Un assaggio di Corsica a primavera

Eccoci di ritorno dalla Corsica. Un’isola bellissima, selvaggia e dura. Dura per il clima tanto facilmente mutevole, come ho potuto toccare non solo per mano, ma anche dai racconti di conoscenti che già l’hanno visitata. E’ stata questa la maggiore “incostante” del nostro viaggio, ma che tuttavia ha forse contribuito a darle più...
Scritto da: Potitorello
un assaggio di corsica a primavera
Partenza il: 13/04/2005
Ritorno il: 22/04/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
Eccoci di ritorno dalla Corsica. Un’isola bellissima, selvaggia e dura. Dura per il clima tanto facilmente mutevole, come ho potuto toccare non solo per mano, ma anche dai racconti di conoscenti che già l’hanno visitata. E’ stata questa la maggiore “incostante” del nostro viaggio, ma che tuttavia ha forse contribuito a darle più fascino, senza nessun rimpianto per non aver scelto un periodo dell’anno un po’ più clemente.

Innanzitutto è necessario sprecare due, o qualcuna in più, parole sui Corsi, gli indigeni dell’isola, capiamo che personaggi sono e magari sfatiamo qualche leggenda soprattutto motociclistica. Avete presente i francesi? Ecco, centrano ben poco e a volte quasi nulla, se non fosse che a un’isola molto simile alla Sardegna, ma in alcune parti direi anche al Trentino, dove c’è l’intervento dell’uomo, non manca quella finezza di gusto e cura dei dettagli tipica dei cugini oltralpe. Sintomi visibili nell’aspetto esteriore, e per quanto potuto vedere interiore, delle abitazioni, la buona manutenzione dei campeggi, dei locali e delle strutture pubbliche, la buona cucina. Solo un po’ di confusione e di idee abbastanza vaghe sulla gestione del traffico e della viabilità.

Ma in Corsica le rubano le moto e tutto quello che vi possono trovare sopra? E chilo sa! Dalla mia esperienza direi proprio di no, senza voler contraddire le numerose esperienze negative da molti riportate in cronaca. Ce le siamo dimenticate un po’ ovunque senza nessun timore. Non è mancato chi comunque ci consigliava di tenerle d’occhio durante le soste, non penso per il maggior rischio, ma per quel zichinino di gentilezza in più che riserbano sempre i corsi ai loro ospiti. Non siamo mancati comunque di portarci appresso un bel catenone della Dragon, di quelli che pesano 15 kg solo di catena più il lucchetto a prova di bomba, che se ti cade sull’asfalto d’estate, fai prima a dargli un rappezzo al buco che lascia che a recuperarlo.

