Fuerteventura la selvaggia

La più grande e la più selvaggia delle isole Canarie da visitare con calma in un soggiorno di dieci giorni, alternando visite culturali e naturalistiche con del semplice relax sulle grandi spiagge e un mare cristallino.
Scritto da: Tonyofitaly
fuerteventura la selvaggia
Partenza il: 22/09/2019
Ritorno il: 01/10/2019
Viaggiatori: 3
Spesa: 1000 €
Delle quattro grandi isole Canarie, l’unica che ancora dovevo visitare era Fuerteventura, intravista dalle spiagge del sud di Lanzarote in occasione dei miei due soggiorni sull’isola: prese informazioni su vari siti e da letture selezionate, ho potuto appurare che l’isola viene considerata la più selvaggia e “nature” dell’arcipelago. Poiché è l’unica ancora non visitata, perché non trascorrerci una decina di giorni alla sua scoperta? Così ho prenotato un volo Ryanair per fine settembre, due alberghi (uno a sud e uno a nord, visto la lunghezza dell’isola nonché anche la sua vastità) e un’auto per tutta la durata del soggiorno, pianificando quotidianamente dei percorsi tali da poter visitare un bel po’ di posti e da concederci anche l’opportunità di approfittare del mare e del sole. Quello che sto per scrivervi è il resoconto di questo soggiorno nell’isola più selvaggia delle Canarie.

Domenica 22 settembre

È notte fonda quando si parte da casa: la Ryanair ha ben pensato di mettere un volo per Fuerteventura con partenza alle 06.10 del mattino quindi tra il raggiungere Orio, lasciar l’auto al Parkingo (65€ per 10 giorni ma solo perché ne siamo clienti, altrimenti la cifra sale), incontrare il nostro amico Vito e affrontare la fila per lasciare il bagaglio da stiva al gate si perde tutta la mattinata e il tempo di un caffè è così breve che mentre lo beviamo chiamano per l’imbarco del nostro volo. Partiti in orario, l’aereo percorre tranquillamente la sua rotta e poco dopo le 9 del mattino (ora locale) atterra all’aeroporto di Fuerteventura in una splendida giornata di sole: siamo partiti con felpe e maniche lunghe e camminiamo in un’aria già bella tiepidina! All’aeroporto, dopo la consegna dei bagagli, affrontiamo la lunga fila alla Cicar per il ritiro dell’auto: abbiamo prenotato una media (Corsa o Fiesta) per 10 giorni al prezzo di € 140, già assicurata e con doppio guidatore gratis, ma ci viene rifilata invece una Leon, più grande e ottima per i bagagli che vengono agevolmente sistemati; poi partiamo per Costa Calma, a sud dell’isola. La lunga autovia FV-2, scorrevole e moderna, penetra tra vulcani spenti e rocce laviche in un’atmosfera brulla e selvaggia senza alcun segno di alberi né di macchie verdi ma solo arbusti e sparuti gruppetti di palme. Il cielo è azzurro e il sole splende vivo quando, dopo un’oretta, arriviamo a Costa Calma: questo agglomerato di case vacanze ed hotels sorge sull’istmo de la Pared, la striscia di sabbia creata in centinaia di migliaia di anni dall’accumulo delle sabbie del Sahara, che ora unisce il resto dell’isola con la penisola di Jandia. Qui sorge il Bahia Calma Beach Resort, un complesso di appartamenti prospicienti la lunga spiaggia sabbiosa della località: ce ne viene assegnato uno ben fornito, al prezzo di € 216 per tre notti. Ci sistemiamo, poi ci rechiamo al bar de Marko, una tapicerìa in Calle de Sicasumbre molto conosciuta e quotata: le sue tapas sono a dir poco favolose (quella alle melenzane fritte con miele le sogno ancora di notte) e spendiamo appena € 11 a testa per un veloce e gustoso buon pasto. Ovviamente il resto della giornata viene trascorso nel riposo e in un giro d’un paio d’ore al mare.

