ciascuno, con manzo e zuppa calda; inoltre scegliamo alcune verdure fritte da un espositore e birra per annaffiare il tutto: in totale solo 2100 yen, circa 20 euro. Il tutto è buono, saporito ma non piccante o speziato e deve essere mangiato con i bastoncini. Gli udon sono molto più lunghi e spessi dei soba già sperimentati e la cosa si rivela più impegnativa, ma alla fine riusciamo comunque a finire il tutto senza utilizzare le mani o succhiare rumorosamente, che non rientra proprio nella nostra educazione.

12° giorno

Veniamo svegliati da una scossa di terremoto, non sembra molto forte, non suona alcun allarme e dura poco, quindi non facciamo niente. Appena alzati accendiamo la TV: vogliamo verificare se si è trattata di una piccola scossa locale o se abbiamo avvertito leggermente una forte scossa avvenuta in un’altra zona. Anche dopo esserci preparati e fatto colazione non c’è alcuna notizia di terremoti, quindi usciamo tranquillamente per l’intenso programma della giornata. Abbiamo prenotato il treno delle 9.25 per Amanohashidate, dove c’è il Ponte del Paradiso, ma non possiamo certo oziare fino a quell’ora! Visitiamo due templi vicino alla stazione, il Koshoji e il Nishi-Hongan-ji, quest’ultimo tra i 17 siti dell’Unesco di Kyoto. Sono molto grandi e si può entrare nelle sale di preghiera, ovviamente senza scarpe. C’è una funzione in corso e il lampadario centrale, una grande lanterna in ottone e carta è accesa, tutto è molto suggestivo. Andiamo in stazione per prendere il treno verso il Ponte del Paradiso, noi abbiamo la prenotazione solo fino al termine della linea JR, qui il treno si ferma e dobbiamo cambiare carrozza, in quanto quella dove siamo noi viene staccata. Proseguiamo la corsa, attraverso un paesaggio collinare molto verde e coltivato, soprattutto a riso e ortaggi. Il bigliettaio ci chiede il supplemento di 1380 yen a testa per la tratta su linea privata e in breve siamo ad Amanohashidate. All’ingresso del paese di danno un welcome kit (ventaglio + bracciale catarifrangente + fazzoletti e mascherina per occhi) e subito dopo siamo accolti da un comitato composto da vigili urbani, polizia, persone vestite da pupazzi e un cameramen. Dopo le inevitabili foto con i pupazzi davanti alla telecamera (che vergogna, speriamo non vengano trasmesse) iniziamo la passeggiata lungo questa fantastica striscia di sabbia disseminata da 8000 pini. Il panorama da entrambi i lati è bellissimo, da una parte la laguna chiusa e tranquilla, dall’altra il mare aperto ma comunque riparato dall’ampia baia, appena mosso da piccole onde. E’ uno dei tre panorami più fotografati del Giappone e non si fa fatica a capire il perché. Di buon passo raggiungiamo l’estremità opposta, dove c’è una delle due seggiovie per raggiungere la sommità della collina, da cui si vede la baia e il Ponte del Paradiso dall’alto. Anche se c’è un po’ di foschia, diamo il nostro contributo al primato scattando molte foto. Facciamo poi ciò che tutti i giapponesi fanno in questo posto: lo guardiamo a testa in giù attraverso le gambe, come disegnato dappertutto, anche sui biscotti. Non so dire se appaia veramente sospeso come dicono, ma certamente è un punto di vista molto suggestivo e inusuale. Ultima cosa: il lancio dei piattelli di terracotta, cercando di centrare una