Mercoledì 13 Aprile ha inizio il viaggio. Fatti i bagagli e chiuso la casa in sicurezza (acqua, gas, ecc.) partiamo (Io, cioè Andrea, e Chiara) alla volta di Savona dove ci attende la nave che ci scaricherà la mattina successiva a Bastia. Notte marinara trascorsa nel sacco a pelo sulle panchinette sottoponte dopo qualche birra, un sonno fugace e cullato dal mare ed eccoci a destinazione. Naturalmente scendiamo in stiva a recuperare le moto quando il portellone della nave è già aperto da un po’ e cominciano a scendere i camion. Dietro di noi un camionista inglese aspetta pazientemente tutta l’operazione di carico delle moto, che finchè non le spostiamo non può passare tutta la fila dietro a lui di non so quanti mezzi. Sistemata la cartina sulla borsa serbatoio si parte subito per il giro di Cap Corse, il famoso “dito” a nord dell’isola. Dopo qualche kilometro sento la mancanza del caffè, dopo lo sballottamento della nave. Becco un evidente insegna di un bar-auberge-ristorante con la scritta ouvert (aperto). Ricordiamoci che siamo in bassissima stagione per il turismo di un’isola. Non si vede nessuno, esce un tipo da una porta che alle nostre domande in ostentato francese risponde in un discreto italiano e ci dice che il bar al piano sopra è aperto, saliamo le scale e arriviamo sul terrazzino dove c’è la porta d’ingresso. Chiusa. Fermè! Esclamo. No no è aperto! Risponde. Non ci siamo ancora capiti su che lingua usare. Non fa in tempo a finire di fare l’italiano che si rifionda nella porticina da cui è arrivato e dopo qualche secondo eccolo al piano sopra ad aprire la porta del bar seguito da una ragazza con l’aria di una che si è svegliata da 10 minuti e da una bambinetta che ci guarda come fossimo extraterrestri. Poveretta l’ abbiamo disturbata mentre preparava la colazione ai figli. Imbarazzati diciamo che se abbiamo creato troppo disturbo ce ne andiamo, ma insistono di restare. Tanto ormai col casino che abbiam già fatto! Ma che cavolo di ore sono? Guardo sulla porta l’orario di apertura alle 8, accendo il telefonino per guardare l’ora (non ho l’orologio) 7,45. Mi sembrava di essere in giro da chissà quanto. Primo abbandono di moto. Noi a mangiare di sopra e queste nei portici sotto, belle cariche, dove non possiamo vederle e tantomeno vedere chi ci passa e cosa fa. Dopo un paio di caffettoni succhi di frutta e biscotti (le brioche erano ancora nel freezer) e un po’ di chiacchere con la ragazza in francolatino e una doverosa visita al cesso, non ne avevo mai visto uno Corso, si riparte senza esitazioni. Le moto sono ancora li come le avevamo lasciate, tranne una pisciata di un cane sulla mia gomma posteriore e questo qui che gironzola facendo finta di niente. La strada si snoda per un po’ di chilometri gustosissima con delle belle curve e un buon fondo. Ma tanto sono ancora rincoglionito e ho le gomme quadrate per cui non riesco a fare un bel niente, salvo di godermi il panorama che continua ad offrirsi, a destra il mare con terra all’orizzonte, che scoprirò poi essere l’isola di Pianosa, e monti a sinistra, verdissimi e rigogliosi. Finita la strada orientale del dito comincia quella che lo attraversa per scendere sulla costa occidentale. Uno schifo, salvo il panorama, meglio tanto vado piano lo stesso. Giunti alla curva che ci offre prepotentemente la vista sulla costa occidentale, ci si riferma. Panorama così non se ne vedono tutti i giorni. Lasciando le moto sulla strada e facendo due passi sulla collina alla nostra sinistra si giunge su un sasso da cui vediamo i due mari e persino uno scorcio di quello a nord, oltre a delle belle montagne innevate proprio nella direzione che seguiremo. Proseguendo incontriamo capre, pecore ogni tanto in mezzo alla strada, lavori in corso presenti ovunque sull’isola, stupende strade a picco sul mare senza minima protezione a valle. Intanto il fondo stradale migliora poco alla volta, o sono io che mi sto svegliando. Curva dopo curva, qualche sosta panoramica e passaggi per poligoni di tiro eccoci a Calvi, dove ci spiegheremo i poligoni precedenti. Ci sono basi della legione straniera.

Bella cittadina, a parte la presenza militare, con il porto e il centro storico arroccato in cima a una collinetta quasi a picco sul mare. Qualche birra in un bar in centro, un hot dog e un kebab al chiosco di fianco per sfamarci, dissetarci e assaggiare il gusto del fare un cacchio tipico delle vacanze e poi andiamo alla ricerca del camping. Lo troviamo situato a due passi dal centro. Passa un po’ di tempo prima che qualcuno si faccia vivo alla reception. E’ sempre bassissima stagione saremo si e no una quindicina di persone in tutto il campeggio. Messe radici e docciati si va a fare una passeggiata in spiaggia con le birre Pietra (la birra corsa alla castagna). Tira una bella arietta fresca e appena alle nostre spalle delle belle montagne, tipo alpi Apuane viste da Viareggio, coperte di neve.

Tra una passeggiata e qualche foto tiriamo tardi e scopriamo che anche qui c’è il vizio francese di mangiare all’ora delle galline, ci infiliamo così nel primo ristorante-charcuterie-chiosco che ancora è aperto e ci ispira bene. Ci servono un discreto ed economico cous cous al pesce e facendo due chiacchere con il ristoratore, stavolta in francese, questo mi fa i complimenti per come parlo bene la loro lingua. Mi vien voglia di chiedergli se è ubriaco, ma lascio stare, mi è simpatico e questo probabilmente non riuscirei a spiegarlo facendo capire che si scherza. Segue passeggiata serale in mezzo a bar spennaturisti vuoti, un po’ di foto e nanna. Domani ci facciamo un bel giretto in moto.

