Youm wara youm
TANGERI Un pulmino c’è venuto a prendere sotto il traghetto e ci ha lasciati vicino all’uscita del porto. Ora si va in città. L’alberghetto che segnala la guida si trova nella Medina, la strada è tutta in salita. Bellina la porta d’ingresso, sarò arrivato. Cavolo, si sale ancóra! Un albergo vale l’altro, mi dico, la Medina è questa, proviamo qui. Tutto occupato. Caspita! La signora dice ad un bambino di portarmi in un altro albergo. Lo seguo, comunque gli chiedo «Conosci l’hotel Palace?», mi fa di no. Arriviamo all’altro albergo: completo. Azz! Chiedo anche a questa signora se conosce l’hotel Palace, lei dice al bambino dove sta e lui mi ci porta. Durante il tragitto, mi chiede se gli do qualche Peseta, gli dico di sì, quando saremo arrivati. Eccolo, c’è posto: 5 € a notte. Do un soldo al pupo e mi sistemo. È molto caratteristico, un po’ trasandato, ha un cortiletto interno decorato in marmo e maioliche. La stanza fa un po’ schifo, ma lo sapevo in partenza. Appena arrivo mi si appiattola un tale che vuole farmi da guida: ne ero certo; gli dico che non mi serve. Esco un po’ per fatti miei e mi compro un “gandoura”, un abito lungo da marocchino. Rientro e lo indosso. Quando riesco, il tipo mi si riavvicina, vuole accompagnarmi per Tangeri. Gli chiedo solo se conosce dove sta l’ufficio del turismo, dice che mi ci porta lui. Oddio che angoscia! Va bene, avanti, fammi da guida! Giriamo per un paio d’ore per Tangeri, mi porta all’ufficio del turismo, poi a vedere la Casba, un paio di mercati e varie viuzze. Ci fermiamo a bere il tè alla menta in un bar con terrazza sull’oceano, poi, come era scontato, mi porta da un amico che vende tappeti. Dopo un tira e molla di non so quanto, mi porto via un portacenere in ceramica e riesco a staccarmi. La “guida” mi riporta in albergo e mi chiede la mancia: gliela do. Sono un po’ incazzato col tipo: tanto gentile solo perché interessato a portarmi dall’amico e per la mancia; anche perché mi aveva detto che non avrebbe voluto niente visto che stava all’albergo.
La storia delle false guide è famosa in Marocco, e pare che sia uno dei motivi che spinge la maggior parte dei turisti a non tornare più.
Nel pomeriggio mi riposo e poi vado da solo per un altro giro. Mi muovo intorno all’albergo per non perdermi. Mi sento disorientato. C’è la chiesa inglese, entro nel giardino. Sento uno che urla, mi giro, ce l’ha con me. Mi avvicino, mi dice qualcosa, gli rispondo che non parlo arabo. Lui mi risponde che mi aveva scambiato per Marocchino, per via del gandoura (e lo so, l’ho comprato a posta!), gli chiedo se si può visitare la chiesa, lui mi accompagna, carinissimo, mi fa vedere tutto e non mi chiede niente. Ringrazio e me ne vado.
Non c’è granché a Tangeri. È il mio primo contatto col Marocco. Non so come mi sento. In giro c’è tantissima gente e, tra loro, parecchi che abbordano i turisti. Col gandoura in dosso mi sento sicuro, poi voglio sentirmi parte di queste persone; vestito da occidentale sarei un turista da spiumare, così sono uno qualunque che passa inosservato. Ogni tanto, qualcuno mi chiede l’ora, non so dirgliela in Arabo, gli mostro l’orologio, loro leggono e ringraziano. Per mangiare è bellissimo. Il mio hotel si trova nel Petit Socco, la piazza al centro della zona più trafficata della Medina (e la più pericolosa). Tra il Petit Socco e il Grand Socco c’è una strada dove si vendono parecchie cose da mangiare. Mi avvicino al bancone, indico ciò che voglio, faccio segno col dito che ne voglio uno, pago il prezzo sul cartellino, dico «Shukran, grazie» e via. Tanto è talmente il casino che c’è in giro, che non mi sentirebbero quando parlo, quindi muovo solo le labbra, tanto non saprei che dire.