Lunedì 23 settembre

Partiamo in mattinata per la nostra prima escursione, che toccherà il sud dell’isola. Sulla poco trafficata FV-2 andiamo verso sud, passando per l’affollato centro turistico di Morro Jable e proseguendo verso El Puertito/Cofete. Ad un certo punto un cartello indica l’ingresso al Parque Natural de Jandìa e la strada smette di essere asfaltata per diventare sterrata: sarebbe meglio affrontarla con un 4×4 ma una utilitaria qualsiasi va bene lo stesso, basta ridurre leggermente la velocità. Ci impieghiamo quasi un’oretta per seguire il saliscendi della strada tra pendii, barrancos e malpaìs (le grandi colate laviche che hanno reso brullo e impervio il paesaggio) e giungere a El Puertito e al vicino Faro di Jandìa: siamo nella punta estrema dell’isola, dove il vento soffia imperante e il mare si riversa con enormi onde sulle scogliere sottostanti. Da lontano, i resti dei vulcani contrastano con l’azzurro cielo e le nuvole corrono veloci spinte da alte correnti. Sebbene il faro abbia un che di abbandonato, il posto è molto bello e le foto a riguardo si sprecano. Decidiamo di raggiungere anche l’altro faro, quello di punta Pesebre, ma la strada è ben peggiore della prima, da affrontare davvero a passo d’uomo però, giunti poi al faro più o meno dopo 15 minuti, lo spettacolo della natura è ancora più affascinante (anche se il faro è a dir poco miserevole: una costruzione alta un paio di metri e nulla più). Torniamo pian piano indietro e ci fermiamo per ammirare una piccola baia, playa de los Oyos, dove è possibile bagnarsi grazie ad una serie di scogli naturali che bloccano la furia del mare creando un piccolo golfo interno tranquillo e dall’acqua trasparente. Ritornati sulla strada principale, ripercorriamo la strada d’andata ma solo fino all’incrocio con la strada per Cofete: da questo bivio inizia davvero un’avventura perché la strada si inerpica sulla montagna, non ha barriere e in alcuni punti è larga appena poco più di una corsia. Fino al piccolo Mirador de Barlovento ce la caviamo, meritandoci una sosta e una bellissima veduta sulla costa occidentale dell’isola, accompagnata dalla presenza delle classiche capre locali. È dopo che viviamo un po’ di ansia perché la strada discende a tornanti lungo il fianco del monte e dà proprio su burroni e salti, senza contare che due auto a stento riescono a passare contemporaneamente. Comunque tra clacsonate, frenate, velocità ridotta e quant’altro, arriviamo all’agglomerato di Cofete dirigendoci subito verso il Cemeterio e la playa. Siamo in arrivo quando, a quasi 20 metri dal parcheggio… foriamo! Attimi di panico: speriamo di avere il ruotino perché la gomma è squarciata. Per fortuna c’è quindi la cambiano, non senza difficoltà su un terreno di sabbia e pietra, e raggiungiamo la playa di Cofete, dove si trova anche il cimitero della piccola comunità, buona parte sommerso dalla sabbia. La spiaggia è enorme, il mare genera onde alte, ci sono tanti aquiloni e qualche temerario accenna ad un tuffo, sebbene vediamo surfisti e windsurfisti essere maggiormente i padroni di questo remoto litorale. Col pensiero del ruotino, torniamo piano piano indietro e decidiamo di riportare l’auto alla Cicar più vicina, che è a Morro Jable: Google Maps mi dà un ufficio al Porto quindi riprendiamo la strada lì diretti. Lasciamo così il selvaggio parco naturale di Jandia e ritorniamo a Morro Jable, raggiungendo l’ufficio che, però, è chiuso per la pausa pranzo. Noi ci fermiamo da Restaurante Cofradìa, proprio lì vicino, assaggiando delle gustose crocchette di pesce, un ottimo melòn y jambòn serrano, delle patatas arrugadas (patate cotte con la buccia da insaporire con una salsina apposita detta mojo) e il gofìo, una pastella tipo polenta da mangiar con il mojo o con una salsa piccante. Dopo pranzo scopriamo che questo ufficio è chiuso nel pomeriggio ma è aperto quello sul lungomare di Morro Jable quindi ci rechiamo lì e l’addetta presente, dopo aver visionato l’auto, non può far altro che cambiarcela: siamo ben felici anche se siamo costretti ad accettare una Corsa, ben più piccola della prima. Fatto il cambio e sistemata la parte burocratica, ci fermiamo per un breve giretto sul lungomare, ammirando l’alto faro e la carcassa di una balena messa in bella mostra, ripartendo poi per Costa Calma, dove abbiamo intenzione di finire il pomeriggio con un bel bagno nel mare turchese.

