Zanzibar: la porta dell’Africa

Zanzibar. Già solo il nome evoca fantasie orientali, aromi di spezie, profumi di sete. Zanzibar la porta orientale all'Africa. Zanzibar la terra dei sultani. Profumi di spezie accolgono il viaggiatore che arriva nell'arcipelago. La Cittadella di Pietra, posta tra cielo e mare, rivela colonnati, minareti, cattedrali e templi indù tra cui fa...
Scritto da: alzappav
zanzibar: la porta dell'africa
Partenza il: 10/07/2007
Ritorno il: 19/07/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Zanzibar.

Già solo il nome evoca fantasie orientali, aromi di spezie, profumi di sete.

Zanzibar la porta orientale all’Africa.

Zanzibar la terra dei sultani.

Profumi di spezie accolgono il viaggiatore che arriva nell’arcipelago. La Cittadella di Pietra, posta tra cielo e mare, rivela colonnati, minareti, cattedrali e templi indù tra cui fa spicco la torre quadrata del Palazzo delle Meraviglie.

Si parla ancora delle vecchie leggende arabe che raccontano delle montagne calamitate. Nell’avvicinarsi alle coste di Zanj i battelli erano inevitabilmente attratti, chiodi e ferramenti strappati dalle montagne calamitate. Solo i mtepe, cuciti con fili e senza nessun chiodo, sfuggivano al naufragio. Per secoli i mtepe, i sambuchi e le piroghe, scavate nei tronchi di mango, dovevano affrontare violente tempeste. Durante la notte, i tamburi saldamente fissati sul ponte di ogni imbarcazione, erano battuti con più forza. I navigatori, guidati dalle stelle, avvertivano la vicinanza delle coste grazie agli odori della terra e del fogliame mescolati agli spruzzi di acqua salata.

La parola “Zanzibar” di origine araba e’ formata da “zanj” (che significa nero) e “bar”(che significa costa): la costa dei negri.

Zanzibar è un arcipelago, la cui isola principale erroneamente detta Zanzibar, in realtà si chiama Unguja. L’altra isola importante è Pemba. Esistono poi una cinquantina di isolette più piccole tutte poste nell’Oceano Indiano circa 6° a sud dell’Equatore. Unguja inoltre è a soli 35 km al largo della Tanzania di cui fa parte amministrativamente.

La storia menziona Zanzibar sin dal 200 A.C. Quando i commercianti della Bassa Arabia si spinsero sin qui per soddisfare la richiesta di avorio da parte di greci e romani. L’epopea storica di Zanzibar è costellata di dominazioni: quella persiana (dal 900 al 1503), quella portoghese (dal 1503 al 1726), l’influenza omanita (1726-1832) con la quale l’isola raggiunse il massimo splendore, per passare (dal 1890 al 1964) sotto il protettorato britannico.

Fu proprio la migrazione del popolo persiano, proveniente soprattutto dalla bellissima città di Shiraz, a rendere Zanzibar centro importantissimo per il commercio di avorio, spezie e schiavi: gli shirazi costruirono moschee, navi ed agili dhow dalla vela triangolare. Le ricchezze dell’isola attirarono i portoghesi che qui giunsero la prima volta grazie a Vasco de Gama. Per i successivi duecento anni governarono l’isola, ma il loro dominio fu contrastato da continue rivolte fino a chè non vennero cacciati definitivamente dagli omaniti.

Zanzibar venne governata personalmente dai sultani dell’Oman che la fecero divenire il maggior produttore di chiodi di garofano del mondo ed un centro di transito per il commercio degli schiavi e dell’avorio che arricchirono schiere di mercanti arabi ed indiani.

Successivamente anche Zanzibar si avviò verso una vera e propria decadenza causata dall’abolizione del commercio degli schiavi e dalla riduzione della richiesta delle spezie.

Nel 1832 il sultano dell’Oman andò a vivere stabilmente a Zanzibar da dove governò i suoi possedimenti. Incoraggiò l’immigrazione di artigiani indiani che lasciarono tracce profonde negli splendidi lavori che decorano la città, come ad esempio nelle porte. Il sultano Seyyid strinse rapporti diplomatici internazionali, accogliendo in città il primo console americano, poi quello inglese e successivamente quello francese.