A Tangeri ceno con 1.000 Lire. Ci sono varie focacce, una specie di farinata alla genovese che vendono in una simil caldaia a rotelle in mezzo alla strada ad 1 dhiram a fetta (200 lire). Ne mangio due, più una sfoglia fritta ripiena di non so cosa.
Quanta gente che gira a Tangeri, camminano tutti uno sopra all’altro; comprano e vendono di tutto, soprattutto e cibo, e mangiano in continuazione. I mercati sono aperti fino a tardi. Che sporchi che sono! Io ho il raffreddore fisso da più di un mese, ma gli odori fortissimi li sento: sporco, pesce, spezie, menta, sangue degli animali sgozzati e lasciati a sgocciolare sui banconi, odori molto intensi. Poi dal Gran Socco fino a Praça do Faro ci sono anche gli scappamenti delle auto che rilasciano fumi nerissimi e pungentissimi che non respiri! Non c’è semaforo, striscia pedonale o poliziotto che tenga: è un continuo sono di clacson, e nessuno si ferma per farti passare: devi cogliere l’attimo.
I mendicanti: tantissimi, ovunque e di tutte le età. Stamattina cammino con una bottiglietta d’acqua nel Gran socco. Mi sento tirare il gandoura, mi giro. Una bimbetta che avrà avuto cinque anni. Mi dice qualcosa che non capisco, ma i Marocchini, come gli Italiani, gesticolano parecchio. Mi fa segno che ha sete e indica la bottiglietta. Le do la bottiglia, gliela lascio e vado avanti. Sono impietrito, ho un maglio che mi stringe il petto. Risento la sua vocetta, la guardo, mi dice qualcosa. Faccio il gesto dei soldi con le dita, mi fa di sì. Le do un dhiram che ho a portata di mano e me ne vado. Le avrei dato tutto il portafogli e tutti i miei cazzo di Euri! Ma come si fa nel 2002 che una bimbetta ti venga mendicare l’acqua!! C’è un vecchio in mezzo all’incrocio. C’era ieri all’una, ieri sera, stamattina, oggi pomeriggio: sempre lì in piedi, fisso, con gli occhi chiusi a biascicare qualcosa con la mano tesa. E la signora col bambino in carrozzina, sempre lì, e il tipo col braccio mozzato davanti all’ex chiesa, e la vecchia di fronte. Sempre lì sotto il sole e col fresco della sera! C’è la Cattedrale cattolica a Tangeri, entro durante la Messa della sera in Spagnolo. Il prete prega «affinché le imprese mantengano i posti di lavoro». È un problema qui il lavoro, lo sappiamo bene visti i tanti Marocchini che vengono da noi, ma che il prete faccia una preghiera perché la disoccupazione non cresca ancóra, mi fa impressione: è sintomatico di un problema davvero grande.
