Vieni a prendere un caffè con Lucy

È nato prima l’uomo o la tazzina? Syusy ci racconta il suo viaggio in Etiopia
Syusy Blady, 20 Set 2013
vieni a prendere un caffè con lucy
Che ne diresti di andare a fare un viaggio organizzato per dei tour operator in Etiopia?” Questa la proposta che mi è arrivata qualche tempo fa. Il viaggio dura solo pochi giorni, ma parteciperanno esperti di turismo a vario livello, ospitati da Ethiopian Airlines e da una famiglia proprietaria di diversi alberghi nelle destinazioni più belle del Paese. Se penso all’Etiopia mi vengono in mente brandelli d’informazioni: Addis Abeba, Hailé Selassié, il Negus, il famigerato Menghistu, la stele di Axum, l’arca dell’alleanza, la regina di Saba, i copti, il libro di Enoch, faccetta nera… Si anche quello, il Congresso Panafricano. Non potevo evitare questo viaggio. E infatti sono partita. Con un volo diretto da Roma arriviamo – io e l’operatore che mi sono portata dietro, perché se non documento poi sto male – ad Addis Abeba. Abbiamo viaggiato di notte e siamo arrivati alla mattina. La capitale si trova in alto, quasi a 2.000 metri d’altitudine e, pur essendo in Africa, gode di un clima più fresco. Alla mia guida chiedo se per caso posso bere un caffè… Un caffè? Ma certo, “questa è la patria del caffè!”, mi dice. È stato scoperto e coltivato per la prima volta a Kaffa (da cui deriva il nome), da un allevatore di pecore che aveva osservato lo “strano” comportamento dei suoi animali. Le bestie diventavano “attive” e nervose se mangiavano un certo tipo di pianta, il caffè appunto. Quindi, il caffè nasce qui, su questo fortunato altopiano pieno di campi coltivati, arati e seminati in attesa della stagione delle piogge. Osservo la città: è in pieno sviluppo, caotica e attiva. Le strade sono chiuse per il passaggio delle delegazioni e dei capi di stato africani, perché è in pieno svolgimento il Congresso Panafricano. L’Etiopia è quindi un paese leader in Africa e può vantare un’indipendenza conquistata molto tempo prima degli altri stati.

(Guarda la puntata di Slow Tour in Etiopia! – NDR)

UOMINI E DONNE: LA VALLE DELL’OMO

Non posso fare a meno di notare la bellezza di questa popolazione. Il mercato poi è un evento da non perdere (una delle cose belle lasciate dagli Italiani). Qui le donne girano con l’ombrello per il sole, anche se io vengo accompagnata e scortata per qualche tratto, prima di addentrarmi tra le stradine piene di ogni merce. Mi lascio coinvolgere dall’atmosfera e mi metto a parlare con un giovane lattoniere che, grazie all’ausilio di un martelletto, aggiusta le pentole rotte e le rende come nuove. Gli uomini e le donne sono molto belli, dicevo. Longilinei, con un bel viso da faraoni egiziani o nubiani. Certo, qui ci sono le sorgenti del Nilo, il punto d’origine del grande fiume della civiltà egizia. E poi qui è nato l’uomo! Oltre ad essere la marca di un vecchio detersivo (dai, scherzo!), mi chiedo se sia il nome del fiume Omo ad aver dato il nome all’uomo, appunto, o viceversa. Forse è un caso, ma lungo la valle dell’Omo, nel sud dell’Etiopia, ci sono etnie diverse, con culture diverse. Patrizio, quando ha viaggiato in queste zone del paese, un po’ di tempo fa, le ha incontrate da vicino. Compresi i famosi Mursi, quelli riconoscibili dal “piattino”. Ma non solo, ci sono anche miniere d’oro antichissime. Qui è nato l’uomo, non solo il “prototipo scimmiesco di uomo”, la famosa Lucy conservata al museo di Addis Abeba, ma anche l’homo sapiens. E questo è un fatto straordinario! Quindi ecco un altro primato, un’altra origine – e che origine! – che troviamo in Etiopia: oltre al caffè, l’uomo…

