You’re welcome: california, arizona, utah e nevada
Fin da piccolo per me è sempre esistito un unico west, e finalmente eccolo: come lo immaginavo! Dicevamo “you’re welcome”: ebbene sì, nell’America delle contraddizioni, della libertà e dell’arresto se bevi una birra per strada, della fratellanza e delle guerre per il petrolio, vi sentirete sempre dire “you’re welcome”. E’ il loro modo di dire prego, ma è chiaro che è qualcosa in più, è proprio uno stato mentale, un modo di porsi nei confronti del turista. Questo non è una tesi, non è un libro di protesta, forse non è nemmeno un racconto, ma vuole essere semplicemente un resoconto di ciò che troverete nell’Ovest, senza voler prendere posizioni o schierarsi. Non importa se gli americani che ora ti dicono che sei benvenuto abbiano al tempo stesso sterminato un popolo illuminato come gli indiani. Non ha importanza, almeno in questa sede. Questo breve diario di viaggio vuole solo essere un sunto di ciò che ho trovato, da viaggiatore, al di là di tutto. Anzi, con poca modestia, vuole essere un importante strumento per pianificare il vostro futuro viaggio negli Usa. Ebbene sì, sempre con molta poca modestia forse dovuta ai tre anni passati a prepararlo metodicamente, oserei definirlo una guida. Quante guide, quanti racconti, quanti forum avrò letto!?! Gli ultimi giorni prima di partire, nonostante la rigorosa stampa fronte-retro, facevano fatica a stare nel vecchio zaino dell’Invicta dei tempi delle superiori. E quante informazioni vi avevo tratto!?! La raccolta dei consigli constava ormai di 20 pagine. Premurosamente la sera prima di partire li avevo scaricati sulla pen drive per poi dimenticarla rigorosamente a casa la mattina presto del giorno dopo. Il lavoro, la casa, il matrimonio, gli hobby avevano fatto si che passassero gli anni senza che mai decidessi che fosse il momento giusto. Poi, una straordinaria congiunzione astrale fatta di dollaro debole, ferie arretrate e hobby in diminuzione, ha concretizzato la possibilità di partire per quel viaggio tanto sognato e, più o meno volontariamente, tanto preparato. Ormai, a furia di leggerne, mi sembrava di esserci già stato. Era ora di partire e allora partiamo.
Fermi tutti però, prima mi sembra doverosa una premessa, tanto per orientarci.
Programma del viaggio: partenza il 05/08/05 per San Francisco e rientro, sempre da Frisco, il 27/08/05. Nel mentre: visita di Frisco, della costa californiana, di L.A. (Universal, Disneyland e outlet compresi), route 66, Monument Valley, Arches, Canyonland, Bryce, Zion, Las Vegas, Grand Canyon, Death Valley, Sequoia , Josemite. Partecipanti del viaggio: io, Paolo, 28 anni, geometra, milanese di origini emiliano-liguri-partenopee, amante della musica, della danza, del cinema, della buona cucina, naturalmente dei viaggi e Fabiana (Faby), mia moglie, 26 anni, geometra, milanese di origini partenopeo-venete, amante della danza, della musica, dei film strappalacrime, naturalmente dei viaggi. Fine della piccola premessa: spero vi siate orientati. E allora partiamo davvero! Naturalmente in aereo: MI-SFO Air France € 2275 per 2 persone A/R, comprese le tasse, entrambi con scalo a Schiphol (Amsterdam). Per il volo, come il resto, va fatta una postilla: prenotazione con agenzia o internet? Dopo molto peregrinare tra agenzie e siti internet, alla fine la scelta è caduta su internet. Come per gli americani, anche su questa scelta ci sarebbe da parlare per anni. Io personalmente ho optato per internet per un misto di convenienza e soprattutto di competenza: pagherei anche qualche euro in più a persone competenti, ma è difficile purtroppo in molte agenzie di viaggio trovarne. Per carità non ne abbia a male chi lavora in agenzia, probabilmente ho trovato quelle sbagliate, ma credo che questo aneddoto ne renda l’idea: tra le tante, una mi aveva proposto di prenotare con Safena, ex compagnia di bandiera belga. Ex in quanto è fallita (bancarotta) qualche mese prima. Sul loro sito erano in vendita i posti, ma non per i voli, erano proprio in vendita i posti: i sedili. Assediati dai debitori stavano smantellando gli aerei. E la cosa comica è che non c’era dolo da parte di quelli dell’agenzia, è che non se ne erano proprio accorti! Direi allucinante! Per carità, ripeto, non saranno tutte così, o almeno lo speriamo! Le prenotazioni degli hotel le abbiamo fatte tramite www.Expedia.It, trovandoci bene,mentre il volo lo abbiamo prenotato direttamente dal sito della KLM www.Klm.It, dopo aver determinato su motori di ricerca voli, presenti su siti quali expedia o www.Edreams.It, quale compagnia applicasse prezzi bassi, scremando le compagnie notoriamente risapute non buone o quelle non suggerite dai mille racconti letti vuoi per un motivo, vuoi per l’altro.
Il volo con Klm si è rivelato eccezionale, quantomeno all’andata, con scelta preventiva dei posti facendo il check-in via internet, sedile con monitor personale dotato di film, telefilm, pc, ecc…, pranzi decenti, clima interno ideale e hostess disponibilissime (e non pensate a cose strane).
Non si può dire che siano volate le ore, in particolare per noi che avevamo volato al massimo per 3 ore di seguito, ma quantomeno sono passate in modo scorrevole.
Tra l’altro l’orario di partenza e quello del ritorno li avevo prenotati rispettivamente di mattina e di sera, in modo da guadagnare una giornata ed inoltre in modo da arrivare negli Usa nel primo pomeriggio ed avere davanti ancora qualche ora per godere appieno la giornata. Unico problema: la durata della giornata. Quel giorno è difatti per noi durato complessivamente 30 ore, minuto più minuto meno, contando che la partenza a Malpensa alle 6 ha significato alzarci nella notte e non siamo riusciti ad andare a letto prima delle 22 a Frisco, complice l’eccitazione.
