Stati Uniti on the road: i parchi del South West e la Florida

Viaggio on the road alla scoperta dei principali parchi del South West, Grand Canyon, Monument Valley, Antelope Canyon, Bryce Canyon e Death Valley e una settimana in Florida, tra Miami e le Florida Keys
Scritto da: Saretta080
stati uniti on the road: i parchi del south west e la florida
Partenza il: 03/08/2016
Ritorno il: 16/08/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €

Informazioni

L’aspetto economico è il primo elemento da considerare relativamente a un viaggio negli Stati Uniti: i voli aerei, l’affitto della macchina, i pernottamenti, i pasti hanno un costo notevole. E’ fondamentale avere con sé più di una carta di credito con plafond elevato, poiché tra caparre e pagamenti anticipati si rischia di non riuscire ad arrivare a fine vacanza.

Le distanze da percorrere sono sconfinate, quindi è preferibile studiare l’itinerario dettagliatamente, per evitare di trascorrere intere giornate alla guida e avere poco tempo da dedicare alla visita dei luoghi.

Nel mese di agosto – nei parchi del South West – le temperature sono molto elevate, nelle ore centrali della giornata si raggiungono anche i 38°, decisamente più miti la sera. In Florida il clima è tipicamente tropicale, caldo e molto umido.

Il nostro itinerario di due settimane si è snodato attraverso alcuni tra i più spettacolari parchi statunitensi, con partenza da Las Vegas per concludersi in Florida, tra Orlando, Miami e la deliziosa Key West. Un mix di paesaggi naturali mozzafiato, caotiche metropoli, tranquilli paesini in mezzo al nulla, notti trascorse nei tipici motel da film, hamburgers consumati nelle tavole calde strada facendo, qualche imprevisto qua e là, tantissimi chilometri macinati; il risultato è stato un viaggio dal ritmo incalzante, quello tipico dell’on the road.

Voli

Multitratta con andata su Las Vegas e rientro da Miami: Air France / Delta

Las Vegas – Orlando: Frontier Airlines

Parchi visitati

Grand Canyon | Arizona

Monument Valley | Utah – Arizona

Horseshoe Bend | Arizona

Antelope Canyon | Arizona

Bryce Canyon | Utah

Death Valley | California

Diario di viaggio

LAS VEGAS: 3 – 4 agosto

Abbiamo scelto Las Vegas come punto di partenza per il tour dei parchi e questa eccentrica metropoli nel mezzo del deserto del Nevada si è rivelata una piacevolissima parentesi prima di partire per il nostro on the road. In aeroporto affittiamo un enorme Toyota, decisamente eccessivo sia come dimensioni che come prezzo, ma ormai è fatta. Per le nostri due notti nella sin city abbiamo scelto un hotel super fighetto, l’Hard Rock Hotel & Casino – molto originale – a partire dalla reception collocata in un’enorme hall-casinò tra slot machines, roulettes e tavoli da pocker.

Las Vegas non offre molto, ma passeggiare lungo la Strip – nonostante i 40° – è di per sé un’esperienza. La Strip è la via principale dove si susseguono hotels e casinò a non finire, nella maggior parte dei casi gli uni inglobano gli altri, in quanto quasi ogni hotel ha all’interno il proprio casinò. Bellagio, Venetian, Flamingo, Caesars Palace, Luxor, Paris Las Vegas, sono solo alcuni dei resorts a tema che riproducono – in miniatura – angoli di mondo come il lago di Como, Venezia, l’Egitto, Parigi e così via. Al di fuori della Strip la città diventa un susseguirsi di grattacieli che sconfinano nel deserto.