SENSI DI COLPA

Ma io, come italiana, in questa terra ho anche dei sensi di colpa, caricati tutti sulle deboli spalle dal nostro passato: gli anni intorno al ‘36, quelli della guerra eritreo-etiope. Qui gli italiani hanno commesso numerosi crimini. Erano soldati e militari, comandati da generali senza scrupoli fomentati dalla foga fascista. Ma erano italiani, come me. Il professor Alessandrini è un esperto della storia etiope del ‘900, il periodo che ha visto l’Italia cercare qui la sua colonia. Ci dice che qui gli italiani fecero da subito una guerra di sterminio, usando i gas e i lanciafiamme vietati dalla convenzione di Ginevra. Nella rappresaglia di Addis Abeba, i militari hanno ucciso senza distinzione. Bastava trovarsi davanti una persona di colore, per ucciderla. È vero che qui gli italiani hanno costruito le strade e molte città in stile littorio, ma hanno anche distrutto templi e cercato di eliminare la cultura locale, uccidendo i cantastorie, la “radio” africana. A conti fatti, hanno lasciato gli etiopi nell’ignoranza. Alla fine del conflitto, non c’erano scuole, né medici. La colonizzazione è un fatto, condannabile eticamente, ma resta comunque un fatto. C’è da pensare che una volta qui si poteva anche combinare qualcosa di buono, cercando di mantenere un rapporto quantomeno simile a quello attuato dalle altre potenze europee con le popolazioni conquistate. Invece no, da poveracci quali ci siamo dimostrati, quello che doveva essere uno sfogo per i “poveri coloni italiani” si rivelò un fallimento. La colonizzazione non riuscì. Dovevano trasferire 10.000 coloni, ma alla fine si insediarono in Etiopia solo 3.000 famiglie, e tutto come sappiamo finì in vacca. Detto questo, continuo il mio viaggio…

IL LAGO TANA

L’Ethiopian Airlines ci porta sul lago Tana. Siamo ospiti di Tilahun Belete, che all’Hotel Kuriftu Resort and SPA (www. kurifturesortspa.com) è conosciuto come Boss. Dopo anni passati in America, la sua famiglia ha deciso di tornare nella madrepatria, per investire sul turismo nel territorio etiope. Effettivamente, l’albergo in cui ci troviamo è una sciccheria. Ma non solo, è ben integrato con il contesto paesaggistico del lago: tetti di paglia e super comfort, compresa una SPA, che non manco di provare. Il massaggio è un’esperienza unica, perché ti rimette subito in sesto! Prendiamo quindi il battello, per andare a visitare i diversi monasteri presenti sulle varie isole del lago. Alcuni sono vietati alle donne, ma il nostro gruppo è per la maggioranza femminile. Di conseguenza, ci dirigiamo su un’isola dove ci è permesso sbarcare: il monastero di San Gabriele. Mentre navighiamo, ci vengono incontro delle barche fatte di canna di papiro, simili a quelle egizie o come quelle che ho visto sul lago Titicaca, in Perù. Sono tutte piene di legna, che viene trasportata al mercato…

I MONASTERI COPTI ORTODOSSI

L’Etiopia è l’unico regno cristiano al di fuori dell’Europa. Quando i musulmani arrivarono per conquistarli, i Copti si rifugiarono sulle isole del Lago Tana. Qui custodiscono gelosamente la loro religione, legata all’origine del cristianesimo. I famosi monasteri circolari, tutti decorati da immagini, sono un capolavoro assoluto. Ma ancor di più è la loro ortodossia ad aver fatto sì che si che si conservasse un libro antico, snobbato dalla nostra Bibbia: il libro di Enoch. Patriarca, padre di Matusalemme e discendente diretto di Adamo, Enoch parla di un viaggio astrale. Vero o simbolico? Non si sa. Ma il suo racconto è sicuramente prezioso e, per fortuna, nell’ambito della religione copta ortodossa etiope, possiamo ancora leggerlo. Qui, sul lago Tana, c’è la sorgente del Nilo. Come l’esploratore austriaco Baumann (che la scoprì alla fine del’800), anche io ho visto la sorgente del Nilo Azzurro! L’avevano cercata per secoli, perché era difficile trovare l’origine del grande fiume. Ci sono anche le meravigliose cascate, ma ora non si possono più osservare dal vivo, perché l’acqua è trattenuta dalla diga. Le possiamo vedere ancora sulle cartoline o raffigurate sulle banconote. Ma poco importa, questa riserva d’acqua è incredibile. E basti pensare che siamo a 2.000 metri di altezza, in Africa! La terra è di proprietà dello Stato ed è concessa in usufrutto ai contadini, per evitare che s’inurbino. La diga, inoltre, produce tutta l’energia che serve allo sviluppo del Paese, e la benzina costa ancora poco.

LALIBELA

Prendere l’aereo dell’Ethiopian Airlines è come prendere un autobus di linea, che ti porta nei posti topici del Paese. In un’ora e mezzo di volo arrivo a Lalibela, piccola città del nord dell’Etiopia, famosa per le sue 11 chiese scavate nella roccia. Il posto prima aveva un altro nome: Lalibela è il re che le fece costruire. Dall’aeroporto, che è veramente essenziale, dobbiamo salire su un pulmino, per raggiungere le chiese ipogee in cima alla montagna. Logico: per costruire le chiese non si è pensato di trasportare il materiale da lontano, ma si è scavato direttamente sul posto, ricavando le chiese nella stessa roccia. Sono appunto chiese ipogee, lavorate con un’abilità straordinaria. La leggenda vuole che siano state costruite dagli angeli: solo loro, infatti, potevano concepire e realizzare una costruzione “dalla fine per arrivare all’inizio”, in cui bisogna sottrarre invece che aggiungere. Insomma, era necessario avere una “forma mentale” opposta a quella a cui siamo abituati! Evidentemente, a progettarle e a dirigere i lavori, furono invece dei grandi architetti dell’epoca, i cui nomi sono rimasti sconosciuti.