6 AGOSTO 2005 -SAN FRANCISCO (arrivo, giro del porto) Arrivati a Frisco, alle 14, e ripreso il nostro bagaglio, sano e salvo, abbiamo preso con 5 $ (meglio se avete già i soldi cambiati per poter usufruire delle macchinette automatiche, magari prendendo, come me, un caffè) la BART, la metro della baia, che in circa 45 minuti ci ha portato in centro, a Union Square. Il primo impatto di Frisco l’abbiamo avuto dalle cabine, passando per quartieri residenziali non particolarmente belli e costeggiando una higway a 3 corsie: insomma direi niente di che. Arrivati a Union Square e riemersi dalla metro, che nel frattempo era entrata sottoterra, facciamo davvero la prima conoscenza con Frisco. E’ sabato ed è pieno di gente e di senzatetto che ti si avvicinano e ti chiedono soldi o si offrono di portarti le valigie o di accompagnarti. Probabilmente debilitati dal viaggio, questi primi incontri, in parte, ci spaventano, sommate poi il fatto che non riesco a raccapezzarmi ed a capire dove dovremmo andare per trovare il nostro hotel. Nel frattempo l’unica cosa che so è che voglio levarmi da quel marasma e cercare di mettermi in un posto più tranquillo, ma non isolato, per aprire le borse e cercare le cartine e le prenotazioni, ma sembra non esserci un posto così! Alla fine in qualche modo troviamo il nostro hotel: al 242 di Powell St, lo Stratford www.Stratfordhotel.Com, prenotato tramite expedia e che ci costa 82 $ a notte a camera (i prezzi degli hotel negli usa sono sempre a camera), che in fondo non c’entra niente con le foto viste sul sito. Fa niente, d’altronde è molto americano: scala antincendio su facciata in muratura colorata di calce bianca e vicolo laterale di larghezza 1 metro con i bidoni dell’immondizia. L’hotel scelto è dovuto soprattutto alla sua posizione. A Frisco o stai nella zona del porto o stai nella zona del centro, Union Square per l’appunto, a circa 50 metri dal nostro hotel. Nella zona del porto ci sono solo gli hotel di grosse catene o comunque a prezzi notevoli e quindi abbiamo poi optato per questo. In fondo non è che a Union Sq ci sia poi molto da fare, sarebbe sufficiente farci un giro, senza doverci tornare tutte le sere, ma il prezzo è buono, ci sono molti servizi e inoltre ci farà comodo per domattina.
Preso possesso della nostra camera, piccola ma pulita, cerchiamo di organizzarci in modo da andare a farci un bel giro conoscitivo, o quantomeno dare un’occhiata alla città. Usciamo e ancora non riesco a raccapezzarmi. Sarà così per quasi tutto il tempo, causa i miei trascorsi liguri. Voglio dire, in qualunque città ligure che si affaccia sul mare abbiamo le montagne da una parte e il mare dall’altra, quindi se la strada sale vuol dire che ti stai allontanando dal mare. E invece a Frisco no! E’ costruita su 43 colline e quindi se ti basi su questa massima sei finito! E allora, pur con qualche reticenza, seguo le indicazioni della cartina e di Fabiana, alla quale non sembra ci sia poi niente di strano. E quindi prendiamo la salita che porta al mare! Mah. C’è da dire che di lì a poco quella salita diventa discesa e girovagando girovagando, passando per il quartiere d’affari, con il famoso grattacielo a piramide, approdiamo al mitico Pier 39, visto in tanti film. Cerchiamo, strada facendo, di sfruttare la metropolitana, da bravi milanesi, ma ci rendiamo presto conto che non serve i luoghi turistici e quindi accantoniamo l’idea ricorrendo esclusivamente ai trasferimenti by feet (camminando ancor più di quello che avevamo pensato) o qualche volta con i bus.
Al porto facciamo un giro dei negozietti di souvenir, vediamo e fotografiamo Alcatraz da lontano e compriamo inoltre l’indispensabile trasformatore/adattatore, necessario ai nostri caricabatterie con spina europea e funzionanti a 220 V contro i loro 110.
Questo giro lo compiamo tra migliaia di persone. E allora comincio a preoccuparmi di un aspetto che avevo già considerato ma che speravo non si rivelasse tale: con un dollaro così basso rispetto all’euro ci sarà pieno di turisti europei. Fortunatamente durante il resto del viaggio, complice forse anche la straripante grandezza dei luoghi visitati, non abbiamo mai più avuto di che preoccuparci.
Siamo al porto e allora non possiamo fare a meno di gustarci il pesce, tanto richiamato nei racconti. Al di fuori dei ristoranti si possono trovare vari baracchini che ne vendono, con notevole risparmio rispetto al sedersi al loro interno, ed in particolare da Aliotto’s (consigliatoci da Daniele, guida per caso degli “Usa on the road”, che non potrò mai smettere di ringraziare per i tanti utili consigli che ha voluto elargirmi). Questi consigli si riveleranno utilissimi, e lo sono già in merito al pesce: la clam chowder dentro al bread bowl (in pratica una zuppa di vongole dentro ad una pagnotta, per semplificare) si rivela eccezionale! Inoltre il notevole calore della zuppa aiuta a sopportare la temperatura polare, incrementata da un vento assassino. Sapevamo di questo paradosso ed eravamo abbastanza preparati, ma la realtà supera davvero la nostra immaginazione.
Tra i baracchini non possiamo lasciarci scappare il mitico hot dog. Ok, non siamo sulla quinta strada a New York, ma è comunque troppo americano per non farlo. Passeggiamo quindi con il nostro hot dog sul porto e non ci sembra ancora vero. Fa freddo, ma guarda che bello! Guarda il mare, guarda i leoni marini e guarda quanti gabbiani, guarda quanti, guarda che uno sta planando proprio verso di noi, guarda che ti sta per prendere, guarda… E questo simpatico gabbiano ha la felice idea di attaccare la testa di Fabiana, dandogli un colpo d’ala. E poi non contento ritorna all’attacco. Devo inseguirlo cercando di prenderlo a calci per farlo desistere. Va bene che siamo in America, ma essere anche protagonisti di Uccelli di Hitchcock al primo giorno no! Fabiana è giustamente spaventata e anche parzialmente graffiata dalle unghie delle zampe. Visto che le emozioni sembrano più che sufficienti per oggi, decidiamo di tornare all’hotel. Naturalmente a piedi, facendoci tutta la Powell, che vi assicuro è davvero lunga, ma d’altronde avevamo messo in preventivo di fare tante miglia a piedi in quei giorni a Frisco. Torniamo all’hotel non prima di essere entrati in un drug store, anche questo uguale ai tanti visti in tv, per comprare un po’ d’acqua e dare un’occhiata al vino californiano che, da buon estimatore del vino italiano, mi incuriosisce. Per ora non lo compro, avrò tempo di gustarlo nei prossimi giorni.