Nel 1861 la Gran Bretagna intervenne nella lotta per l’indipendenza di Zanzibar dall’Oman e nel 1890 dichiarò l’isola sotto il protettorato britannico. Con l’inaugurazione del canale di Suez, Zanzibar subì una vera trasformazione urbanistica e divenne il centro di partenza per le spedizioni verso il continente africano. Con la nascita del nazionalismo arabo furono intraprese lotte organizzate dal movimento anticolonialista e, nel gennaio 1964, venne spodestato l’ultimo sultano proclamando la Repubblica. Nell’aprile dello stesso anno, Zanzibar si unì al Tanganica con una rivoluzione sanguinosa culminata nella costituzione di uno stato socialista sul modello africano chiamato Tanzania.

Per i viaggiatori degli anni 2000 il primo impatto con Zanzibar è “l’International Airport”, un fatiscente agglomerato di edifici circondato dalle immancabili palme da cocco dove caldo, confusione e umori si assommano e ti stordiscono. La prima grande sorpresa è il trasporto dei bagagli; non esistono nastri trasportatori ma una serie di “camalli” porta in gran fretta e con gran confusione carretti carichi di valigie e li deposita nel disordine più totale all’interno di un grande stanzone dove i disorientati turisti si accalcano alla ricerca del loro bagaglio. Dopodichè si assiste al rito penoso della “mancia forzata” alle forze dell’ordine che controllano l’aeroporto. Purtroppo l’indipendenza ha portato ed incrementato i vecchi difetti dei colonizzatori: la corruzione ed il sopruso dilagano; se non vuoi avere problemi burocratici regali qualche euro ai vari poliziotti e controllori e ti allontani rapidamente. E’ il triste pedaggio dei paesi del terzo mondo. Fuori ti accoglie un piazzale ricolmo di facchini, venditori di arachidi, imbonitori, piccoli faccendieri che tentano di tirar giornata scroccandoti ancora qualche euro. Ma già il tuo pensiero è legato al calore umido e famigliare del tropico, al sole brillante che ti scalda la pelle ed al cielo azzurro, proprio quello sognato, desiderato. Il clima caldo e umido che caratterizza Zanzibar è dovuto ai Monsoni. Le precipitazioni più consistenti si registrano da marzo a maggio, quando molti alberghi e ristoranti vengono chiusi. Vi è anche una breve stagione delle piogge da novembre all’inizio di dicembre. Se Zanzibar è il cuore dell’arcipelago, Stone Town, la città di pietra, è l’anima, con il suo magico intrico di vicoli acciottolati.

Stone Town è una città bianca situata tra cielo e mare. Minareti, cattedrali e tempi indù sorgono in mezzo a dimore e palazzi. La passeggiata a mare è dominata dalla torre quadrata di un maestoso palazzo bianco, la Casa delle Meraviglie, e da un albero centenario, enorme e tondo.

In effetti Stone Town comprende due zone ben distinte: la Cittadella di Pietra e Ngambo. Un villaggio di pescatori situato all’estremo della penisola sembra essere stato all’origine dello sviluppo urbano. I portoghesi stabilirono un accampamento permanente sul sito della città attuale all’inizio del XVI° secolo. La Cittadella di Pietra fu costruita solamente a partire dal XIX° secolo principalmente dai commercianti arabi ed indiani. La pietra corallina dell’isola fu utilizzata per la sua costruzione. Edificata su una penisola triangolare,la Cittadella di Pietra in origine era circondata dal mare su tre lati. Una cala che serviva al carenaggio dei sambuchi la separava dal resto della città, chiamata col nome generico di Ngambo. La cala fu colmata ed oggi Creek Road unisce le due zone urbane.