Vai in Marocco in vacanza e che ti porti dietro? La Casbah di Tangeri? La grande moschea? Il porto? Questa gente ti porti dietro! La falsa guida, i portieri dell’albergo, il bambino del primo giorno, la bimbetta dell’acqua, il mercante di tappeti che quando gli dico che ho un nipote allergico agli acari e che non possiamo tenere tappeti in casa, si tocca il petto, fa una giaculatoria ad Allah e mi parla della figlia malata che, quando viene a Tangeri d’estate per il lavoro di suo padre, dalla casa nel deserto, sta tutto il tempo fiacca e debole per l’afa. Ti porti dietro il custode della chiesa inglese che, senza chiedermi niente, m’ha buttato ai piedi il tappeto rosso e mi ha fatto visitare la chiesetta trattandomi come il padrone. Ti porti dietro Antonia, la signora spagnola conosciuta a Messa, che si chiedeva che cosa ci facesse un Marocchino in gandura in chiesa, che quando le ho detto di essere Italiano, non mi ha mollato più e siamo stati a chiacchierare per un bel po’ davanti alla cattedrale e sulla strada del ritorno. È un torrente in piena Antonia, non sta zitta un attimo. Vive a Tangeri da 34 anni ed è sposata con un Marocchino. Va a Messa tutti i giorni e se la fa a piedi per un’ora ad andare e una a tornare, il dottore le ha detto ha le fa bene. Vicino casa sua vive un modello parente del Re di Spagna (dice lui) sposato con una Marocchina: è molto famoso il modello! Ronaldo, che gioca in Italia, lo vuole il Real Madrid, lo sapevi? «E no, è già un po’ che manco da Roma, le ultime notizie non le so.» «No, da Roma! Allora hai visto il Papa!» «Sì, l’ho visto il Papa!» «L’altro ieri, hai sentito, l’ETA ha messo una bomba e sono morti una bambina e uno che aspettava l’autobus! Qua in Marocco ‘ste cose non le fanno! Dicono che c’è la dittatura, ma non è vero, qua si vive bene! Metti sempre il gandoura, così nessuno ti disturba. Metti i soldi in tasca e sopra il gandoura, così non ti rubano…», e avanti così a chiacchierare. Sei un mito Antonia! Con te ho passato un’ora e mezza bellissima, ma la prossima volta te lo dico che lo Spagnolo lo devi parlare più lentamente, sennò ti devo bloccare sempre e tu devi ripetere. Andavi a cento all’ora!! RABAT Urca, che differenza! Qua è un bel po’ moderno! Tangeri anche ha dei posti moderni, ma è cadente: qua è più ordinato. Allora, per l’ostello, tutto a sinistra fino a Boulevard Hassan II, poi a sinistra fino a Bab el Had. Bestia, che caldo! Agente, scusi, Rue Marrassa? «Peut-être, là bas!». Ah, forse ?! Andiamo bene. Manco per cacchio, era là, non là; meno male che la ragazza del negozio è un po’ più sveglia.
I poliziotti in Marocco stanno fermi lungo le strade, fumando a gratis a spese degli automobilisti: ingeriranno tonnellate di smog. Loro sono lì che stanno in piedi e ogni tanto fischiano. C’è l’ingorgo, loro sono lì imperturbabili. Il semaforo è rosso per le auto, quindi passi tu pedone, le auto attraversano lo stesso e per poco non ti mettono sotto, ma loro lì fermi. E ogni tanto fischiano. All’aria! All’ostello una ragazza marocchina mette una cassetta nello stereo. Musica araba. Carina ‘sta canzone, un po’ dance! L’ho già sentita a Tangeri. Andiamo nella Medina. Che casino pure qua, sembra Tangeri. Pure qui ‘sta canzone! I negozi di cassette sono parecchi e sparano la musica a palla. Al sesto negozio in due giorni che mette ‘sta canzone, mi fermo. «Come si chiama?» Mi indica il CD. È tutto scritto in arabo! «Lo compro», 30 Dh, 3 €. Sì, ma chi è? Samira Said. La canzone è “Youm wara youm”: la colonna sonora del mio Marocco, troppo bella!! Significa “Giorno dopo giorno”, come il mio viaggio, vissuto a piccoli passi, un po’ per volta, di giorno in giorno.