La mattina la accogliamo pigramente, la notte è stata gelida e sacchi a pelo e maglioni non son bastati a scaldarci, così indugiamo un po’ sotto il sole che scalda la tenda. Presto si trasforma in una bella giornata calda quasi estiva, da farci fermare a bere un caffè fuori da un bar in canottiera e mal sopportare i pantaloni da moto pesanti. Il giro, intrapreso già prima del caffè, si snoda nell’entroterra per un po’ di km, meta le Gorges de l’Asco. In pochi km si passa dal mare, i pescatori, le spiagge con la gente che si acchiappa la prima tintarella, alle alpi, dove i maggiori frequentatori sono i bovini. Se ne trovano ovunque appena lasciata la statale principale. Proseguiamo per una strada secondaria a tratti piacevole in altri terribilmente sconnessa, da mettere a dura prova anche una bella enduro e anche dove la guida potrebbe essere gustosa, il pericolo diventano i mastodontici quadrupedi. Dietro ogni curva non si sa mai cosa c’è e non è raro trovarne in mezzo alla strada che ruminano, fanno i propri bisogni o indugiano sul da farsi. Per non parlare dei vitelli, alcuni se ne stanno svaccati (appunto) in mezzo alla strada e non ne vogliono sapere di spostarsi. Altri impauriti dal rumore della moto schizzano imprevedibilmente da una parte all’altra della strada, si vede che i primi sono sordi. Comunque dopo un bel po’ di chilometri, migliaia di curve, milioni di buche e decine di mandrie, eccoci alle Gorges. Non come le immaginavamo, tipo Verdon o gole D’Enna nel bergamasco, ma comunque un bel paesaggio alpino con fiume carico d’acqua che scorre in mezzo. La strada prosegue poi fino a dei campi da sci, sempre slalomando tra le mucche che ci guardano con espressione tra il seccato per il disturbo e la familiarità con personaggi tipo noi. In alta stagione vedranno tante di quelle moto che ormai conosceranno meglio di un patito ogni modello e tutte le sue caratteristiche tecniche. Occhio con le Bmw, non ci sono solo mucche, ogni tanto anche tori… Giunti ai campi da sci (chiusi) siamo soli, noi e la neve. Diciamo pure: pensa te, a soli 1400 metri in mezzo al mediterraneo a metà aprile guarda quanta neve c’è ancora…

Torniamo per la stessa strada eccetto una deviazione su una più scorrevole per non squadrarci ulteriormente il fondoschiena già molto provato. Dall’aria frizzantina dei monti, in pochissimo riecco il tepore marino. Sosta gelato in un paesino su una strada che sembra una delle tante strade dell’entroterra ligure dove il tempo sembra che li non passi mai. Poi, giù al mare.

Di nuovo in campeggio ci si cambia alla svelta e si fa il solito aperitivo in spiaggia con la birra corsa e le patatine globalizzate. La vista di tutti quegli animali che brucavano l’erba ci mette appetito ed entrambi pensiamo a una bella entrecote per cena. Peccato che incappiamo nello stesso errore della sera prima e non ci ricordiamo di fare anche noi le galline. Ci dobbiamo accontentare di una pizza francese, di quelle fatte con l’emmental al posto della mozzarella, che se non le mangi entro 2 minuti, cioè quando ustionano e non senti il sapore, divengono dure come degli LP 33 giri. Rigiretto per bar vuoti e nanna, domani si sbaracca, destinazione Propriano.

La notte tempesta di brutto e la mattina ci tocca di smontare il tutto tra uno scroscio d’acqua o di grandine e qualche occhiata di sole. Ad opera faticosamente terminata si parte percorrendo la strada costiera che da Calvi scende sulla parte ad ovest dell’isola. Una quarantina di km a buche, vento laterale e strapiombi sul mare senza protezioni, ma con il solito panorama mozzafiato, rafforzato da nuvoloni color pece che rincorrono follemente nel cielo piccoli squarci di azzurro. Giunti in località le Fango imbocchiamo la strada per Porto dove vorremmo fermarci a dare un’occhiatina prima di proseguire, ma subito troviamo una segnalazione di strada sbarrata. Entriamo nel bar-auberge-ristorante li vicino e chiediamo informazioni sull’accaduto. Troviamo un simpatico tipico Corso somigliante a un budda con la barba e che emana forte odore d’aglio che dopo una consulta con dei clienti camionisti ci risponde in un bellissimo italo-franco-corso che c’è stata una frana a 20 km da li e ha visto scendere solo gente in bici, dice che con le moto non si riesce, è molto “dangerouso”.

