Un week end tutto di corsa tra Reims e Charleville

La Maratona e la partita di Ligue 1. La nuova cucina italiana e la choucroute di Alain
Scritto da: Andrea Misuri
un week end tutto di corsa tra reims e charleville
Partenza il: 17/10/2013
Ritorno il: 21/10/2013
Viaggiatori: 6
Spesa: 500 €

Primo giorno A Reims

Appuntamento annuale per la Maratona di fine ottobre. L’impegno agonistico in un clima di festa cittadina, l’incontro con gli amici locali, l’occasione per qualche coppa di champagne. Arriviamo dopo una giornata trascorsa alternandoci al volante. Il Bristol Hotel, 78-80 place Drouet d’Erlon, si rivela una scelta azzeccata. Siamo nel cuore di Reims. Un po’ quello (mantenendo le dovute distanze) che gli “Champs Elysées” rappresentano per Parigi. Questo largo viale nacque sul finire del XII secolo, per riunire gli artigiani del legno ed accogliere la fiera annuale di Pasqua. Qui si concentrano hotel, cinema, negozi di moda, cioccolaterie. Brasserie, birrerie e ristoranti sono tra i più frequentati della città. Scegliamo Aux Coteaux, 86 place Drouet d’Erlon, popolare e sempre affollato. Ambiente familiare, arredamento colorato, piatti tradizionali e regionali mai banali. Gestione ormai trentennale – di padre in figlio – attenta alle richieste di una clientela in buona parte fidelizzata. Scelgo salade jurassienne: belle de Morteau, la salsiccia affumicata della città di cui porta il nome, comté, formaggio a pasta pressata, pancetta, pomodori, patate e crostini. A seguire Guillaume Tell: sorbetto alla mela e calvados.

Secondo giorno

Anche qui, come da noi, le stagioni vanno per conto loro. I tetti aguzzi di Reims, che nei rigidi mesi invernali di un tempo facevano sì che la neve scendesse rapidamente, oggi non sarebbero più necessari. Ancora venticinque anni fa, quando venimmo a correre la prima volta, a ottobre era freddo e la pioggia ghiacciata rendeva difficile la corsa. Oggi si gira in maglietta. Andiamo a giro per il centro. Il naso all’insù per goderci le bellezze architettoniche della città. Uscita in gran parte distrutta dalla Grande Guerra, la ricostruzione di Reims coincise con l’epoca dell’Art Déco. Che ammiriamo, una per tutte, nella facciata di rue de Talleyrand 11. Di fronte, al n. 8, è l’occasione di curiosare a “L’Iris de Florence”, un negozio dedicato all’arte della decorazione della casa. A cominciare dalla tavola, con i servizi i più vari ed eleganti, coltellerie e set di bicchieri. Ancora, divani e poltrone, sedie a sdraio e sgabelli, orologi da parete, statuette di biscuit dipinte a mano e quant’altro potete immaginare trovare posto in una abitazione. Il motivo per il quale mi soffermo su questo storico negozio – fin dai primi decenni del Novecento specializzato in liste per matrimoni e battesimi – è però un altro. E’ l’unica attività commerciale al mondo che porta il nome del simbolo della mia città. Era il 1882 quando Emma Bendix, una giovane signora di 24 anni, in rue des Tapissiers (attualmente rue Carnot), apre la profumeria “L’Iris de Florence”. Con ogni probabilità perché dal bulbo della pianta si estrae un talco bianco assai usato allora nei prodotti di toilette. Poi, nel 1922, il nuovo proprietario Emmanuel Leconte apre il locale nella sede attuale. Il suo messaggio “Un ambiente accogliente per mostrare il valore delle collezioni”, ancora oggi è al centro del rapporto con il cliente.