Come già accennavo all’inizio, i consigli elaborati a seguito dei racconti e delle guide lette, li avevo dimenticati a Milano. Sulla strada per Malpensa avevamo richiesto al fratello di Fabiana di spedirci il file alla mia mail, ma, visto che è fuori Milano, non ce la spedirà prima di domani. Il problema è che il primo consiglio,purtroppo,ci sarebbe già servito per il giorno dopo. Rientrati in hotel, allora, cerchiamo di farci aiutare dalla receptionist:vogliamo trovare l’indirizzo di una chiesa in cui si tengono le messe con i cori gospel di cui avevamo sentito parlare in un racconto e che ci tenevamo vedere. Purtroppo in hotel non sembrano saperne niente anche se sappiamo essere lì vicino (avevamo scelto l’hotel anche in funzione di questo). Non ci resta che sperare nella mail, dando prima un’occhiata alle pagine gialle. Mi ricordavo un indirizzo e difatti eccola, corrisponde: GLIDE MEMORIAL CHURCH al 330 di Ellis Street. Allora andiamo a letto a riposare la voce, che domani si canta! Stratford Hotel : 40.845$ clam chowder al Porto: 7$ 2 Hot Dog al Porto: 7.50$ Bart: 5$
7 AGOSTO 2005- SAN FRANCISCO (messa gospel, giro della città, Alcatraz) La notte è passata male. Ho dormito poco e male e credo dovrò ricorrere alla melatonina per recuperare il fuso orario. Oltre ad aver dormito poco, mi sento strano. Ci vestiamo pesante, più di ieri, e scendiamo per fare colazione. Purtroppo non ha niente a che fare con le foto viste sul sito, ma tant’è. Io soffro la mancanza dell’espresso mentre Faby scopre per la sua prima volta in 26 anni i Muffin. Ne fa incetta, d’altronde sono gratis, mentre io non riesco a mangiare quasi niente, proprio a causa di questo senso di stranezza provocatomi dal jet lag. Ci instradiamo quindi verso Ellis Street e in pochi minuti siamo lì. È presto, sono le 8,15 e la messa inizierà alle 9. Facciamo allora un giro nella zona e ci rechiamo da Starbucks, per 2 motivi: 1 perché volevo provarlo, 2 perché fuori al freddo non si riesce proprio a stare, sembra Milano a Febbraio, incredibile, fumano persino i tombini.
Una volta ingannata l’attesa entriamo nella chiesa, che poi sembra un cinema, se non fosse per le vetrate, tipiche da chiesa, per l’appunto. Prendiamo posto tra alcune coppie di uomini che si tengono per mano, tra gente di tutti i colori, vestita in tutte le maniere. C’è anche qualche turista, ma siamo proprio una minoranza. Tra la gente ci sono dei pastori, simili a quelli tipici dei telefilm, con tanto di bibbia in mano e sciarpa (in realtà credo sia un paramento cerimoniale). La loro funzione è tipo quella delle mascherine del teatro-vi avevo detto che somigliava ad un cinema-che fanno sedere il pubblico. E sul palco c’è solo qualche musicista. Con mio sommo stupore, sul palco, tra gli strumenti di tutti i tipi, c’è pure una batteria. Ed è proprio con un assolo di batteria, prima appena accennato, poi scatenato, che inizia la cerimonia. Mentre sembra di stare ad un concerto dei Queen, con tanto di chitarra elettrica che accompagna la batteria, entrano i membri del coro ed il pastore. Tra gli applausi ci alziamo tutti in piedi. Le prime parole del pastore, coadiuvato da un altro pastore che “traduce” in linguaggio per sordomuti, sono “vedo tra di voi molta gente nuova e allora scambiamoci un segno di pace, abbracciamoci fraternamente”. Il pastore non finisce nemmeno di parlare e veniamo, sia io che Faby, letteralmente travolti dall’abbraccio, forte e sentito dei nostri vicini di panca. E poi il coro comincia a cantare, con le parole proiettate sul timpano dietro di loro, in modo che tutti possano cantare. Vi assicuro che ancora adesso scrivendovene, a 6 mesi di distanza, un brivido di emozione mi attraversa. La messa scorre veloce tra sermoni, che capisco quasi interamente e canzoni, cantate da personaggi incredibili che si alternano. Si passa da un ragazzo che sembra Seal e che canta come lui ad una grassa signora di colore di mezza età con tanto di vestito giallo canarino e cappellino con uccellini in tinta che canta come Aretha Franklin, e noi cantiamo con loro, tutti nessuno escluso. Io, ateo, sono estasiato da questo luogo, che nulla ha a che fare con le chiese europee. Ascolto tutti i sermoni e mi rapiscono. Vengono proposti da varie persone e c’entrano in fondo poco con la religione, uno sembra quasi un pezzo comico. E la gente vi partecipa, con gridolini tipo “hey man” o “that’s right”. Ad un certo fanno addirittura lo spazio per la “televendita”, proponendo i prodotti del merchandise, le loro magliette, borse e altro, presentate simpaticamente da alcuni membri della congregazione, al fine di raccogliere fondi. Incredibile, assolutamente da vivere! Purtroppo, come tutte le cose belle, finisce, anche perché fuori c’è una fila interminabile di gente che aspetta di entrare alla messa successiva. Sono davvero tanti, abbiamo fatto bene a venire alla messa delle 9.
Siamo entrambi felicissimi dell’esperienza e la consigliamo caldamente a tutti, credenti e non. Anzi, credo che se vivessi lì finirei per essere sicuramente praticante, anzi magari farei l’opposto di quello che si fa qui in Italia, sarei praticante non credente. A parte le considerazioni teologiche, torniamo al racconto.