Martedì 24 settembre

Riprendiamo le escursioni programmate e ci dirigiamo verso il centro dell’isola, percorrendo la strada FV-605 che porta a Pajara e fermandoci al Mirador de Sicasumbre: qui sono posizionati un osservatorio astronomico in pietra, raggiungibile dopo un’ardua salita, e una terrazza ornata da statue di capre da cui è possibile ammirare il panorama. Dopo la visita e le consuete foto, ci dirigiamo verso Ajuy, piccolo villaggio sito su una spiaggia nera da cui parte la visita alle omonime grotte. Parcheggiamo in un apposito spazio e passiamo per le piccole casette di pescatori, fino alla salita da cui inizia la visita: un cartellone ci spiega che qui ci sono le testimonianze geologiche su come si sia formata l’isola. Infatti, strati di pietra scuri (segno di antiche colate laviche), si alternano a strati di pietre plutoniche, ossia di pietre spinte verso l’alto dalle sottostanti forze tettoniche. Tutto questo movimento, durato milioni di anni e unito alla forza del mare, ha prodotto le particolari scogliere nonché la serie di grotte che contraddistinguono questo tratto di costa. La visita procede lungo un percorso non difficile ma che necessita di scarpe adatte (non di certo gli infradito!) e visitiamo i forni di calce, che veniva prodotta qui ed utilizzata in tutte le isole, il porto d’imbarco del materiale e la grotta nera, un’enorme cavità situata proprio al di sotto di una colata lavica e contenente una piccola spiaggetta. Terminata la visita, ritorniamo di nuovo sulla strada per Pajara, giungendovi davvero in pochi minuti: la cittadina è molto carina, con dei bei giardinetti e una chiesa che vogliamo assolutamente visitare. Si tratta, infatti, della Chiesa di Nostra Signora de Regla (non de la Regla: sono stato redarguito da una gentil signora per averlo detto così), una costruzione del 1687 in stile tipico canario ma con un portale che racchiude una serie di decorazioni azteche. L’interno, che si illumina al pagamento di € 1, mostra due altari contenenti le statue della Santa Vergine bellamente addobbate. Facciamo anche un breve giro nei giardini e poi riprendiamo il percorso per Betancuria, nostra meta principale. Lungo la strada, che a tornanti sale sulle montagne laviche, ci fermiamo prima al Mirador del Risco de la Peñas, conosciuto più che altro per la presenza di numerosissimi scoiattoli che scorrazzano sulle sottostanti rocce e a cui è vietato di dar cibo, e poi al Mirador Las Peñitas, un po’ più in alto: siamo davvero in uno dei punti più elevati e al di sotto si può intravedere l’omonimo barranco, chiuso da una diga a formare uno dei rari laghi presenti. Proseguendo verso Betancuria, ci fermiamo a visitare la piccola Ermita de la Virgen de la Peña, situata in una deliziosa piazzetta: questa chiesa è meta di un pellegrinaggio annuale da parte dei fedeli dell’isola. Arriviamo a Betancuria in orario giusto per un lauto pranzo e, dopo aver parcheggiato, entriamo nel piccolo centro e ci fermiamo per un sandwich a Casa Santa Maria, una cafetteria con un bel giardino ombroso. La piacevole sosta termina dopo un’oretta e andiamo quindi a visitare la bella piazza su cui si erge la Chiesa di Santa Maria de Betancuria, la cui bianca mole e il campanile si prestano a foto di rito. L’ingresso è a pagamento ma l’interno semplice non invoglia alla visita così prendiamo un po’ di fresco al cospetto di una fontana davanti il Museo di Artesanìa. Un breve giro per i negozi presenti e ritorniamo al parcheggio per riprendere la strada lasciata, non senza fermarci, fuori paese, ad ammirare i resti del Convento di San Bonaventura, distrutto da un’incursione piratesca, e la piccola Ermita di San Diego, purtroppo chiusa. Un altro po’ di salita ed arriviamo al Mirador de Guise y Arose, due capi guanchi a cui sono dedicate le enormi statue presenti, che affacciano sulle sottostanti vallate: siamo nel punto più alto e si possono ammirare da qui entrambe le coste. Vorremmo salire anche al vicino Mirador de Morro Velosa ma la strada è chiusa così iniziamo la discesa verso Antigua, fermandoci nella piazza principale per fotografare la bella Iglesia de Nuestra Señora de Antigua e la dirimpettaia Biblioteca Municipale, in stile canario. Riprendiamo la strada e ci fermiamo a Tiscamanita giusto per ammirare e fotografare il mulino e proseguendo, poi per Costa Calma, dove arriviamo in orario per prenotare presso il ristorante “La Terraza El Gato” un tavolo per la sera: il panorama dal mirador di fronte ci incanta così ritorniamo in albergo, ci prepariamo per il mare e raggiungiamo di nuovo la spiaggia H10 per un salutare e divertente bagno pomeridiano, accompagnato da un paio d’ore d’ultimo sole.