Per il pranzo ci fermiamo a L’Edito, 74-80 place Drouet d’Erlon. La brasserie è contigua e dello stesso proprietario dell’hotel dove alloggiamo. Sponsor, scopriamo, dello Stade de Reims, saldamente al centro della classifica in Ligue 1. Le parole che pubblicizzano il locale: “Scrivere la storia…” rimandano a Gutenberg ed alla sua invenzione. Tipografie sono disegnate sulle stampe alle pareti. Dal soffitto pende un’istallazione. La rappresentazione di una rotativa con tanto di giornali in uscita. Quotidiani e riviste sono in bella mostra nelle sale. Una scelta originale e d’impatto, nell’arredamento come nella cucina. Abbiamo provato piatti coraggiosi, gli ingredienti ben miscelati. Filetto di salmone, conchiglie saint jacques e pancetta su di un letto di risotto alla parmigiana. Sogliola con riso, cuori di carciofi e peperoni rossi e verdi.

Nel pomeriggio andiamo a trovare dei viticoltori innamorati del loro lavoro. La fattoria si trova a Champlat Et Boujacourt, 10 rue de la Coopérative. Didier Chopin è uno champagne “a cultura ragionata”, come dicono i francesi, di assoluta qualità. La ricerca di un equilibrio naturale in ogni fase della lavorazione, arriva a privilegiare l’uso di fertilizzanti organici diversi, anno per anno, a seconda della qualità del terreno, così come la pressa di legno sostituisce quella in pvc.

Karine e Didier Chopin, 44 anni entrambi, metà dei quali trascorsi a far crescere questa azienda a conduzione familiare creata nel 1989, dove i titolari sono coadiuvati esclusivamente dai figli Adrien e Cindy, rispettivamente 24 e 18 anni. “La cultura della vigna è una passione – mi dice Didier – e l’elaborazione dello champagne è una passione ulteriore che ci piace condividere con tutti”. “La qualità raggiunta – aggiunge Karine – ha consentito ad una realtà artigianale come la nostra di sbarcare su mercati esteri non facili e di incontrare tante persone diverse, che mai avremmo immaginato di conoscere”. In effetti, le etichette sulle casse di champagne in partenza portano indirizzi lontani, dagli Stati Uniti alla Norvegia, dalla Cina al Messico, Jakarta, Hong Kong. Gustiamo alcune coppe di champagne, con le bollicine che salgono, numerose e rapidissime, come sempre in presenza di un perlage fine e persistente. Chapeau!

Stiamo facendo tardi e rientriamo in città. Stasera è in programma Reims – Toulouse. La copertura dello stadio Auguste Delaune è di pochi anni fa. Oggi è una bomboniera di 22.000 comodi posti. La Ligue 1 corrisponde alla nostra Serie A. Eppure né tornelli né restrizioni rallentano l’afflusso composto degli spettatori. Anche il settore del tifo più acceso è decisamente tranquillo, se confrontato con qualunque nostro stadio. Nella tribuna Jonquet, cori d’incitamento, striscioni e bandiere che sventolano. Niente di più. Stesso discorso per gli ospiti. Poche decine di aficionados raggruppati nella tribuna opposta. Il Reims da un paio d’anni è tornato nella massima serie. C’è stato un tempo che si batteva con il Real Madrid per la supremazia in Europa. La squadra di Raymond Kopa, Just Fontaine, Michel Hidalgo, Roger Piantoni, Dominique Colonna. Erano chiamati “la banda di Batteux”, dal nome dell’allenatore qui più amato. Albert Batteux portò la squadra a disputare due finali di Coppa dei Campioni, nel 1956 e nel 1959, contro le imbattibili Merengues di Gento e Di Stefano. Oggi la squadra è saldamente al centro della classifica, con qualche clamoroso risultato che la spinge in su per poi a volte lasciare punti preziosi contro formazioni inferiori (il Reims ha concluso il campionato all’11° posto). L’allenatore Hubert Fournier – 47 anni – ricorda il nostro Vincenzo Montella. Nell’aspetto come nell’idea che ha del calcio. Simpatico, calmo. La volta che infilò quindici partite consecutive senza vittorie, riuscì a tenere unito lo spogliatoio fino all’arrivo dei risultati (da questa stagione, a conferma della stima che lo circonda, è al Lione, dove aveva giocato come difensore. Il nuovo coatch è Jean-Luc Vasseur, altro allenatore giovane e del quale si dice un gran bene). Parlo con il giovane ed entusiasta Steeve Cupaiolo, responsabile della comunicazione del Reims. Mi spiega che i problemi maggiori della squadra nel passare in Ligue 1 sono legati alla mancanza di un Centro polifunzionale, che sta per nascere a Blériot (oggi il Centro è praticamente pronto).