copia della lanterna ad anello (l’originale è nel tempio in paese, che visiteremo prima di ripartire) posta a una certa distanza lungo il fianco della collina. Merita una nota il fatto che i piattelli sono posti a gruppi di 3 in uno scaffale, di fianco c’è una scatolina in cui mettere i 100 yen: nessun controllo, tutto è lasciato all’onestà degli utenti. Anche altri provano senza successo, in un paese dove il baseball è sport nazionale ci si aspettava di più. Ritorniamo al paese camminando nella caldissima acqua del Mare del Giappone, c’è anche qualcuno nella spiaggia che prende la tintarella, pratica assolutamente anormale da queste parti, dove tutti si coprono il più possibile e usano l’ombrello come riparo dal sole. Ci godiamo questa assoluta tranquillità, dopo tanti giorni nelle affollate e rumorose città. Il tempio che si trova nel paese è contraddistinto, oltre dalla lanterna ad anello con fila per farsi la foto attraverso il foro, dalla preghiere scritte su piccoli ventagli e attaccate ai pini circostanti. Nei numerosi negozietti vendono conchiglie e pesci palla imbalsamati a prezzi molto convenienti, la nostra coscienza ecologica ne è un po’ colpita. Aumentiamo ancora il nostro stato di tranquillità quando riusciamo a prelevare nel bancomat dell’ufficio postale di fronte alla stazione, visto che con carta di credito riusciamo a pagare veramente poco. In stazione scopriamo un malinteso avvenuto in fase di prenotazione del ritorno, per cui abbiamo perso il treno diretto e dobbiamo cambiare a Nishi-Maizuru, dove dobbiamo arrivare con un treno privato, che ci costa però solo 620 yen a testa. A Maizuru prenotiamo il treno JR per Kyoto, il biglietto è solo in giapponese, confrontiamo gli ideogrammi per essere sicuri sia corretto e cerchiamo un modo per passare la mezz’ora di attesa. Vediamo un centro commerciale dietro alla stazione, la gente che incontriamo ci guarda come fossimo extraterrestri, alcune ragazzine ridono e ci salutano: stiamo decisamente sconvolgendo la tranquilla vita di provincia. Nel supermercato troviamo finalmente dei biscotti normali, cioè da mangiare e non da guardare e facciamo un po’ di scorta, tutto ha dei prezzi quasi europei. Nonostante l’imprevisto, alle 18 siamo di nuovo a Kyoto, riusciamo a passare in hotel prima di cena. Lungo in percorso in autobus riguardiamo un ristorante visto alla mattina, confermiamo la buona impressione e dopo la doccia ci andiamo. Purtroppo non ci fanno mangiare nei tavolini all’aperto, ma l’interno è carino. Il menu è solo in giapponese e nessuno dei giovani camerieri parla inglese, per fortuna ci sono le foto. Ci fanno pure delle domande riguardo a quello che vogliamo, forse ci sono delle opzioni da scegliere, confermiamo che vogliamo tutto come nelle foto e quello alla fine ci viene servito. Si tratta comunque di soba, zuppa, riso con curry, sottaceti e fritti vari, oltre a tè e birra come bevande, per un conto finale di 2400 yen, decisamente conveniente. Mentre finiamo di mangiare con i bastoncini – ormai siamo proprio bravi – entra un gruppo di spagnoli: una espressione disperata appare sul volto dei camerieri, che speravano di aver concluso le fatiche comunicative con noi due. E’ anche la prima volta che incontriamo altri occidentali in ristoranti di questo tipo.