La giornata continua a non essere delle migliori, ci prendiamo un caffè e pensiamo sul da farsi. Quella era l’unica strada che scendeva sulla costa. L’alternativa è di tornare a Calvi e percorrere la superstrada “Balanina”, quella che va da nord a sud lungo l’isola. Si riparte e pensiamo di fermarci per la notte a Corte ribaltando un po’ il giro che avevamo pianificato. Sempre tra temporali, tratti con sole e altri con vento gelido, giungiamo in breve a Corte, circa le 3 del pomeriggio, pensiamo quindi di proseguire per Propriano, meno di cento km su una strada scorrevole.

Verso le quattro passiamo da un grazioso paese con bella vista sulla valle e visto che sono usciti 4 soli decidiamo di fermarci a fare una piccola merenda. Compriamo in un negozietto formaggio di capra, pane e acqua e ci mettiamo sul parapetto della piazza a balcone a gustarci panorama e merenda. Giusto il tempo di finire che arrivano di nuovo i nuvoloni, stavolta con un’aria nuova che preannuncia qualcosa ma non capisco cosa.

In sella e dopo poche curve inizia a diluviare. Qualche curva e si fa sempre più forte sia il vento che l’acqua. In qualche altra curva mi accorgo che l’acqua fa un rumore strano quando impatta con il casco. Neve! Ghiacciata! Vedo la strada che si imbianca velocemente e ci sono le tracce delle auto che ci sorpassano, tutto in una manciata di minuti. Subito penso a Chiara che non ha mai guidato sulla neve, poi penso alla mia gomma posteriore completamente liscia e rallento drasticamente. Nel momento che provo ad entrare nella mente di Chiara per capire come reagisce, la moto pensa di entrare nella mia. La ruota post inizia a slittare sul ghiaccio, si gira a destra di 90°, riesco a riportarla parallela all’asse della strada, poi scoda a sinistra, di nuovo a destra, si inclina e la ruota anteriore scivola anche lei come fossi sulle biglie facendoci terminare la corsa a terra. E adesso? Presto a rialzarla, siamo su una curva in salita con una visibilità di merda. Non riesco, come la sollevo di qualche centimetro mi scivola a destra, dove ha pendenza la strada. Una volta rimessa in piedi faccio la conta dei danni, sempre a bufera impazzante, la freccia e la borsa serbatoio, mi è già andata benissimo, ma adesso che si fa? Piccolo briefing e proviamo a portare al passo, che dista poche centinaia di metri, la moto di Chiara, la più leggera e con le gomme in buonissimo stato. Tu guidi e io spingo. Niente scoda a destra e sinistra e non si sposta di un metro. Riproviamo con la mia, stessa storia. Quindi? Altro briefing intanto che sulla strada si sono già posati 5 cm di neve e decidiamo di lasciare le moto dove sono e scendere al paese del formaggino alla ricerca di un riparo, aspettando che passi la bufera, oppure aspettare il passaggio dello spazzaneve. Questo non si fa aspettare molto, ma al suo passaggio, senza spargere sale, la strada è come una pista da pattinaggio e i tentativi di partire sono vani. Nei 15 minuti che facciamo gli acrobati, anche le macchine tentano di imitarci, slittano sgommano e piroettano. Un ragazzo che si è fermato dietro di noi a montare le catene ci offre un passaggio al passo dove c’è un albergo, li potremmo trovare un aiuto. Chiedo se c’è qualcuno in grado di far smettere di nevicare… Vado io, Chiara resta a curare le moto. All’albergo il ragazzo di cui non saprò mai il nome spiega alla padrona l’accaduto e intanto che parlottano in francese la tipa mi guarda con gli occhi sbarrati. Io barba di 5 giorni, fradicio e con le occhiaie, vedo nel suo sguardo della compassione e una domanda: chi cavolo ve lo fa fare, incoscienti! Di sicuro però prevale la pietà, cosa ne sapevo io che sul col di Vizzavona, nel cuore della Corsica, nel cuore del mediterraneo e metà aprile doveva nevicare? Hotel Monte d’oro sul col di Vizzavona. Segnatevelo, poi capirete perché.

