Yucatan: Alla scoperta delle terre dei Maya
Un bel viaggio, all’insegna della natura, della storia, del sole e dei km.
Come si dice?, Chi viaggia a capodanno viaggia tutto l’anno no? E allora, mano alla guida…Si va in Messico.
Abbiamo deciso di prenotare, on line, solo il volo e la prima notte in hotel a Cancun, il tutto pochi giorni prima di Natale. L’idea è quella di buttarci un po’ all’avventura, alla scoperta dei posti che videro fiorire l’immensa civiltà Maya.
Giorno 1 Alle sette del mattino del 1/1/2010 siamo già in piedi, zaini in spalla e via.
Il taxi, prenotato il giorno prima è sotto casa che ci aspetta. Roma Fiumicino, 30 euro Tra controlli e aria condizionata siamo arrivati a Cancun (via Philadelphia con la compagnia aerea di US Airways) alle 22 locali, le 5 del mattino del 2/1 in Italia.
In USA i controlli sono stati da esaurimento, impronte digitali, fotografie mille timbri e fogli da compilare. Solo una settimana prima, un attentatore aveva cercato di farsi saltare a bordo di un volo Londra-Detroit.
Arrivati in Messico siamo stati accolti da un poliziotto che al controllo, tra una domanda e l’altra, ci congeda dicendo: “Buone fettuccine ai 4 formaggi, buone buone!” Subito fuori agli arrivi, una serie di furgoncini bianchi molto curati e confortevoli è schierata in fila ad attenderci. Sono i Colectivos, ovvero dei taxi cumulativi che possono ospitare anche 10 persone e ti portano al tuo hotel con soli 25 pesos. Sono ottimamente gestiti dal personale a terra. Ne troviamo subito uno pronto a partire. Percorriamo la via hotelera, dove si susseguono tutti i più grandi resort di Cancun. Sembra Las Vegas sul mare.
Giunti al nostro al nostro Hotel troviamo un’ampia camera con un letto triplo gigantesco, con vista sul cortile interno che circonda una caratteristica piscina. Dopo 24 ore, finalmente si dorme.
Giorno 2 Ahimè il fuso orario non fa sconti, già alle 5 occhi sbarrati. Aspettiamo le 7.30 e andiamo a fare colazione. La prima colazione messicana a base di uova, toast, succo d’arancia…
L’idea di fare colazione all’aperto, con quasi 30 gradi e un gran sole quando a casa è inverno pieno, ci dà una carica pazzesca.
Siamo pronti per partire all’avventura.
Ci avviamo a piedi al terminal degli autobus ADO che si trova a dieci minuti dall’hotel. I pullman delle linee ADO, Primera Classe o GL, offrono tutti i comfort per garantire un piacevole viaggio: aria condizionata, bagni, sedili reclinabili e Video TV, e sono efficientissimi, puliti, comodi e sicuri. ADO permette di viaggiare liberamente su mezzi comodi che collegano con frequenza le città e i paesi dell’intero Messico, spendendo pochissimo e viaggiando anche di notte, in modo da arrivare a destinazione al mattino e non sprecare le giornate in viaggio e magari risparmiare sull’hotel passando appunto la notte in bus.
Qui pianifichiamo il nostro itinerario, in base agli orari delle partenze e soprattutto secondo una lista di “posti” assolutamente obbligatori da vedere secondo noi. Decidiamo di non perdere la giornata a Cancun, che non offre nessun tipo di attrattiva, tranne spiagge, alberghi e negozi.
Partiamo alle 11.30 con un Primera per Valladolid.
Un’avvertenza: prima di salire in autobus, conviene coprirsi per bene, soprattutto se fuori fa caldo. L’aria condizionata è sempre al massimo e non c’è verso di farla abbassare. Gli autisti non sentono ragioni, a volte adducono la scusa che l’impianto di condizionamento sia automatico e decida lui da solo…Mah…
Dopo due ora arriviamo a destinazione, le strade sono deserte, in mezzo al nulla solo vegetazione rigogliosa e bassa. Facciamo la conoscenza con i famosi Topes messicani, degli antipaticissimi dossi artificiali disseminati lungo le strade in prossimità dei centri abitati con lo scopo di far rallentare i mezzi. Per oltrepassarli, l’autobus è costretto quasi a fermarsi ogni volta, per non distruggere letteralmente gli assi.
