Un viaggio indimenticabile in Ecuador

Mercoledì 31 dicembre 2008 - Giovedì 1 gennaio 2009 Milano Amsterdam. Alle 24.03 dopo gli auguri di buon anno del comandante si parte per Quito. Scalo tecnico alle 5 a Bonarie (isola olandese dei carabi), si riparte dopo circa un ora per Guayaquil e da lì per Quito dove arriviamo alle 9.30. A Quito ci attende la persona (che chiameremo...
Scritto da: loretta 51
un viaggio indimenticabile in ecuador
Partenza il: 31/12/2008
Ritorno il: 19/01/2009
Viaggiatori: fino a 6
Mercoledì 31 dicembre 2008 – Giovedì 1 gennaio 2009 Milano Amsterdam. Alle 24.03 dopo gli auguri di buon anno del comandante si parte per Quito.

Scalo tecnico alle 5 a Bonarie (isola olandese dei carabi), si riparte dopo circa un ora per Guayaquil e da lì per Quito dove arriviamo alle 9.30. A Quito ci attende la persona (che chiameremo Fabio) che ci ha organizzato tutto il tour. Sbrighiamo le formalità doganali e alle 11 arriviamo al Mercure Hotel Almeyda di Quito ( ottima sistemazione). Nel breve tragitto per l’hotel capiamo subito di essere in ottime mani e di trovarci di fronte un serio professionista, ma anche un personaggio eccezionale, un italiano innamorato dell’Ecuador che conosce a fondo, luoghi, gente, usi, sfumature.

Il tempo di lasciare i bagagli e ci dirigiamo alla riserva Pululahua qualche decina di km a nord di Quito. La riserva è formata dalle pendici esterne del Volcan Pululahua e dalla parte interna del cratere profondo circa 400 metri. Una folta vegetazione verde spontanea ricopre le pareti del vecchio vulcano, nella bocca del cratere coltivazioni di frutta e verdura e case. Le nubi che arrivano dal mare si fermano qui rilasciando uno pioggerellina sottile la garua, Tutto intorno ci sono montagne e vallate desolatamente aride e brulle, un contrasto forte, il primo.

Pranziamo al ristorante El Crater, un posto stupendo. Il locale si trova sul bordo del cratere, una vista splendida sull’area della riserva e su tutta l’area verso Quito. Il locale merita da solo una visita non solo per la posizione. Il proprietario è un artista, il locale ospita sue opere, ma tutta la costruzione è un opera d’arte curata e pensata. Si mangia benissimo conosciamo il locro di papa.

Poi andiamo a vedere la Mitad del Mundo. Non il monumento turistico e rumoroso dove gli scienziati francesi hanno stabilito che passasse la linea dell’equatore, ma il museo Solar Inti Nan dove si trova la vera linea dell’equatore, come avevano scoperto gli Inca e che gli strumenti tecnici moderni hanno confermato. Una piccola seconda emozione stare a cavallo dell’equatore e vedere alcuni interessanti esperimenti fisici circa l’influenza dell’equatore.

Rientriamo a Quito e visitiamo la Basilica del Voto Nacional con caratteristici doccioni a forma di iguane e tartarughe e due alte torri.

Alle 18.30 rientriamo nel confortevole hotel, la stanchezza prevale e saltiamo la cena.

Venerdì 2 gennaio Alle 7.30 partiamo per la visita di Quito. Andiamo al Panecillo, la collina che sovrasta Quito, sulla sommità la statua gigantesca della Virgen de Quito, ai suoi piedi la grande città distesa nella grande vallata e sulle pendici delle montagne e in particolare ben visibile il centro storico con le sue piazze e chiese. Alle spalle il Volcan Pichincha, attivo, che con le sue due cime di 4700 mt domina la città. Ben visibile il monumento sulla Cima della Libertad dedicato all’ultima battaglia per la conquista dell’indipendenza del paese. Siamo a natale e sul Panecillo c’è un gigantesco presepe di sagome con le luci visibili dalla città.

Poi giriamo a piedi nel centro storico. La Plaza Grande, con il Palacio del Gobierno, la Cattedrale e il Palazzo Vescovile. Belle e ben tenute le vie del centro vediamo: la Compania de Jesus, molto ricca e sfarzosa; la Merced con il suo alto campanile e le campane mute; il Monastero de San Augustin; la bella piazza e l’imponente monastero di San Francisco, il cui fondatore Ricke è ricordato con una statua sopraelevata, bellissima la cappella del coro e i chiostri interni trasformati in museo; la piazza e la chiesa di Santo Domingo con la statua del Mariscal Sucre che indica il monumento alla libertà. Belli, grandi e ben tenuti i parchi molto usati dai cittadini. Una bella città, con vie lastricate, ben tenuta e curata, non solo nel centro storico, davvero non sembra di essere in sudamerica.

In tarda mattinata ci dirigiamo a nord con la Panamericana, una bella superstrada a due corsie, notiamo l’assenza di qualsiasi indicazione delle città e paesi, se non conosci la strada è un problema viaggiare.

Fabio è una fonte inesauribile e preziosa di informazioni , di racconti, di esperienze: un mito come dice Monica. Dall’alto possiamo ammirare il bel paesaggio della laguna San Pablo, peccato la pioggia e le nubi che oscurano i vulcani e le cime.

Arriviamo a Ibarra e all’Hosteria Chorlavi : una vecchia hacienda coloniale, ben ristrutturata e sistemata, l’accoglienza è familiare e cordiale, le stanze accoglienti, ottima sistemazione per visitare il nord senza perdere tempo. Scopriamo il canarazo specie di tè aromatizzato alla cannella con aguardiente. Ottimo e buona la cena.

Sabato – 03 gennaio Colazione nel porticato del chiostro, poi partenza per El Angel, ci dirigiamo verso il confine con la Colombia, poi risaliamo la valle del Rio Chota. Man mano che si sale si passa dalla zona coltivata, alle brulle e verdi cime delle montagne.Il paesaggio è bellissimo: un susseguirsi di panorami, lunghe e profonde fenditure verdi si aprono continuamente interrompendo le vallate, giochi di colori e di luci con le nuvole che disegnano scenari sempre diversi con il verde della valle e le montagne.

In cima si apre uno scenario fantastico la valle del Rio Chota: una immensa distesa caratterizzata dalla canna da zucchero e da profondi canyon che attraversano la valle, con la possente presenza in fondo del vulcan Imbabura con le nubi che giocano attorno alla sua cima. Si scende nella valle tra le canne da zucchero che sono la principale risorsa, insieme a frutta e verdura, degli afro-equadoriani discendenti degli schiavi che nel 1800 si sono insediati nella valle e si prosegue per El Angel. Scopriamo questo tipico villaggio andino sui 3000 mt.E prendiamo la strada sterrata per la riserva ecologica El Angel. Si sale passando dalle verdi vallate intensamente coltivate trasformando anche ripidi pendii in campi, a zone tipiche ricche di flora selvatica, con orchidee, altri fiori e piante. Il paesaggio è sempre molto bello con viste stupende sulle verdi vallate, con colori resi ancor più belli dal gioco del sole e delle nubi. Poi, a un certo punto, scompare tutta la vegetazione e rimangono solo loro:i frailejones e inizia un paesaggio straordinario, unico al mondo, di queste piante strane con le loro forme, le loro foglie larghe e vellutate i fiori gialli simili a margherite colorate che animano all’infinito il paramo e le cime che lo circondano.

Siamo a 3700 mt. Alla stazione delle guardie che controllano la riserva, ci accolgono con grande gentilezza e ci offrono una “caramella” per la passeggiata che ci porterà oltre ai 4000 mt.

Attraversiamo scenari fantastici formati dai frailejones, l’occhio che si perde fin all’orizzonte in questo paramo che sembra non finire mai, le nubi passano veloci con colori e intensità diverse, a volte rilasciano parte del loro carico e una pioggerellina sottile ti avvolge. Sembra di vivere in un mondo irreale animato da queste forme e quando l’occhio si è abituato al paesaggio eccoci in cima e lì ci attende una nuova grande emozione: due lagunas con le loro calme acque in cui si specchiano il sole e le nubi di passaggio, circondate da una nuova infinita distesa di frailejones che fanno la guardia all’acqua e alla quiete della montagna.. Sarebbe stato troppo vedere volare qualche condor o aquila che dominano dall’alto queste montagne. Al ritrono ci fermiamo a Mascarilla, dove vive una comunità afro-equadoriana e dove è in corso un progetto di solidarietà internazionale. Siamo accolti con cordialità e ammiriamo la produzione di maschere, in terracotta, che ricordano l’origine e la cultura di questa popolazione.

Poi una sosta alla laguna Yaguarcocha per ammirare uno stormo nutrito di aironi bianchi che, incurante dei tanti frequentatori, staziona sulle canne e la mole possente del volcan Imbabura (4.609 mt) che si specchia nell’acqua. Sulla riva del lago c’è una pista da corsa per auto fino alla formula tre, un luogo prettamente turistico, salvo che per gli innocenti e belli aironi, il vulcano e il paesaggio.

