Zanzibar: bellezza, disagi e disavventure a Paje
Tanto per cominciare, il volo affollatissimo è partito con mezz’ora di ritardo per problemi burocratici. Inoltre, la classe turistica di Eurofly è risultata di gran lunga la più scomoda e “ristretta” della nostra ormai ventennale esperienza di viaggiatori. Arrivo all’aeroporto.
Arrivati allo sgangherato aeroporto di Stone Town, abbiamo affrontato le attese e i fastidi senza difficoltà: sapevamo già delle insistenti richieste di mance e di cambio. Il resort.
Sapevamo anche, perché avvertiti all’ultimo momento, che per un guasto al cavo sottomarino l’elettricità sarebbe mancata per alcune ore del giorno e della notte (nel nostro caso, dalle 10 alle 12, dalle 14 alle 18, dalle 2 alle 6).
Ma al resort Paje By Night ci aspettava una brutta sorpresa: soltanto allora ci hanno comunicato che in tutto il resort (avevamo scelto il bungalow King Size, di categoria superiore) non erano disponibili né acqua calda (poco male) né aria condizionata (malissimo). Per combattere il caldo (si faceva sentire soprattutto di notte) restava soltanto il rumorosissimo ventilatore a soffitto! Altra sgradevole novità: nelle ore in cui mancava l’elettricità, mancava anche l’acqua. Dopo aver varcato la soglia del coloratissimo bungalow abbiamo scoperto che il mobilio era vecchio e tarlato, tanto che una notte si è rotta anche una tavola del letto (non a causa nostra, beninteso). In compenso, la connessione Internet wifi funzionava benissimo! Il bacio della medusa.
Oltre al caldo notturno e ai disagi per l’acqua “razionata”, l’esperienza peggiore è stata l’incontro ravvicinato con una medusa. Nessuno ci aveva avvertito che proprio in quel periodo il mare di Paje pullula di questi mostri, piccoli, invisibili e armati di lunghi filamenti in grado di procurare ustioni estese e molto, molto dolorose.
Nonostante gli antistaminici e l’antidolorifico, ho passato più di un’ora a vedere le stelle in pieno pomeriggio, anche perché l’incidente è capitato quando l’elettricità non c’era e quindi non si poteva accendere il ventilatore per un po’ di frescura. Da allora sono passati più di dieci giorni, ma posso ammirare ancora i segni, ben visibili e non cicatrizzati. Dopo la disavventura abbiamo notato nel resort molte altre vittime, con segni anche peggiori dei miei: non c’è da stupirsi se abbiamo evitato del tutto le acque turchesi del mare, accontentandoci della piccola piscina. Attesa a Monbasa.
Al ritorno, abbiamo sopportato circa un’ora e mezza di attesa (il carburante non arrivava) nell’aeroporto di Monbasa, che per fortuna è molto più accogliente di quello di Zanzibar. Tirando le somme.
Non abbiamo buttato questo viaggio nel cestino delle esperienze fallimentari, perché non sono mancati i lati buoni (e ottimi): – la bellezza indiscutibile del posto, dell’intera isola e della sua gente, – le condizioni climatiche (caldo ben ventilato, con la giusta percentuale di umidità), – la cucina varia e saporita del resort, – le escursioni organizzate con l’aiuto di un ragazzo del villaggio (la piantagione delle spezie, Stone Town, foresta di Jozani e mangrovie).
Se fossimo stati bene informati, da chi secondo me aveva il dovere di informarci, avremmo scelto un alto periodo o un’altra sistemazione e, molto probabilmente, avremmo trascorso una vacanza davvero “hacuna matata” (senza pensieri, il motto svahili dell’isola).