13° giorno

Oggi lasceremo Kyoto, ma abbiamo riservato la mattina per le visite dei siti più vicini all’hotel, dove lasciamo temporaneamente i bagagli. In autobus raggiungiamo il tempio Ryoann, famoso per il giardino zen di 15 pietre, oltre ad un bel giardino giapponese con laghetto ricoperto da ninfee e fiori di loto. Vediamo anche una “mandarina duck” che nuota e si immerge ripetutamente. Quindi ci incamminiamo per una delle passeggiate consigliate anche dall’ufficio del turismo, in discesa lungo la collina, attraversando prima una zona residenziale, con piccole case in stile giapponese, poi una zona di templi: ce c’è a decine, alcuni sembrano antichi, altri più nuovi, ognuno composto da varie costruzioni, cortili o giardini. Ovviamente li guardiamo solo dall’esterno, avevamo già deciso di essere molto selettivi nella visita dei templi, per evitare la noia e l’insofferenza che ho riscontrato in molti report. Ultima cosa che visitiamo a Kyoto è il suo castello, il famoso Kejo, il più bello e grande del Giappone. L’avevamo già visto per 3 giorni dalla camera dell’hotel, quindi avevamo già notato che è ad un solo piano e non ha la torre centrale come quelli di Himej o Matsuyama. E’ comunque tutto di legno, quindi bisogna visitarlo senza scarpe e ha le pareti con bellissimi dipinti, che molto dicono sull’epoca in cui fu costruito, soprattutto della vita politica. Alcuni manichini nelle sale principali completano il quadro d’insieme. Sono molto colpita anche dai grandi pannelli di legno intagliato collocati nella parte alta di molte pareti. Qui incontriamo anche un piccolo gruppo di turisti italiani, proviamo di seguirli da vicino per ascoltare le spiegazioni della guida giapponese, ma troviamo che siano molto frettolose, svogliate e che non aggiungano niente alle numerose didascalie presenti, anche in inglese.

Dopo aver completato la visita dell’ampio parco attraversiamo la strada, recuperiamo i bagagli e prendiamo la navetta dell’hotel per la stazione, da dove un treno veloce ci porterà a Nagoya in soli 30 minuti. E’ giusto il tempo per consumare il pranzo, che ormai abbiamo preso l’abitudine di acquistare nei fornitissimi negozi delle stazioni per mangiarlo in treno, come fanno tanti giapponesi, così abbiamo più tempo per le altre attività. All’ufficio turistico di Nagoya troviamo una efficientissima signora che ci indica come raggiungere l’hotel e la Toyota utilizzando principalmente mezzi JR, un’attenzione al nostro portafoglio che non può che farci piacere. Per questo pomeriggio a Nagoya non abbiamo obiettivi particolari, raggiungiamo l’avveniristica stazione Oasis21 e passeggiamo per parchi e negozi, quasi senza meta. Ne riceviamo l’impressione di una città molto ordinata e pulita, senza quei contrasti tra cose nuove/vecchie o belle/brutte che abbiamo notato altrove. Ceniamo in un ormai solito ristorante di udon, che mio marito riesce a farsi servire senza zuppa, con solo carne e verdura. Io prendo anche quella, che metto in parte nel riso, come ho visto fare ieri da un giapponese: ormai mi sento a casa in questi posti. Dopocena vediamo un grattacielo alto, vicino alla stazione, in cui si può salire gratuitamente fino al 42° piano, ne approfittiamo: la vista di una skyline di notte è sempre uno spettacolo affascinante.

14° giorno

Oggi ce la prendiamo un po’ comoda, lasciamo l’albergo più tardi del solito e, seguendo le istruzioni ricevute andiamo verso la sede della Toyota, nella vicina provincia di Auchi, dove avevamo prenotato la visita alla fabbrica per le 11, si richiedeva comunque di arrivare per le 10.30, per poter visitare prima l’esposizione. Il tempo di viaggio di un’ora si rivela improbabile, ne impieghiamo quasi due, per fortuna abbiamo mantenuto un margine di sicurezza e troviamo un taxi alla stazione che per 700 yen ci porta direttamente alla Toyota Kaikan in soli due minuti. Arriviamo alle 10.55, ci scusiamo tantissimo e fortunatamente ci dicono che non ci sono problemi, trovano subito la nostra prenotazione, ci danno il pass e abbiamo pure qualche minuto per visitare il museo. Siamo suddivisi in più gruppi, di cui uno solo per il tour in inglese; ci caricano su un pullman per lo stabilimento di Motomachi, un’occasione per vedere un po’ di Giappone dalla strada, non dal treno. Confermiamo l’impressione di impostazione americana delle periferie, con ampi piazzali pieni di negozi, benzinai e ristoranti, con grandi insegne luminose su alti pali. Il tour è di quasi due ore, preceduto da una ampia introduzione su marchio, storia, vision, mission e diffusione nel mondo, utilizzando anche filmati. Viene fatta vedere in varie fasi la linea di montaggio principale, con vista anche sul reparto approvvigionamento, dove è nato il concetto di “just in time”. La parte più divertente è la carrozzeria, dove sono al lavoro solo robot per le saldature e la limatura. Sulla stessa linea vengono prodotti molti modelli con diverse carrozzerie, l’idea è che tutto sia molto bene organizzato e preparato, vista la facilità con cui il personale sembra lavorare: anche la “qualità totale” è nata qui, come sottolinea spesso la guida. Nel complesso ci aspettavamo comunque qualcosa di più tecnologico ed automatizzato, la presenza di operai e il lavoro manuale sono invece molto elevati. Il ritorno verso Nagoya ci sembra più veloce, ma impieghiamo comunque due ore.