Oltre alla assoluta mancanza di segnali per i paesi su tutte le strade vige un rigoroso limite di velocità di 60 Km e in ogni paese, frazione, casa sparsa, sulla strada ci sono dossi (molto alti) per obbligare a fermarsi. Spesso questi dossi sono presidiati da negozi, baracche, persone che offrono prodotti, frutta, bevande, artigianato o altro. Buona l’idea di tenere bassa la velocità ma che strazio questi dossi così alti, qui però non c’è la frenesia di arrivare e il servizio commerciale è apprezzato, ne abbiamo approfittato anche noi.

Torniamo all’hosteria Chorlavi per assistere ad uno spettacolo folcloristico orchestra e danze di un folto gruppo di ballerini con i loro tipici costumi. La fiesta è ancor più animata dal pranzo di nozze che si svolge nel chiostro, approfittiamo del menu degli sposi e ripartiamo.

Una bella vista del ghiacciaio del Volcan Cayambe 5.790 mt che si staglia sotto i raggi del sole all’orizzonte e poi raggiungiamo Otavalo per partecipare al mercato.

Sarà pure molto turistico, ma vale la pena di passarci qualche ora: i colori, la gente, le merci, la vita si respira un atmosfera positiva e serena. E si compra anche bene, buoni prodotti e buoni prezzi, trattando con attenzione per pagare più o meno il prezzo dovuto (non ci sono svendite, solo una ricarica più o meno elevata ). Naturalmente ci facciamo trascinare dall’entusiasmo e compriamo, poi ci poniamo il problema di dove mettere tutto. Rientriamo all’ Hosteria Chorlavi per la cena.

Domenica 4 gennaio Partiamo presto per la laguna di Quicocha, sotto di noi il lago circondato da montagne ripide piene di folta vegetazione, un bellissimo paesaggio, un esperto naturalista e fotografo, ci accompagna per un giro in quota sopra le cime che dominano il lago. Una bella passeggiata ricca di vedute sul lago e di bei paesaggi. Ammiriamo la ricca vegetazione: fiori, orchidee, piante medicinali e vediamo anche volare 3 condor, una rarità in piena mattina.

Mangiamo delle buonissime trote alla plancia e ripartiamo. Visitiamo Cotacachi e i suoi moltissimi negozi di oggetti in cuoio lavorato specialità della città. Vie lastricate, una bella piazza e chiesa. Ripercorriamo la valle dell’Imbabura e dopo aver visto da un’altra posizione il lago San Pablo entriamo nel Parque Condor. In belle e ben tenute voliere possiamo vedere i condor andini, diverse aquile, molti gufi e civette, altri rapaci. Assistiamo al volo dei rapaci e possiamo vedere da vicino sul braccio di un addetto anche una grande aquila calva, piuttosto agitata.

Lungo la strada per tornare alla Panamericana ci fermiamo in un altro punto di attraversamento dell’Equatore, non turistico ma segnalato con un grande globo terrestre ai margini di un piccolo paese.

Sostiamo a Calderon famosa per le belle statue di pane. E’ giorno di mercato e il mercato si svolge nella via principale che attraversa il paese, quindi bancarelle, negozi, gente e mezzi convivono in un disordinato e rumoroso caos, ma sempre vissuto con molta calma da tutti.

Attraversiamo Guayllabamba con ibordi della strada pieni di bancarelle di frutta anche particolare e riientriamo a Quito al Mercure Almeyda Hotel.

A sera comprendiamo il problema delle vie e dei numeri di Quito di cui parlano le guide: il taxi malgrado le indicazioni dell’hotel e una piantina con le indicazioni non trova la casa di Fabio.

Lunedì 5 gennaio Si parte verso sud per le Ande e le alte cime. Dalla strada vediamo alcune belle immagini della città: il Panecillo, il centro e il sud di Quito Poi attraversiamo con la Panamericana verdi vallate dedite all’allevamento e all’agricoltura, la gente con i suoi abiti multicolorati intenta alle proprie attività, i soliti assembramenti alle porte del paese, l’attesa paziente alle fermate, tanti bus (alcuni davvero pestilenziali) e i tanti “ristori” dalle più svariate forme e nomi lungo la via. Autostrada e autogrill, tutto un po’ più naturale, senza fretta.

Il cielo è nuvoloso, le nubi molto basse disegnano come sempre paesaggi e colori diversi, peccato che ci coprono la vista delle cime, ci lasciano però ammirare e riprendere: il Volcan Corazon (4788 mt vulcano spento), le due cime dell’Ilinizas Sud (5248 mt) e Nord (5126 mt) , i monti sono la meta ideale per gli alpinisti che devono preparare scalate in quote più elevate..

Una fitta selva di abeti ( alberi di importazione coltivati da una azienda per il legname) ci accompagna verso il Parco del Cotopaxi. Al centro di accoglienza ( 3.400 mt) delle belle foto ci documentano sul parco e il vulcano. Ammiriamo anche un lungo e profondo canyon formato da tre colate laviche sovrapposte e qualche pianta tipica. La sosta è essenziale per acclimatarsi, dopo circa 30 minuti riprendiamo a salire, incontriamo un nuovo canalone ricco di pietre laviche, ferrose e pietra pomice, poi inizia il paramo del Cotopaxi: una immensa distesa verde.

La fortuna ci assiste: incontriamo e riprendiamo due lama che pascolano liberi nella vallata. Poi incontriamo dei cavalli selvaggi. Ci fermiamo alla laguna de Limpiopungo dove si specchiano ( nuvole permettendo) il Volcan Cotopaxi (5.897 mt) e la montagna di fronte il Volcan Ruminahui (4712 mt) . Siamo a 3.800 mt., per acclimatarsi camminiamo nel bel paesaggio per circa un ora, un assordante silenzio ci accompagna.

Saliamo oltre le nubi per arrivare a 4500 mt, lasciamo il fuoristrada. Per arrivare al ghiacciaio del Cotopaxi bisogna salire ai 4800 mt. Del rifugio Rivas. Affrontiamo la salita lungo un ripido crinale di sassi e terra cedevole intimoriti dall’impresa, dal vento gelido e dalla fatica. Manca il fiato e i muscoli fanno male dopo pochi passi. Lentamente e con tenacia saliamo. Il paesaggio è stupendo sia guardando il fondo valle e i giochi delle nuvole, che ammirando il ghiacciaio che spunta, di tanto in tanto, tra le nubi. Una grande fatica ma ne vale la pena: siamo un po’ più su della cima del monte Bianco e di fronte a noi il ghiacciaio immenso e maestoso. Riusciamo a vedere e seguire con lo sguardo oltre i massi una bella volpe solitaria. Alcuni alpinisti iniziano la scalata del ghiacciaio ed è bello vederli salire con i loro colorati indumenti che spiccano sul bianco, mentre in un angolo si crea l’acqua per chi ne ha bisogno bollendo con un pentolone il ghiaccio del Cotopaxi. Un breve ristoro nel rifugio e scendiamo perché Monica soffre l’altitudine, stoicamente è arrivata in cima ma è meglio scendere di quota. Al ritorno le nubi si diradano è possiamo ammirare in tutta la sua imponenza e il suo candore la cima del Cotopaxi sulle nostre teste.

L’Osteria Cienega ci accoglie con un lungo viale di eucalipti altissimi e centenari, giardini con fiori stupendi e una bella facciata coloniale ben tenuta. Merita di essere vista, è come un museo, stanze di una volta, mobili, arredi, lampadari, la chiesa e i cortili interni, le grandi camere con i camini, tutto ordinato e accogliente, una scoperta davvero interessante. Camere confortevoli e cibo ottimo.

Martedì 6 gennaio Si parte per il circuito del Quilotoa con qualche preoccupazione per la forte “iluvia”.

Attraversiamo Saquisvili un vivace paese sede di importanti mercati, non è giorno di mercato e visitiamo nella grande piazza il piccolo mercato ricco in particolare di frutta e verdura, siamo gli unici turisti e la gente ci sorride con cordialità.

A Pujili ci colpisce la pulizia, l’ordine delle strade i bei marciapiedi e la colorata scalinata (giallo e azzurro, si vede da lontano) che dal paese raggiunge la cima della montagna sovrastante. Bella la piazza e la chiesa con una caratteristica facciata e un imponente navata interna. Si incomincia a salire e si aprono i soliti maestosi e bei paesaggi, sempre accompagnati dal gioco delle nuvole. Il Cotopaxi sbuca tra le nuvole e ci appare in tutta la sua grandezza che domina tutto il paesaggio circostante. La pioggia nella vallata era neve sul Cotopaxi, infatti ci appare coperto di bianco non solo il ghiacciaio ma anche gran parte della montagna. Il punto di partenza per la salita è coperto dalla neve, siamo stati molto fortunati ieri, in queste condizioni sarebbe stato impossibile salire al rifugio.