Uno degli edifici più belli e imponenti di Stone Town è l’elegante Beit el-Ajaib (la Casa delle Meraviglie) che ora ospita il Museo Nazionale di Storia e Cultura di Zanzibar. Costruito nel 1883 dal sultano Barghash come palazzo delle cerimonie, fu bombardato dalla marina britannica nel 1896 per costringere il sultano in carica ad abdicare in favore di un incaricato inglese. Ricostruito nei primi anni del 900, fu utilizzato come residenza dal sultano Hamud. Il museo all’interno merita una visita; all’interno è stata collocata la fedele riproduzione di una mtepe, la tradizionale imbarcazione a vela swahili costruita senza chiodi e con le tavole tenute insieme da fibre di cocco e tasselli di legno.

Appena a sud di Beit el-Ajaib si incontra il Vecchio Forte, un massiccio bastione costruito alla fine del 1700 dagli arabi omaniti come struttura difensiva contro i portoghesi sul sito di una precedente cappella portoghese. In anni recenti è stato completamente ristrutturato per ospitare il Centro Culturale di Zanzibar. All’interno si svolgono spettacoli di musica e danza. L’albero che cresce nel forte in swahili è chiamato “mwarobaini” (quaranta) perchè con le foglie, la corteccia e le altre parti del tronco si possono curare fino a 40 diversi disturbi.

Camminando lungo Creek Road incontriamo la Cattedrale Anglicana, la prima chiesa anglicana dell’Africa Orientale.

Sorge sul sito dell’antico mercato degli schiavi, ma di quel mercato oggi non rimangono che alcune celle nelle quali venivano tenuti gli schiavi, e ora si trovano sotto il St. Monica Hostel, proprio accanto alla chiesa. La realizzazione della cattedrale fu resa possibile soprattutto dall’opera entusiastica del vescovo Steere (vescovo di Zanzibar dal 1874 al 1822), autore anche del primo dizionario inglese-swahili in alfabeto latino. Secondo la leggenda, il sultano Bargash gli chiese di non costruire la torre della cattedrale più alta del Palazzo delle Meraviglie e, alla sua accettazione, gli regalò un orologio per la torre stessa.

Nella cattedrale è molto vivo il ricordo di David Livingstone: c’è una finestra dedicata a lui ed il crocifisso è stato realizzato usando il legno dell’albero che indica il luogo in cui il suo cuore fu sepolto nel villaggio di Chitambo, nell’attuale Zambia. Il mosaico che decora l’altare fu regalato da Miss Caroline Thackeray (cugina del famoso scrittore), che insegnò nella missione locale dal 1877 al 1926. Dietro l’altare si trovano il seggio vescovile ed altri dodici seggi per i canonici. Essi sono decorati con pannelli di rame su cui campeggiano i nomi di diversi personaggi biblici scritti in swahili, mentre la finestra dietro l’altare è decorata con raffigurazioni di santi africani. Una delle prime attrattive che colpiscono i visitatori che raggiungono la città dai traghetti sono le guglie della Cattedrale cattolica di St. Joseph, ma poi l’edificio è difficile da trovare perchè nascosto tra le stradine della vecchia città.

Già i vicoli di Stone Town. Un labirinto di vicoli tra cui le ombre e le luci si confondono, si respingono, saltano dai tetti sui muri, si urtano nei balconi chiusi da un graticcio (moucharabieh), si intrufolano tra lo spiraglio di una porta, si diffondono sul pianerottolo di una scala. Dalle finestrelle si sentono gli aromi della cucina. Il profumo delle spezie volteggia per qualche attimo e svanisce dietro i muri alti dove risuonano i campanelli di invisibili biciclette. Le biciclette sono le regine di Zanzibar. Veloci, si intrufolano e spariscono. Talvolta si percepisce una ruota, un riflesso di manubrio che brilla, un viso sorridente e frettoloso. Poco dopo le si possono vedere scivolare, graziose e lente, sotto gli alberi del litorale. Curiosando lungo i vicoli ci imbattiamo nella casa di Farok Bulsara, meglio noto come Freddy Mercury (la voce dei Queen), che proprio qui nacque e visse fino all’età di 9 anni. Anche la sua famiglia lasciò l’isola durante la rivoluzione del 1964.