Un giorno a Las Vegas è più che sufficiente, anche perché la città del peccato non dà tregua: non ci si può riposare perché la musica disco pervade l’atmosfera; le feste e i concerti nel nostro hotel non hanno orari e non si trova pace nemmeno lì, un po’ per la confusione, un po’ per il caldo infernale da cui non si sfugge nemmeno con un bagno in piscina; il giorno e la notte si confondono tra loro, infatti nelle halls degli hotels-casinò non ci sono finestre e l’ambiente semi buio invoglia i giocatori a non fermarsi mai. Tentiamo anche noi la fortuna alla roulette e vinciamo addirittura 500 dollari!

GRAND CANYON: 5 agosto

Il nostro on the road seguirà un percorso quasi circolare, con partenza da Las Vegas e rientro a Las Vegas. In 4 ore raggiungiamo il South Rim del Grand Canyon, che doveva essere la tappa clou del nostro viaggio. Purtroppo arriviamo in loco solo nel tardo pomeriggio e così ci accontentiamo di fare una breve passeggiata a piedi lungo il rim, il bordo.

Il Grand Canyon è un parco nazionale e per accedervi è necessario pagare un biglietto, come per tutti gli altri parchi. Per chi volesse visitare un gran numero di parchi è consigliato fare l’Annual Pass, ma dato che la Monument Valley e l’Antelope Canyon non sono inclusi, a noi non conviene e pagheremo il biglietto di volta in volta. Il sole che cala non rende giustizia alle sfumature delle varie stratificazioni di roccia che caratterizzano il canyon, ma lo spettacolo è indescrivibile ugualmente. Lo stupore è tanto quando ci si trova davanti alla sua immensità, nessuna foto può rendere l’idea della vastità del Grand Canyon, basti solo pensare che dal South Rim al North Rim – ovvero da una parte all’altra – ci sono 300 km. Lo sguardo si perde senza riuscire a scorgere la fine di questa distesa sconfinata di rocce.

Le soluzioni per chi ha più tempo da dedicare a questo parco sono innumerevoli, dai trekkings di poche ore a quelli di più giorni pernottando in tenda, l’escursione a dorso di mulo, il sorvolo in elicottero. Il trekking che scende nel canyon fino al fiume Colorado è sicuramente il modo migliore per apprezzare il paesaggio in tutto il suo splendore, tuttavia in questa stagione il caldo non dà tregua e rende molto difficoltoso il prendere parte ad attività fisicamente impegnative. Per chi come noi ha poche ore a disposizione, si può optare per una passeggiata a piedi oppure usufruire delle navette che percorrono il rim facendo sosta nei principali punti di osservazione, per permettere ai visitatori di scattare le foto dall’angolazione migliore. Noi ci accontentiamo di una veloce visita di un paio d’ore e ci rimettiamo in viaggio.

Non essendo riusciti a trovare un hotel con disponibilità nelle vicinanze – a Tusayan per esempio – ci dobbiamo allontanare e raggiungere la cittadina di Flagstaff ad 1h30 di macchina. Pernottiamo in uno dei tanti Motel 6 che incontreremo strada facendo e, proprio come nei film, si parcheggia la macchina davanti alla porta della propria camera.

MONUMENT VALLEY: 6 agosto

Proseguiamo per la Monument Valley che si trova a 2h30 di macchina dal Grand Canyon. Il paesaggio che ci troviamo davanti agli occhi è quello tipico dei film western, alcuni dei quali sono stati girati proprio qui: un vasto pianoro di sabbia rossa con imponenti guglie rocciose che si ergono qua e là. Il colpo d’occhio è eccezionale anche solo dal punto di osservazione all’ingresso, senza bisogno di addentrarsi nella vallata, ma ovviamente per gustarsi al meglio questo spettacolo bisogna percorrere lo sterrato che si snoda tra le guglie.

La Monument Valley può essere attraversata con la propria macchina, oppure si può prendere parte ad un tour guidato; in quest’ultimo caso si potranno visitare delle zone a cui l’accesso è normalmente vietato. All’ingresso viene consegnata una piantina e seguendo le indicazioni si raggiungono i vari punti di osservazione. Un modo alternativo per vivere la Monument Valley è quello di partecipare ad un tour a cavallo, ma ancora una volta le temperature elevate – così come il costo – ci trattengono dal farlo.