Si sale e si scende percorrendo vallate sempre circondate da monti e animate dalle case dei contadini, dai loro animali e dai colori dei loro abiti, visibili a distanza anche sulle pareti delle montagne intenti ai loro lavori. Si comprende la fatica di stare a queste altezze, con l’aria rarefatta, immense distanze e dislivelli da percorrere, strappando alla montagna il necessario per vivere, eppure si coglie la serenità, l’ordine e l’estrema dignità di queste persone che dividono la loro vita, la loro fatica con le Ande, con i propri animali. Non manca mai il saluto, per rispetto appena accennato, allo straniero che passa. Famiglie che si muovono, contadini al lavoro, donne che pascolano gli animali, bambini che giocano, gente in attesa dei bus, qualche timidezza ma nessuna insofferenza per la nostra invadenza con le foto e le riprese.

Attraversiamo Tigua e arriviamo a Zumbahua. Una grande moltitudine di bambini nelle loro tute di scuola ha invaso la strada e la piazza dove ci sono alcune bancarelle di prodotti alimentari e giochi. Probabilmente è l’ora della ricreazione. Poco fuori dal paese ammiriamo uno dei profondi canyon che attraversano la valle formatasi a seguito dell’esplosione del Quilotoa. Saliamo verso la cima a circa 3.900 mt. Lo spettacolo è stupefacente: siamo in cima ad un perfetto cratere disegnato da montagne di uguale altezza e sotto di noi a circa 400 mt una la bellissima laguna Quilotoa con acque che mutano il colore dal verde chiaro al blu scuro a secondo della luce, del sole, delle nubi. Di fronte a noi le nubi ci lasciano ammirare la cima sud dell’Ilinizas anch’esso coperto di neve ed è abbastanza raro.

Scendiamo il ripido sentiero per raggiungere la laguna a 3.500 mt. Lo spettacolo dal basso è imponente, un cerchio di pareti a picco ci chiude lo sguardo e ci protegge nel contempo obbligandoci a guardare il cielo. A dorso di cavalli e muli risaliamo il ripido sentiero, gli animali da soli , senza guida, risalgono il sentiero spesso ai bordi dello stesso soprattutto nei punti critici, con il vuoto sotto che ci faceva paura scendendo a piedi. Un esperienza interessante ed emozionante con l’unico rammarico per la fatica degli animali, l’ammirazione per il bambino che seguiva un cavallo senza mai fermarsi incitandolo a salire più svelto.

Ripassiamo da Zumbahua e ci attende una sorpresa: c’è una fiesta. La piazza si sta preparando ad accogliere la gente che arriverà da tutte le parti delle montagne, con fiumi di birra e aguardiente: Si stanno allestendo vari banchetti per il cibo e la birra, le donne sono intente a preparare fritatas e altri piatti. Da una parte giochi per i bambini: gonfiabili, auto elettriche ed altri giochi. All’inizio del paese incontriamo la sfilata condotta da un cavaliere ci sono gente con costumi colorati seguiti da bande che suonano, come vari quadri carnevaleschi, e la gente che segue con interesse e partecipazione, ci sono purtroppo già anche ubriachi, alcuni vengono caricati su di un camion che segue in fondo il corteo come la scopa per le corse ciclistiche: qui carica ubriachi. Per la strada incontriamo famiglie e persone in abiti multicolorati che camminano con passo spedito per raggiungere la Fiesta, incontriamo anche bus che trasportano sul tetto casse di birra e diretti al paese. Visitiamo e mangiamo all’ Hacienda Tigua, un agriturismo autosufficiente con allevamenti e produzioni agricole naturali, bell’ambiente, ottimo cibo e ottima accoglienza familiare.

Attraversiamo Latatunga la capitale della provincia, molto trafficata. Poi incontriamo: San Miguel de Salcedo, specializzato nella produzione di gelati, insegne variopinte testimoniano questa vocazione; Pelileo specializzato nella produzione di jeans, e ci colpisce la via principale, un negozio via l’altro, la maggior parte vende appunto jeans e tanti bus. In lontananza nel cielo finalmente sereno vediamo l’imponente mole del Chimborazo e i monti Altares che fanno da spalla al Volcan Tungurahua (5.016 mt) In viaggio ammiriamo lo spettacolo dell’eruzione del Volcan Tungurahua. Da una bocca laterale ben visibile esce una densa nube di fumo di diverso colore anche nero intenso, più pericoloso, Fabio ci ha informati che per il vulcano siamo allo stato di pericolo arancio, quasi il massimo.

L’Hacieda Leito a Patate che raggiungiamo tramite una sterrata sui bordi di profondi precipizi è una altra scoperta fantastica. Un bellissimo hotel e spa con piscina e vari servizi, con stanze grandiose dotate di camino, una stupenda reception e salone ristorante. Peccato essere arrivati tardi e fermarsi solo per dormire è un bellissimo posto dove sostare.. Bene le camere e ottima la cena.

Mercoledì 7 gennaio All’alba nel prato antistante la camera possiamo ammirare il Tungurahua, il cratere si vede benissimo nel cielo azzurro con la bocca laterale che continua ad emettere una densa nube di fumo e di tanto in tanto getti di materia nera che salgono al cielo.

A Banos ci fermiamo ai piedi di una piccola cascata che domina un impianto termale pubblico. Poi percorriamo le vie centrali ordinate, pulite e arredate, molti negozi e turisti. Bella la via centrale con larghi marciapiedi e aiuole, peccato il passaggio dei mezzi, sarebbe l’ideale un area pedonale. Ammiriamo i pasticceri al lavoro per creare le melcochas (caramelle mou molto buone e adatte per le alte quote) tirano il pan di zucchero fino a trasformarlo in stecche o mattonelle. Interessante il santuario dedicato alla Madonna dell’acqua santa con i dipinti che ricordano vari miracoli e la facciata lavica con le due belle torri. Caratteristico il Mercado Comunal tanti piccoli chioschi, uno unito all’altro come le normali bancarelle dei mercati, intenti a cucinare e servire a prezzi popolari la gente, seduta nei tavoli antistanti.

Al Rio Pasteza sperimentiamo il teleferico che attraversa a 100 mt di altezza il fiume. Dall’altra parte le cascate del Manto della Novia che scaturiscono dalla folta vegetazione e si gettano nel rio da circa 80 mt. Piove ma ci inoltriamo nella vegetazione per assaporare un po’ di Amazzonia (anche se con gli ombrelli) e vedere orchidee selvagge, ritorniamo all’auto fradici e ritorna il sole, questa è l’Amazzonia.

Poco distante il Paillon del Diablo la cascata più importante dell’Ecuador, l’ottava del mondo per portata. Un ripido sentiero ci fa scendere per molte centinaia di metri Il percorso è molto bello immerso nella vegetazione amazzonica. Ammiriamo la cascata in varie posizioni: un cunicolo scavato nella roccia che ci obbliga a camminare carponi ci porta dietro al getto d’acqua che sembra scaturire dalla roccia, poi sui balconi di fronte e infine sul ponte pensile sul Rio Verde. Bella la cascata e il paesaggio.

Fuori programma proseguiamo lungo la strada che porta dentro la regione amazzonica.

Ammiriamo la foresta primaria sulle pareti delle montagne, si vede solo verde in varie tonalità e forme, le nubi che sorgono dalla foltissima e impenetrabile vegetazione, il Rio Verde che scende in profondi canyon verso il Rio delle Amazzoni, incrociamo anche il Rio Blanco, svariate cascate che scaturiscono dal verde. Bellissime le orchidee e le pareti di orchidee selvagge, le felci giganti e l’impenetrabile verde, impossibile descrivere tutto. La voglia di Amazzonia cresce.

Ci dirigiamo verso il Volcan Chimborazo, la vetta più alta dell’Ecuador (6310 mt), il punto più vicino al sole e nel contempo quello più lontano dal centro della terra.

Sostiamo all’Osteria la Andaluza. Un azienda coloniale ristrutturata e adibita ad hotel. Dalle ampie vetrate delle finestre possiamo vedere parte della valle del Chimborazo, nascosto dalle nubi, peccato speriamo di poterlo ammirare domani.Belle le camere e caratteristico il locale, siamo gli unici turisti, il riscaldamento è spento fa freddo e ci forniscono termosifoni ad olio. Buona la cena, non impeccabile il servizio. Giovedì 8 gennaio Una forte iluvia ci accompagna verso il Volcan Chimborazo e non ci lascerà più fino a Cuenca. Il paesaggio cambia man mano si sale verso il Chimborazo: verdi vallate dedite all’agricoltura e all’allevamento, poi la vegetazione scompare rimangono solo distese di cespugli di “lance di fuoco”, infine solo terra sabbiosa mescolata a piccoli sassi e grosse pietre sparse oppure concentrate. Purtroppo non si vede la cima.