Terzo giorno

Le Halles di Boulingrin sono chiuse dal 1988. Ci sono voluti venticinque anni, infine nel settembre 2012 sono tornate a nuova vita. Con il mercato, è partito il progetto di riqualificazione dell’intero quartiere. Se ne parlò dieci anni fa – era il febbraio 2004 – in un convegno all’Hotel de Ville tra gli amministratori di Reims e di Firenze. Da parte francese si propendeva ancora per una destinazione museale. C’è stato, invece, il recupero degli antichi banchi, della torre interna con l’orologio ben visibile da ogni angolo del grande spazio coperto, delle arcuate e gialle vetrate del soffitto e di quelle che ingentiliscono le pareti, che diffondono all’interno la luce naturale. Il mercato è affollato. I venditori provengono da tutta la regione. Laurent Legentil è di Apremont sur Aire. Vende zucche che non conosco, come la courge spaghetti, di un verde biancastro con all’interno filamenti che ricordano gli spaghetti, da cui il nome, e la grande potiron bleu de Hongrie. Il banco più conosciuto per oche, capponi, agnelli e volatili, è quello di Julien Cogniard. L’allevamento si trova a Pauvres, a metà strada per Charleville. Per il miele delle Ardenne e dell’Aisne ci si ferma da Pascal Waligorski. Siegrist Matthieu è un giovane artigiano cioccolatiere, entusiasta ricercatore di nuovi sapori. Sublimi i suoi cannelés di Bordeaux, pasticcini dall’impasto di vaniglia e rum.

Il mercato prosegue all’esterno, su rue Mars. Il banco storico del bric à brac espone oggetti provenienti da soffitte e cantine di tutta la Francia: due tazzine con fregi a mano in oro e blu sono quel che resta di un servizio di gran valore che il tempo ha disperso, il posacenere in vetro pubblicizza un hotel sui Pirenei, un arrugginito set per la barba è ancora conservato nella custodia in pelle castano chiara. Ho acquistato un cavatappi finto dorato dello Champagne Canard-Duchene, prodotto nel 1968 per i cent’anni della Maison.

Il banco della Maison Audinot è affollato come ogni sabato. Di padre in figlio, dal 1942 – il negozio è in 86-88, avenue d’Epernay – è una delle macellerie più conosciute in città. Aux Saveurs Italiennes è il banco dei fratelli Jonathan e Antoine, di origine parmense. Le specialità in vendita sono di prim’ordine, come i tortelli che arrivano ogni giovedì da Milano via Parigi. Non mancano formaggi regionali di qualità. Il langres, dall’omonimo altopiano in Alta Marna, cremoso dal gusto forte. Il chaource, dal borgo dell’Aube alle sorgenti dell’Armance, dalla crosta bianca e la pasta morbida. L’episses della Borgogna, la cui crosta, durante l’affinamento, lavata con la vinaccia locale, acquista caratteristiche sfumature ramate. Attraversiamo place Forum. Il Fanano, 5 rue Courmeaux, è una boutique a tutti gli effetti, per la qualità dei prodotti gastronomici di casa nostra: prosciutto, vini, caffè… Al banco, il giovane Romain. Il nonno proveniva da Fanano, borgo dell’Alto Appennino modenese.

Passiamo a salutare un’amica, Madame Jackie. Abita a due passi dalla Cattedrale, in rue Vauthier Le Noir, in quella che è stata la dimora di Madame Pommery. Colei che nel 1874 ha l’intuizione di ideare uno champagne secco, elegante e leggero. Crea il primo “brut” millesimato e la storia delle bollicine più famose del mondo cambia per sempre.