Usciti dalla chiesa, entriamo in un deli, una specie di drug store-bar dove riusciamo a navigare in internet e scarichiamo la mia mail: il fratello di Faby è riuscito ad inviarci il file, che stampiamo velocemente per iniziare subito a sfruttarlo. Piccola nota importante: questo file, diviso per città e stati, è a disposizione per chiunque me lo volesse richiedere, all’indirizzo e-mail citato al termine di questo racconto.
Camminando camminando passiamo da Little Italy (niente di che) e Chinatown (carina in particolare alla sera) e arriviamo sino a Telegraph hill, dalla quale si domina tutta la baia, per quanto la nebbia ne nasconda buona parte. Visto che è solo tarda mattinata e abbiamo già scarpinato notevolmente, prendiamo il bus e ci facciamo un giro. Scopriamo così che per l’emissione del biglietto bisogna imbucare nella macchinetta davanti all’autista i soldi CONTATI (1,25 $) e questo poi vale a fasce orarie, e comunque massimo 3 ore.
Grazie all’autobus riusciamo ad arrivare al molo in modo da pranzare da Aliotto. Abbiamo inoltre il tempo per comprare qualche caramella e qualche cioccolatino da Ghirardelli prima di imbarcarci per la visita di Alcatraz prevista per le 16, prenotata mesi prima tramite www.Blueandgoldfleet.Com, unica compagnia autorizzata ad effettuare le visite all’interno del carcere.
Tra le centinaia di persone che cercano di prendere, speranza vana, un biglietto senza averlo preventivamente, almeno qualche mese prima, prenotato via internet, riusciamo a districarci piuttosto bene ed a trovare la zona dove attendere il nostro traghetto. Merito sicuramente dell’organizzazione americana, in questo caso rivelatasi azzeccatissima per tutta l’escursione. Non privatevi, per 2 dollari di risparmio sul biglietto,dell’audioguida opzionale che risulta essere fondamentale per avere chiare indicazioni su ciò che state visitando.
Il giro di The Rock (Alcatraz) merita sicuramente, sia per la suggestione di quel particolare luogo sia perché, almeno per quanto ci riguarda, non è cosa da tutti i giorni visitare un carcere.
La visita dura circa 3 ore nel complesso ed in questo lasso di tempo si ha davvero modo di visitare completamente il carcere: dare un’occhiata all’isolotto, alle mostre ed alle promozioni a tema ed infine anche ai gift shop dove si può acquistare davvero di tutto, sebbene a prezzi non proprio modici. Rientriamo al molo verso le 6 p.M.. Ci sentiamo davvero spossati dall’intensa e bellissima giornata e decidiamo quindi di rientrare in hotel per cenare con una pizza, da veri americani, direttamente distesi sul letto guardando la tv. Prima però, sempre da veri americani, andiamo a comprare i farmaci al supermercato, la melatonina, che in realtà scopriamo essere nient’altro che un blando sonnifero, che mi aiuterà però davvero a superare il fuso orario. Sulla strada per il market facciamo incetta di giornali gratuiti che si trovano dentro a distributori pubblici, simili a quelli dei quotidiani, sui quali si trovano i mitici coupon di sconto per i motel. Essi meritano sicuramente una postilla. Questi giornali sono in realtà soltanto una raccolta di coupon con in più anche qualche piantina stradale, assolutamente utile, sulla quale oltre alle vie ed alle strade di collegamento, sono segnalate esattamente le posizioni dei motel e degli hotel dove poterli utilizzare. Su questi coupon ci sono i prezzi, a volte differenziati per giorni della settimana. Ci è capitato, chiedendo il prezzo in questi motel, di sentirci rispondere esattamente lo stesso prezzo indicato sul coupon, ma anche prezzi a volte nettamente più alti. Nel secondo caso, coupon alla mano, ho chiesto spiegazioni ed anche qui si aprono due scenari: 1) strappando dal giornale il loro coupon e consegnandoglielo ci hanno applicato il prezzo riportato; 2) ci dicessero che non potevano osservare quel prezzo in quanto vi era troppa richiesta di camere. E la cosa è assolutamente legale in quanto sul coupon viene chiaramente indicato che l’uso è a discrezione dell’esercente. Inoltre abbiamo scoperto che il prezzo stesso è a discrezione dell’esercente, in particolare nei motel che non fanno parte delle grosse catene. Gli albergatori si basano sulla legge della domanda e dell’offerta, adeguando, anche più volte nell’arco della stessa giornata, il prezzo della camera, col passare delle ore a seconda delle richieste. Quanto questa pratica sia legale e quanto sia un trabocchetto per turisti non saprei, però resta il fatto che conviene sempre basarsi sulla vecchia regola del turista: prima avrai le idee chiare su dove vuoi dormire, prenotando, prima avrai la migliore camera al prezzo migliore. Riguardo hotel e motel, ricordarsi sempre che il venerdì ed il sabato in America vige la regola del prezzo pazzo. In pratica è da pazzi il prezzo che ti applicano. A Las Vegas, per esempio, siamo arrivati un giorno prima del previsto e ci siamo recati in un Super 8 di cui avevamo il coupon che recitava 19 $ a notte. Sapevamo benissimo che non funzionava quel prezzo per il venerdì, ma abbiamo pensato che se in settimana facevano pagare quella cifra, avrebbero potuto al massimo raddoppiarla. In realtà ci hanno chiesto 90 dollari, 4 volte e mezzo il prezzo segnato, da non crederci! Ignari, allora, di queste regole del mercato alberghiero americano, davanti ad una pizza, una birra ed una partita di football in tv, concludiamo l’intensa giornata.
Stratford Hotel : 40.845$ Cappuccino da Starbucks: 2$ Pranzo da Aliotto: 12.50$ Cena con pizza d’asporto di fronte all’hotel: 6,24$
8 AGOSTO 2005 – SAN FRANCISCO/S.L OBISPO (Big Sur, Monterey, Carmel, 17 mile drive) Ricomposti i nostri bagagli lasciamo l’hotel, che alla fine possiamo definire discreto, e decidiamo di prendere il bus. Nonostante le cartine, ci troviamo all’angolo di una strada indecisi sul da farsi. Appena ci fermiamo e apriamo la cartina, si fermano due passanti differenti, entrambi distintamente vestiti ed apparentemente indaffarati col lavoro, e subito ci chiedono come possono aiutarci. Noi, che sapevamo di questo altruismo stradale degli americani, ma abituati all’Italia, accenniamo sottovoce il nostro problema e loro in men che non si dica ci segnalano come e dove andare; uno dei due passanti-una donna-ci accompagna addirittura per un tratto, instradandoci verso il giusto bus da prendere.