La signora mi si rivolge in un buonissimo italiano e mi consiglia di portare le moto li e di fermarci per la notte. Dal momento che con le proprie ruote non ci arrivano decidiamo di spingerle fino all’albergo, a tal proposito mi vuole mandare un po’ di gente ad aiutarci. Ringrazio, fingo che non ce ne sia bisogno e con l’amico automobilista ci rifiondiamo alle moto, dove trovo Chiara completamente imbiancata. In quattro e quattr’otto togliamo i bagagli e li passiamo sulla macchina dell’amico Ajaccese (è di Ajaccio), torno con lui a scaricarli all’albergo e torniamo alle moto. Nel frattempo arrivano il cuoco (e che cuoco) con tanto di pantaloni e zoccoli professionali e un tipo, Pierre, probabilmente il figlio della padrona dell’albergo. Iniziamo a spingere tutti assieme la mia, alterniamo con la quella di Chiara più leggera per prendere un po’ di fiato. Ci sprechiamo a dare una mano anche agli automobilisti in difficoltà, mentre quelli con catene ci guardano esterrefatti. Tira, molla e scherza con i soccorritori, tutti simpaticissimi, alle 17.50 siamo nell’albergo a berci una birra e caffè caldo e a ridere sulla disavventura. Intanto che la signora impazzisce al telefono con clienti o automobilisti che chiedono se il passo è transitabile, ci spiega che anche per loro è stata una grande sorpresa questa nevicata, li ha colti tutti impreparati. Oltre a noi ci sono anche due signore inglesi di passaggio, finite come noi nella bufera, qualche famigliola e un gruppo di “randonnè” (orienting).

Ci assegna la stanza. Per farla breve l’albergo deve essere una bella casa di montagna di due secoli fa tenuta benissimo e ben riscaldata, arredamento antico ovunque, persino le posate. La sala da pranzo è una specie di veranda con l’edera (vera) all’interno arrampicata sul soffitto e le pareti. Nella nostra stanza, la quale scopriremo essere quella della tipa, c’è un enorme letto rotondo e nel bagno c’è persino la cornetta della doccia che indica la temperatura dell’acqua.

Ripuliti, asciugati e cambiati ci mettiamo nella saletta TV a leggerci un libro e a goderci l’atmosfera di pace e di serenità che solo i Corsi ti sanno trasmettere anche in una situazione come la nostra. Si perché fuori continua a nevicare e viene da pensare che resteremo bloccati per un po’. A cena ci facciamo una zuppa corsa con dentro ogni ben di dio che sarebbe bastata per quattro e due entrecote grandi come una pizza e con contorno di patatine e un tortino di ceci e altre verdurine, vino rosso che sa di mirto e torta. Ci voleva dopo la sfaticata. Torniamo nella saletta a leggere, invano. Una sciura ottantenne, pare la sorella della albergatrice si mette a vedere la televisione ma non capisce una mazza di telecomandi. Chiede a me in francese, ma io non ho la televisione e di telecomandi ci capisco ben poco anch’io. Mi consulto con Chiara parlando continuamente in italiano, niente, impreca ci riprova lei, di nuovo noi. Sbraitiamo il nome del presunto nipote: Pierre!! Arriva e gira sul canale di programmi di pettegolezzi francese. La sciura, tranquillizzata, sbaglia e rigira e richiede il nostro aiuto, non so più da che parte girarmi per non ridere, intanto smanaccio con l’aggeggio elettronico. Dopo una ventina di minuti così ci chiede se parliamo italiano. Ma dai! Di dove sembriamo? Ci racconta che ha molti amici in Sardegna e le piace molto, ma la Corsica secondo lei è meglio. Questioni di opinioni ma non si può neanche darle torto. Tentiamo di leggere ma la dura giornata si fa sentire e si va a nanna. Domani sveglia un po’ presto, non si sa cosa troveremo.