Partiamo per Charleville – Mezieres. La città fondata da Carlo I Gonzaga, capoluogo delle Ardenne, uno di quei posti “con il cielo così basso” (avec un ciel si bas), avrebbe cantato Jacques Brel. Partiamo da place Ducale. Fiabesca, immensa, schiacciata sotto un cielo grigio. Dal centro della piazza, lentamente si alza una gigantesca bolla di sapone che va a perdersi tra gli aguzzi tetti dei palazzi. Un gruppo di ragazzi è impegnato a crearne di nuove. In un angolo gira una giostra luminosa e colorata, la sua musica soffusa è il solo rumore, insieme alle prime gocce di pioggia che battono sull’acqua della fontana – una copia dell’originale del Seicento – da pochi anni portata di nuovo qui. Vicino ai portici, solitaria, una panchina in ferro. Un’immagine magica, un’atmosfera quasi irreale. Le silhouette stilizzate di due marionette coprono le facciate dei palazzi d’angolo. Qui, ogni due anni a settembre, si svolge il Festival mondiale dei teatri di marionette e burattini. Il più grande raduno al mondo. Il prossimo appuntamento dal 18 al 27 settembre 2015. Place Ducale fu costruita nel 1606 da Clement Métezeau. Spesso si ricorda la somiglianza con place des Vosges a Parigi. In effetti quest’ultima fu opera del fratello Luigi l’anno successivo. Alcuni di noi si fermano sotto i portici per una birra, ai tavoli del Bar Au Caveau. Le pareti interne, in pietra a vista, rendono omaggio a Rimbaud con suoi ritratti. Altri del gruppo scelgono, lì accanto, L’Entre Temps, caffè culturale, salone per il tè, galleria per mostre. Si riparte per rue du Moulin. La patisserie Le Mont Olympe è forse la migliore della città. La specialità è il carolo, un dolce creato dalla fantasia di un pasticcere locale nel 1962, che, se ho capito, si trova soltanto in questo negozio o poco più. Amaretto croccante, cioccolata, burro, crema, praline. Una piccola bomba energetica, non c’è che dire! Au Travailleur, come dice il nome, vende abbigliamento per lavoratori. Giacconi, pantaloni e camicie adatti alle stagioni invernali e la vita all’aria aperta a prezzi popolari.

Il museo Rimbaud, dedicato al figlio più illustre di questa città, si trova all’interno del Mulino Vecchio sulle sponde della Mosa. Un piccolo museo che raccoglie oggetti, riproduzioni fotografiche, scritti e documenti originali, disegni e caricature del poeta ribelle. Tutto, a Charleville, ruota intorno ad Arthur Rimbaud. Usciamo dal museo e sull’omonimo lungofiume s’allunga un’istallazione artistica dedicata al poeta, con sedie metalliche fissate al terreno. Dall’altro lato della strada c’è la casa dove dimorò da giovane. Risaliamo rue du Président Kennedy, con la facciata del palazzo al n. 16, bell’esempio di Art Déco. Al centro del vasto spazio dove s’incontrano boulevard Gambetta e cours Briand, si erge maestosa la statua dedicata al fondatore della città. Accanto, la baracchina di Roland. A grandi lettere blu si pubblicizzano crepes, arden’glaces, gaufres. Giovani e famiglie fanno la coda da Roland, incuranti della vicinanza con tanto blasone. In rue Pierre Beregovoy c’è la casa natale di Rimbaud, allora rue Thiers. Proseguendo, rue de la République è il luogo dello shopping. La moda da Armand Thiery, i vini di Nicolas, i gadgets di Media Store. La boutique e profumeria Jeanteur è forse il negozio più vecchio della città, con i suoi cent’anni ben portati. Il giro di Charleville si conclude, alle spalle di place Ducale, al Teatro e al Palazzo comunale.