Prendiamo un taxi per l’hotel (suggerito dalla guida che sempre abbiamo in mano) prenotato poche ore prima da Cancun. I taxi sono molto economici. Il più delle volte prezzo va contrattato prima di salire in macchina col tassista. Non esiste tassametro e le tariffe vanno dai 10 ai 40 pesos (tra 1 e 2 euro) per tratta entro i 5 km. Un suggerimento: contrattare sempre il prezzo.
Lungo il tragitto percorriamo strade affollate di gente con carretti e bicilette, case colorate e negozietti un po’ approssimati. Le strade non sono perfettamente asfaltate, ma in taxi non ci si fa molto caso.
L’hotel scelto si chiama si trova nella piazza principale del paesino (l’unica per la verità). A Valladolid gli hotel sono molto pochi e non sono il massimo del confort; bisogna sapersi adattare… Nel nostro c’è un cortiletto con una piscina interna, la camera ha due letti grandi ma non molto puliti, e niente spine per caricare cellulari o usare asciugacapelli.
Il tempo di lasciare i bagagli nella spartana ma confortevole stanza e usciamo per le vie di Valladolid. Questo paesino in realtà non offre molto, ma da subito percepisci le caratteristiche di una tipica cittadina messicana: strutture squadrate dai colori pastello, musica per le strade, ristorantini e negozi decisamente convenienti. Inoltre è una buona base d’appoggio per visitare i vicini siti archeologici e cenotes.
Abbiamo fame e decidiamo di sederci in un localino all’angolo, molto caratteristico, con i ventilatori a tutta velocità in alto, i camerieri con la retina in testa e il classico chitarrista melodico messicano sul palchetto vicino ai tavoli. È qui che le nostre lingue conoscono il folclore della cucina messicana (peperoncino e cipolla!) Caratteristica del Messico è che appena ti siedi ti servono tortillas e salsine, solitamente il classico Guacamole Maya verde ed un intruglio di pomodori e cipolle tagliate a cubetti, micidiale per la sua piccantezza.
Dopo aver mangiato carne, insalata e fagioli neri (immancabili in Messico, anche a colazione) facciamo un breve giro in paese, qualche foto, e col costume già indosso affittiamo un taxi per 1 ora (100 MXN) e ci avviamo verso il famoso cenote di Dzinup. Un cenote è un tipo di grotta con presenza di acqua dolce relativamente calda che proviene da sorgenti sotterranee. Lo Yucatan è pieno di cenotes sparsi quasi sempre in prossimità dei siti Maya, il che sta a significare che erano una fonte primaria di acqua per le popolazioni del posto. Dentro a caverne stile “laguna blu” in mezzo alla giungla dove l’uomo praticamente non interviene, la gente scende a godersi lo spettacolo e a fare il bagno…Beh non proprio tutti perché a volte, come nel caso di Dzinup, la volta è quasi completamente chiusa, se si eccettua per un piccolo buco in alto, quindi l’acqua sembra molto scura, il fondo invisibile e soprattutto il soffitto è tappezzato di centinaia di pipistrelli a dir la verità molto tranquilli.
L’effetto è strano soprattutto perché è poco illuminato, ma molto suggestivo.
Usciti, un breve giretto all’immancabile mercatino, dove troviamo collane, abiti, oggetti fatti a mano. La gente è gentile ed educata, un po’ insistente ma non più di tanto, soprattutto rispettosa dei turisti. Noi ricambiamo volentieri il rispetto.
Come primo giorno è abbastanza, si torna in hotel, cenetta in un altro ristorantino della piazzetta e piombiamo in un sonno profondo fino alla mattina successiva, quando finalmente comincia l’esplorazione del mondo Maya.
Giorno 3 Sveglia di buon’ora, in 2 ore siamo a Chichen Itzà il più famoso e meglio restaurato dai siti Maya in Yucatan. Qui si trova il misterioso calendario astronomico di cui tutti parlano, quello che annuncia la fine del mondo nel 2012, in realtà…Lasciamo ad ognuno di voi la voglia di scoprire cosa indica veramente e non roviniamo la sorpresa.