Che c’è da vedere a Rabat? Quasi niente. La Medina è più grande di quella di Tangeri, ed è incasinatissima solo in alcune strade. Al di fuori gli scappamenti delle auto mi fanno stare male, non ci riesco. Riscappo nella Medina. Le case sono abbastanza diroccate, ma non è brutta la visita! Anche qua tanti negozi e igiene molto sommaria. Qui c’è sempre odore di pesce fritto: lo friggono e lo mangiano ovunque. Si mangia bene in Marocco e con pochi soldi. Ieri sera zuppa di verdure in un localetto vicino al mercato, oggi cous-cous in un ristorantino. Stamattina si parlava con un ragazzo di Milano di come, a volte, l’idea che si ha dei posti stranieri in Italia sia sbagliata. Pensi al Marocco, e ti viene spontaneo pensare agli integralisti islamici, alle donne tutte imbacuccate: invece no. Aria di integralismo e oscurantismo non ce n’è, le donne hanno il velo all’80%, ma molte ragazze vestono all’occidentale e anche parecchio scollate. Poi non hanno il pallino della religione come uno s’aspetterebbe. Sì, non puoi entrare nelle moschee, ma finisce lì. È bello sfatare i miti.
Insomma, a pranzo cous-cous, mi siedo e ordino. Mi si siede davanti un tale, come al solito mi parla in arabo, gli dico in francese che non lo capisco; mi fa «Sei Turco?» «Eh? No, Italiano!» «Cristiano?» «Eh, sì, Cristiano». Beh, dall’una alle due non mi attacca un bottone sul fatto che devo convertirmi all’Islam o vado all’Inferno? Forse il destino ha voluto che io venissi in Marocco per conoscere l’Islam e convertirmi. Sul Corano c’è scritto che la Bibbia è stata modificata dai Papi a loro comodo e che la mia religione è bugiarda. Mio padre e mio nonno sono all’Inferno perché non si sono convertiti, ma io posso salvarmi, se studio l’Islam e mi faccio musulmano. Lui, il tipo, è per me un testimone che mi può portare verso la giusta strada, se mi lascio illuminare. Non devo essere stupido e restare nell’errore, devo dargli retta e credere nel Corano. M’ha mandato per traverso tutto il pranzo, vaffanculo! Che dicevamo stamattina? Non gliene frega niente della religione? Ieri sera, poi, vicino a me c’era un ragazzo nero francese, che chiacchierava seduto sul letto con la ragazza marocchina delle cassette. Parlavano della differenza tra Islam e Occidente. Ad un certo punto, tema: la verginità. «Per noi ragazze marocchine, è un dovere essere vergini, sennò nessuno ci sposa.» «Allora, pure se vi sposate a 40 anni?» «Sì!» «Ma, scusa, come fa il marito a scoprire che non sei vergine? Tu non glielo dici!» «Lui e la famiglia controllano se c’è il sangue sul lenzuolo.» Aaaaa! Disgustoso! E umiliante! Ieri a cena, poi, una ragazzetta correva inseguita da uno che doveva essere il fratello, con un tubo di gomma in mano, con cui voleva picchiarla. Si è rifugiata nel ristorante dov’ero io. Ho assistito già ad altre due risse e la gente separava sempre i contendenti. Qui, invece, i titolari del locale hanno cacciato via la ragazza: non volevano che creasse problemi al ristorante: mamma mia! Ma dicevamo di Rabat, dal lato turistico c’è da vedere la Casbah degli Oumaïa, sulla punta estrema della Medina. Molto ben tenuta: le cose sono bianche e azzurre, sembra di stare in un’isola greca. La parte più bella è il giardino andaluso con gli alberi fioriti: ben curato e fresco. E poi c’è il Mausoleo di Mohamed V con la Torre di Hassan. Nel Mausoleo possono entrare anche i non Musulmani. Dovrebbe essere un posto di raccoglimento, invece c’è un bel casino. Le Guardie d’Onore sono le più rumorose di tutti. Fumano e buttano le cicche lì, davanti all’entrata, si mettono in posa con i turisti per le fotografie e si fanno gli scherzi. Simpatici! Visto ciò, non c’è che da tornare alla Medina. Le vie dove non ci sono i negozi sono più silenziose e tranquille, e dànno la possibilità anche di vedere un po’ di architettura marocchina. Le case sono tutte basse, alcune più