Ceniamo la sera al ristorante, mangiando davvero bene del buon pesce e degustando un fresco tinto blanco, per una spesa di € 24 a testa.

Mercoledì 25 ottobre

Questa mattina lasciamo Costa Calma e il sud e ci dirigiamo verso il nord con l’intenzione, durante questa risalita, di fermarci in alcuni posti programmati da visitare: il primo è Las Playitas, un delizioso porticciolo sito in una larga rada e composto da case bianche. Una piccola passeggiata si affaccia su un mare cristallino dove arzilli vecchietti si tuffano dal prospiciente molo e, da lontano, palme e montagne di lava incorniciano uno splendido cielo blu: davvero sembra tutto una cartolina. Appena usciti dal paesino, c’è l’indicazione per il faro de la Entellada, che raggiungiamo dopo un percorso tra montagne brulle e valli disabitate: dal parcheggio antistante si può ammirare un burrascoso tratto di mare e secondo noi, col bel tempo chiaro, anche la costa africana. Dal faro ci dirigiamo verso Caleta de Fuste per visitare il Castillo ma la costruzione è situata in una trafficatissima rotonda così ci limitiamo a far qualche foto e ad ammirarne la piccola mole. Proseguiamo allora il viaggio verso Antigua, prossima meta nota per la presenza del Museo del Queso Majorero, che si trova a nord poco fuori il centro abitato: al prezzo di € 4 possiamo visitare un mulino, dove all’interno sono mostrate le fasi di lavorazione del grano, il museo del formaggio tipico di quest’isola (con le spiegazioni da come nasce fino alla sua produzione) e un giardino di piante grasse. È ora di pranzo e dobbiamo far benzina quindi ci dirigiamo verso La Ampuyenta per visitare la Ermita de San Pietro de Alcantara ma la troviamo chiusa e ci limitiamo a far delle foto esternamente. Raggiungiamo quindi Casillas del Angel con l’intento di far rifornimento e pranzare ma se il primo lo facciamo con tutta tranquillità, il secondo ci spiazza perché il vicino ristorante scelto è chiuso per ferie. Allora consultiamo velocemente Google Maps per scoprire che più avanti c’è un altro ristorante anche ben quotato, il Rugama, dove prontamente ci dirigiamo non senza fermarci un attimo a visitare la Paroquia di Santa Ana per ammirare la facciata di mattoni lavici che la caratterizza. Da Rugama la sosta è deliziosa: il ristorante è fresco e molto carino e la scelta del cibo varia. Noi prendiamo una presentazione di quesos locali, un pollo alla brace, una cotoletta e un trancio di pesce accompagnato da giusto mezzo litro di vino in due (c’è da guidare!) e anche un dolcetto molto buono, per una spesa di circa 18 € a persona. Da qui, ripartiamo alla volta di Corralejo, percorrendo la strada fino a Puerto del Rosario poi imboccando la FV-3 ed infine la FV-1 in direzione nord, fino all’imbocco della cittadina e poi diritti al parcheggio del nostro nuovo hotel, il Bristol Sunset Beach. Trascorreremo, infatti, il resto della vacanza in questo complesso di appartamenti situato nella parte nord di Corralejo, a scarso 10 minuti di cammino dal porto e dal centro, in una zona tranquilla e ben servita da supermercati. Il soggiorno di 6 notti in un appartamento ben fornito (fa tanto Ikea ma è tutto molto spazioso) composto da un salotto con angolo cottura, un bagno e una camera da letto ci viene a costare € 390,00, con possibilità di utilizzare la palestra e la piscina.