Vediamo branchi di vigogne al pascolo e prima di arrivare al rifugio incontriamo anche un aquila.

Siamo a 5.000 mt, abbiamo risalito la montagna per alcune decine di metri, l’aria è rarefatta e a ogni passo si devono fare grossi respiri per ossigenarsi, siamo però meglio acclimatati e reggiamo meglio l’altitudine e la fatica. Cade neve gelata e le nubi ci negano la vista del gigante bianco. Raggiungiamo il cimitero degli alpinisti, tante lapidi ricordano coloro che sono morti scalando la montagna. Lo sconforto per il tempo e la neve più che la fatica ci fanno desistere dal salire oltre. Ci rimane il grande rammarico di non aver potuto vedere la cima e i paesaggi sottostanti, con il piacere però di essere arrivati fin quassù.

Raggiungiamo Guamote (3.050 mt), un piccolo paesino nel cuore delle Ande sede del più importante mercato rurale dell’Ecuador. Respiriamo l’aria del mercato girando le vie affollate di persone, colori, animali, bancarelle, punti di vendita, improvvisate coperture con plastica e altro per proteggere le merci dalla pioggia., purtroppo anche qui il mercato si svolge sulle vie della cittadina naturalmente aperte al traffico per cui si compra si vende ci si muove scansando i veicoli di passaggio. L’ombrello non esiste la gente vive il mercato sotto la pioggia protetta dai ponchos e in alcuni casi dai tipici cappelli rivestiti di sacchetti di plastica. Ripensandoci anche ieri sotto la forte pioggia non abbiamo mai visto ombrelli e la gente pure si muoveva lungo le strade a passo veloce senza alcuna protezione dalla pioggia, anche i bambini che ritornano dalla scuola.

Nella grande piazza una moltitudine di gente contende lo spazio agli animali in vendita, impossibile entrare con gli ombrelli. Ci sono sciamani che preparano pozioni sui loro tavolini pieni di misture e banchi con il banditore con microfono che propone merci varie a condizioni particolari, donne e uomini che tirano i loro animali (maiali, pecore, vitelli, in mezzo alla gente e a volte sono costretti con rudi maniere a trascinarli. In un piccolo cortile sterrato, due pali e una piccola rete sospesa, un fondo sconnesso e misure incerte. E’ in corso una partita di beach o meglio “terra dura volley “tra giovani del mercato e la gente affolla il cortile e l’ingresso per assistere e partecipare come si trattasse di un vero avvenimento sportivo, e piove a dirotto.

Mentre giriamo nel mercato ci sentiamo osservati siamo gli unici con l’ombrello e gli unici stranieri ma nessun problema, acquistiamo della frutta senza contrattare e lasciamo il paese colpiti dalle immagini che abbiamo vissuto, peccato la pioggia.

Affrontiamo un lungo tortuoso e accidentato percorso per arrivare a Ingapirca. Abbiamo trovato per la prima volta centinaia di Km di strade dissestate, franate, con buche, praticamente senza asfalto. In molti tratti le nuvole basse impedivano la visibilità, peggio della nebbia 10 mt massimo.

Le vallate attraversate sono ricche di vita, agricoltura e allevamenti, con molti paesi, molte case sparse e agglomerati lungo la via per offrire servizi vari ai viaggiatori, persino bagni.

Ingapirca per essere il sito archeologico più importante dell’Ecuador è molto mal servito e segnalato, un’impresa arrivarci. La pioggia non aiuta la visita delle rovine, ben tenute e curate finalmente dopo anni di abbandono e di depredazione. E’ rimasto però un po’ troppo poco per ricordare l’importanza del luogo.

Ad Azogues ammiriamo da lontano su di un colle che domina il paese e la vallata la chiesa di San Francisco raggiungibile solo con una lunga camminata. Arriviamo a Cuenca al bel Hotel El Dorado dove siamo accolti con professionalità e grande cortesia. Un ottima sistemazione.

Venerdì 9 gennaio Partiamo per il Parque Nacional Cajas un grande paramo che si trova tra i 4000 e i 4500 mt. Ricco di lagunas oltre 200 e piante particolari.

Risalendo la vallata passiamo dalla zona verde dedita all’allevamento del bestiame, alla fascia della foresta primaria tra i 3000 e i 3500 mt. Poi le piante scompaiono per lasciare posto al paramo. Arriviamo all’ingresso del parco a 4200 mt e iniziamo la nostra escursione. Bella sotto di noi la laguna Toradora, percorriamo un pezzo dell’antico sentiero inca che collegava Cuenca al mare, vediamo la “piscina dell’inca” una grande vasca rettangolare scavata nella roccia e costruita per offrire ai viandanti la possibilità di bere. Ammiriamo, malgrado le nubi molto basse, bellissimi paesaggi con lagune, vallate verdi e montagne. Bella la flora con molte varietà di fiori, poi iniziamo la scoperta delle piante particolari che animano il parco: gli “ aguaronco” piante che muoiono per autocombustione spargendo nel terreno i loro semi, sono il cibo preferito per i lama, conigli e cuy; una pianta carnivora che produce gel bianco o colorato; la “pregadora” un cespuglio con le foglie rivolte in alto; l’orecchio di coniglio una piccola pianta grassa dalle foglie spugnose.

Saliamo e scendiamo avvallamenti per oltre un ora sempre in mezzo a bellissimi scenari, piove leggermente e le nubi si sono alzate lasciandoci ammirare nuovi paesaggi. Non soffriamo i problemi dell’altitudine e quindi proseguimo per raggiungere con qualche ascesa più impegnativa la meraviglia del parco: un bosco di quenua. La quenua è una particolarissima pianta che vive in questo parco: la corteccia si stacca ed è leggera, sottile, molto umida, sembra carta. Infatti gli indigeni usano la corteccia per avvolgere il tabacco per fumare. Oltre alla pianta è fantastico il bosco, un intreccio di rami impenetrabili, un labirinto naturale degno di un film, colori che cambiano secondo la luce, difficile stabilire l’età delle piante, vediamo un albero secolare e con coraggio penetriamo nel ripido bosco per immergerci in questa atmosfera irreale e vedere il “nonno” l’albero più vecchio circa 200 anni.

Sono passate due ore, ritorniamo e si incomincia a sentire la fatica, superare piccoli dislivelli di 20/30 mt è davvero faticoso e manca il respiro. Riusciamo a vedere una rarità l’anatra andina, un bell’esemplare di maschio molto colorato, dei conigli selvatici e le trote che animano i laghi.

Ritorniamo all’auto e saliamo ancora per ammirare dal punto più alto del parco il paesaggio ma dobbiamo rinunciare perché le nubi hanno coperto tutto e piove forte, riusciamo però a vedere dei lama bianchi selvaggi al pascolo in mezzo alle nubi, loro clima ideale.

Un ottimo locro di papa e buone trote con manioca in bel ristorante splendidamente ambientato, con grandi vetrate anche sul tetto per ammirare il paesaggio, in particolare due piccole cascate che danno nome al ristorante Dos Cascadas circa 15 dollari a testa con birra e acqua.

Iniziamo la scoperta di Cuenca dall’interessante Piazza e chiesa di San Sebastian con la croce (una delle 5 della città) che segnava il rigido confine tra i quartieri degli spagnoli e la popolazione indigena. Vediamo all’opera un artista nella sua bottega che lavora con i metalli. Suggestivo il lungofiume della città vecchia dove si può vedere il rio Torebamba e la città nuova.

Poi ci immergiamo nelle animate vie della città vecchia per vedere le molte facciate di case coloniali (per cui Cuenca è patrimonio mondiale Unesco) le vie animate dal traffico, dalle persone e dai mercati. Da Piazza San Francisco entriamo nel mercado comunal ( un piano ristoranti, uno frutta e verdura, il primo carne e pollami) che possiamo girare con tranquillità, assaggiamo dolci tipici, il maiale hornado, frutta esotica e possiamo sentire e riprendere la vita del mercato. Piazza del Carmen con il suo bel mercato dei fiori. Il Parque Calderon e la cattedrale nuova: molto bella con un grande interno su cui domina la statua di Giovanni Paolo II. Siamo un po’ stanchi ma proseguiamo vedendo altre piazze e chiese Santo Domingo, San Cenacolo, San Blas, percorriamo la Gran Colombia la più commerciale delle vie del centro.

Visitiamo una fabbrica dei cappelli: i Panama. Una visita molto interessante che ci ha permesso di vedere tutte le fasi della lavorazione manuale che caratterizza questi cappelli, abbiamo provato un cappello da 1000 dollari la paglia lavorata sembra seta.