belle, altre meno. Certe hanno portali intagliati nel legno o di pietra, scolpiti ad arabeschi: sono colorati e vivacizzano le facciate altrimenti bianche. La Medina termina verso lo Uadi Bou Regreg, il fiume sull’altra sponda del quale c’è la città di Salé. Una delle ultime propaggini della Medina prima di arrivare al fiume, vicino alla Porta El-Bahr, sembra una scena dell’Inferno di Dante. La miseria vera! Una piazza, al cui centro c’è un edificio basso con una fontana. Su un lato ci sono alcune botteghe, anche alimentari, dove friggono il pesce e le verdure; su un altro botteghe artigiane e sugli altri due ci sono porte e due portoni che dànno su cortili abitati. Dovunque sporcizia. Ci sono i secchî dell’immondizia: lì la gente getta in terra ogni cosa. C’è chi prende l’acqua alla fontana e chi ci piscia vicino. I rigagnoli di urina e d’acqua si uniscono in un torrentello che non so dove sbuchi. I bambini ci giocano, i grandi ci fanno i bisogni e gettano i resti della carne ai cani e ai gatti che scorazzano intorno. Ovunque una puzza mista di pesce fritto, carne secca, merda, piscio e frutta marcita. Parecchie persone sono sedute in terra o su sgabelli, immerse nello schifo. Giro l’angolo e un signore vende i ceci lessi al cartoccio, conditi con sale e coriandolo tritato. Ne prendo un cartoccio e me li mangio. Qui è così: la miseria sta vicino alla normalità. Nessuno si scandalizza: io sì, ma devo pure andare avanti. Sembra brutto, ma è così. Per non farmi mancare niente, mi compro pure un po’ di torrone da due ragazzi col carretto. Gli dico di darmi un pezzo piccolino di quello tutto bianco. Lui me ne fa assaggiare uno con le mandorle «Voglio l’altro!» «Ma questo è buono!» e si lancia occhiate d’intesa con l’amico. Ho capìto, va, ha trovato il turista minchione! Vediamo come va a finire. Finisce che me ne mette sul piatto della bilancia una montagna. Glielo faccio togliere e me ne porto via l’equivalente di un Euro. Sicuramente m’ha fregato, costa molto meno, ma non m’importa. Quello ci campa col torrone, io non ci campo con pochi dhiram in più! Cena al ristorante di ieri: due porzioni di bessara, zuppa di fave, buonissima, 8 Dh (0,80 €).
FÈS Andando in stazione, ho sbirciato da un giornale che la polzia ha arrestato 13 fanatici integralisti nella città di Mekhnès. Allora qualche problemino con gli integralisti ce l’hanno! L’ostello di Fès è carino e pulito. In stanza sto con un ragazzo inglese alto alto e magro magro. Non lo capisco quando parla, né in inglese, né in francese, e neanche lui mi capisce molto, ma ci facciamo delle lunghe chiacchierate! Le strade a Fès hanno i nomi scritti solo in arabo, è difficile orientarsi. Il tragitto tra la stazione e l’ostello è lunghetto e tortuoso. Sotto il sole non è stato facile arrivarci. Prima visita alla parte antica della città nuova. Mamma mia che caldo! Solo 20 minuti di tour e un bicchiere di tè alla menta.Ora è meglio tornare all’ostello. Passo il pomeriggio in coma, poi, via, visita alla parte vecchia, di nuovo. È distante dall’ostello, ma finalmente ci sono. Toh, un Internet Point! Che bello, è il primo che vedo in Marocco ! Vai che leggiamo la posta! Tastatina ai glutei per controllare le tasche. Tasca destra, tutto bene, sinistra … oh, oh! Cacchio, il Passaporto! Oddio il Passaporto! La tasca è vuota! O mamma! Riesci dalla parte vecchia (non è proprio destino!), corri (si fa per dire) all’ostello, saranno un due chilometri. Eccolo là il passaporto, sul tappetino! Bastardo! «A che ora chiude l’ostello stasera?» «Alle 22h00!». È? Cavolo, non faccio in tempo a tornare alla parte vecchia, a cenare e a ritornare qua! Porca! Vabbè! Cerchiamo un locale. Gira gira, alla fine Ristorante Chamonix. Cercavo un posto dove mangiano i Marocchini come li ho trovati a Rabat; qua c’è solo roba per turisti. Vabbè, menu completo per 7€. Ma non mi ha soddisfatto.