Sistematici negli appartamenti e fatto un dovuto riposo, la sera gironzoliamo per il centro di Corralejo alla scoperta della cittadina, dei suoi ristoranti e dei suoi locali.

Giovedì 26 settembre

La giornata sembra uggiosa ma ciò non vieta il recarci alle Dune di Corralejo, situate a sud del centro abitato e facenti parti del Parque Natural de Corralejo: formatesi nel corso di migliaia di anni grazie all’apporto della sabbia del Sahara, questo ambiente lo ricorda tantissimo, macchiato com’è da una rada vegetazione in cui abbiamo visto pascolare anche le capre locali. Il mare è davvero bellissimo e la lunga spiaggia, interrotta purtroppo da due “ecomostri” appartenenti ad una famosa catena d’alberghi, è quasi tutta a disposizione dei bagnanti, che possono trascorrere qui il tempo semplicemente crogiolandosi al sole (nudi o in costume è totalmente indifferente) o dedicandosi ad attività come il surf, il windsurf o altro sport nautico. Per raggiungere le dune, basta percorrere la FV-1a e fermarsi nelle piazzole di sosta situate ai lati, dove lasciare l’auto e andare a piedi fino al mare. Rientriamo in albergo poco dopo ora di pranzo in quanto il nostro amico Vito ha il corso di surf e noi due non vogliamo approfittare troppo del sole per ritrovarci poi con una sonora scottatura.

In serata, dopo cena, bel giro locali per il centro con sosta drink, godendo della brezza marina.

Venerdì 27 settembre

Giornata adatta per una bella escursione quindi ci rechiamo a piedi al porto, in attesa di imbarcarci sul traghetto che collega Corralejo all’isola di Lobos. Premetto che prima di partire dall’Italia, ho prenotato l’escursione direttamente sul sito della compagnia di navigazione Naviera Nortour, la quale provvede al trasporto di coloro che non vogliono utilizzare i taxi d’acqua (ritenuti troppo veloci e spericolati) e a far ottenere il permesso d’accesso, in quanto attualmente non più di 400 persone possono accedere al giorno sull’isola, al fine di preservare la bellezza e la natura del posto. Il nostro traghetto parte puntuale alle 11 e, in un quarto d’ora, ci lascia all’imbarcadero: avvicinandoci, notiamo il vulcano che ha generato l’isola ergersi su un mare cristallino che s’insinua in rade e piccole insenature. Dall’imbarcadero proseguiamo per il piccolo villaggio, dove è possibile prenotare un tavolo nell’unico ristorante presente sull’isola: da tener presente che si pranza tassativamente entro le 13 se ci si vuol sedere, altrimenti bisogna prenotare il pranzo al sacco e poi ritirarlo all’ora stabilita, mangiandolo fuori. Il piccolo villaggio si apre su due baie dall’acqua trasparente che invita al tuffo immediato ma non cediamo e proseguiamo lungo il tragitto di terra battuta in direzione de Las Lagunitas: a riguardo, consiglio di avere una buona calzatura con un no tassativo a infradito o sandali.