Gli autobus da Valladolid partono per Chichen Itzà ogni ora, fino alle 17.
Finalmente possiamo scatenare le nostre macchine fotografiche. Il percorso all’interno dello sterminato sito si snoda tra la grande piramide serpentata, dagli effetti acustici sorprendenti, lo stadio della Pelota (il gioco sacro dei Maya), il Caracol, osservatorio astronomico, palazzi del governo e tanti piccoli templi dedicati agli dei o votati ai sacrifici. Cosa ci colpisce più di tutto è il numero di deliziosi bambini in abiti tipici abiti maya, che cercano di venderci stoffe lavorate o souvenir per pochi pesos. Scattiamo loro qualche foto, dietro compenso, eh eh… Si consolida in noi la convinzione che questa gente, seppur molto povera, sia animata da energia positiva, oltre che da estrema gentilezza e rispetto. Crediamo siano principi fondamentali della loro cultura.
Ci fermiamo alla sera per ammirare lo spettacolo di suoni e luci che reinterpreta l’illusione di vedere un serpente che scende e sale per la scalinata della piramide, proprio come succede grazie ai raggi del sole durante gli equinozi di primavera e autunno.
Torniamo in Hotel e guardando dal finestrino durante il viaggio abbiamo il primo contatto con la povertà del luogo: piccoli villaggi di capanne in paglia, senza porte nè finestre chiuse, da dove all’interno si possono scorgere solo qualche sedia e amaca. Muri, dove ci sono, che fungono da insegne commerciali, con su scritto ogni genere di indicazioni o nomi di merce venduta all’interno.
È tarda sera, dopo aver mangiato qualcosa, recuperiamo i bagagli dall’hotel e torniamo in stazione.
Prendiamo un nuovo ADO Primera e proseguiamo in direzione Mérida, capitale dello stato federato dello Yucatan, fondata dallo spagnolo Francisco de Montejo de León “El Mozo” il 6 gennaio del 1542.
È molto tardi quando ci presentiamo alla reception dell’hotel prenotato durante il tragitto verso la città e trovato sempre grazie alla nostra guida.
Dopo aver visto la camera, capiamo che qui in Messico gli alberghi hanno dei gran bei giardini, con piscinette a patii molto curati, ma le camere lasciano molto a desiderare. Questa ha le spine, ma forse è anche peggio di quella di Valladolid. Non ha finestre ed è in un seminterrato. È grande, ma non è proprio la definizione di pulizia. Chiudiamo gli occhi e non ci pensiamo. Buona notte.
Giorno 4 Mérida ci è piaciuta tantissimo e la consigliamo perché è una cittadina molto animata, è la capitale dello Yucatan ed è piena di storia.
L’impatto non è dei migliori, un signore mezzo italiano si avvicina a noi con fare sospetto, cercando di attaccare conversazione. Uno del posto capitato lì accanto ci fa immediatamente capire che si tratta di un “bandido”, cosìcchè ci dileguiamo. È l’unico episodio “dubbio” che ci è capitato durante tutta la vacanza.
Iniziando il nostro giro, arriviamo nella piazza principale: non ci saremmo mai aspettati di trovare torrette di alimentazione per i pc portatili e la connessione wireless gratuita nella piazza di una cittadina dello Yucatan. È bellissimo vedere studenti e non solo seduti sulle panchine con i loro pc, concentrati a lavorare all’aperto.
Mentre visitiamo il palazzo del colonizzatore spagnolo di Merida, Francisco de Montejo, conosciamo Ernesto e con lui l’adorazione che i messicani hanno per gli italiani, la voglia di aiutare e raccontare il loro Messico.
Di noi dicono che amiamo la cultura e siamo un po’ come loro: “lavoriamo tanto e guadagnamo poco!” Soprattutto noterete che quasi tutti parlano italiano o comunque lo capiscono perfettamente; la lingua non sarà dunque mai un motivo di difficoltà.