Infatti alle 8.30 guardo fuori… Deve aver nevicato tutta notte, fuori ci saranno 30 cm di neve e sembra di essere a natale in Lapponia. Mi vesto e vado giù a vedere. Per fortuna la notte non hanno smesso di passare con lo spazzaneve. La strada è abbastanza pulita. Il problema è tirarsi fuori dalla vietta dell’albergo dove non è passato nulla la notte. Ci rimettiamo la tenuta da battaglia e quando usciamo per liberare le moto troviamo già il cuoco, che come ci vede gli viene da ridere, Pierre e un paio di ragazzoni armati di pale. Disincagliamo la macchina delle inglesi e queste vanno per la loro strada. Poi viene il momento del 4×4 di Pierre, che aveva tentato di usarlo come spazzaneve, rimanendoci dentro come un pollo. Via questa passa lo spazzaneve (quello vero) e sparge il sale sulla strada. E’ subito pulita. Ora vengono le moto. Con la pala abbatto il muro di neve lasciato dalla macchina salvatrice, a manate buttiamo giù la coltre che le copriva facendole assomigliare a due massi qualunque a bordo strada. A fatica partono, ci sarà l’olio motore consistente come miele e le portiamo sulla strada pulita. Carichiamo, paghiamo il conto neanche tanto salato, saluti agli eroi che ci hanno aiutato e via.

Scendiamo in direzione Ajaccio e per diversi km vediamo i resti di una forte nevicata, poi la neve si tramuta in acqua e pioggia che ancora scende e proseguiamo tranquilli.

Circonvalliamo Ajaccio e giungiamo a Propriano nel primo pomeriggio sotto un bel acquazzone. Ci dirigiamo al campeggio e qui troviamo un vecchietto di quelli da film western di Sergio Leone che dice di essere la reception. Poi in italo-corso-sardo-genovese ci spiega di mettere la tenda vicino a un bungalow che ci servirà come bagno, siccome quelli comuni hanno solo l’acqua fredda. C’è un’altra tenda, quindi due tende, un camper e un paio di bungalow occupati in un camping da 350 piazzole. La dice lunga sul puttanaio estivo che ci deve essere qui. Faccio un giro nel bungalow. Ci sono tanto di cucina, pentole e stanzette che se diluvia… Decidiamo così di fare la spesa e di cenare nel bungalow, in ragione anche della tipologia di ristoranti che troviamo in paese.

Propriano è un paesotto con lungomare di negozi e locali assolutamente insulsi, il porto dove ci facciamo la merenda a birra e patatine e due boulangerie, niente di che. Per cena penne con sugo Barilla “Napolitaine”, formaggio di capra, asparagi in scatola e vino rosso. Mentre ceniamo all’ora dei latini entra nel bungalow la coppietta dell’altra tenda a lavare i denti e prepararsi per la nanna, le 21.30. Rifiutano l’invito a cena o di un bicchiere di vino e spariscono. Si fa vivo il camperista. Entra nel “ristorante italiano” all’essenza de chevre un paio di volte per preparare la propria cena a base di ravanelli e entrambe augura buon appetito. Alla seconda capiamo che è in cerca di compagnia e lo invitiamo a un brindisi. Non si fa pregare e si accomoda. Qui parto con il mio francese che peggio non si può ma per fortuna che c’è Chiara. Raccontiamo il più e il meno, da buon francese ci fa i complimenti per l’ardore del viaggiare in moto con questo clima. Poi il discorso si infittisce e probabilmente capisce che noi Berlusconi lo metteremmo in ginocchio sui ceci finche non gli crescono i capelli biondi in mezzo alla pelata. In effetti non ci è andato lontano. Resta vago, ma scopriamo che è li per lavoro, fa il cineoperatore per la Tv francese che sta li a girare un documentario storico. Tra le varie cose è stato anche in Irak e Afganistan.

Dopo un’altra mezza bottiglia di Rosè e mezza di grappa da lui offerte, ci congediamo, non prima però che ci abbia svelato un po’ di posticini da andare a visitare l’indomani.

Così la mattina si parte. Un po’ di strada nell’entroterra e una breve passeggiata per arrivare al castello di Cuccurruzzu. Dei resti romanici di una cappella e di un fortino sperduti in una foresta fittissima e piena di enormi rocce tonde tipo Valcamonica. Dalla cima del fortino si gode una vista a 360° e soprattutto su dei picchi di cui non ricordo il nome che si ergono all’orizzonte come delle dita che fuoriescono dalla cresta della montagna. Stupendo, ma i nuvoloni neri e minacciosi facenti parte del panorama, ci fanno pensare di riavvicinarsi alla costa. Gironzoliamo e dopo una merenda in città a base di crepes, hot dog e frites, ripartiamo per Campomoro, dove anche li c’è una passeggiatina che porta alla milionesima torre d’avvistamento del bacino mediterraneo. Una bella struttura da dove si gode un bel panorama sul mare e sulla costa verdissima, sembra quasi l’Irlanda o la Scozia.