Vediamo poi le rovine del Ponte rotto (dalla piena del 1951 del rio Torebamba) diventato luogo per innamorati e il grande parco verde della città nuova con la statua dedicata a Jefferson Perez il marciatore, eroe nazionale per le sue numerose vittorie olimpiche e mondiali. Saliamo quindi a Turi per ammirare la splendida vista della città, siamo a 3000 mt e sotto di noi le luci di Cuenca sono ormai le sette e per la prima volta ammiriamo nel suo splendore anche la luna (piena). Entriamo nella chiesa per vedere una statua della madonna in abiti tradizionali con il cappello di Panama in testa. Rientriamo in albergo stanchi ma felici e rinunciamo alla prevista cena, ne valeva la pena.

Domani lasceremo le Ande, per chi ama camminare, il silenzio, il verde, la natura, un posto fantastico che non fa rimpiangere le levatacce all’alba e la fatica. Anzi ripaga il tutto con paesaggi fantastici e grandi emozioni nel vagare per una natura incontaminata e unica.

Sabato 10 gennaio Lasciamo Cuenca e atterriamo dopo circa 40 minuti a Guayaquil.Ggli addetti dell’Explorer’ prendono in carico i bagagli e ci aiutano al disbrigo delle varie formalità (paghiamo i 10 $ per il controllo dei bagagli). Dopo circa 1 ora e 30 atterriamo a Baltra siamo nelle Galapagos.

Paghiamo i 100 $ per l’ingresso e con un vecchio bus, attraverso una piccola strada in un paesaggio desertico ci portano alla baia Las Bachas Chicas, il punto per gli imbarchi.

Comprendiamo subito cosa sono le Galapagos, sulle panchine della piattaforma per i passeggeri sono sdraiati alcuni leoni marini, l’odore è forte tanto quanto questo impatto, presi dall’emozione tutti prendono macchine fotografiche come se fosse un attimo di fortuna, non è così. I leoni marini non si muovono e non ci degnano nemmeno di uno sguardo mentre passiamo accanto a loro, è la loro terra. Con grossi gommoni neri ci portano alla nave dove veniamo accolti con grande cortesia. Con entusiasmo esploriamo la cabina e i ponti della nave, davvero bella e con molti servizi a disposizione.

Alle 17 primo sbarco sull’Isla di Santa Cruz a Dragon Hill. Buona l’organizzazione le circa 100 persone sono divise in 6 gruppi, ognuno con la guida. Si scende un gruppo alla volta e con percorsi differenziati e alternati in modo che tutti possono vedere tutto senza affollamenti.

Andiamo alla laguna per vedere i Flamingos, non ce ne sono, una piccola delusione. Attraverso un polveroso sentiero vediamo i grandi cactus tipici delle Galapagos, cibo preferito delle Iguane terresti. Incontriamo le Iguane, sono molto grandi immobili incuranti della nostra frenesia, mentre in Messico fuggivano al solo muoversi nella loro direzione anche a distanza di metri. Rientriamo sulla nave. Chiara l’organizzazione e le modalità, ottimo la cena nel bel salone servita celermente al tavolo. Domenica 11 gennaio Sveglia alle 6.30. L’alba è ricca di colori, il contrasto dell’isola nera con l’azzurro del mare e il cielo multicolore è bello. Una fregata plana dolcemente a fianco della nostra cabina e ci segue.

Alle 8 iniziano le operazioni per sbarcare a Bartolomè, un piccolo isolotto vulcanico disabitato. Davanti al pinnacolo di lava pendente, simbolo dell’isola, ci accoglie un leone marino sdraiato su di una roccia, lo possiamo ammirare e fotografare, malgrado il rumore del motore e le voci non si muove, nemmeno un cenno di interesse.

Si sbarca asciutto sulla lava e, oltre ai grandi granchi rossi, vediamo la prima iguana marina che risale a fatica dal mare le ruvide rocce. Davanti a noi un perfetto cratere di vulcano che sfiora appena dall’acqua.

Risaliamo le pendici del monte di lava. Intorno a noi il paesaggio è molto mosso, molte tracce delle varie colate di lava, molti colori: rosso, giallo, nero, caffè e altre diverse tonalità che testimoniano il lento lavorio della natura per impadronirsi anche di queste rocce di lava. La conquista dell’isola è iniziata: uccelli, rettili (oltre alle iguane marine, alcune piccole lucertole dette della lava), alcuni cactus della lava e dei piccoli arbusti grigiastri che si trovano solo tra la spiaggia e le primi pendici dell’isola, a testimoniare la difficile opera. Nel tempo la pioggia e queste piante con le loro radici formeranno uno strato di terreno, su cui gli uccelli poseranno (con le ali e con gli escrementi) i semi di altre piante, con radici più forti e profonde, più alte e più verdi che richiameranno altri volatili e così via: la teoria dell’evoluzione, vista da qui è molto logica e comprensibile. Sulla cima uno dei più bei paesaggi delle Galapagos: il pinnacolo, il cratere, il canale che divide le due isole (Bartolomè e Santiago) i colori, gli scogli e le altre piccole isole sparse come posate nell’acqua per formare questo gioco di contrasti tra l’azzurro e lo scuro della terra.

Vediamo volare nel cielo le Fregate e le Sule che poi si buttano a capofitto in acqua per pescare, gli Aironi della lava con loro becco nero, il Fetonte dal becco rosso vivo, Gabbiani, che cercano cibo tra le rocce e il mare, delle Iguane Marine, tutti incuranti del nostro passaggio.

Bella e grande la spiaggia nei pressi del pinnacolo. La temperatura dell’acqua è fresca, ma si sta bene, poi la vista in acqua è davvero stupenda per la quantità di pesci con tantissimi colori e di svariate dimensioni, un pinguino ci sfila sotto saettante per poi emergere a pochi metri da noi.

Impressionante la loro quasi indifferenza alle persone in acqua, ti nuotano a fianco, continuano a brucare le alghe attaccate alle rocce, di quelli grandi si possono vedere persino i denti, e si muovono come quando arriva un pesce più grande dividendosi o allontanandosi per poi ricomparire. Da soli o a branchi molto numerosi una meraviglia di forme e di colori. Sulla spiaggia vediamo uscire dall’acqua un piccolo di leone marino che a fatica si trascina tra le rocce e la sabbia fino all’ombra della roccia. Ritorniamo alla nave.

In navigazione vediamo passare a fianco alla nave due grandi mante nere, dei leoni marini, una tartaruga e alcuni delfini che seguono per un po’ la nave.

Nel pomeriggio arriviamo all’Isla Santiago, sbarchiamo a Puerto Egas nella James Bay. Sulla spiaggia ci accoglie una colonia di leoni marini, a fatica ci stacchiamo da loro, per attraversare l’isola ed esplorare l’altro versante. Appena arrivati uno spettacolo: una infinità di Iguane Marine e moltissimi Leoni Marini che cogliamo nel sonno, nel gioco, mentre i piccoli succhiano o cercano di succhiare il latte dalle mamme, mentre entrano o escono dal mare con grande fatica (tanto agili in mare quanto goffi e in difficoltà in terra), mentre con il gioco i giovani imparano a combattere. Si può passare molto vicino e nessuno si scompone, anzi in alcuni momenti non si capisce se siamo noi che guardiamo Iguane, Leoni Marini e uccelli vari, o loro noi con lo stesso interesse, poiché i gruppi di esseri umani sono ben rappresentativi delle varie “forme”, abiti quindi colori, stranezze della razza umana, anche se sotto l’attento controllo delle guide nessuna sciocchezza nei confronti del parco e degli animali. Meno male.

Ci immergiamo nelle gelide acque di una spiaggia di lava nera sono ormai le 17.30 per provare l’emozione di nuotare con i leoni marini, per due volte proviamo anche questa emozione con leoni marini che sfrecciano sotto e di fianco a noi, attorno alle rocce pesci dai vari colori.

Saliamo sulla nave e verso il tramonto un grande arcobaleno, vediamo poi due grandi mante con il ventre bianco si muovono con ampi giri e a lungo, sul fianco della nave, e un leone marino che sbuca sotto di noi guardando incuriosito questa grande cosa bianca.

Sono le 19, che dire di più, per oggi basta così.

Lunedì 12 gennaio 6.30 inizia una nuova giornata è prevista la visita dell’Isla Fernandina, terza isola delle Galapagos, disabitata, la più occidentale e la più giovane fra le isole. Sull’isola è attivo il vulcano che le ha dato origine, l’ultima forte eruzione è del 2005, poi piccole eruzioni da crateri laterali. Sbarchiamo a Punta Espinosa sulla lava resa molto viscida e pericola dall’umidità della mattina sono le 8.20. A fatica guadagniamo la parte asciutta e inizia la camminata. Si può vedere la grande colata di lava recente con increspature e crepacci profondi anche 3 metri, la lava nel 98 ha coperto tutto ma la vegetazione sta incominciando il suo lavoro per riprendersi l’isola. Le mangrovie sono già riemerse ai margini delle colate e dalle varie fessure. Sulla colata vicino al mare, dove è più forte il lavoro della pioggia e la concimazione dei tanti animali che popolano l’isola, è sorto un bosco di cactus della lava.