Con il nostro fuoristrada trascorriamo un’intera mattinata a scorrazzare avanti e indietro per il pianoro e – nonostante l’elevato numero di turisti – gli spazi sono talmente vasti che ognuno riesce a trovare il proprio angolo di tranquillità in totale solitudine. Prima di rimetterci alla guida ci gustiamo un piatto tipico in un ristorante con vista sugli scenografici butte della Monument Valley, il pane fritto navajo, una sorta di pizza con una base di crema di fagioli, davvero ottimo. In 2 ore raggiungiamo la cittadina di Page, punto di partenza per visitare l’Horseshoe bend e l’Antelope Canyon; pernottiamo nuovamente in un Motel 6.

HORSESHOE BEND: 7 agosto

L’Horseshoe Bend si può osservare da un punto panoramico a picco su uno strapiombo profondo 300 metri; il fiume Colorado, in questo tratto, gira attorno ad un alto pinnacolo roccioso disegnando un ferro di cavallo. Come impatto visivo è questo il luogo che mi ha colpita maggiormente, poiché il panorama che si ammira dall’alto del precipizio è sensazionale e il contrasto tra il rosso della roccia e il verde smeraldo del fiume lasciano senza parole. La distanza che separa il visitatore in cima, dal Colorado in basso, dà le vertigini e le barchette che navigano sulle tranquille acque nella gola sembrano grandi quanto un palmo di mano. Per raggiungere il punto di osservazione si percorre un sentiero sterrato, una passeggiata di mezz’ora, piacevole all’andata poiché in discesa, ma sfiancante al ritorno, soprattutto se fatta nelle ore centrali della giornata.

ANTELOPE CANYON

L’Antelope Canyon (a pochi chilometri di distanza dall’Horseshoe Bend) è l’unico parco – tra quelli visitati – che necessita di una prenotazione per potervi accedere, in quanto gli ingressi sono scaglionati per orari in modo da evitare di sovraffollare il sito. La prenotazione può essere effettuata su internet oppure di persona, recandosi – anche sul momento – in uno dei tanti chioschetti che si trovano lungo la statale per Page.

Nel mese di agosto le richieste di visita sono molte, nonostante ciò le varie agenzie riescono ad organizzarsi per garantire l’accesso a tutti. In ogni caso per non correre rischi conviene acquistare il biglietto il giorno prima. Vengono proposte due escursioni differenti, all’Upper e al Lower Antelope Canyon; il primo è il più visitato e quello scelto da noi.

L’Antelope Canyon è una gola profonda, scavata nel corso dei secoli dall’acqua e dal vento nelle rosse rocce arenarie nel mezzo del deserto dell’Arizona. Il tour non può essere effettuato in autonomia, ma solo accompagnati da una guida navajo e il canyon si raggiunge in 15 minuti di divertente dune buggying sulla sabbia in fuoristrada. Lo spettacolo offerto da questo luogo non può lasciare indifferenti; appena entrati nel canyon ci si lascia alle spalle il caldo soffocante del deserto e ci si ritrova in un cunicolo semi buio largo appena un paio di metri nei punti più ampi. La luce che filtra dalle spaccature nelle rocce crea dei giochi di colore incredibili e dà ancora più risalto alla colorazione rosso-arancio del canyon. L’azione dell’acqua e del vento ha levigato le pareti rendendole lisce, portando in superficie le stratificazioni colorate dell’arenaria e creando nicchie e anfratti dall’atmosfera surreale.

Nonostante l’alta concentrazione di turisti all’interno del sito, le guide navajo con molta pazienza aiutano i visitatori a trovare l’angolazione migliore per scattare le foto in un ambiente dalla resa fotografica per nulla semplice. In caso di pioggia le visite all’Antelope vengono interrotte, poiché il canyon è soggetto a piene improvvise, tuttavia nei mesi estivi è raro che accada.