La passeggiata ci porta ad ammirare la natura endemica di quest’isolotto, fino alle pozze d’acqua formate dal mare in questo punto, visibili da un piccolo mirador sovrastante. Da Las Lagunitas continuiamo sotto il sole e sotto i fianchi di piccoli vulcani e resti di colate laviche, ora ricoperti da una caratteristica vegetazione di piante grasse e fiori del deserto.

Dopo più di un’ora di cammino, giungiamo ai piedi della salita che porta al faro di San Martino, estrema punta nord dell’isolotto: da questo solitario e ameno posto si può scorgere la dirimpettaia Lanzarote e si può ammirare l’estensione brulla del pezzo di terra. Lasciato il ventoso faro, facciamo ritorno sotto il sole cocente utilizzando l’altro sentiero, che lambisce il lato occidentale e passa sotto ciò che rimane del vulcano padre dell’isola: arriviamo così, dopo un’altra ora di cammino, alla Playa de la Conche de Lobos, la spiaggia che ospitava i leoni marini (lobos, appunto) quando erano i padroni dell’isola. Qui è d’obbligo fermarsi e raffreddare le bollenti membra nella meravigliosa acqua cristallina. Dopo il salutare bagno e un accenno di tintarella, proviamo a vedere se il ristorante può concederci del cibo ma, data l’ora (siamo oltre 14), ha solo da offrire gelati o patatine in quanto tutto il cibo è stato già divorato dagli altri turisti.

Tra un riposo, un altro tuffo nella cristallina rada e un giretto per le poche case, arriviamo fino alle 16, orario di rientro previsto (gli orari vanno scelti al momento della prenotazione): il traghetto è puntuale e ci riporta velocemente indietro, dopo aver lasciato questo bel posto.

Spuntino velocissimo e leggero al bar La Lonja presso il molo e poi Il pomeriggio lo trascorriamo con un bel riposo, seguito da una cena italiana cucinata dal sottoscritto e un giro locali con chupitos al rhum e miele, specialità fuerteventurina.

Sabato 28 settembre

Il nostro amico Vito ha di nuovo il corso di surf in mattinata, quindi ne approfittiamo per girare il centro alla ricerca di souvenir e regalini da portare ad amici e parenti e per visitare la città, in quanto nel piccolo centro storico sono presenti due mulini e una serie di statue dedicate ai pescatori.

Corralejo ha un minuscolo centro storico, che ricorda i tempi in cui era solo un villaggio di pescatori, nel cui intorno s’è sviluppata l’odierna cittadina, votata principalmente alla ricezione turistica: il porto è stato ampliato e una passeggiata lambisce le spiagge di Muele Chico, de Clavellina e de la Galeta, detta anche di Waikiki per la presenza di un locale dal nome omonimo.

L’ampia avenida Nuestra Senora del Carmen o Strada Principale si snoda lungo la parte nuova, composta da centri commerciali diurni, dove trovare negozi di vario genere, da centri commerciali notturni, in cui ci sono locali di divertimento, da alberghi per tutte le tasche e da ristoranti per tutti i gusti. Pranzo consueto al bar La Lonja, che per noi fa i panini al pesce più buoni dell’isola, per poi, nel primo pomeriggio e visto che siamo liberi da impegni, goderci un paio di ore di sole nella piscina del nostro albergo.

Domenica 29 settembre

Siamo agli sgoccioli della vacanza e stamattina affrontiamo l’ultima escursione, che ci porterà in giro per il nord: partiamo in direzione La Oliva, dove arriviamo in scarso mezz’ora, e parcheggiamo davanti la Chiesa di Nostra Signora de la Candelaria, riconoscibile per il campanile di mattoni lavici che contrastano con la muratura bianca della stessa chiesa.