Recuperiamo i bagagli dall’hotel e prendiamo il treno per Tokyo, stavolta abbiamo prenotato un hotel a Tokyo Bay, la vista notturna dalla camera è veramente molto bella, ci sono anche le barche per le crociere turistiche tutte illuminate. Per cena raggiungiamo la zona di Ginza, che non avevamo ancora visto. Tutto è molto elegante, i negozi, le persone a passeggio, i bar e i ristoranti, particolarmente affollati. Ci mettiamo in lista in uno che ha dei tavolini all’aperto, nell’attesa visitiamo un negozio di elettronica enorme, giusto dalla parte opposta: ci sono le macchine fotografiche più economiche libere, senza alcuna sicurezza, nonostante il negozio sia affollatissimo. E’ vero che ci sono tanti addetti che si aggirano tra gli espositori, ma non possiamo non restare meravigliati. Probabilmente abbiamo anche trovato una soluzione per una batteria da macchina fotografica non più in commercio in Italia. Il ristorante è ovviamente più costoso e mediocre di altri, ma vista la posizione ce lo aspettavamo, d’altra parte eravamo troppo stanchi per cercare altrove.

15° giorno

Ci svegliamo presto sperando in una bella giornata. E’ così, quindi facciamo il nostro secondo tentativo di avvistare il Monte Fuji, cosa che sappiamo essere praticamente impossibile in estate. Prendiamo il solito treno veloce e alle 8 siamo già a Odawara, dove acquistiamo l’Hakone Pass, che consente di utilizzare tutti i mezzi della zona per 3900 yen a persona (costa circa 35 euro e vale 2 gg, ma è conveniente anche per uno solo). Prendiamo un primo treno per Hakone Yumoto, quindi un trenino a cremagliera per Gora, da dove parte la funivia, suddivisa in tre tronchi. Al termine del primo tratto scendiamo per una passeggiata lungo un antico cratere, brullo e pieno di solfatare con sorgenti di acqua termale bollente, in cui vengono cotte anche delle uova con il guscio nero. Il contrasto con il resto della vallata, verdissima e coperta di boschi è stridente. Questa è anche l’altezza massima che raggiunge la funivia, circa 1000 metri, che sembra comunque impressionante per i giapponesi. Il secondo tratto è quello da cui si potrebbe avvistare il Fuji-san, ma si vede solo una densa coltre di nubi. Il terzo tratto arriva in riva al lago Ashi, che si attraversa con una crociere su una barca da pirata, inclusa nell’ Hakone Pass. Dal lago si vedono molte cose interessanti, ma del Fuji-san nessuna traccia. Scendiamo a Moto-Hakone, da dove facciamo alcune escursioni a piedi lungo il lago, per vedere un tempio (c’è anche un matrimonio, molte signore sono in kimono), un antico forte e un viale di cipressi giganti. Ritorniamo quindi a Odawara con l’autobus diretto, che percorre una strada a pagamento che attraversa un passo montano, e da qui prendiamo il treno veloce per Tokyo. Abbiamo il tempo per una veloce capatina a Shibuya a completare gli acquisti, soprattutto le cose più delicate, quali spaghetti e dolcetti da portare a casa, che non volevamo rovinare nei tanti trasferimenti fatti. Ritorniamo in hotel per ritirare i bagagli e andiamo alla Tokyo Station per salire sul Narita Express prenotato. Visto che oggi è l’ultimo giorno di validità del JR Pass e domani mattina abbiamo il volo per l’Italia, abbiamo pensato di passare l’ultima notte in un hotel vicino all’aeroporto, così risparmiamo il costo del transfer e domattina possiamo dormire tranquillamente un po’ di più, finalmente! Dall’aeroporto prendiamo la navetta per l’hotel, dove arriviamo poco prima che chiuda il buffet del ristorante. Vista la giornata intensissima, durante la quale non abbiamo nemmeno avuto tempo di pensare al cibo, vogliamo assolutamente gratificarci con una cena di buon livello. Il tema del buffet è Crab&Steak, cioè granchio e carne di manzo alla griglia, ma ci sono anche molte altre buone cose, tra cui frutta fresca, una vera rarità da queste parti. Le bevande analcoliche, il tè e il caffè sono inclusi nel costo totale di 3600 yen a testa, un rapporto qualità/ prezzo di buon livello, vista la scelta quasi obbligata.