Gli italiani all’estero: mi si siede accanto una coppia di Fiorentini. Lui zitto e lei pallosissima! Oh, come è lento il cameriere! Oh, che sciapo ‘sto cous-cous! Oh, quante spezie, sono allergica alle spezie! Non la voglio più la carne, troppo speziata, me la cambia con una frittata? Come è piccola ‘sta frittata! Ma l’acqua non la portano? Che palle!!! E il gruppo di ragazzetti allo stesso ristorante: un bordello per sedersi, un bordello per ordinare. A me, a me! Voglio una coca! Mi porta il pane? Un altro tovagliolo! L’acqua, l’acqua! Ce l’avete la birra? – Ma sei scemo, la birra in Marocco? Che schifo ‘sta pizza, pare quella di Spizzico o Pizza-Hut! – Ma non sarai cretina tu, che a Fès ordini una napoletana, no? Sveglia, colazione, taxi, destinazione la Medina. Posso dire vista una, viste tutte? A parte alcuni scorci veramente belli, è come le altre Medine che ho visitato. Devo smettere di fumare! Almeno in pubblico. Ogni volta che mi accendo una sigaretta, qualche ragazzo mi chiede se gliene do una. Siccome non gli rispondo, visto che non parlo arabo, e non essendo sicuro di quello che vogliono, faccio lo gnorri, capiscono che sono turista e zàcchete: ti faccio da guida? Ti porto qua, ti porto là? Non ce la faccio più! È un continuo dire di no, sorridere e schivare! C’è la zona dei conciatori nella Medina di Fès, ci voglio andare, ma da solo non posso, e dare retta e seguire questi ragazzetti non mi va. Alla fine rinuncio a vederla, mi dispiace perché è la parte più caratteristica, ma stare lì a contrattare il prezzo per farmici portare non mi va, non mi fido. Deciso a tornare in ostello, dopo aver visto un po’ della Medina, esco dalla Porta Bejeloud. Lì che c’è? Andiamo! C’è un bello scorcio, scatta la foto. Fatta. Però voglio farne fare una pure a me. Toh, una giapponese, vai! «Scusi, mi fa una foto?» Non mi risponde e prosegue con lo sguardo fisso, avanti. «Scusi, lei a me, no io a lei!» «Oh, sorry, pensavo fosse un arabo!» Eh, eh, neanche più i normali rapporti umani! Hanno tutti paura di finire in mano alle guide. Foto fatta, thank’s. Oh che bel somarello, foto. Toc! Che è! Un tipo, tutto imbufalito, m’ha tirato un’arancia, non voleva che fotografassi l’asino. A ‘sto punto mi stufo! È possibile che devo passare una vacanza a cercare di non urtare le sensibilità, a camminare sulle uova tutto il tempo? Se fai le foto si offendono, ne ho fatte pochissime per ‘sto motivo; se entri in una moschea si arrabbiano; se non accetti che ti facciano da guida si offendono; se non usi tremila accorgimenti ci restano male! Io ero pronto a comportarmi col massimo del rispetto e del tatto, ma il troppo è troppo! La maggioranza è simpatica e cordiale, ma il cretino lo becchi sempre, come il tale al ristorante di Rabat che mi ha insultato per un’ora perché non sono musulmano. Gli puoi rispondere? No, stai a casa sua! Torno in ostello. Riesco alle 5, visito finalmente la parte vecchia della città nuova, ceno con una harira, zuppa marocchina, 7 Dh. Giro ancora un po’ e a letto, domani Casablanca.