Ernesto è un nativo Maya, studente di università, molto gentile e disponibile. Ci racconta un sacco di cose sulle usanze del posto, sulle tradizioni maya e sulla vegetazione locale. Ci porta in un vero negozio Maya dove proviamo le vere amache maya. Ci spiegano che le amache non devono essere in nylon perché si appiccicano alla pelle e sono piuttosto dure dure, in cotone sono abbastanza buone e resistenti, ma le migliori sono in juta: tengono lontano le zanzare e si adattano al corpo. Ovviamente sono le più costose, possono arrivare anche a 3500 pesos, perciò come souvenir basta e avanza una di cotone da 200 pesos (anche meno se siete bravi a contrattare il prezzo).
Usciti del negozio optiamo per un panoramico giro in carrozza (200 pesos), vivamente consigliato perché permette di visitare meglio la città e soprattutto vedere posti che a piedi non si raggiungerebbero. “Gli autisti” sono molto preparati e durante il percorso raccontano cosa si sta guardando.
Percorriamo la zona nuova e la zona vecchia e le differenze sono notevoli. Si passa dal caos più totale alle villette residenziali in puro stile coloniale, con i giardini ben curati e facciate molto pulite. Il corso principale è il Pesejo Montejo, che ricorda in piccolo i Campi Elisi di Parigi, con lampioni in stile liberty, fiori e rotonde monumentali.
Terminato il giro, visitiamo ancora la cattedrale (costruita con le pietre del vecchio tempio Maya abbattuto da Montejo) con il suo immenso crocifisso in legno. La giornata qui finisce, con un bel the verde nella piazza della cattedrale, mentre diamo un’occhiata a piccoli acquisti fatti, in particolare segnalibro con un messicano ciccione applicato sopra.
Oggi eravamo sul punto di comprare una “vera” amaca, perché in ogni angolo della città c’è chi ne vuole vendere una.
Andiamo a ritirare i bagagli e arrivati in stazione ripartiamo in notturno, destinazione Palenque, Chiapas.
Giorno 5 Palenque è stupenda, forse il posto che abbiamo preferito, forse per l’impatto immediato con la giungla e…Un hotel pulito, molto carino, immerso nel verde della giungla.
Alberi altissimi, aria pulita, uccelli e animali, unico problema: piove. Sebbene questa sia la stagione secca.
Non ci scoraggiamo. Doccia, K-way e via… Subito fuori dall’hotel e veniamo letteralmente “raccattati” per strada da un colectivo che ci porta alle rovine di Palenque. Abbiamo capito che funziona così, i colectivos girano senza sosta e appena trovano qualche turista per strada lo tirano su. Costano 10 pesos a testa e sono comodissimi.
Arrivati alle rovine lo spettacolo è magico, templi e palazzi maya risalenti a prima di Cristo, in mezzo alla natura più varia…Qui decidiamo di prendere una guida turistica, che ci costa 800 pesos ma sono assolutamente ben spesi.
La nostra guida si chiama Carlos, un maya di 32 anni con pochi denti e soprattutto (come ci accorgeremo più avanti) che mangia le termiti dai nidi appesi agli alberi nella giungla.
Carlos è una persona squisita, parla perfettamente italiano e ci racconta tantissime cose, la storia di Palenque, del signore che la governò per 80 anni, Paqual, segreti e misteri della flora e della fauna locale: l’albero sacro maya, l’albero del turista, così chiamato perché arrossisce per poi spellare proprio come i turisti al sole, e tantissime altre curiosità. Le rovine di Palenque sono le più affascinanti e suggestive visitate finora, la cornice è unica, quella giungla sterminata e ingorda che avvolge ogni angolo del creato umano.
Terminato il giro culturale si parte alla scoperta della giungla. Piove molto e le mantelline acquistate poco prima non riescono a reggere la mole d’acqua che ci piove addosso. Ma l’eccitazione per quello che stiamo vedendo è così forte che non ci fa pensare a quanto siamo zuppi.