Prendiamo il bus. Abbiamo perso un po’ di tempo, ma la cosa non ci sconforta, anzi. Speriamo che, andando a ritirare l’auto non troppo presto, ci sia la possibilità che ce ne venga assegnata una di categoria superiore in quanto terminate quelle della categoria bassa che abbiamo prenotato, già tutte ritirate. Non abbiamo fretta, e non sembra averne nemmeno l’altra gente presente sul bus quando l’autista si ferma accostando al marciapiede e scendendo, si mette tranquillamente in coda ad un bar per prendersi un caffè e qualcosa da mangiare. Io e Faby restiamo basiti. L’autista tranquillo, dopo due o tre minuti, risale sull’autobus e riparte, senza che né lui né nessuno dei passeggeri facesse alcun cenno. Subito penso a cosa accadrebbe in circonvallazione a Milano se un’autista della 90 provasse a fare una cosa del genere. Il nostro autista americano nel frattempo viaggia tranquillo, d’altronde il caffè rischia di rovesciarsi e noi diamo un’altra occhiata alla città, vedendo tra le altre cose, un centinaio di persone in un parco di Chinatown, intente a fare Tai Chi: fantastico! Con la dovuta calma arriviamo giù al porto dove ci aspetta l’ufficio della Avis con cui avevamo prenotato. Abbiamo speso solo 700 € per quasi 3 settimane per una categoria A (la più bassa) con chilometraggio naturalmente illimitato e tutte le assicurazioni del caso, comprese quelle accessorie. La nostra speranza di avere una categoria superiore, sebbene negli altri viaggi si sia concretizzata, in questo caso non si realizza e dobbiamo accontentarsi della più economica del lotto. Come si sa però in America ciò che è piccolo, da noi è considerato quantomeno medio. Effettivamente la nostra Chevrolet Aveo non è paragonabile certo alla Fiat Seicento che in Italia è l’auto prevista per categoria economica, però non possiamo nemmeno troppo navigarci dentro. A postumi bisogna però ammettere che ha decisamente fatto il suo dovere: nel bagagliaio ci sono state tutte le valigie, nonostante gli acquisti effettuati; aveva 4 comode porte; il consumo era piuttosto contenuto; ha superato la Death Valley e sconnesse strade sterrate fra i sassi. Sebbene ancora non eravamo consci delle sue potenzialità, apprezziamo comunque già subito la nostra Aveo per la presenza del lettore cd con MP3. A proposito di ciò dovete sapere che io mi ero preparato 4 cd stracolmi di MP3 con sopra tutte le canzoni che per me significano Stati Uniti, comprese quelle di film e telefilm, e quindi avevo estrema necessità di avere questo tipo di lettore. Nel dubbio mi sono comunque premunito portandomi dall’Italia uno stereo portatile appositamente comprato, che poi si è rivelato inutile. Purtroppo non avendo l’assicurazione da parte di Avis della presenza di questo tipo di lettore, ho dovuto fare questa scelta in quanto la musica deve essere sempre presente nella mia vita; unica eccezione quando dormo.
Unica mancanza della Aveo: il cruise control, quel meraviglioso aggeggio che ti consente di mantenere l’auto sempre alla stessa velocità senza dover schiacciare l’acceleratore. Sarebbe stato utilissimo nei giorni a seguire! Con soddisfazione comunque imbocchiamo le strade di Frisco, pieni di felicità. Gironzolando arriviamo a Lombard Street pronti per fare questa splendida discesa, tipo slalom, in mezzo ai fiori. Siamo davvero contenti. La preoccupazione per la guida a Frisco incomincia ad attanagliarci però quando ci dobbiamo fermare ad uno stop proprio alla fine di una salita, e lì ce ne sono tante! Chi l’ha mai guidata una macchina col cambio automatico? Come si fanno le partenze in salita?!?!?Eppure riusciremo, sia qui che nei giorni a seguire, a trovarci bene.
Dopo Lombard Street non ci manca altro che attraversare il Golden Gate, anche per dare un’occhiata a Sausalito, carina ma niente di che! Facciamo poi inversione a U e rimbocchiamo la 101, questa volta nel verso Sud, verso la costa californiana! Ricordate la canzone dei Mama’s and Papa’s “California Dreaming”, poi tradotta dai Dik Dik? Cielo grigio su, foglie gialle giù? Ma dai è proprio così! Peccato che questa parte della canzone fosse la premessa, il luogo da cui scappare per approdare in California. Eppure questo luogo descritto come triste sembra invece la California! Sapevamo che Frisco era un paradosso, con la sua nebbia ed il freddo, ma già Sausalito effettivamente risultava differente. Invece per tutto il tratto fino a Big Sur e oltre, nient’altro che nebbia e freddo! Sembra la Scozia, ma insomma dove sono i surfisti e le biondine in bikini? Metto su i Beach Boys e mi sembra che siano in realtà un gruppo di visionari sotto l’effetto di stupefacenti, perché qui non c’è niente di tutto questo, eppure è proprio la California, e nemmeno troppo a nord.
Mettiamoci il cuore in pace, cambiamo e mettiamo gli Eagles e godiamoci il panorama che non è quello che ci aspettavamo, ma è comunque una visione che colpisce. È davvero bello, anche se, bisogna ammetterlo, un po’ monotono dopo che per decine e decine di miglia non se ne vede mai la fine.
Spezzano senz’altro la monotonia Monterey e Carmel, in particolare quest’ultima, nei cui pressi si trova la 17 mile drive, una strada di 17 miglia, con pedaggio di 8,5 $, che attraversa campi da golf e ville di milionari, costeggiando talvolta il mare in mezzo ad una natura che sembra davvero selvaggia. Peccato solo per l’intensa “puzza di pesce” causata dalle alghe presenti ovunque, manco fossimo a Riccione. L’ambiente non ha però niente da invidiare a quelli visti nei documentari, in quei documentari in cui si parla di natura incontaminata.