Nella discesa io e Chiara ci perdiamo di vista, Tengo come punto di riferimento la moto, all’inizio del sentiero, li lascio un bigliettino: Sono in spiaggia. MI stendo a prendere il “sole”. Faccia all’aria guardo le nubi che corrono come ci fosse un torrente speculare alla superficie terrestre, finchè la mia dolce metà mi raggiunge.

Torniamo in città, spesa per la sera che ce ne stiamo ancora nel “bagno” a cenare, birra-aperitivo in uno dei tanti bar e si va a preparare la zuppa di legumi e a finire il formaggio.

Domani partiremo alla volta di Bonifacio. Non era stato preso in considerazione all’inizio del viaggio, ma la chiacchierata la sera precedente con il francese ci ha fatto cambiare idea. Visto che le due dritte sperimentate in giornata sono state ottime vale la pena di provare anche al terza.

Mattina si sbaracca e si va, visita a Sartene, città sui monti poco distante da Propriano, dove nella piazza principale, chiusa fra i caffè, una folla di ragazzini si accanisce a prendere a calci un pallone, usando come palo della porta il monumento ai caduti delle grandi guerre, che come tristemente sappiamo ne è costellata la Francia come l’Italia. Sosta dalla boulangera, pan au chocolate, poi caffè e si riparte. La strada è poca e arriviamo a Bonifacio nelle prime ore del pomeriggio. Prima di andare in campeggio saliamo nella città alta in moto e subito scopriamo che il francese aveva ragione. E’ una cittadina abbracciata da un fiordo che la ripara dal noto vento di questa zona. Il centro è molto carino e nella baia oltre a una miriade di imbarcazioni ormeggiate, entrano ed escono i traghetti che fanno la spola con la Sardegna, ben visibile, e la Francia, come i treni quando entrano nelle gallerie. Immaginatene uno che manovra nella darsena dei navigli di Milano… Dopo esserci accampati in un grazioso campeggio ben riparato dal mitologico vento e la classica birra di benvenuto che ci offriamo da noi, partiamo alla scoperta del centro. Un su e giù di viuzze piene di ristoranti carini da ogni prezzo, negozi e le barche al porto che accompagnano i turisti a visitare le varie baie, e le isole di Lavezzi e Cavallo, dove un po’ di anni fa il nostro mancato-futuro re pensò bene di sparare a un passante.

Passeggiata birrette, foto, spesa per cena serale e andiamo a vederci il tramonto all’imbocco del fiordo. Il cielo è decisamente sereno. Seguiamo una camminata di un paio di km su una strada che costeggia le falesie e ci addentriamo in un luogo che sembra dimenticato da dio. Si esce dal centro e in pochi passi ci troviamo alla nostra sinistra un enorme caserma abbandonata, a destra eccentriche case ricavate da vecchie strutture militari abbandonate, il vento a prua che ci butta indietro. Dopo la caserma il cimitero sterminato e in fondo delle vecchie batterie di cannoni abbandonate, dopodiché il vuoto e il mare in subbuglio. Sulle solide strutture in cemento che evocano terribili battaglie per il mantenimento del dominio, o che magari non han mai sparato un colpo, si riesce a stare a peso morto in avanti facendosi sostenere dal vento.

In pochi minuti questo luogo tra il lugubre e il rigoroso viene invaso da orde di giovanotti , coppiette o gente che porta a spasso il cane, i quali hanno avuto la nostra stesa idea, divenendo un ritrovo festoso.

Vediamo il sole che si accuccia con tanto di traghetto sardo uscente dall’insenatura e con faro all’orizzonte. Il cielo diventa di un rosso che ti entra negli occhi e nello stomaco e non vorresti più andar via. A scacciarci ci pensa la perpetua fuggevolezza di ogni tramonto, il vento che si rinfresca e la fame che incalza.

Dopo la cena consumata in campeggio, ci facciamo una passeggiata dallo stesso sapore di solitudine delle precedenti sere, salvo la vista sul mare notturna e sulla città alta illuminata. Ritirata che domani si scarpina.