Ci addentriamo nella fitta selva, qui occorrono scarpe e pantaloni adatti che noi non abbiamo per non tornare completamente sporchi e bagnati…Ma è uno spettacolo che tutti dovrebbero vedere. Alberi alti 50 metri con più di 500 anni di vita, liane, su cui non abbiamo lesinato di dondolarci in pieno stile Tarzan, un mogano con delle radici così grandi da formare veri e propri muri più alti tre volte noi, l’albero del cacao e le scimmie urlatrici.
Questa giungla , come la maggior parte delle giungle qui in Messico, nasconde la più grande percentuale di siti archeologici maya, che non vengono recuperati per non distruggere e compromettere la fauna e la flora locale, ma che infondono quella egoistica voglia di scoprirne i misteri, seppelliti come sono da tutto quel verde da cui si possono intravedere o intuire. Palenque, ad esempio è alla luce del sole solo per il 5% della sua estensione, il resto è tutto inghiottito dalla giungla.
È stato eccezionale, ne siamo rimasti davvero estasiati.
Tornati in hotel doccia, indispensabile, e cambio; un bel pranzetto nel ristorantino accanto e poi un giro in città, o meglio, la via principale della città, l’unica animata.
Palenque è piccina e graziosa, con la sua via di negozietti caratteristici di artigianato locale, che porta alla piazzetta dove troviamo un bel mercatino. Prima di tornare in albergo, scopriamo quasi per caso un caffè ad angolo, dove assaggiamo un muffin gigantesco e buonissimo, accompagnato da succo d’arancia. Sarà il nostro bar per i prossimi due giorni.
Giorno 6 Il giorno dopo ci svegliamo prima dell’alba, perché abbiamo prenotato un’escursione alle rovine di Yaxchilan e Bonampak, immerse nella vasta giungla del Chiapas. (550 MXN a testa, spostamenti, ingressi, colazione e pranzo inclusi, un vero affare).
Alle 6 ci viene a prendere Oscar, la nostra guida, a bordo di una “camioneta” (furgoncino)bianca. Oscar è l’ennesima conoscenza del posto. Come tutti, e forse anche più di tutti, è estremamente gentile e disponibile, soprattutto verso noi Italiani. Da queste parti, strano ma vero, siamo adorati per la nostra cultura e preparazione, oltre che simpatia.
La strada è lunga. Dobbiamo raggiungere la frontiera con il Guatemala, a 150 km da Palenque, da dove imbarcarci su una lancha sul fiume Usumacinta per raggiungere Yaxchilan, sulla sponda Messicana. A metà percorso ci fermiamo a far colazione in una capanna, dove la gente del posto prepara delle deliziose bontà mattutine per i turisti in viaggio verso la frontiera. Per strada non possiamo non notare una quantità infinita di villaggi fatti di baracche e capanne, qualche riserva zapatista e tantissimi bambini scalzi, poveri sì ma sempre allegri.
Come da piano, raggiungiamo la Frontera Corozal, dove ci aspettano le lanche, delle imbarcazioni a motore lunghe e strette adatte per navigare il grande fiume tropicale. La navigazione dura 45 minuti. È un’esperienza mozzafiato, sembriamo degli Indiana Jones. Il fiume è larghissimo, marrone ed imponente. Sulle sponde solo alberi e vegetazione, scimmie urlatrici, qualche marsupiale e tanti uccelli. A sinistra abbiamo il Messico, a destra il Guatemala.
Approdati all’ingresso del sito, ci accolgono le scimmie urlatrici. Con il loro verso ci mettono paura, per un attimo riusciamo anche a fotografarle nonostante siano su in alto sugli alberi. È impressionante quanto urlano.
Il sito è stupendo, molto selvaggio, disperso in mezzo alla giungla e molto esteso. Conta ben due acropoli, da una delle quali parte una scalinata ripidissima e lunghissima che porta alla piazza principale, la piazza della Pelota. Il tempo libero all’interno del sito è di due ore, forse un po’ troppo corto per due fotografi come noi! Ripercorriamo il fiume controcorrente e raggiungiamo il ristorante. Dopo aver pranzato ci avviamo verso il sito di Bonampak, non molto grande ma estremamente importante per le sue pitture, conservatesi intatte grazie alla presenza di croste di sale che nel tempo si sono impregnate sui muri e poi grattate via durante gli scavi. È l’unico sito in cui ammirare le pitture e alto rilievi maya, altrove è impossibile. Come al solito, raggiungere Bonampak non è facile. Bisogna percorrere un sentiero sterrato nel cuore della giungla per circa 20 minuti. È impossibile arrivarci da soli, per questo consigliamo vivamente di prenotare dei tour guidati.