Ci rimettiamo alla guida in direzione Bryce Canyon e in 2 ore di macchina raggiungiamo la cittadina di Panguitch dove pernottiamo al Colour Country Motel. Il paesaggio è cambiato notevolmente, il deserto ha lasciato spazio alle montagne e ad immensi prati verdissimi dove pascolano cavalli in libertà; anche la temperatura è scesa notevolmente e si respira un’aria fresca davvero piacevole.

BRYCE CANYON: 8 agosto

Il paesino di Panguitch si trova ad appena 10 minuti dall’ingresso del Bryce Canyon. Questo parco è senza dubbio quello che ci siamo goduti maggiormente, grazie alle temperature miti che ci hanno permesso di passeggiare lungo tutto il sentiero che costeggia il canyon senza patire minimamente il caldo. Il paesaggio è caratterizzato da una sorta di ampio anfiteatro costituito da appuntiti pinnacoli di roccia, chiamati hoodos, creati nel corso dei secoli dall’erosione dell’acqua e del vento. La natura ancora una volta ha dato il meglio di sé e il contrasto tra il verde dei boschi di pini e il colore giallo-arancio-rosso del canyon crea un colpo d’occhio spettacolare. Per chi volesse vedere da vicino gli hoodos, vengono organizzati trekkings che si snodano attraverso i pinnacoli e vi si può prendere parte sia accompagnati da una guida che in autonomia. Il Bryce Canyon è molto frequentato dai turisti americani amanti del campeggio, che vi trascorrono anche un’intera vacanza. Le piazzole per i camper e le tende sono attrezzate alla perfezione, incorniciate dal bosco, al riparo dei pini e con gli immancabili tavolo da picnic e barbecue. Nelle zone limitrofe al canyon vengono organizzate passeggiate a cavallo, un’altra attività che – insieme ai trekkings – rende una vacanza in questo luogo assolutamente completa. Il nostro cerchio si chiude e non ci rimane che raggiungere nuovamente Las Vegas, in 4 ore di macchina, dove faremo base per visitare l’ultimo dei parchi in programma, la Death Valley.

DEATH VALLEY: 9 agosto

La Valle della Morte è uno tra i luoghi più inospitali della terra, un mix di deserto roccioso, sabbioso, bacini di sale e distese di minerali, una depressione lunga più di 200 km nonché il punto più basso del Nord America (86 metri sotto il livello del mare); nella Death Valley è stata registrata la temperatura più alta degli Stati Uniti, 57°. Dato il clima assolutamente invivibile, è consigliato recarvisi nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio, tuttavia noi tardiamo a partire da Las Vegas e facciamo la follia di visitarla nelle ore centrali della giornata, con “soli” 43°. È ovviamente impossibile trascorrere fuori dalla propria macchina più di pochi minuti, ma dato che i punti di osservazione si trovano in sequenza, riusciamo comunque a goderci i paesaggi, tra una breve passeggiata e una fuga al riparo dell’aria condizionata del nostro fuoristrada.

I siti più famosi da visitare sono: Zabriskie Point, il bacino di un lago evaporato costituito da fango salino, ceneri, ghiaia e minerali, che danno una particolare e suggestiva colorazione alla terra; Mesquite Flat, una distesa di dune dalla sabbia finissima color oro; Badwater, un bacino salino bianco accecante che invita ad una passeggiata sulla sottile crosta di sale, magari non a mezzogiorno come abbiamo fatto noi, rischiando un colpo di calore. Ci sarebbe piaciuto spingerci fino alla città fantasma di Rhyolite, ex campo di minatori, ma i chilometri da percorrere per raggiungerla sono parecchi e la botta di caldo presa a Badwater ci induce a tornare a Las Vegas.