Lungo le strade trovi di tutto:gli uomini dalle lunghe e candide vesti, le donne velate di nero dalle mani e piedi decorati con l’henné alla maniera araba, le grida dei bambini che giocano felici nelle strette vie della città vecchia, rappresentano solo una piccola parte di questa umanità vera e sincera che a Zanzibar fortunatamente abbonda. In tale miscuglio etnico troviamo veri e incredibili controsensi, quali gli uomini “neri” musulmani che parlano “swahili”, ma portano l’abito tradizionale chiamato “kanzu”, le donne che paiono arabe, ma portano sul capo ceste varie e brocche d’ottone all’africana.

Stone Town è la città delle porte scolpite. La porta ornata di motivi scolpiti fa parte di una antica tradizione originaria dei paesi del golfo Persico e si ritrova su tutta la costa orientale dell’Africa. Le porte sono fabbricate col legno dell’albero del pane o del “mvule”, tek africano importato dal continente. Dei grossi chiodi in ottone decorano i due battenti e lo stipite centrale. Gli ornamenti scolpiti sul telaio e sull’architrave rappresentano la catena (simbolo di sicurezza e di protezione contro gli intrusi e il malocchio), la palma da datteri simbolo di abbondanza), il pesce e il fior di loto (simboli di fertilità).. Il monogramma del proprietario, talvolta accompagnato da un estratto del Corano, è scolpito al di sopra dell’architrave. La tradizione orale racconta che un’usanza di Zanzibar imponeva di scolpire e di erigere il telaio della porta prima di costruire i muri intorno. La lavorazione del legno comprende anche la fabbricazione delle cassapanche in tek, di tradizione persiana o indiana, ornate di motivi floreali e geometrici o intarsiate di ottone.

Uno dei piatti forti di Stone Town è il vecchio mercato di Darajani.

Qui una moltitudine di gente comincia ad arrivare già alla mattina presto con un cestino da riempire o un grosso fagotto di cose da vendere; a piedi, in bicicletta o con l’autobus di campagna. Dalla Cittadella di Pietra si costeggia il quartiere di Mchambawima che sbocca nel viale delle bancherelle di frutta e delle bottegucce di farinacei e spezie. Poco lontani i vialetti dei venditori di banane e manioca; quindi si arriva al mercato della carne e del pesce. Il mercato è chiuso dal labirinto delle stradine e si estende fra diverse costruzioni nella Cittadella di Pietra. I profumi della frutta sono dolci e delicati; gli aromi delle spezie circolano in tutti i viali. Gli odori di pesce e carne si mescolano e, i giorni di pioggia, il mercato diventa una palude nauseante di fango rosso e gli odori stagnano. E’ comune vedere i prodotti portati al mercato a braccia dal venditore o con grandi ceste poste sul capo.

Girando per le strade di Stone Town si può osservare un fiume di ragazzini; qui sicuramente non esiste un problema demografico di calo delle nascite; è stupefacente vedere nel globale caos delle vie cittadine questa fiumana di ragazzi e ragazze con le loro impeccabili divise ritornare a piedi dai locali scolastici. A fine pomeriggio i ragazzini di Zanzibar si tuffano dal molo e giocano tra le onde; i pescatori salpano e spariscono all’orizzonte per tutta la notte. Sui moli i sambuchi, con la classica vela triangolare, si infilano tra i piroscafi delle compagnie internazionali che attraccano regolarmente, scaricano le merci e ripartono verso lontane destinazioni. Il tramonto è un attimo in cui diviene indispensabile raggiungere il vicino lungomare per ammirare le barche locali, i “dhow”, dirigersi a vela spiegata verso la riva, in un rosseggiare di colori che cambiano di attimo in attimo. Dai tempi degli antichi esploratori, quali Burton, Livingstone e Stanley, che ne fecero il loro punto di riferimento per scoprire poi l’interno dell’Africa, non molto è cambiato. E quando calano le luci della sera, tutto intorno si fa buio; sono pochissime le luci lungo le vie ed anche i negozi al massimo accendono qualche neon sgangherato e penzolante. Le vie si spopolano rapidamente anche se nei sobborghi ed all’estrema periferia è facile trovare persone che nella completa oscurità, a piedi, tornano verso i loro villaggi. Se le vie principali di Stone Town sono più o meno bene asfaltate, è sufficiente dirigersi nei sobborghi della città per vedere strade di ciottoli e successivamente di terra battuta, sconnesse e dissestate capaci di mettere a dura prova le balestre dei furgoni e le schiene dei viandanti.