Ancora oggi, le chiese ipogee di Lalibela sono meta di pellegrinaggi e vi si celebrano le messe del culto ortodosso della durata media di quattro ore. Di domenica, la gente va a messa, tutti vestiti di bianco, con quelle famose sciarpe tessute con un delicato intreccio al telaio. È molto suggestivo vedere quei monumenti di terra contrastare col biancore dei vestiti dei fedeli, così come gli ombrelli da cerimonia spiccare coi loro colori sgargianti. Quella di San Giorgio è la chiesa più affascinante, scavata ben 12 metri sotto terra. Alcune sono collegate tra loro con tunnel sotterranei. Ora il luogo è protetto dall’Unesco, che ha fatto costruire una tettoia per riparare la chiesa dalle intemperie. Nonostante tutto, la visione dall’alto di San Giorgio e delle altre chiese è salva. La cosa che colpisce, è vedere come si siano mischiati simboli diversi, che ricordano culti diversi. Si avverte un senso di straniamento nel vedere l’interno delle chiese. Ci sono drappi che dividono il sacerdote dai fedeli, mentre officia il rito. E ancora, si osservano dipinti dai colori sgargianti e dall’aspetto naif, e poi svastiche provenienti dall’Asia, stelle di David o colonne greche. Il sacerdote tiene in mano le croci di metallo (tipiche dell’Etiopia) e il sistro sacro alla dea Iside. I simboli richiamano la fede cristiana, ma nella sua estensione ortodossa. Ci sono elementi arcaici che hanno resistito nel tempo. A questi, si sono aggiunti elementi successivi. Ma come arrivò fin qui il cristianesimo? Furono due cristiani siriani a convincere il re a convertirsi. Ai motivi religiosi, poi, si aggiunsero anche quelli pratici e commerciali: la nuova religione cristiana, diffusa nel Medio Oriente, prometteva scambi economici vantaggiosi. In fondo, anche questo rende l’Etiopia un paese africano sui generis. E per di più, al Re Lalibela si deve riconoscere il vantaggio dell’aver reso il culto come locale: da allora è possibile venire a pregare, senza essere obbligati al pellegrinaggio verso Gerusalemme.

IL MERCATO DEL BESTIAME

Ma lo spettacolo più bello ci viene offerto ancora una volta dalla gente. Dove va tutta questa gente che cammina, “trascinando” gli animali? Oggi è giorno di mercato. Questo, però, non è il mercato urbano di Addis Abeba. È il mercato del bestiame di una zona rurale. Se ne stanno seduti per terra, accucciati, e tenendosi sul loro bastone con una grande dignità. Li ho filmati e fotografati: non ci vuole un gran manico di fotografo per fare belle immagini! I loro vestiti poveri drappeggiati come se fossero stole, le loro acconciature, la loro posa, il loro modo di rapportarsi agli animali, come si appoggiano sul loro bastone o come portano l’ombrello. Tutto è meravigliosamente estetico. Devo dire che è anche difficile capire se ci sono o no delle contrattazioni in atto: nessuno discute, ma qualche cosa deve pur succedere, anche se io non riesco a cogliere l’attimo.

BIOARCHITETTURA ARCAICA

Lalibela potrebbe diventare un luogo di pellegrinaggio turistico per architetti desiderosi di prendere ispirazione sia dalle chiese ipogee, sia dall’architettura tradizionale. Quello che non ci sta sono invece le costruzioni in cemento. Se ne vedono diversi, di “ecomostriciattoli” sparsi qua e là. E sono convinta che per alcuni rappresentino persino la modernità. Ma non è così. Applicando la conoscenza tradizionale a quella più moderna ed ecologica, si potrebbe raggiungere un magnifico risultato. Un villaggio turistico concepito in questo modo, può diventare un bellissimo esempio di integrazione tra architettura e paesaggio. Credo che il gruppo di tour operator che mi ha accompagnato durante questo viaggio sia in grado di svolgere un ottimo lavoro. Il punto è quello di riuscire a far notare agli operatori turistici locali che le esigenze del turista sono cambiate, e non ci si aspetta sempre e comunque di trovare ovunque i soliti alberghi anonimi . Anzi, specie in un luogo come questo, ci si aspetta di trovare l’originalità di un albergo costruito in modo tradizionale. Da parte mia, durante un giro slow per la montagna di Lalibela, ho provato a parlarne al Boss, che si è mostrato già convinto e forse più preparato di me sull’argomento. Allora siamo noi turisti che abbiamo l’ultima parola: vogliamo aspettarci ovunque le solite cose, o preferiamo integrarci con la vita degli abitanti che andiamo a visitare? Avete mai provato a dormire in un’abitazione circolare? Una yurta, un tucul? È un’esperienza che vi sorprenderà. Anche questo è il viaggio…!

(Guarda la puntata di Slow Tour in Etiopia! – NDR)