Si torna all’hotel, la strada è lunga in mezzo a coltivazioni improvvisate di mais e povertà. Ovunque capanne e persone per strada che cercano di fermare le auto per vendere frutta, ma è un piacere vedere i bambini così felici nonostante tutto, col sorriso sempre vivo in viso, anche se scalzi.
Raggiunto l’hotel, ci addormentiamo per svegliarci nel nostro ultimo giorno a Palenque.
Giorno 7 Il programma di oggi prevede la visita alle cascate di Msol-ha e Agua Azul. Il tour è prenotato sempre dalla stessa agenzia (160 MXN a testa. Queste agenzie turistiche sono generalmente sponsorizzate in tutti gli hotel del luogo, quindi facili da conoscere e contattare). In teoria avrebbe dovuto comprendere una terza tappa, Agua Clara, ma la comunità zapatista che la gestisce ultimamente si è dimostrata un po’ troppo esagitata, quindi gli organizzatori l’hanno eliminata dalle visite.
Con nostra gioia e sorpresa, ritroviamo Oscar. Per fortuna riusciamo a sederci davanti insieme a lui, così ci spiega un sacco di curiosità lungo la strada e possiamo fare tante fotografie. Ci racconta chi sono gli zapatisti, come sono organizzati, le diverse coltivazioni del Chiapas, gli uccelli che ci sorvolano, un po’ della sua vita e anche del suo lavoro.
Le cascate di Misol-ha sono molto alte e si può addirittura attraversale, passandoci dietro. L’acqua sprigiona tutta la sua potenza, non ci si può non bagnare. La visita però è breve perché non c’è molto da vedere oltre la cascata.
Agua Azul invece è un vero e proprio parco, ci sono infinite cascate che si susseguono creando fiumi e laghetti e zone molto suggestive attorniate da piante di banane con foglie gigantesche e panchine per i visitatori.
Questa giornata assume un significato speciale per noi perché incontriamo tantissimi bambini poveri tra cui Claudia, di sette anni, che ci vuole vendere il “pandelote” (frittelle di mais) per 10 pesos. Non ha i dentini e quando ride è bellissima. È molto simpatica, le scattiamo tante foto con suo consenso e le compriamo le frittelle.
Tra le numerosissime bancarelle del mercatino lungo il percorso, acquistiamo delle trottole in legno da portare a casa come souvenirs e raggiungiamo Oscar per ripartire.
Proprio prima di ripartire, altre due bimbe si avvicinano a noi per venderci banane e frittelle. Si chiamano Marisol e Manuela. Dal loro sguardo capiamo subito che vorrebbero divertirsi un po’ con le nostre trottole. Noi ci guardiamo e capiamo che quelle trottole sono per loro, è più giusto così, che rimangano lì dove sono, è giusto che le tengano loro. I loro occhi brillano, le risa si sprecano, saltano e si divertono, e tutto ciò ci riempie il cuore. Quasi ci commuoviamo e ci sentiamo così appagati di avergliele date… Ci facciamo promettere di non venderle ai turisti e loro ci rispondono con un secco “no”. Tra una trottolata e l’altra ci raccontano della scuola e della loro casa sulla strada. Vogliono rivedere tutte le foto che le abbiamo scattato, è un piacere per noi guardarle mentre si ammirano nei display senza nascondere tutta la loro vanità.
Oggi il nostro cuore è davvero felice.
Torniamo in città, due panini dalla nostra amica al solito bar, recuperiamo le valigie in albergo pronti alle 11 ore notturne verso Tulum (sempre ADO ovviamente) Lungo il tragitto, in piena notte, ci fermiamo ad uno dei tanti posti di blocco dell’esercito qui in Chiapas. Il Governo cerca di arginare il fenomeno del traffico di droga e armi verso il nord del paese e verso Cancun, dove è fiorente il turismo di massa. Ci fanno scendere per controllare l’interno del pullman e le nostre valigie. Si riparte dopo un po’, un po’ contrariati ma incuriositi.