Nessuna visita può dirsi completa se non si è passata una serata ad ascoltare le suggestive melodie del taraab, il più celebre prodotto musicale d’esportazione dell’arcipelago. Il taraab (dall’arabo tariba che significa essere commossi) rivela influenze africane, arabe e indiane e da molti zanzibarini è considerato una forza unificatrice delle diverse culture dell’isola. A Zanzibar il taraab era suonato fin dai primi anni ’20 dell’ottocento nel palazzo del Sultano, ma fu solo nel primo novecento che questa musica fu dotata di regole precise. Nei vari club sparsi nella città, uomini e donne siedono in posti separati e le donne sfoggiano siedono in posti separati e le donne sfoggiano i loro abiti più belli e le acconciature più elaborate. La partecipazione del pubblico è fondamentale e spesso gli spettatori salgono sul palco per donare soldi al cantante.

Appena fuori dalla città appare una fitta vegetazione di palme da cocco e mango. La lunga strada che porta alla costa orientale è in effetti un susseguirsi di palme e manghi. Zanzibar diviene una collina verde, fertile, lussureggiante. Prima di incamminarsi definitivamente verso le lunghe spiagge della costa orientale è d’obbligo un giro all’interno delle fattorie che coltivano i frutti e le spezie. Durante la visita, i potenziali clienti vengono portati a passeggio tra le piantagioni, nei giardini privati e nella foresta. Un buon circuito permette di visitare, assaggiare e/o odorare una quarantina di futti, di spezie e piante profumate tra cui l’anona, la guaiava, il frutto dell’albero del pane, maracuia, mango e cardamomo, noce moscata, chiodo di garofano, vaniglia e ilang-ilang. Le coltivazioni più estese sono di chiodi di garofano (karafuu) ma in misura certamente non minore, e soprattutto nelle zone costiere, troviamo lunghi filari di palme da cocco, divise in due tipi: la “East Africa Tall”, più alta e le cosiddette “Nane Indonesiane”, più piccola di misura importata nei secoli scorsi dallo Sri Lanka. Gli alberi cominciano a produrre all’età di otto anni per un periodo di sessant’anni circa. Il rendimento annuale per cocco è in media di trenta noci che sono colte dagli uomini che si arrampicano sull’albero con l’aiuto di una corda tesa tra i due piedi. Il rivestimento esterno è tolto impalando la noce su un palo appuntito piantato al suolo. La noce interna è aperta e parzialmente seccata per permettere alla polpa di essere tolta dal guscio; la polpa è poi seccata per qualche giorno al sole, al forno o affumicata. Il prodotto finale è conosciuto col nome di copra. Dal copra si estrae l’olio di cocco utilizzato nella fabbricazione del sapone, delle candele, della margarina e dell’olio per capelli. Le fibre del rivestimento esterno sono usate nella confezione di corde, di stuoie e di scope. Il tronco si utilizza in falegnameria, il guscio come combustibile e l’olio per l’illuminazione. I gusci servono anche da mescoli e cucchiai; le palme sono intrecciate per coprire i tetti, fare dei cestini, delle reti da pesca e delle spazzole. E’ tradizione delle zone rurali piantare una palma alla nascita di un bambino, visto il grande uso che se ne fa del materiale nella vita quotidiana.

Percorrendo i sentieri di sabbia e terra rossa vedremo grandi piantagioni di manghi (ve ne sono 24 differenti qualità) che sono la vera riserva vitaminica dei villaggi; di banane e gli immensi e secolari baobab.

