Que Ecuador: il diario di viaggio di Nicoletta verso Santa Rosa

Nel mese di agosto saranno in edicola altri sei nuovi titoli di Turisti per Caso Book, gli speciali che raccontano singole destinazioni attraverso una selezione mirata di itinerari di viaggio! I prossimi fascicoli che puoi trovare in edicola sono: Egitto, Parigi,...
Turisti Per Caso.it, 30 Lug 2009
que ecuador: il diario di viaggio di  nicoletta verso santa rosa
Nel mese di agosto saranno in edicola altri sei nuovi titoli di Turisti per Caso Book, gli speciali che raccontano singole destinazioni attraverso una selezione mirata di itinerari di viaggio! I prossimi fascicoli che puoi trovare in edicola sono: Egitto, Parigi, Napoli Costiera e Isole, Firenze e Toscana, Portogallo, Corsica. Alla vendita dei Turisti per Caso Book è collegato un progetto di turismo solidale che supportiamo con una percentuale dei diritti d’autore, il progetto “Que Ecuador”, che seguiamo passo passo attraverso il sito. Tre ragazze che fanno parte del team di lavoro del progetto – Valeria, Nicoletta e Alessia – si trovano attualmente in Ecuador per un viaggio-sopralluogo nella zona di Santa Rosa; una spedizione per stabilire un contatto diretto con gli Epera e rendersi conto insieme a loro delle priorità di intervento. Di seguito il primo diario di viaggio…

L’arrivo in Ecuador

Quito, ci arriviamo dopo un’interminabile viaggio aereo Milano/Madrid Madrid/Guayaquil Guayquil/Quito. A Quito alloggiamo in un ostello carinissimo, hostal bambu, tra la citta veccia e quella nuova, posizione tutto sommato tattica anche se nelle vicinanze non c’erano posti per mangiare. Camere pulite, cucina, terrazza vista vulcani e delle comode amache per godersi il panorama! Ovviamente, all’esaltazione iniziale ha avuto seguito una fase di stanchezza da fuso orario misto soroche, il tanto temuto mal di altura, mix che ha fatto si che la visita della città si trasformasse in un’impresa titanica… Ambientarsi, quando la diversità e tanta, non e mai semplice, e anche se si e già stati in America Latina il vociare, i colori, gli odori del cibo, gli autobus, i volti della gente, lasciano sempre a bocca aperta. Tanto aperta che quando, armate di guida e imbevute di cultura locale, abbiamo visitato una chiesa pensando che fosse la cattedrale, abbiamo deciso di smettere di fare le intellettuali e ce ne siamo andate a zonzo per la città vecchia, godendo dell’affascinante e rarefatta atmosfera. Nella piazza del teatro abbiamo assistito alle gags comiche di alcuni attori di strada, abbiamo sorseggiato una cervecita da 66 cl, i diminutivi sono più un costume locale che altro, e poi via, alla scoperta della parte nuova della città, la mariscal, un po’ gringa e decisamente meno affascinante di quella vecchia, ma comunque movimentata e allegra. Quito, di giorno e di notte, stupisce per la sua autenticità, più che una capitale latinoamericana sembra un grande paese, autentico, vario e multietnico, privo dei disarmanti contrasti e delle contraddizioni che caratterizzano le grandi città del sud del mondo.

A Quito, sede di alcune delle principali Università del paese, ci siamo organizzate per reperire informazioni sulla comunità indigena degli Epera e dopo un vero e proprio PING-PONG da un dipartimento all’altro (tutto il mondo e paese!), insistenti come sanno essere solo le ex UniMI, siamo riuscite ad incontrare Catalina Alvarez, docente di Antropologia che ha realizzato l’unico studio sugli Epera attualmente disponibile in Università. Alla libreria della casa editrice Aby Ayala, rifornitissima di testi sulle comunità indigene e sulla storia del paese, abbiamo incontrato Juan Bottasso, il direttore editoriale, che ci ha messo in contatto con Suor Victoria, un’antropologa che con gli Epera ha vissuto sette anni e ora vive vicino a Cayambe, nel bel mezzo degli altipiani settentrionali.