Da Monterey puntiamo verso sud, esaminando, coupon alla mano, i vari paesi presenti e valutando il posto dove fermarci a dormire. Vogliamo andare verso sud il più possibile, ma non vorremmo spendere un sacco di soldi. La scelta è tra tre o quattro città, un paio mai nemmeno sentite nominare. Alla fine l’orologio e la stanchezza decretano che San Louis Obispo può fare al caso nostro. Per la prima sera in motel scegliamo di non recarci in quello di qualche grossa catena in quanto in questa zona sembrano piuttosto cari. Grazie alla cartina presente sul giornale dei coupon ci rechiamo in una zona dove sono concentrati alcuni motel a prezzi accettabili. Speriamo così di non dover girare per ore alla ricerca di un posto dove dormire: ci sono troppe cose belle da vedere in giro per snervarci e perdere del tempo prezioso alla ricerca di un motel! Entro nei vari motel e nessuno accetta il prezzo del coupon, chiedendo tutti circa 10 $ dollari in più. Comincio allora a pensare che i coupon siano una cosa poco utile, sebbene come dicevo, mi ricrederò presto: sono davvero utilissimi. Del resto, già in questo caso, ci avevano, se non altro, dato un’idea dei prezzi applicati nei vari paesi e città, facendoci notare che variano davvero di parecchi dollari anche per paesi distanti solo una decina di miglia.
Optiamo per l’Homestead Motel, nel quale spendiamo solo 44 $. Il prezzo è sicuramente basso ma, in particolare al cospetto di alcuni motel delle grosse catene, il servizio e la qualità sono un po’sotto gli standard. Lo volevamo vicino alla Highway e questo si trova praticamente sopra. Direttamente sulla rampa, una decina di metri prima della corsia di accelerazione, basta svoltare a destra ed ecco il Motel.
Proviamo per la prima volta cosa significa King Size Bed, navigandoci davvero dentro, e facciamo la nostra conoscenza con Jack in the Box. Dovendo scegliere dove mangiare ed essendo presenti in zona, come spesso capita, solo fast food, scegliamo questo. D’altronde da che siamo arrivati, non abbiamo ancora mangiato in un fast food! La scelta si rivela felice e Jack diventerà un fedele compagno di viaggio, sia per le pietanze, sempre a livello fast food ma comunque commestibili e con gusto messicaneggiante, ed in particolare grazie al prezzo ed al mitico free-refill, che ci consente di prendere una sola bevanda in 2 e di riempire il bicchierone da un litro e mezzo prima di andare via, in modo da avere da bere anche per molte ore dopo. Inoltre io, con a disposizione il baracchino delle bibite, mi sbizzarrisco, assaggiando ora questa ora quella e facendo pure miscugli discutibili. Quantomeno questi miscugli sono sempre meno disgustosi della loro tanto decantata root beer. In teoria dovrebbe essere birra con gelato alla vaniglia. In pratica, in particolare essendo free-refill, deve essere analcolica e sembra in realtà un budino alla vaniglia, con troppa vaniglia e andato a male.
Terminato il lauto pasto ritorniamo all’Homeless Motel. Ops scusate il lapsus freudiano, intendevo Homestead Motel.
Homestead Motel:44$ Pranzo da Pescadero sulla costa verso Big Sur: 24.46$ Cena Jack in the Box: 11.65$ Pedaggio Golden Gate: 5$ Pedaggio 17mile: 8.50$
9 AGOSTO 2005 – S.L.OBISPO/REDONDO (Santa Monica, Malibù, Venice, Redondo, l’Oceano) Ripartiamo come sempre di buon ora, niente vita notturna e levatacce, questo è il nostro motto in vacanza, salvo rarissimi casi.
Imbocchiamo subito l’Highway e, passata un’oretta, decidiamo di fermarci a fare colazione, magari in un bel diner americano. Troviamo solo un ristorante, ma fa lo stesso! Sembra siano tutti qui, è pieno di tipiche famiglie americane. Io prendo dei toast con marmellata e qualcos’altro che nemmeno capisco: mi sembra così di aver trovato un buon compromesso tra la mia colazione continentale con brioches e la loro con pancetta e uova. Faby invece vuole fare l’americana, ma non troppo, e quindi decide di prendere dei cereali. Ora, da noi i Corn Flakes sono Corn Flakes e basta. Sì, c’è qualche variazione, ma non più di tanto. Da loro invece ci saranno circa 300 tipi diversi di cereali. Quindi, quando Faby chiede i Corn Flakes, la cameriera parte con un elenco interminabile di varianti sul tema. Visto che Faby si trova spiazzata e non sa cosa rispondere, intervengo io dicendo che non fa niente, uno vale l’altro. Non l’avessi mai fatto! La cameriera mi ha guardato come se fossi uno che prende, che sò, una casa o un auto solo dal nome, senza nemmeno sceglierla e quindi ripete nuovamente l’interminabile elenco. L’idea che in fondo un Corn Flakes o l’altro per noi fosse uguale la scandalizzava oltremodo: manco gli avessi dato fuoco alla bandiera! Scegliamo quindi a caso uno qualsiasi di questi stramaledetti Corn Flakes e aspettiamo l’ordinazione. A parte la disavventura iniziale il servizio è davvero cortese. La colazione non è un granché e l’acqua che accompagna il tutto è a 30 gradi sotto zero e sa di cloro. Per tutta la vacanza, purtroppo, non ci ricorderemo quasi mai di richiedere le bevande NO ICE.
Paghiamo malvolentieri quindi i 12 dollari della dispendiosa colazione e meditiamo sul fatto che non sarebbe male per le altre notti scegliere motel che includano un minimo di colazione, in modo da non spendere per fare colazione quasi un terzo di quello che spendiamo per dormire.