CASABLANCA Arrivare a Casablanca (Casa, per gli amici) alle due di pomeriggio è duretta, col sole dritto sulla testa. Taxi e ostello! L’albergatore è l’uomo più indolente dell’universo! Ha l’aria perennemente assonnata e stanca, qualunque cosa gli chiedo, risponde «Sì, un attimo» e sospira, si guarda intorno, realizza quello che deve fare e lo fa con una flemma assoluta. Pare uno dei Messicani della pubblicità dell’Estatè! L’ostello sta proprio nella Medina, vicino alle mura. La visita alla città vecchia, perciò, è facile e inizia sùbito. È meno turistica di quella di Fès, c’è meno gente che ti assale. Qui le botteghe vendono soprattutto cose per la gente di qua, è un po’ più vera e c’è meno folla. In tutti i negozi marocchini c’è la foto del Re: nella maggior parte, quella del vecchio sovrano, Hassan II, morto alcuni anni fa, in pochi c’è anche quella del figlio Mohammed VI. La cosa che mi ha colpito è che le foto sono intonate al negozio: nei bar c’è il Re che beve il tè, nei negozi dove ci sono i telefoni pubblici, il Re telefona, nelle botteghe di tappeti, il Re prega sul suo tappetino: bizzarra ‘sta cosa! I mercati lungo le strade qui a Casa sono frequentatissimi e sporchissimi. In strada ci fanno di tutto. Come si fa a conservare i polli freschi senza il frigo? Si conservano vivi, in gabbie all’interno dei negozietti. Una signora si avvicina ad un negozio di polli, il ragazzo prende una gallina che inizia ad agitarsi, lui le annoda le ali e lei si ferma. La pesa, dice il prezzo alla signora, lei paga, lui piglia la gallina, la sgozza e la lascia morire dissanguata da una parte. Poraccia! Però sono belli i mercati di notte! Col fresco mi muovo meglio e l’atmosfera è un po’ più magica. A Casa, nella città più moderna, costruita a inizio ‘900, ci sono palazzi in uno stile misto tra liberty e architettura araba. Peccato che cadano a pezzi. Non pranzo e non ceno. Non ho fame e non ho voglia di mangiare in un ristorante. Al centro ce ne sono tanti, ma si mangia roba troppo elaborata all’occidentale, ed è pieno di turisti.
Sveglia e colazione. Visita alla Moschea di Hassan II. È la terza Moschea per grandezza al mondo ed ha il minareto più alto di tutto l’Islam. Per costruirla Re Hassan ha impiegato una quantità impressionante di denaro, ma la riuscita è buonissima. È stata terminata all’inizio degli anni ’90, ma è in stile marocchino tradizionale, piena di decorazioni minuziosissime ed una cura del particolare esagerata. Perché in Occidente oggi li chiese le fanno che sembrano baracconi industriali, in uno stile che per gli architetti è a passo coi tempi, ma che è solo brutto? Forse dal Marocco c’è da imparare un pochino: che nel 2000 si può costruire qualcosa di diverso da edifici che sembrano scatole! Ho deciso che voglio mangiare una bissara, la zuppa di fave. Non riesco a trovare un locale di quelli brutti e rovinati, dove mangia la gente del posto, che la faccia. Si rivà alla Medina. Vicino alla Porta Marrakhech, eccola là la pentola gigante della zuppa! Il ristorante è 2,5 metri per 8. È stretto, buio, sporco, ma fanno una bissara da paura! Non c’è l’ombra di un turista, solo i lavoratori del mercato! Oh! Questo mi piace, la gente normale. Non mi sarei mai avvicinato ad un posto come questo in Italia. Oltre ad essere sporco in terra e sui tavoli, lavano le tazze per la zuppa in una bacinella con acqua sporca e non so se le sciacquano. Poi in Marocco prendono tutto con le mani: cibo, pane, soldi, tutto. Finora non mi sono ammalato, va bene così! Il tour continua nella zona moderna, in Piazza Mohamed V e nel Parco della Lega Araba, considerato il polmone verde di Casa, ma in realtà lasciato all’incuria quasi completa. Ceno con una focaccetta di semolino comprata in strada e mi rituffo nella Medina di notte, sempre bella e pittoresca.