Si, zaino in spalla, acqua, frutta e qualcos’altro, l’indomani partiamo per il tour che segue tutta la costa fino a Capo Pertusato, il punto più a sud dell’isola. Si viaggia a ridosso delle falesie con il solito vento che butta giù, per fortuna opposto alla direzione del mare. In mezz’oretta si giunge ad un’altra postazione di cannoni in abbandono. Da qui si possono seguire diversi itinerari, proseguiamo per il Capo tagliando per boscaglie di macchia mediterranea, un’altra mezz’ora ed eccoci al faro. Da qui si gode una stupenda vista sulle Bocche di Bonifacio, isole Lavezzi e Cavallo comprese, Sardegna e momentaneamente sole. Sostiamo un po’ giusto il tempo di qualche foto poi ritorniamo sui nostri passi, fin dove abbiamo visto una discesa per una spiaggia. Non ne ricordo il nome ma la suggestione. Si scende per campi di fiori gialli e rocce calcaree e giunti nella baietta c’è da divertirsi a nascondersi nelle ripide gole che il vento e la salsedine scavano nella roccia friabilissima, formando anche insenature collegate al mare da piccole grotte. E’ tutto talmente bello e bizzarro da sembrare esser stato creato apposta per mano dell’uomo. E invece no, tutto merito della natura, che a piccoli tratti, da qualche parte la si può vedere ancora quasi incontaminata. Risaliamo e cominciamo a seguire i sentieri che scorgiamo, senza preoccuparsi troppo di dove ci portino, infatti ci perdiamo. Teniamo come riferimento la torre di controllo che avevamo passato prima dopo le postazioni militari, ma non sempre è visibile. Ci aiutano anche dei segni a terra che indicano sicuramente degli itinerari e finalmente giungiamo su una strada asfaltata. La seguiamo nella direzione che riteniamo ci porti di nuovo verso Bonifacio e su questo non ci siamo sbagliati. Cosa c’è dove si trova una strada ben tenuta? Abitazioni. E nelle abitazioni? Cani da guardia. Per dare l’impressione che sono da guardia? Si lasciano i cancelli aperti. E’ nota la mia paura per i cani a zonzo e in attimo ce ne troviamo uno minaccioso alle calcagna che però si ferma a distanza, forse siamo usciti in tempo dal suo territorio. Dopo non molti metri eccone un altro, meno minaccioso ma grosso come un vitello. Si avvicina ci annusa e probabilmente ci trova simpatici seguendoci così fino a Bonifacio, chissà per chi ci ha scambiati.

Torniamo in campeggio frastornati dal vento e li troviamo un gruppo di massicci canoisti francesi che si danno un gran da fare a sfottere La Moto Guzzi. Poi capiscono che sono il proprietario de La Moto Guzzi, forse a loro volta mi trovano massiccio o solo imbarazzati dalla loro dabbedaggine si ammutoliscono di colpo. Ma continuate pure, spiegatemi però che moto producete in Francia.

Dopo una doccetta e un po’ di riposo in zona tenda, andiamo in città per l’ultima cena corsa e troviamo un ristorantino con menù a prezzo fisso, non pantagruelico ma sufficiente per riempire le nostre otri vuote e lasciarci un bel ricordo di questo incantevole posto.

Alla mattina ripartiamo per Bastia dove alla sera ci attende il traghetto. La strada corre dritta come un fuso lungo la costa orientale dell’isola. Emozioni di guida praticamente zero ma qua e la intravediamo la costante corsa dei bei paesaggi. Giunti a una cinquantina di km dalla nostra meta, approfittiamo della scarsezza di curve e dell’abbondanza di sole che per oggi si manifesta, fermandoci su una spiaggia e utilizzando finalmente il costume da bagno. Non di certo per buttarsi in acqua, il sole picchia ma tira una bella arietta e non oso pensare alla temperatura del mare. Stiamo li tre ore e ci appisoliamo. Quando giungeremo a Bastia avremo ancora qualche ora prima dell’imbarco, ne approfitto così per infilarmi nel centro commerciale a fronte porto e fare scorta di salumi, formaggi e birra corsi, sia per il viaggio che da divorare poi a casa. L’attesa della nave, anche se per il ritorno, ha sempre quel fascino di partenza per luoghi lontani. Guardiamo con una punta di invidia i motociclisti italiani che scendono per trascorrere il ponte del 25 aprile, ma pensando a tutto quello che abbiamo passato noi, probabilmente saranno loro a dover invidiare noi.

Ore 21: Ciao Corsica. Forse la prima volta che trovo un’ospitalità così cordiale, uniforme e sincera.

Subito mi correggo: Arrivederci a presto.



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