L.A. Si avvicina veloce e dopo alcune miglia arriviamo, grazie alla 101, nella zona di Sunset Boulevard e Mullholland Drive. Usciamo e siamo indecisi su quale strada seguire, sapendo, da quello che ci hanno detto che sono entrambe meritevoli. Alla fine facciamo una gran confusione e ancora oggi non sappiamo sinceramente se abbiamo fatto l’una o l’altra o nessuna delle due. Comunque sia procediamo verso Santa Monica. In realtà approdiamo sulla costa praticamente a metà strada tra Santa Monica e Malibù. Decidiamo, essendo più a nord, di andare prima a Malibù. Fermiamo l’auto ma sinceramente non ci ispira molto: la spiaggia è larga quanto quella ligure e,tra i pochi surfisti e le onde basse, non ci fa assaporare la California ambita. Ritorniamo sui nostri passi e, costeggiando il mare, arriviamo a Santa Monica. Cambiando un paio di volte strada riusciamo ad approdare al centro ma subito ci allontaniamo perché notiamo solo parcheggi a pagamento, e di prezzo anche elevato. Girovaghiamo per un po’ e non riusciamo a trovare un free park. Decidiamo allora di parcheggiare da Mc Donald, dove non dovremo pagare, ma come pegno dovremo mangiare, ma visto l’orario va più che bene. Questo ci consentirà così di dare una veloce occhiata al centro di Santa Monica. Io provo anche a chiedere ad un Holiday Inn, bruttino, che si trova lì in centro quanto costi una notte: 200 dollari! A questo punto decidiamo che Santa Monica non fa decisamente per le nostre tasche, puntiamo allora verso Venice. La strada che ci porta a Venice purtroppo non costeggia il mare. Quello visto tante volte in film e telefilm dobbiamo, ancora una volta,immaginarlo solamente Arrivati notiamo subito la presenza di numerosi canali: paragonarla a Venezia sembra comunque una bestemmia colossale. Anche qui posteggi a pagamento. A pagamento sì, ma pagati da qualcun altro. Da bravo italiano passeggio allegramente di parchimetro in parchimetro alla ricerca di uno con dei soldi già inseriti: non si sa mai che qualcuno abbia messo soldi in eccesso, non sfruttando tutto il tempo. Ne trovo uno che ha la bellezza di 40 minuti tutti per noi! Siamo già nei pressi del molo e con pochi passi scorgiamo, finalmente, la Vera Costa Californiana! Ora sì che ci siamo: 100 metri di sabbia che partono dalle villette costiere, attraverso le palme, con la piccola pista ciclabile e le torrette dei bay watcher con i loro fuoristrada e, laggiù in fondo, l’oceano. Direi che come scenografia ci siamo, peccato per il casting degli attori! Nessuna biondona mozzafiato o muscoloso strafigo con occhiali da sole. Niente onde e, soprattutto, mare sporco, tipo Miramare di Rimini. Facciamo una passeggiata sulla pista ciclabile e, tra le persone che passano e quelle che giocano a frisbee, troviamo solo italiani. Archiviamo quindi a malincuore anche Venice Beach, contenti se non altro di aver almeno trovato il set naturale per il nostro personalissimo “Sognando la California”.
Intravediamo una biblioteca e decidiamo di entrare per vedere se davvero c’è internet gratuito. Scopriamo che è vero, ma dobbiamo attendere il nostro turno, dopodiché avremo solo 15 minuti a disposizione. Dopo un rapido controllo alle mail ed al conto corrente, c’è addirittura il tempo per andare sul sito di Turisti per caso per far provare un po’ di invidia a tutti, scrivendo di essere proprio a Venice. Ne approfitto in particolare per ringraziare Daniele, la mitica Guida per Caso che ci ha davvero fornito importanti informazioni.
Ritorniamo in auto e viaggiando verso la costa di L.A. (anche se in teoria ci siamo già) cominciamo a soffrire il caldo. Sono le 3 di pomeriggio e, era ora, il caldo sole californiano ci allieta. Vabbeh, in spiaggia non c’erano i surfisti o i belloni, ma è abbastanza California da Beach Boys. Le loro note ci accompagnano sulla strada che, piano piano, arriva al LAX, il principale aeroporto di Los Angeles. Guardando l’insostituibile giornale dei coupon, avevamo preso come riferimento proprio il LAX per iniziare a visitare i motel pubblicizzati lì sopra. Da qui siamo abbastanza vicini a Los Angeles da poterci andare in giornata. Nel programmare il viaggio ci siamo tenuti due giorni “di scorta”, liberi, e i Beach Boys ci hanno convinto a spenderne uno per visitare meglio la città e cercare di conoscere più da vicino questo mare.
Vediamo un paio di hotel che già da fuori non ci convincono e così approdiamo al Redondo Pier Inn, direttamente sulla strada principale, ma abbastanza vicino all’oceano. Da fuori ci ispira e il prezzo è allineato agli altri. Misuriamo anche con l’auto la distanza dal mare: circa 400 metri. Entro a chiedere il prezzo e ancora una volta non è quello del coupon. Anziché 85$ ne costa 100. Vista la camera, bella e pulita, e la zona, molto carina, decidiamo ugualmente di dormirci 2 notti: quella già preventivata e quella in più, in modo da goderci un po’ il mare. Lasciati i bagagli, decidiamo di andare a vedere se si può fare un bagnetto. Dopo esserci cambiati arriviamo al mare che sono ormai le 5 passate. In mare nessuno si azzarda ad entrare e la gente, poca, sta tutta in spiaggia ben coperta. Altro che topless, qui hanno tutti la maglia e magari pure un maglioncino. Qualcuno che fa il bagno c’è, ma ha la muta! Mi sembra impossibile. Talmente impossibile che io sono vestito nel seguente modo: occhiali da sole, maglia rossa con scritto California 05 (comprata specificatamente per questa occasione), pantaloni da mare fiorati rossi, infradito O’Neill fiorate blu. Sebbene il mio fisico è conscio delle condizioni avverse (sto morendo di freddo), la mia mente non è disposta ad accettare: mi avvicino quindi stoicamente al mare, pieno di alghe. Tocco l’acqua e ancora una volta la mente ha il sopravvento. Nonostante l’acqua non credo superi i 20 gradi (e vi assicuro sono pochi) entro e mi bagno fino quasi al ventre. A questo punto il mio fisico prende l’iniziativa e dà un calcio nel sedere alla mente. Rinsavisco e decido di uscire. Nella mia testa però non accetto la sconfitta e mi riprometto di riprovarci il giorno dopo. Tornati in motel ci rendiamo conto che sarà una delle poche volte che avremo occasione di dormire per due notti nelle stesso posto e approfittiamo per lavare a mano qualche indumento, stendendo sulle sedie sul terrazzino.