16° giorno

Ci svegliamo e ci prepariamo con calma, dobbiamo anche organizzare il bagaglio a mano per il volo e stipare nelle piccole valigie gli ultimi acquisti di ieri. Quando siamo pronti prendiamo la navetta gratuita dell’hotel per l’aeroporto, che è pieno di negozi e ristoranti di ogni tipo, quindi non abbiamo problemi a trascorrere il tempo tra il check-in e l’imbarco. Sull’aereo ci troviamo anche nella piacevole situazione di avere a disposizione 3 sedili tutti per noi, quindi riusciamo a sistemarci abbastanza comodamente e a dormire un po’, nonostante tutto il volo sia di giorno, visto che si arriva a Roma alle 19.

Durante il ritorno facciamo il resoconto degli aspetti positivi e negativi del viaggio: – siamo riusciti a vedere tutto quanto incluso nell’ambizioso programma stilato prima della partenza; – siamo molto stanchi per il clima spiacevole (piovoso prima e molto caldo dopo) accentuato dagli eccessi dell’aria condizionata, il portare i bagagli nei trasferimenti, il tanto tempo passato su treni, autobus, metro e per il lungo viaggio in aereo; – non è stata una vacanza gourmet, ma siamo sempre riusciti a mangiare in modo vario, assaggiando molti cibi tipici e a costi contenuti, in locali frequentati solo o quasi da giapponesi; – nonostante abbiamo selezionato con cura i templi da visitare, cercando di visitarne pochi e con caratteristiche diverse, ripensandoci facciamo fatica a distinguerli l’uno dall’altro; – le città sono poco attraenti, la stessa Tokyo manca di un elemento caratterizzante, è più un insieme di enormi quartieri; – i giapponesi sono molto gentili, ma è difficile entrare in contatto con loro, sembra che abbiano problemi anche a relazionarsi tra loro; sui treni e in metropolitana non parlano tra loro, dormono in qualsiasi posizione e si svegliano solo appena prima di scendere. Nel complesso sembrano abbastanza tristi; – i giapponesi sono anche molto insicuri, ma questo torna a vantaggio dei turisti, visto che ci sono molte indicazioni dappertutto e quando si ottengono informazioni da chi parla inglese (come negli uffici del turismo) sono sempre molto precise e dettagliate; se però si fa una domanda “anomala”, non prevista, si ottengono solo risposte vaghe; – tutto è organizzato molto bene e in modo prevedibile, una volta capiti i loro sistemi e meccanismi; – si percepisce un il livello di sicurezza molto elevato, le signore hanno i portafogli in vista nelle borsette aperte, che lasciano sulla sedia del ristorante mentre vanno in bagno; – il livello di pulizia e di educazione è molto alto, si apprezza molto nei bagni pubblici, presenti ovunque, negli hotel e ristoranti di ogni livello.

Esperienza sicuramente positiva, in linea con le aspettative, che consigliamo vivamente.



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