Una infinità di Iguane Marine popola le rocce di lava nei pressi del mare, questo è la loro isola. Ne troviamo diverse sul sentiero tracciato, dobbiamo deviare noi uscendo dal percorso per non calpestarle , mentre sornione ci osservano senza muoversi di un millimetro, quasi sfidandoci.

Sull’isola ci sono anche Leoni Marini, vediamo mamme e cuccioli che con fatica si muovono risalendo dal mare le rocce. Ne vediamo molte che: pigramente stanno dormicchiando, qualcuna al riparo delle mangrovie, sulla poca spiaggia di conchiglie e pezzi di corallo, spinti dalle correnti dall’isola Isabella che sta di fronte, altre ancora che hanno trovato tra le rocce di lava comodi giacigli. Non c’è sole e la temperatura è gradevole, ideale per la lunga passeggiata nell’isola.

Vediamo nuotare diverse tortugas alla ricerca di alghe per sfamarsi. L’isola è una di quelle più importanti per la loro riproduzione, vengono infatti qui a deporre le uova, trascinandosi per le rocce di lava, per poi scavare profonde buche in questa terra piuttosto dura.

Molti uccelli, Aironi della lava, Pellicani, Canarini gialli e i Cormorani che non volano più ma nuotano, è con stupore che assistiamo alle loro evoluzioni e immersioni nell’acqua. Alle 11 torniamo alle nave.

Arriviamo all’Isla Isabella, la più grande delle Galapagos, alla Punta Vicente Roca pendice del vulcano Equador (610 mt), uno dei cinque dell’isola, tutti attivi, l’ultima forte eruzione nel 2005 del Volcan Sierra Negra. Un’alta parete verticale di lava sta di fronte a noi, con i gommoni ci avviciniamo e ci tuffiamo in mare. Le emozioni iniziano subito: due grosse tartarughe nuotano vicino a noi e possiamo seguirle, nella loro indifferenza. Incontriamo tantissime tartarughe, che mangiano, che nuotano, oppure posate immobili sul fondo. Un leone marino sfreccia al nostro fianco, dopo aver giocato a lungo con Monica. Non molti pesci ma alcuni dai bei colori e alcuni grandi, bello il pesce Palla. Vediamo i pinguini delle Galapagos finalmente da vicino, sono piccoli, diversi dai soliti che conosciamo. Dei cormorani nuotano veloci e si tuffano in profondità al nostro fianco per cercare delle prede. L’acqua è fredda e non c’è il sole, peccato perché il fondale sotto la montagna di roccia a picco è un po’ buio. Torniamo al gommone dopo aver nuotato un ultima volta con due tortugas.

Con il gommone esploriamo le pareti della punta molti uccelli vi nidificano e ci vivono: sule con i loro piedoni azzurri, cormorani, aironi della lava. Sulle rocce troviamo due colonie di pinguini al pallido sole che sbuca di tanto in tanto tra le nubi. Entriamo in una grande e profonda caverna sotto la lava, dai molti colori a seguito dell’ossidazione del ferro e della calce che emerge. Il fondale della grotta è di un azzurro chiaro e ci permette di vedere nuovamente tartarughe e leoni marini che indifferenti al nostro passaggio proseguono la loro vita.

Alle 18.40 passiamo la linea dell’Equatore, si festeggia sulla nave, da sud passiamo al nord. Al tramonto dalla cabina vediamo passare alcuni leoni marini e un piccolo branco di delfini.

Martedì 13 gennaio Come al solito la sveglia alle 6.30. Alle 7.45 la chiamata per l’escursione a terra nella piccolissima Isla di Seymour Norte di fronte a Baltra. La consegna dei salvagenti, scendiamo la scaletta e saliamo sul gommone che ci porterà a terra.

Sulle rocce di lava dove si deve sbarcare, un leone marino ritto ci osserva arrivare. Il gommone accosta scende il marinaio e l’animale resta lì come fosse l’addetto ai biglietti per entrare, pronto a effettuare il controllo. Lo sbarco risulta complicato per la sua presenza. Riconsegniamo al marinaio i giubbotti (attraverso i giubbotti le guide controllano i numeri degli sbarcati e imbarcati per ogni gruppo) e a fatica aggirando il leone marino risaliamo le rocce. Lui ci osserva un po’ brontolando per questa intrusione senza pedaggio nella sua isola.

L’isola è di antica formazione, la terra è rossa e polverosa, molte le rocce di lava ormai rosse per effetto dell’ossidazione e per il lavoro degli uccelli che popolano l’isola con i loro escrementi ricchi di calcio. La vegetazione predominante anche qui è il Palo Santo, il rosso della terra e rocce e questi alberi grigio chiaro senza verde creano un paesaggio irreale, sembra tutto pietrificato e desertico. Non è così, gli alberi sono vivi con le piogge diverranno verdi. Poi ci sono cactus, alcuni cespugli verdi e altre piante grasse cibo preferito per iguane e leoni marini che si trascinano lontano dalla spiaggia su questo arido terreno e rocce per mangiare e poi si sdraiano sfiniti per riposare della fatica. Ne troviamo molti lungo il sentiero, sulle rocce o al riparo dei pochi cespugli verdi, all’ombra, malgrado non ci sia il sole. E’ una giornata nuvolosa, meglio, visitiamo l’isola senza il caldo che renderebbe più faticoso il cammino.

Oltre a tanti leoni marini, incontriamo qualche Iguana Marina (diverse dalle altre, queste sono più piccole e nere) e alcune Iguane Terrestri e molti uccelli. Pellicani, Gabbiani, Sule dai piedi azzurri e diverse colonie di Fregate. Bellissimi i maschi con le ghiandole del collo gonfie e di un rosso vivo, per richiamare le femmine, vediamo anche alcuni piccoli con le madri e possiamo osservare tutte le due specie di fregate che abitano le Galapagos (quelle che vivono sulla mare e quelle dell’interno).

Alcune di loro sono su cespugli o alberi e riusciamo a passare sotto di loro e fotografarle senza che si muovano. Sembra che ci sia una organizzazione anche per questo, in tutte le isole visitate qualche animale sembra in posa, apposta per farsi riprendere ,a fianco, sotto o sopra turisti, senza scomporsi come se forse un sacrificio necessario, il minore, per mantenere l’integrità di queste isole e il loro territorio. Ma questa è proprio la bellezza delle Galapagos, animali liberi che convivono con gli uomini senza timori.

Alle 10 rientriamo sulla nave, il guardiano ha lasciato il suo posto, sei sbarchi gratis sono un po’ troppo anche per lui, forse è in acqua insieme ad altri che gironzola tra gli scogli e i gommoni. E’ sempre meglio controllare.

I ritmi sono sempre molto alti, alle 10.15 chiamata per lo snorkeling. Qualche attimo e ci imbarchiamo: esploreremo i fondali dell’Isla Seymour Norte. L’acqua è trasparente si vedono bene i fondali e le rocce ricoperte di alghe, sabbia bianca, tantissimi pesci e di svariati colore e forme, alcuni barracuda. Alle 11.30 rientriamo, la nave parte alla volta dell’Isla di Santa Cruz.

Sbarchiamo al Canale Itabaca di Santa Cruz. Siamo al nord dell’isola e da lì con un bus e circa 40 minuti arriviamo al Tunnel di lava. Un tunnel largo circa 4 metri e alto dai 3 ai 5 mt e lungo circa 600 mt formato dalla lava. Un posto privo di qualsiasi forma di vita. Poi con altri 10 minuti di bus siamo a Santa Rosa nel Rancho Permiso, quì troviamo le tartarughe terrestri giganti, le galapago che hanno dato il nome all’arcipelago.

Ne vediamo tante gigantesche alcune giovani (e quindi più piccole) altre molto vecchie (possono vivere fino a 200 anni). Sono impressionanti, si possono vedere da vicino senza problemi, basta non passare loro davanti perché impaurite sbuffano e si ritirano nel guscio. Ritorniamo col bus al gommone e risaliamo sulla nave sono le 18.10. In serata per la prima volta sentiamo il fastidioso dondolio della nave mentre siamo in navigazione. Le altre lunghe tratte in mare aperto le avevamo percorse di notte, mentre dormivamo l’avevamo avvertito ma non era stato così fastidioso.

Mercoledì 14 gennaio Siamo di fronte a Baquerizo Moreno cittadina portuale dell’Isla de San Cristobal, il cielo è grigio carico di pioggia. Sosteremo a lungo, qui scende chi ha acquistato i 5 giorni e salgono nuovi croceristi per i 4 o 8 giorni. Il programma prevede una visita ad una riserva di galapago con il trasbordo in bus per l’interno. Le abbiamo viste ieri e dopo un po’ di indecisione per il tempo, decidiamo di scendere a terra e di andare autonomamente in una spiaggia. Dopo tanti giorni di intenso movimento rinunciamo anche oggi a poltrire sulla nave. Saggia decisione.