Per la cena siamo di nuovo a Reims, a Il Gusto, 48 rue Dieu Lumiere. Aperto da pochi mesi nei pressi dell’Abbazia di Saint Remi, già si propone come una delle novità più interessanti nel panorama gastronomico cittadino. Cucina tradizionale calabrese proposta insieme a piatti innovativi, per fantasia e accostamento degli ingredienti. Nella cucina tradizionale spiccano matriciani alla Bizantina e fusilli calabresi (pasta artigianale fatta con il ferretto secondo tradizione) al tartufo. Tra i piatti innovativi, paccheri con gamberi e zucchine, fusilli ai porcini e speck e un (sublime) risotto allo zafferano e scampi. Si percepisce dal sorriso accogliente di Vincent ai tavoli, il desiderio di metterti a tuo agio. Una scelta azzeccata. Anche per quel voler ribadire la bella radice italiana di chi l’ha voluto così. La dolce vita – scritta incisa sul vetro dei calici – di nome e qui anche di fatto. Entrando, siamo attratti da stampe in bianco e nero che smuovono i sentimenti. Immagini e ricordi del meglio del cinema italiano Anni Cinquanta e Sessanta. Con la bellezza sorridente e insieme amara di giovani artisti di quel tempo irripetibile: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Claudia Cardinale, Anna Magnani. Nelle foto esposte, spesso sorpresi dall’obiettivo a bordo della Vespa, simbolo di un Paese impegnato a costruire con entusiasmo il proprio futuro. In questo locale la Vespa è dappertutto – foto, stampe, modellini – immagine stessa di un’Italia vincente. Mi dicono che Il Gusto è quasi sempre pieno e che il menù cambia spesso, in armonia con le stagioni. D’altro canto, la cucina italiana si caratterizza anche per la varietà dei piatti. Ogni paese, ogni campanile hanno sempre avuto una tradizione gastronomica che li differenzia dai vicini.

Quarto giorno

Il giorno della corsa. Per la 30° edizione, la partenza è tornata alle origini, con vista sulla Cattedrale Notre-Dame. I vari percorsi, maratona, mezza maratona e 10 km, tornano a snodarsi per i luoghi più conosciuti. Place Drouet d’Erlon, parc de La Patte d’Oie, place Royale, bibliothèque Carnegie, place du Forum, Opéra, rue de Vesle, quartier des Halles. 15000 partecipanti con una cornice di pubblico assolutamente unica. Famiglie intere applaudono ed incitano tutti, indistintamente, i concorrenti. Un’atmosfera che ritroviamo nel titolo di lunedì sul quotidiano locale, L’Union: “La fete des champions et des anonymes”. Non un solo clacson ha suonato in tutta la mattina, come succede di qua dalle Alpi, con guidatori impazienti quando non imbufaliti per i passaggi delle corse podistiche. Orchestrine suonano invece lungo il percorso, confermando quella voglia di divertirsi che coinvolge tutti.

Con gli amici di Reims ci incontriamo alla brasserie La Lorraine, 7 place Drouet d’Erlon. Tradizionale nell’arredamento e nella cucina. Grandi sale, specchi e stucchi, l’ambiente rimanda un po’ al bel tempo andato. Mentre intorno i locali si rinnovano, con l’occhio attento ai desideri delle nuove generazioni. Di anno in anno, ritroviamo qui una gastronomia di qualità, con grande attenzione ai piatti regionali, pur se priva di sorprese.

Un pomeriggio di riposo. Interrotto dalla notizia della vittoria della Fiorentina sulla Juventus. Un 4 -2 che festeggiamo in centro con le nostre maglie e sciarpe viola. Poi la cena da Josy e Alain. Una consuetudine, la sera dopo la corsa, che si allunga negli anni. Come in tutti i riti che si rispettano, anche questa volta Alain cucina la choucroute. Secondo la ricetta della nonna Lucie. Si comincia con la fermentazione per un mese del cavolo (choux) bianco grattugiato… Prima o poi trascriverò per intero la ricetta della signora Lucie, che ci rimanda a un mondo dove il tempo non era un problema e si passavano molte ore per la preparazione del cibo. Prima di metterlo in cottura sui fornelli. La mattina seguente partiamo all’alba. Ci attendono tanti km in macchina. Gli argomenti di cui parlare non mancano e le ore passano velocemente. Nel tardo pomeriggio ci fermiamo al primo Autogrill italiano e ordiniamo un caffè.



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