Chiedo all’albergatore se mi ridà il passaporto e i soldi che gli ho affidato «Sì, un minuto, ti chiamo io.» Aspetto un’ora esatta prima che mi chiami lui. E domani sveglia alle 5 per prendere il treno per Tangeri e tornare in Spagna. Solo ora mi accorgo di quanto mi dispiaccia lasciare il Marocco: certe volte sarei voluto montare sul primo aereo per l’Europa, ma ora vorrei restare! Mentre aspetto, una ragazza berlinese offre a me e agli altri lì presenti all’ostello una fetta di melone che aveva sapientemente affettato. La prendo o non la prendo? Non ho toccato frutta da che sono in Marocco, gli stranieri devono starne alla larga perché è trattata e lavata con l’acqua corrente (anch’essa vietata) e quindi può causare problemi intestinali. Ma la frutta marocchina! Cresciuta sotto il sole caldissimo sarà di un dolce! E poi la berlinese, troppo forte, sembra la Gradisca col vassoio di felliniana memoria. «Ja, danke!» e ne prendo una fetta: buono! L’indomani, vinco la corsa contro il tempo verso il gabinetto. Vacca, proprio l’ultimo giorno! Ma finisce lì. Tiro fuori anche la scatola di Imodium, pronta in caso di necessità. Non serve, è solo un simpatico «Au revoir au Maroc!» del melone marocchino al turista italiano goloso!
Il Sole, come al solito, è caldo, ma il vento fa il suo dovere e stempera la calura. Se mi volto, vedo il Promontorio di Ceuta, il Marocco, l’Africa, l’Oriente; se guardo avanti c’è Gibilterra, la Spagna, l’Europa, l’Occidente. Si torna a casa! Mai avrei pensato di chiamare casa l’Europa, io che solo Roma considero casa mia. Non sarà casa, ma è il mio condominio, e mi piace tornarci, per sentirmi un po’ più protetto, dopo un bellissimo viaggio in un Paese un po’ dimenticato da Dio.
Già, Dio! È presentissimo Dio in Marocco, forse un po’ distratto, ma c’è. C’è nelle preghiere dei Marocchini che si chinano e si rialzano nelle moschee, nelle case o all’ostello. C’è nelle tantissime moschee, sempre piene di gente che le affolla a tute le ore. C’è nelle poche chiese dove i Cristiani vanno e vengono in sordina, quasi nascosti. C’è nelle parole dei Marocchini che lo invocano anche mentre vendono un tappeto, o si lamentano per il la stanchezza di camminare sotto al sole.
Devo ringraziarlo Dio, per una cosa strana e forse brutta a dirsi. Lo devo ringraziare per quel passaporto che stavo per perdermi, quello marrone con lo stemma brutto e la scritta Repubblica italiana. È quello che mi ha permesso di vivere giorno dopo giorno, youm wara youm, il mio Marocco da turista. Se ce l’avessi verde con scritto Royaume du Maroc, forse starei a spaccarmi la schiena per pochi dhiram, magari sotto al sole oppure starei a mendicare, non lo so. Invece, sto su questa nave che mi riporta a casa, nel mio mondo comodo e moderno. Già, Dio Benedica il Marocco e gli dia un’aggiustata, se può.