In 5 giorni, mantenendo un ritmo incalzante, siamo riusciti a visitare tutti i parchi che avevamo messo in programma, percorrendo più di 2000 km attraverso paesaggi totalmente differenti: lo sconfinato Grand Canyon, inimmaginabile nella sua vastità, la distesa di terra rossa alternata ai butte della Monument Valley, il sinuoso Antelope Canyon, gli appuntiti hoodos del Bryce Canyon che sembrano scolpiti ad uno ad uno, l’inospitalità della Death Valley tra deserto, saline e temperature ai limiti della sopravvivenza; un concentrato di natura ed esperienze che se il nostro viaggio fosse terminato saremmo già pienamente appagati.

Fortunatamente abbiamo ancora una settimana da dedicare alla Florida.

FLORIDA, CAPE CANAVERAL: 11 agosto

Ci spostiamo con un volo della Frontier Airlines da Las Vegas ad Orlando, patria dei parchi a tema, ma non essendo noi amanti del genere, la utilizzeremo solo come tappa di passaggio. La mattina di buon’ora ci mettiamo alla guida dell’utilitaria che abbiamo affittato per la settimana e raggiungiamo il Kennedy Space Center a Cape Canaveral. Il biglietto d’ingresso costa 50 dollari e la visita ci porta via una mattinata, ma volendo visitare tutte le attrattive proposte vi si potrebbe trascorrere una giornata intera.

Le aree espositive sono organizzate alla perfezione – in questo gli americani sono sempre impeccabili – e la varietà di tours a disposizione dei visitatori è notevole.

MIAMI: 12 agosto

Raggiungiamo Miami in 4 ore e per godere al meglio dell’atmosfera mondana di questa metropoli decidiamo di soggiornare a Miami Beach, l’isola che ospita una sfilza di grattacieli affacciati sulla località balneare più in voga degli Stati Uniti; alle spalle, sulla terraferma, si trova la città di Miami vera e propria. Pernottiamo in un delizioso boutique hotel, l’Hotel, a due passi dal mare. La spiaggia di Miami Beach è una lunga e profonda distesa di sabbia bianca punteggiata di sciccosi stabilimenti balneari alternati ad ampi tratti di spiaggia libera. Le acque del Mar dei Caraibi che la lambiscono sono cristalline, pur non avendo i colori brillanti che ci si aspetterebbe, è comunque un bel mare. La sera è d’obbligo recarsi a South Beach e passeggiare lungo Ocean Drive, il cuore pulsante di Miami, un concentrato di ristoranti, cocktail bar e discoteche, una passerella a cielo aperto dove mettersi in mostra esibendo la propria mise migliore. Per chi è appassionato di vita notturna questo è il posto giusto. Attraversando il lungo ponte che collega Miami Beach alla terraferma, ci si ritrova a Downtown, il centro economico, che ci limitiamo ad attraversare in macchina. Ci dirigiamo verso un quartiere che è più nelle nostre corde, dove speriamo di respirare un po’ di Caraibi: Little Havana, residenza di molti immigrati ispanici. Little Havana si snoda attorno alla vitale Calle Ocho, sulla quale si affacciano storici negozi di sigari e ristoranti cubani e dove poter ammirare i coloratissimi murales che decorano i muri della via. È giunto il momento di spingerci a sud verso le Florida Keys, un arcipelago di caratteristiche isolette collegate l’una all’altra da una sottile striscia di terra che culmina nell’incantevole Key West.

KEY WEST: 13 agosto – 14 agosto

Raggiungere Key West da Miami è un lungo viaggio. Le isole Keys sono prese d’assalto dai vacanzieri – sia locali che stranieri – e la Overseas Highway, il rettilineo sospeso sull’oceano che le collega alla terraferma, è una fila indiana di macchine, soprattutto nel week end; noi abbiamo impiegato 4 ore.