I frutti e le spezie offrono maliziose sorprese: un limone dolce come il miele; un frutto dell’albero del pane di sei chili, dei caffè alti sei metri. La cannella è una scorza, la vaniglia una liana, il chiodo di garofano un piccolo bocciolo verde; il pepe una piccola sfera dai colori diversi (verde, rosso, nero) a secondo del grado di maturazione. Come nella maggior parte dei luoghi tropicali, l’uomo non ha saputo accontentarsi di ciò che offrivano le splendide foreste presenti. In Africa si dice:”le foreste precedono i popoli, i deserti li seguono”. Anche Zanzibar non è stata risparmiata. Il meraviglioso mantello che la ricopriva in gran parte è stato manomesso e sostituito da piantagioni varie. Attualmente l’unica zona rimasta incontaminata è la foresta di Jozani, al centro dell’isola. Si trova a circa 35 km. A sud-est di Zanzibar città lungo la strada per Paje. Numerose sono le gite organizzate che portano i turisti a visitarla. La foresta è attraversata da un sentiero naturalistico che richiede circa un’ora per percorrerlo interamente. Nel viluppo di piante rampicanti e rami di Jozani vivono rari colobi rossi, scimmia endemica dell’isola, cercopitechi dalla gola bianca, galagoni, antilopi di Ader, procavie, oltre 50 specie di farfalle, circa 40 specie di uccelli, vari altri tipi di animali tra cui anche dei lemuri, una sorta di piccola scimmia, detti “bush-baby”, distinguibili per i grandi occhi che si illuminano di giallo se abbagliati dai fari delle auto.

La lunga strada asfaltata che parte da Stone Town taglia sagittalmente tutta l’isola, passa a fianco alla foresta di Jozani e si butta sulle lunghe, incantevoli spiagge della costa orientale. Lungo il percorso è un susseguirsi di piccoli villaggi con case di legno e fango,circondati da palizzate a mo’ di protezione. Negli spazi comuni bambini che giocano, donne accanto a fuochi e pentolame. Questa rimane la parte più vera di tutta l’isola. Lungo la strada continui posti di blocco della polizia (cinque in tutto) a cui è “dovuto” il solito piccolo obolo che serve a continuare il cammino senza il minimo intoppo. La strada corre dritta e veloce e finalmente all’orizzonte si intravvede il mare. A Zanzibar ci sono spiagge bellissime, le migliori lungo la costa orientale e settentrionale dell’isola. Le spiagge della costa orientale sono protette dal reef che si estende al largo del litorale ed hanno una bella sabbia corallina. A seconda della stagionalità ci possono essere molte alghe (particolarmente abbondati tra dicembre e febbraio). I locali le raccolgono quotidianamente per esportarle ed in molti villaggi si troveranno esposte ad essiccare al sole. Sulla costa occidentale è degna di attenzione la spiaggia di Bububu, una lingua di sabbia candida e fine a circa 9 km. Da Stone Town che prende il nome di Fuji Beach per la presenza dell’omonimo bar aperto venti anni orsono da un immigrato giapponese.

Le spiagge più belle si trovano perà sulla costa orientale: sabbia accecante per lo più bordata di palme e alberi di casuarina, bagnate da acque trasparenti e protette dalla barriera corallina. Sono la meta privilegiata dei turisti ma conservano comunque paesaggi integri ed atmosfere autentiche. La maggior parte dei resort e villaggi turistici sono concentrati lungo la penisola di Michamwi. La spiaggia di Kiwengwa è una bellissima e lunghissima spiaggia bianca orlata da palme di cocco e servita da negozietti che vendono artigianato prevalentemente kenyota. A circa 5 km. A sud di Kiwengwa si trova Pongwe, un tranquillo tratto di spiaggia addossato a una zona di fitta vegetazione, quanto di più simile ad un paradiso tropicale possiate immaginare. Grazie al fatto di trovarsi in una insenatura parzialmente riparata ha anche il vantaggio di essere meno soggetto al fenomeno delle alghe rispetto alla vicina Chwaka e ad altre zone della costa orientale.