Alle 8.30 sbarchiamo con chi lascia la nave, una delle due scale del pontile di sbarco è preclusa da due leoni marini sdraiati sui gradini che gridano al solo provare a passare, disturbando il loro riposo, saliamo dall’altra parte. Il bus per l’aeroporto ci lascia alla spiaggia Mann, una deliziosa spiaggia solitaria di sabbia bianca contornata da nere rocce di lava e qui la meraviglia: la spiaggia è occupata da circa 20 leoni marini e altri 20 sono sparsi tra le rocce e il mare. Incantevole: noi, i leoni marini, la bella spiaggia, il mare azzurro. Con attenzione posiamo asciugami e borse sulla spiaggia e ci spogliamo. Nessun essere umano in vista, accanto a noi a destra e sinistra leoni marini sdraiati, nel mare dei cuccioli giocano vicino a riva, altri si muovono tra il mare la sabbia e le rocce, due mamme allattano i cuccioli affamati, uno grida e succhia come un dannato con grande rumore. L’emozione è forte, non sappiamo dove guardare. I leoni marini ci degnano di qualche sguardo al nostro arrivo e poi restano indifferenti ai nostri movimenti sulla spiaggia per vederli e riprenderli. In un angolo scopriamo un cucciolo di pochi giorni che muove i primi faticosi passi verso il mare, una nuotatina per rinfrescarsi o prendere confidenza con il mare, fino a due metri da riva e poi torna con fatica sulla spiaggia per riposare.

Monica scende in acqua con la maschera e la macchina fotografica per riprendere due leoni marini che giocano nello specchio d’acqua antistante la spiaggia. L’acqua è bassa come si siede per riprendere i due animali si proiettano verso di lei rumoreggiando e a testa alta, Monica si spaventa. Forse volevano giocare con lei o forse non volevano essere disturbati nel loro spazio o nella loro intimità. Da lì non si sono più mossi. E’ passata un ora e non ci siamo ancora seduti intenti a curiosare nella loro vita.

L’acqua è fredda ma entreremmo volentieri in mare, dove oltre ai leoni marini si vedono molti pesci ma incomincia a piovere e dopo aver resistito sperando, siamo costretti , con grande amarezza, a lasciare questo paradiso. A piedi andiamo al centro di informazione sulle Galapagos, un bel centro ben curato e tenuto che spiega, storia, problemi, interventi per proteggere le isole, ecc. Poi ci incamminiamo per una gradevole passeggiata, peccato gli ombrelli, lungo la strada per tornare al punto di imbarco. Visitiamo la cittadina e il bel lungomare pieno di negozi, bar, ristoranti e qualche hotel. Nella rada naturale, più che porto, sono liberamente ormeggiate molte imbarcazioni, diversi leoni marini nuotano tra le barche, con grande stupore ne vediamo uno grande disteso su di una barca taxi e un altro che cerca di salire facendo scendere l’occupante, forse il taxi l’aveva prenotato lui. Alla fine sale sulla barca e fa scendere con le buone maniere l’altro. Guardando con attenzione vediamo altri leoni su barche, segno tangibile di grande familiarità ma anche di convivenza rispettosa tra uomo e animali. Su una panchina del pontile per i passeggeri c’è sdraiato un leone marino, riprendo Loretta seduta accanto. Si scoccia al terzo che si avvicina per farsi fotografare e grida con veemenza il suo non gradimento al disturbo, ma poi si sdraia e lascia fare. Alle 12.30 saliamo a bordo, felici di aver vissuto anche questa bellissima esperienza.

Alle 15 la nave lascia gli ormeggi e si dirige in un’altra parte dell’isola: Cerro Brujo.. Una bellissima spiaggia bianca, mare verde chiaro, rocce nere. Purtroppo piove e fa anche freddo, ci mettiamo i K-way sopra il costume. Il mare è mosso e i gommoni ci sbarcano alle 17 e 15 in una insenatura protetta dalla grande scogliera. Dobbiamo fare qualche centinaio di metri per raggiungere la bellissima spiaggia, attraversando un piccolo canyon di lava e passare tra i vari leoni marini, padroni della zona. Il posto è incantevole, ci si potrebbe stare un giorno intero, peccato la pioggia. Entriamo in acqua, il mare muove la sabbia e non si vede bene. Non ci sono molti pesci, solo grandi, incontriamo, oltre a pesci già visti, una grande manta e una piccola. Alle 18.30 la pioggia aumenta di intensità e ritorniamo a bordo con i k-way e coprendoci con gli asciugamani.

Sulla nave con Monica andiamo alla Jacuzzi, caldissima quasi ci cuoce, ma ci voleva, poi una tisana calda, la doccia e pronti per la cena. Giovedì 15 gennaio Isla Espanola, la più antica, la più vicina al continente, siamo nel sud est dell’arcipelago e non ci sono insediamenti umani.

Alle 8.30 sbarchiamo a Punta Suarez, ci attende una lunga camminata sulle rocce per raggiungere l’altro lato della punta. L’isola è animata da leoni marini, lucertole, granchi rossi e neri, iguane marine ( di colore rosso, tipico di quest’isola) e da moltissimi uccelli: pellicani, sule, fregate, uccellini vari, mimi di Espanola (unici su quest’isola), gabbiani e gli albatros. Spiaggia bianca, rocce nere, acqua verde chiaro, c’è il sole e il contrasto dei colori è bellissimo. A terra ci attende il solito spettacolo di leoni marini, iguane, e pellicani che ci osservano. Lo sbarco è rallentato dai nuovi che fotografano a tutto spiano appena a terra. Anche noi, che pure siamo ormai abituati a simili accoglienze, non riusciamo a resistere nel riprendere immagini e scene di vita di questi fantastici luoghi e animali. Bisogna fare attenzione a non calpestarli il sentiero tracciato è pieno. Il palo santo domina la vegetazione con molta paglia secca e alcune piante grasse striscianti e cespugli. Al centro di questa punta l’aeroporto degli albatros, un rettangolo privo di vegetazione, solo paglia, contornato da cespugli e da alberi di palo santo che alle prime piogge di marzo diverranno tutti verdi e segneranno per gli albatros in cielo la pista dove a fatica, per le loro enormi ali, potranno atterrare. Sull’altro lato della punta, una ripida scogliera nera disegnata dal mare: il regno degli uccelli, il punto di decollo degli albatros e un bel paesaggio. A terra e in volo molti gabbiani, fregate, sule dai piedi azzurri e mascherate. Alcune femmine sono intente a covare le uova, altre accudire ai piccoli appena nati. C’è un piccolo albatros e tra i cespugli vediamo un albatros adulto che apre per un momento le ali, molto bello. L’acqua batte sulla scogliera e penetrando in alcune fenditure produce dei rumorosi spruzzi verso l’alto simili ai getti dei geyser. Mentre in cielo gli uccelli continuano a disegnare traiettorie al limitare della scogliera, compiono virtuose acrobazie e goffi atterraggi. Anche su questo lato un’infinità di iguane e di leoni marini con scene varie. Al ritorno vediamo due gavilan: uno vigile pronto a spiccare il volo, l’altro, giovane, intento a mangiare una carcassa. Ci spostiamo alla Gardner Bay de l’Isla Espanola. Alle 15 lo sbarco. La spiaggia è profonda oltre 20 mt , una lunghissima striscia bianca , dura sul bagnasciuga e soffice, come borotalco, dove asciutta. Alle spalle una sottile striscia verde di piante grasse striscianti, qualche raro arbusto e poi l’infinito grigio dei palo santo. Davanti un mare trasparente di un bel verde chiaro. Dalla nave sul bianco si vedevano delle forme scure, sembravano massi, in realtà la spiaggia è occupata dai leoni marini, anche questa è la loro isola. Per la verità la spiaggia è divisa in due parti su cui dominano due grossi maschi, attorno a loro le moltissime femmine e cuccioli di tutte le età. Le scene di vita sono sempre le stesse, eppure le viviamo sempre come fosse la prima volta, con grande emozione e partecipazione, siamo davvero in un altro mondo. Questa è la più bella isola che abbiamo visitato.

Camminiamo lungo il mare per circa 1 ora, il resto è vietato per rispetto all’ambiente e agli animali, la spiaggia è una delle preferite per la deposizione delle uova delle tartarughe. Qualche iguana marina, lucertola, piccoli uccelli e alcuni pellicani che si dividono tra lo scoglio nel mare e la spiaggia.