Giorno 8 Alle 7 del mattino seguente siamo a Tulum.
Fa caldo, prendiamo il taxi e raggiungiamo l’hotel che in quanto a stanze è il peggiore tra tutti quelli visitati, ma ha un cortile davvero carino pieno di angoli relax, con amache e tavolini. Facciamo una doccia e andiamo al sito archeologico di Tulum, a due passi da noi.
È uno dei posti più spettacolari, sicuramente il meglio tenuto, in mezzo a prati che sembrano aiuole e soprattutto affacciato sul Mar dei Carabi, proprio di fronte alla barriera corallina. El Castillo di Tulum pare un faro sul mare. Mica scemi i Maya! I colori sono magnifici. Qui conosciamo i veri abitanti del posto: le iguane. Sono dappertutto, di tutte le dimensioni, approfittano del sole e delle infuocate per riscaldarsi.
Ovviamente le abbiamo fotografate, da veri turisti Ma soprattutto non abbiamo resistito alla tentazione di tuffarci nelle acque smeraldo dei Caraibi, dalla spiaggia all’interno del sito, bianca come la neve.
Ci siamo concessi anche un riposino sulla spiaggia bianca come la neve, abbiamo preso il sole e poi finito la visita delle rovine.
Alla sera, stanchi per la giornata e la nottata precedente, prendiamo due birre e ci stendiamo sulle amache in giardino. Ci addormentiamo coccolati dalla musichina messicana proveniente dal ristorante. Un vero relax.
Giorno 9 Il giorno dopo sveglia all’alba e partenza nonostante la pioggia per la riserva della biosfera di Sian Ka’an.
Abbiamo prenotato la visita il giorno prima presso l’agenzia adiacente all’hotel (1000 MXN a persona).
Il tour consiste in un giro di due ore su una motoscafo attraverso la laguna, i canali di acqua salata prima e dolce poi, formati da un’immensità di mangrovie di diverso colore e forma. Su di noi sfrecciano cicogne, aironi, fregate, acquile pescatrici e pellicani. Anche se piove e fa decisamente freddo, questo è uno spettacolo incantevole. È mancato solo il coccodrillo, forse per il troppo e insolito freddo di questo periodo.
Il canale si fa sempre più stretto finchè non sbuca nella laguna di acqua dolce, alimentata da sorgente sotterranee. Un piccolo edificio maya si erge su una sponda; serviva da avamposto per il controllo del traffico nel canale, una specie di casello. A questo punto il programma prevede un bagno nel canale, lasciandosi trasportare dalla corrente per qualche centinaio di metri. Noi non ce la siamo sentita, troppo freddo e pioggia, e come noi tanti altri.
Aspettiamo i temerari poco più avanti, mentre nel frattempo mangiamo un po’ di frutta gentilmente offerta dalla casa.
Dopo una breve visita ad uno dei cenotes di Tulum poco distanti e un abbondante pranzo compreso nel prezzo del tour, si prende la via del ritorno. La camioneta ci lascia avanti all’hotel, dove ci copriamo con indumenti decisamente più caldi e asciutti! Spendiamo gli ultimi pesos nei negozietti di souvenir alla punta della strada: qualche calendario maya, due amache e delle collane.
Per puro caso scopriamo una fermata ADO proprio davanti all’hotel, così prendiamo il primo che passa con destinazione Cancun.
Qui passiamo la nostra ultima notte in Messico .
Giorno 10 ADO, sempre lui, ci porta all’aeroporto per il rientro a casa, la stazione bus è a 5 minuti dall’hotel.
Si torna in Italia, 13 ore di volo ci aspettano insieme al freddo dell’inverno che ritroveremo, Ci lasciamo alle spalle tanto caldo, colore, avventura…Ma siamo pronti per organizzarne subito una nuova, carichi di questa bellissima esperienza; di questo magico “Messico e nuvoleee” così diverso dai cactus e sombrero che per tanto abbiamo immaginato.