Chwaka è un piccolo villaggio di pescatori nella baia omonima; la spiaggia è al di sotto della media rispetto alle altre della costa orientale; da qui è podssibile partire per escursioni lungo la Penisola di Michamwi.

Ancora più a sud alla fine del tratto asfaltato, dove la strada costiera incontra la strada proveniente da Zanzibar, si distende la bella spiaggia di Paje, una lingua chilometrica di sabbia bianca e finissima che si snoda all’ombra delle palme da cocco, fronteggiata da un reef che si trova a 300 metri dalla riva e che, con la bassa marea, permette di ammirare una colorata vita marina. Vicino a Paje si trova Bwejiuu, una tra le spiagge più gettonate della costa est anche se qui il fenomeno delle maree è particolarmente intenso. Cinque chilometri più a sud di Paje si trova la ventosa spiaggia di Jambiani. A nord e a sud della spiaggia si osservano dei cumuli rocciosi: sono i maviko ya kamumbi, fatti di gusci di cocco interrati da tre a sei mesi per farli ammorbidire e poi estrarre le fibre che servono per realizzare cordame. Nell’estrema parte sud ovest dell’isola si trova Kizimkazi, una spiaggia spettacolare che offre l’opportunità di imbarcarsi sui caratteristici sambuchi fino ad arrivare in un tratto di mare ricco di delfini e a volte con l possibilità persino di incontrare delle grosse balene. Dalla parte opposta della baia, quasi sull’estrema punta del promontorio di Michamwi, un’altra lunga e spettacolare spiaggia fa da cornice a bellissimi resort.

Sull’estrema punta nord dell’isola si trova la spiaggia di Nguwi, una delle più belle dell’Africa: lambita da acque trasparenti offre tramonti eccezionali.

Lungo le spiagge si snoda la semplice e tranquilla vita degli abitanti delle coste.

Al momento della bassa marea è frequente osservare gruppi di pescatori magari muniti di biciclette addentrarsi verso la barriera corallina alla ricerca del pesce quotidiano o gruppi di donne intente alla raccolta di molluschi e di riccci rimasti intrappolati nelle pozze di acqua. Lungo le spiagge dei resort donne munite di scope raccolgono in mucchi le alghe che vengono poi seppellite sulla spiaggia stessa da uomini armati di vanghe e badili. I sambuchi e le piroghe ondeggiano lievemente sulle onde della risacca in attesa dell’alta marea. La brezza fa galoppare nel cielo cumuli bianchi di nuvole.

L’arcipelago è costellato di piccole e bellissime isole rivestite di sabbia candida e contornate da mare turchese. Con un sambuco dalla caratteristica vela triangolare è imprescindibile un viaggio lungo le coste di questo arcipelago alla scoperta di lingue di sabbia che compaiono e scompaiono a seconda delle maree; alla ricerca delle foreste di mangrovie dentro le quali è affascinante effettuare un bagno ristoratore. La foresta di mangrovie forma intrecci giganteschi ma lascia sempre pertugi balneabili dentro i quali è bello immergersi ammirando il verde intenso che la foresta riflette nell’acqua.

L’arcipelago inoltre è un vero paradiso per gli amanti del diving e dello snorkeling. Pemba vanta fondali strepitosi mentre Unguja offre una barriera corallina spettacolare che corre lungo tutta la costa orientale. A Zanzibar si imparano a conoscere le grandi bellezze del continente africano e si osservano le grandi contraddizioni di questa grande area. Le ricchezze della natura e del suolo si scontrano con la povertà di una gran moltitudine di persone.

Noi occidentali in questi secoli non abbiamo certo contribuito a migliorare la condizione sociale del sud del mondo; oggi alle soglie del XXI° secolo abbiamo il dovere morale di cercare di non trascinare il grande continente verso la rovina.

Zanzibar, la porta dell’Africa: un paese caldo, gioviale e semplice, un paese che ti farà innamorare e sognare.

Jumbo!



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