Per lo snorkeling ci portano ad una formazione rocciosa, al largo, di fronte alla baia, i soliti pesci grandi e colorati e la grande emozione di vedere accucciati in un anfratto 3 pescicani dalla pinna bianca e poi uno che entra e esce dalla cavità. Poi vediamo anche una bella e elegante tortuga. Torniamo a riva e ci ributtiamo nelle verdi acque per nuotare con i leoni marini, con pazienza riusciamo a condividere la loro acqua e parte dei loro giochi. Meraviglioso. Come sempre la parte più difficile è lasciare la spiaggia e tornare alla nave verso le 18.00 siamo costretti.

A bordo ci attende un lungo e rilassante incontro con la jacuzzi, a temperatura giusta oggi, poi una tisana, la doccia e siamo pronti per la cena. Mentre ci vestiamo un bella tartaruga nuota in superficie lungo il bordo della nave, un po’ più tardi a sole tramontato 5 mante arancioni e una nera passano anche loro sotto di noi, stupende, anche i leoni marini sono venuti numerosi a vedere la nave o a salutare. Il rammarico aumenta.

Venerdì 16 gennaio Sveglia anticipata alle 6.15. Si sbarca a Santa Cruz alle 7.30 per visitare il centro Darwin: museo, ufficio informazioni sul parco, laboratori biologici di ricerca e casa per la cura e la riproduzione delle tartarughe di terra e delle iguane terrestri. La stazione scientifica è molto ben ambientata tra mangrovie, grandi cactus, palo santo, ecc, i percorsi interni alla vegetazione conducono alle varie postazioni. Si possono vedere le uova di tartaruga che vengono poste in incubatrici per evitare i predatori, i piccoli sono poi tenuti 5 anni nei vari recinti del centro e poi riportati nelle isole da cui provenivano le uova. In un area ci sono le grandi tartarughe terrestri, 6 gigantesche, in un’altra area il solitario George unico esemplare rimasto con due femmine simili per cercare di mantenere in vita la specie, almeno non pura ma quasi. Poi altri recinti per la continuazione della specie di altre isole.

Lasciato il centro con una gradevole camminata raggiungiamo Puerto Ayora, capitale delle Galapagos (13.000 abitanti), una bella, ordinata e pulita cittadina turistica di mare: tanti negozi, ristoranti, bar, un bel malecon in costruzione. Il porto naturale è, ovviamente, molto trafficato. Nella rada moltissime barche da crociera di svariate dimensioni, nella banchina un via e vai di gommoni e di grosse chiatte che fanno la spola dalle due grosse navi da carico che vediamo, per rifornire di merci l’isola.

La scena più bella il banco dei pescatori: due splendidi tonni dalla pinna gialla, aragoste dagli occhi blu, molti altri pesci appena pescati. Sul bancone, accanto ai pesci, due pellicani in attesa di avanzi sembrano addetti alla vendita. A terra un leone marino è sdraiato dietro il banco e rende difficili i movimenti dei venditori, dietro al banco altri due pellicani ed un iguana marina, di fianco una bella sula dai piedi azzurri. Fotografiamo giriamo loro vicino, nessuno si muove. Tutti li fermi a gestire la pescheria. Bellissimo.

Risaliamo a bordo alle 11 e la nave parte alla volta di Recida.

L’Isla Rabida è caratterizzata dal colore rossiccio del terreno, delle rocce e della lunga spiaggia, anche il fondo del mare per molti metri dalla riva è tutto rosso, terra e sassolini grandi e piccoli rossi frutto del costante lavorio del mare che ha frantumato una enorme quantità di rocce di lava. Il rosso è dovuto all’effetto dell’ossidazione: rocce di lava con alto contenuto ferroso, acqua e aria.

Anche su questa piccola isola la spiaggia è occupata da una colonia di leoni marini e da alcuni maschi solitari, appartati. Alle spalle della spiaggia una laguna di acqua di mare in cui nuotano leoni marini, pellicani e nella stagione, albatros. Dal rosso della spiaggia si passa al verde delle mangrovie (due specie : quella normale verde e un tipo particolare nera) sul limitare della laguna e ai bordi della spiaggia. Poi i palo santo con un effetto bellissimo, il rosso del terreno e il grigio delle piante. Sembra un bosco accuratamente piantato con regolarità per lasciare giocare il rosso e il grigio. In alto verso le cime i palo santo assumono una sfumatura di verde dovuto all’effetto dell’umidità che sta facendo rinverdire le piante in anticipo rispetto alle altre più in basso. Qualche grande cactus inserisce note di fantasia e di colore al paesaggio. Il mare è calmo e non freddo, si nuota volentieri. Vediamo una razza, una stella marina di un intenso azzurro, un’altra gialla, seguiamo a lungo una tartaruga, molti pesci colorati, un infinito branco di pesci capace di oscurare il mare e di non lasciar più vedere il fondo, impressionante. Un leone marino ci passa accanto con calma osservandoci attentamente. Andiamo a cercare i leoni marini e riusciamo a nuotare con loro e partecipare alle loro evoluzioni, ai loro giochi, prestandoci alla loro curiosità: bellissimo e indimenticabile. Siamo gli ultimi ad uscire dall’acqua, purtroppo ci chiamano e si deve rientrare a bordo alle 18.30 lasciamo Rabida.

Riusciamo a vedere un tramonto, non proprio sul mare a causa di una densa nube, ma bei colori che riflettono sul mare.

Tornando dalla cena in cabina vediamo vicino ai bordi della nave dei leoni marini che giocano attorno ai getti laterali della nave, forse anche per loro è l’ora dell’idromassaggio.

Sabato 17 gennaio Sveglia alle 6, mettiamo i bagagli fuori dalla cabina alle 6.30 e alle 8.00 siamo pronti per scendere un ultima volta sulle isole Galapagos. Finalmente riusciamo a vedere sorgere il sole.

Siamo a Santa Cruz, nella baia Las Bachas una bella, soffice, lunga e profonda spiaggia bianca. Qualche pellicano, i soliti granchi rossi su alcune nere rocce alcune iguane. La spiaggia è una delle preferite dalle tortugas per deporre le uova, ci sono tantissime buche al limite della spiaggia dove inizia la vegetazione. Piante grasse sul terreno, cespugli, mangrovie e gli immancabili palo santo.

Alle spalle della spiaggia una laguna salata adatta ai flamingos rosa. Siamo fortunati: ci sono due bei flamingos che se ne vanno dopo un po’ forse infastiditi dall’essere troppo osservati. L’acqua è torbida per il movimento del mare che mantiene in sospensione la fine sabbia e non si vede il fondo, vediamo i soliti pesci colorati, poi rinunciamo allo snorkeling, per godermi il mare, la baia è una piscina naturale e l’acqua non è fredda: finalmente una vera lunga e bella nuotata.

Alle 10.30 saliamo per l’ultima volta sullo zodiac che ci porta a terra. All’arrivo sul pontile le due panchine sono, come al solito, occupate da leoni marini e anche parte del pontile, noi scendiamo a terra altri arrivano e si imbarcano. I nuovi arrivati hanno il primo forte impatto con le Galapagos e non si staccano dai leoni marini, malgrado gli inviti delle guide, è un susseguirsi di fotografie e di esclamazioni, noi veterani passiamo quasi indifferenti (ma non si resiste all’ultima immagine di questo straordinario mondo) con una grande nostalgia per quello che lasciamo.

Con il solito vecchio bus arriviamo all’aeroporto (l’Explorer provvede al chek-in ed all’imbarco dei bagagli) l‘attesa, e alle 13 l’aereo si muove sulla pista e lasciamo le Galapagos, qualche minuto e sotto di noi l’ultima isola, San Cristobal, prima del continente.

Ottima davvero l’organizzazione. Dove arriva la nostra nave non ci sono mai altre imbarcazioni ( ci sono molte barche nelle isole ma non ne abbiamo mai viste nei luoghi di sbarco) l’esplorazione in gruppi con le guide consente di vedere e conoscere fauna, flora, le Galapagos. A bordo non manca poi l’animazione per la sera o per i pochi momenti liberi, Ovviamente l’organizzazione è molto rigida, quasi militare, d’altra parte non può che essere così per rispettare tutti. Non è una crociera da riposo se si vogliono vedere le Galapagos è sicuramente il modo migliore per vedere l’arcipelago e conoscerlo. Non è una vacanza di mare, il mare è un accessorio per vedere la vita nell’acqua, non c’è tempo per la vita da spiaggia o per i bagni. Per questo è meglio sostare in un isola e non fare crociere Arriviamo a Guayahil dove ripartiamo per Quito e ci trasferiamo al Mercure Almeyda Hotel.

Ceniamo in un bel ristorante, buona cucina e buon servizio, la serata è allietata dalle note di un bravo complesso musicale. Domenica 18 gennaio Sveglia alle 5.45, alle 7 siamo al Mariscal Sucre di Quito per il check-in. Il viaggio è un po’ lungo, il fuso orario si fa sentire, ma è stata un’altra esperienza bellissima, uno dei viaggi più interessanti che ci resteranno nella memoria.



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