L’interno, molto sobrio, rivela due altari: quello centrale, con una statua della Vergine circondata da quadri di santi: l’altro laterale, invece, è un tabernacolo scolpito nel legno dorato in cui è custodita, in un’apposita nicchia centrale, un’altra statua della Santa Vergine. Entrambe sono molto belle e vestite con abiti sontuosi ed eleganti.

Dalla chiesa ci spostiamo con una breve camminata fino a la Casa de los Coroneles, l’antica residenza dei governatori dell’isola, oggi restaurata e aperta al pubblico (non di domenica né di lunedì, però): la bella facciata dalle multiple finestre, dalle balconate di legno e da un sontuoso portale d’ingresso contrasta con i meravigliosi dintorni, composti da montagne brulle, palmeti lontani e case diroccate, che ricordano molto gli scenari marocchini.

Da La Oliva ci spostiamo velocemente a Tindaya, per portarci ai piedi della montagna che ha, nei secoli passati, contribuito alla formazione del paesaggio circostanti: quella che ora viene appunto definita montagna, è tutto ciò che resta di un distruttivo vulcano spentosi migliaia di anni fa.

Dopo le foto di rito, riprendiamo la strada per Tefìa, sostando brevemente su una piazzola di fronte al Monumento a Miguel de Unamuno, posto sulle pendici di un vulcano spento e collassato: è l’omaggio che l’isola fa al politico filosofo che qui vi trascorse un periodo da esiliato. Tefìa è un agglomerato di case sparse su un dolce digrado che va verso l’Oceano e che ospita l’Ecomuseo de La Alcogida e uno dei tanti antichi tipici mulini: dopo aver trovato quest’ultimo, ci fermiamo per le solite immancabili foto. Da Tefìa ritorniamo indietro e proseguiamo per Lajares, entrandovi proprio da una strada rettilinea che passa davanti la piccola Ermita de San Antonio e sbuca vicino la piazza principale: crediamo di trovare un piccolo mercato artigianale ma scopriamo che si tiene solo il sabato mattina. Da Lajares allora andiamo direttamente a El Cotillo, la cittadina marinara situata sulla costa nord occidentale dell’isola, parcheggiando subito nei pressi del porto e, da qui, muovendoci per il vicino Castillo de Tostòn: quest’ultimo è una piccola torretta di avvistamento utilizzata nei tempi passati per prevenire le scorrerie piratesche. Appena vicino, lo scheletro di una balena fa bella mostra sullo sfondo dell’adiacente playa, battuta oggi da un vento costante e da grosse onde.

Ci fermiamo per pranzo al bar Aguayre, scoprendo che è gestito da italiani, dove ci preparano dei buoni sandwich pagati in tutto appena 7€ a testa. Dopo la lieta sosta, riprendiamo la strada per il Faro del Toston, situato più a nord: questo sarà l’ultimo faro delle nostre escursioni. Al ritorno, una sosta è doverosa alla Playa Chica, una serie di lagune ed insenature dall’acqua azzurrissima dove è possibile fare il bagno al riparo dei marosi oceanici che, soprattutto oggi, imperversano furiosi.

Rientrati a Corralejo, ritorniamo alle dune per un bagno nelle acque ora in bassa marea e, da questo lato dell’isola, stranamente calme: spettacolare vedere che gli scogli sommersi al mattino poi spuntano letteralmente a pelo dell’acqua.

Andiamo via assistendo ad un meraviglioso tramonto rosso-dorato.

Lunedì 30 settembre

Anche questa mattina Vito ha l’ultimo giro del suo corso di surf quindi ci lascia soli soletti, liberi per un giro supermercati alla ricerca di riso per paella (c’è una marca specifica proprio per la paella), di pacchi di fideuà (è il sostituto della paella solo che è pasta) e per comprare anche un pacco di gofìo, che si vende nei comuni supermercati. Nel pomeriggio prepariamo la valigia poi, in serata, andiamo a cena da La Playita, un ristorante che si affaccia su playa de Muelle Chico: sebbene il posto sia molto carino e l’atmosfera allegra e vivace, la paella che assaggiamo è abbastanza ordinaria e leggermente risottata.