La prima isola che si incontra è Key Largo, molto strutturata per la pratica di tutte le attività marittime, in particolare la subacquea. Di fronte alla costa si trova il John Pennekamp Coral Reef State Park dove si fanno le immersioni migliori di tutta la Florida, in particolare quelle sui relitti, per i quali la zona è nota alla comunità subacquea. Proseguendo verso sud in direzione Key West si trovano – in sequenza – Islamorada, Marathon e Big Pine Key.

Tutte le isole sono caratterizzate dalla vegetazione tropicale e da colorate casette di legno, anche se il turismo di massa ha un po’ snaturato questi luoghi rendendoli un’esotica appendice della Florida peninsulare. Gli ultimi chilometri la strada diventa uno stretto e panoramico ponte sospeso su una laguna dai colori tipicamente caraibici che conduce a Key West. “Southernmost Point Continental USA – 90 miles to Cuba”: questo è quanto scritto sul monumento simbolo di Key West, il punto più a sud degli Stati Uniti a sole 90 miglia da Cuba. L’isola, territorialmente statunitense ma dall’anima caraibica, ha dichiarato la sua indipendenza definendosi The Conch Republic.

Ogni anno a metà agosto si svolge il Festival delle Aragoste, un evento mangereccio dedicato a questi crostacei, che attrae a Key West più turisti del solito. Noi capitiamo sull’isola proprio in quei giorni e per di più senza alcuna prenotazione alberghiera. Paghiamo a caro prezzo questo errore, poiché – a causa del festival – gli hotels della città sono tutti pieni e le poche camere rimaste hanno dei prezzi folli. Dopo 3 ore di ricerca siamo quasi tentati dal trascorrere la notte in macchina, ma alla fine ci rassegniamo a spendere 300 dollari per l’ultima camera rimasta di un motel, la stessa camera che a fine festival ne costa solo 80.

A Key West si respira un’atmosfera vacanziera e spensierata, le stradine della città sono costeggiate da casette di legno dai colori accesi e vecchi edifici coloniali ristrutturati, sede di alberghi e ristoranti. La via principale da cui partire per l’esplorazione di Key West è Duval Street, vivace, caotica e piena di negozietti, per poi proseguire – sempre a piedi – nelle tranquille vie laterali. La spiaggia di Key West si trova all’interno del Fort Zachary Historic State Park; pagando un biglietto d’ingresso si può trascorrere la giornata al mare, tra una visita al forte e un bagno nel caldo Mar dei Caraibi. La spiaggia è piccolina ma d’effetto, la sabbia bianca e l’acqua turchese.

Se si desidera una spiaggia più ampia, ci si deve recare al Bahia Honda Key State Park, tra le isole di Big Pine Key e Marathon. Anche in questo caso si paga un biglietto per accedere alla riserva e si potrà godere delle 2 spiagge sul lato nord e sud: una selvaggia e poco frequentata (peccato per la presenza delle alghe), l’altra attrezzata e decisamente affollata. La visuale dell’Overseas Highway rovina purtroppo l’atmosfera tropicale di questo luogo, che rimane comunque una piacevole parentesi sulla via di rientro a Miami.

Il nostro tour della Florida termina qui.

Ci sarebbero state tante altre attività a cui dedicarsi, che non abbiamo potuto includere nel nostro programma per mancanza di tempo; prima fra tutte la visita al Parco Nazionale delle Everglades, noto per l’avvistamento dei coccodrilli e di numerose altre specie faunistiche; o ancora proseguire l’on the road in direzione ovest verso New Orleans, in Louisiana.

La Florida rappresenta un ottimo punto di partenza o di arrivo, Miami è una finestra sul Mar dei Caraibi, perché da lì partono voli e navi per i gioielli tropicali più desiderati al mondo: Bahamas, Turks and Caicos, isole Cayman, Barbados e molte altre; basta solo fare la propria scelta e proseguire il viaggio verso uno di questi paradisi esotici, come abbiamo fatto noi. Se volete avere maggiori informazioni su questa destinazione, potete visitare il mio sito: www.vogliadiesotismo.it

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