Lasciata la capitale ci siamo dunque dirette a nord, a Otavalo, un bellissimo e altissimo pueblo di casette colorate e gente sorridente, sede del ‘più grande’, almeno cosi dicono, mercato indigeno di tutta l’America Latina. Gli otavaleni sono silenziosi e molto legati alle loro tradizioni, vestono coloratissimi abiti e dimostrano di essere degli abili commercianti: attenti, al mercato si trova di tutto, ponchos made in china compresi, ma l’artigianato locale la fa da padrone e i colori, i disegni dei tappeti e delle stoffe, i cappelli in paglia e di alpacha sono tra i più belli che si possano trovare. Altri mercati interessanti sono quelli della frutta e degli animali, anche se per assistere alla compravendita di polli e galline (maiali assenti vista l’influenza) bisogna svegliarsi molto presto, il gioco vale la candela. Mentre Alessia visitava le cascate di Peguche, niente di emozionante, e la laguna di San Pablo, Valeria e io siamo partite alla ricerca di Suor Victoria. L’abbiamo incontrata ad Ayora e con grande umanità e competenza ci ha parlato degli Epera, nessuno sembra conoscerli meglio di lei, e della sua esperienza al villaggio…

L’incontro con Suor Veronica

Ayora, Cayambe, qui dopo un improbabile tragitto in autobus, incontriamo Suor Victoria Carrasco, religiosa e infaticabile antropologa che per anni ha lavorato con gli Epera e che forse più di chiunque altro ne conosce le tradizioni, i costumi, le storie. Suor Victoria, che sta scrivendo un libro con gli Epera per documentarne la lingua e la cultura, ci ha spiegato la storia della comunità di Santa Rosa. “Tra il 1998 e il 1999 mi trovavo a Borbon e lavoravo con le comunità indigene della zona. Mi resi conto che lungo il rio cayapas vivevano, disseminate nella foresta, molte famiglie indigene che non appartenevano alle comunità autoctone dei Chachi o degli Awa. Venivano dalla Colombia, sfuggivano dalla violenza e da situazioni di semi schiavitù.” Erano gli Epera, Eperara Sia, una delle popolazioni indigene più numerose della zona del Choco colombiano.

Dispersi nel territorio, sprovvisti di documenti, nomadi o variamente impegnati nelle coltivazioni, gli Epera vivevano in Ecuador dagli anni ’60 senza essere riconosciuti come comunità. Con l’aiuto del vicariato di Esmeralda, della diocesi di Vienna e di ACNUR, Suor Victoria ha dunque iniziato a lavorare con gli Epera perché avessero terre da coltivare e un villaggio in cui vivere e perpetrare le proprie tradizioni.

A Santa Rosa vivono oggi circa sessanta famiglie che dispongono di circa 400 ettari di terre. Vivendo insieme gli Epera sono riusciti a recuperare la loro lingua, il Sia Pedee, che viene insegnato nella scuola del villaggio, e ad organizzarsi internamente e formalmente come comunità. “A Santa Rosa ora” spiega suor Victoria “manca l’acqua. E la prima esigenza degli Epera, l’acqua e vitale per la sopravvivenza della comunità.” “Gli Epera” come le altre popolazioni indigene che abitano nella zona, “bevono l’acqua del fiume, si lavano e lavano i propri indumenti, gli utensili e le cibarie nel fiume, vivono del fiume, ma l’acqua del fiume è estremamente contaminata. Per questo si ammalano. I bambini, i bambini soffrono moltissimo, soprattutto durante la fase dello svezzamento, molti non sopravvivono. Per questo l’acqua e vitale.” Suor Victoria ci spiega che in passato sono stati fatti dei tentativi per dotare di acqua potabile la comunità puntando sulla raccolta di acqua piovana, ma questi interventi, puntuali, non sono stati sufficienti per assicurare l’acqua a Santa Rosa. “E’ necessario un sistema comunitario di rifornimento di acqua potabile, un serbatoio da cui tutte le famiglie possano attingere, dato che non tutti i tetti delle abitazioni sono utilizzabili per raccogliere la pioggia, estremamente abbondante in alcuni mesi dell’anno, meno in altri. Bisogna poi pensare a un sistema per la gestione dei reflui e, sopratutto, provvedere affinché la comunità sia educata all’utilizzo dell’acqua e direttamente responsabile della gestione e del mantenimento del sistema idrico che si vuole creare nel villaggio.” Coscienti che il lavoro da fare sarà lungo, confortate dalla fiducia e dall’esperienza di Suor Victoria, l’abbiamo salutata con una promessa di impegno e siamo tornate a Otavalo, pronte a continuare il nostro viaggio e con un primo, chiaro, obbiettivo per il progetto “Que Ecuador”, l’acqua per gli Epera. Dopo alcuni giorni di viaggio, a Esmeralda, grazie all’aiuto di alcuni amici e a una buona dose di fortuna, abbiamo trovato le prime risposte.

Le foto di questo articolo sono di Alessia, guarda la sua pagina di Flickr



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