Ultimo giro locali per l’ultimo chupito al rhum e miele (per me una droga!) e poi a nanna, per affrontare domani la partenza.

Martedì 1° ottobre

Alle 11 confermiamo il check out all’albergo, onde evitare il pagamento di un sovrapprezzo, poi carichiamo l’auto e ci dirigiamo verso Puerto del Rosario, passando però per le dune di Corralejo al fine di salutare la nostra spiaggia preferita. La strada è trafficata ma dopo mezz’ora entriamo nel centro urbano più grande dell’isola, assurto a capoluogo della provincia: gironzoliamo per le strade fino a trovare un buon parcheggio presso il porto, per poi immergerci lungo calle Primero de Mayo, asse principale del dedalo di strade. Già all’ingresso, totalmente pedonale, troviamo un gruppo scultoreo e lungo la strada ce ne sono altri che fanno parte di un progetto urbanistico definito Parque Escultorico de Fuerteventura, in cui artisti locali, nazionali e internazionali espongono loro lavori nelle principali strade della città: un primo gruppo si trova qui, il resto è sistemato sul lungomare. Camminando, arriviamo alla Parrocchia di Nostra Signora del Rosario, da cui prende poi il nome la città, e alla dirimpettaia sede del Governo di Fuerteventura, un enorme palazzo in stile canario. Scendendo da qui per calle del Rosario, sul cui pavimento è dipinto un bel murales, giungiamo alla Fuente de la Explanada, sita quasi all’inizio dell’avenida Reyes de Espana ossia del lungomare: un salto al vicino ufficio del turismo e, con un’apposita mappa correlata di spiegazioni, iniziamo a percorrere il tragitto su cui sono sistemate le altre statue appartenenti al Parque Escultorico.

Ammiriamo così la “Caracolas”, l’”Alas de angel”, lo “Chevalier” e tanti altri lungo una passeggiata che ci porta fino a playa del pozo o playa Chica, una bellissima spiaggia di sabbia bianca e dal mare azzurrissimo.

Data l’ora di pranzo, ci fermiamo al bar la Avutarda per ripararci dal sole e mangiar qualcosa prima di andare in aeroporto.

Dopo il pranzo e il riposino, lasciamo Puerto del Rosario e raggiungiamo il vicino aeroporto, dove lasciamo l’auto alla Cicar: aspettiamo l’apertura del check in per imbarcare le valige poi, dopo i controlli, mi fiondo nel duty free, dove acquisto due bottiglie di sangria (una blanca), une pacchi di biscotti Dona Jimena (un marchio classico presente in tutti gli aeroporti) e il rum al miele.

Il volo è puntualissimo anzi, atterriamo a Bergamo con 15 minuti di anticipo, ponendo fine così alla bella vacanza canarina.

Riflessioni e suggerimenti

Come amante delle isole Canarie, ho trovato Fuerteventura un’isola molto bella, selvaggia e cruda in molti punti e turistica nelle principali località.

Per fortuna i Parchi naturali preservano la vera anima di questo posto, che va conosciuta allontanandosi dai cammini conosciuti, soprattutto al sud.

L’offerta turistica è alta ma non l’ho trovata completa come a Lanzarote, che resta l’esempio più lampante di come debba essere gestito il turismo nelle isole Canarie: comunque, qualunque sia il periodo di visita, è sempre l’occasione buona per staccare dalle solite abitudini e godersi il sole, il mare e la tranquillità.

Di seguito, i siti consultati per l’organizzazione del viaggio e la prenotazione di alcuni servizi:

https://navieranortour.com/it/

https://www.ciaoisolecanarie.com/fuerteventura/

https://www.isoladifuerteventura.com/

https://www.cicar.com/IT



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