Ci concediamo allora una bella doccia calda e ci cambiamo per andare a mangiare finalmente il pesce, sulla costa californiana. Chiediamo in motel dove potremmo andare senza essere spennati e l’addetta alla portineria fa una faccia brutta, come a dire che è impossibile. Passeggiamo difatti parecchio sul molo, gustandoci l’eccezionale tramonto, senza trovare un posto che sia economico. Alla fine entriamo in un ristorante, il Pier Seafood proprio sul molo, gestito da cinesi e nel quale siamo gli unici caucasici presenti. Decidiamo per delle zuppe e del granchio, che devo rompere con un martello, divertendomi e schizzandomi molto. Anche qui i prezzi non sono dei migliori e paghiamo un conto salato, come del resto capita sempre nei ristoranti negli Usa, specie di sera.
Usciamo nuovamente, pensando di goderci un’altra passeggiata romantica sulla spiaggia. Se già prima faceva freddo, ora non ci saranno più di 20 gradi, con vento freddo. Tenendo conto che io sono in pinocchietti leggeri con magliettina, giubbottino antivento e infradito, non riusciamo a resistere molto e quindi torniamo al motel. Tra l’altro la zona, ora che è calata la sera, non sembra più così tranquilla come oggi pomeriggio. A pochi passi dal motel c’è difatti una macchina della polizia ferma e vuota, con i lampeggianti accesi, posta al dì fuori di una zona abbandonata. Tra la temperatura e la zona, per carità comunque non pericolosa, la nostra camera, chiusa a chiave, ci piace ancora di più. Redondo Pier Inn hotel: 99,68$ Colazione: 12$ Pranzo Mc Donald’s: 10.80$ Cena a Redondo Beach al Pier Seafood: 43,.02$
10 AGOSTO 2005 –REDONDO (Hollywood, Beverly Hills, l’Oceano 2, la vendetta) Mi alzo già meditando vendetta sull’oceano che ha tradito anni di aspettative. Facciamo colazione, per la prima volta, con i Donuts, che scopro piacermi molto. Uscendo dalla stanza incrociamo la donna delle pulizie e così ci tocca pure allungare un dollaro a malincuore. Saliamo in auto e ci dirigiamo verso L.A. Passiamo dal quartiere di Compton, ripreso in molti film, famoso più che altro per essere stato il quartiere da cui negli anni 60 partì la rivolta razziale dei colored, anche se ho scoperto che negli Usa si dice tranquillamente la parola negro e non è presa come un’offesa. D’altronde secondo me non sono le parole che contano, ma il modo in cui le si dice ed intende, ma questo è un altro discorso.
Da Redondo avevamo notato sulla cartina che c’è una strada che parte dalla statale 1 e va ad intersecare la 110, che ci porta a Hollywood e Beverly Hills. A giudicare dalla cartina, Los Angeles deve essere davvero enorme. Scopriremo che l’impressione è davvero giusta. Entriamo sulla 110, a 4 corsie, che dopo poche miglia si interseca con la 105. Il traffico aumenta e di pari passo le corsie. Ad un certo punto, tra viadotti e svincoli che ci sovrastano, arriviamo a contarne 10. Subito tiro fuori dal “cilindro” il cd appositamente destinato a L.A. E scatta inesorabile la sigla dei Chips. Sono esaltatissimo quando un vero chips ci sorpassa. È incredibile, ma ci siamo, qui davvero è come nei film, a differenza dell’oceano. Ci sono 10 corsie ma sono tutte occupate. Tutte, tranne le mitiche due corsie del car pool. Ogni highway o freeway ha una o due di queste corsie riservate a chi viaggia con almeno un passeggero, ossia a tutte le auto in cui ci siano due o più persone. E sono libere, perché la stragrande maggioranza viaggia da soli, e nessuno sgarra!! Forse per questo dovremmo prendere esempio dagli americani!Potrebbero tranquillamente varcare la semplice linea stradale, e, invece, stanno educatamente in coda. Noi possiamo così sfrecciare, moderatamente, di fianco senza perdere del prezioso tempo.
Finalmente si apre davanti a noi lo skyline di Los Angeles. Ci avviciniamo ad Hollywood e ci sentiamo davvero in America.
Le uscite si susseguono una dopo l’altra e portano i nomi mille volte sentiti risuonare (Santa Monica, Sunset Boulevard, Hollywood) e le autostrade continuano ad intersecarsi. Niente a che fare con le nostre misere tangenziali milanesi, ma se non altro, ci hanno un minimo allenato e quindi trovare the right way non è un problema. In men che non si dica, grazie anche al car pool, ci troviamo sulla Hollywood Boulevard. Incrociamo un paio di vie e poi, eccola lì, sulle montagne, la mitica scritta! Siamo a Hollywood!! Troviamo anche le tanto nominate stelle della Walk of Fame. Scendiamo dall’auto, ne guardiamo un paio e poi via veloci verso il Kodak Theatre. La sosta viene resa veloce anche dal fatto che in giro si vedono facce poco rassicuranti.
Grazie alla partenza mattutina, come sempre piuttosto presto, riusciamo ad approdare al Kodak in tempo per trovare posteggio proprio nel parcheggio di fianco al teatro. Il costo è di 14 € all’ora, ma vista la posizione ne vale la pena. D’altronde ci sarà sufficiente meno di mezz’ora per dare un’occhiata alle impronte e comprare qualche souvenir. Immancabili le foto con le impronte dei nostri attori preferiti, tra l’altro io scopro di avere le mani come Jack Nicholson (ricordate la sua manina che spunta dalla porta in Shining?) e John Travolta (anche se sarebbe stato meglio avere la faccia o i piedi come lui!). Faby trova invece corrispondenza tra le sue mani e quelle di Marylin Monroe, lasciamo perdere ogni commento.
Passeggiamo un po’ compiendo anche noi la nostra Walk of Fame, in modo da raggiungere un negozio di souvenir e comprare un paio di oscar da regalare ai rispettivi papà. A pochi metri troviamo anche un set cinematografico dove si sta girando qualcosa. D’altronde siamo a Hollywood, un set non poteva mancare!! Il quartiere, sebbene sia mattina, non sembra granché sicuro. D’altronde in ogni luogo dove ci sono tanti turisti spesso ci sono anche malintenzionati.
Riprendiamo l’auto desiderosi a questo punto di vedere un altro luogo simbolo di L.A., tra l’altro ripreso in molti film, ossia Beverly Hills! Per raggiungerlo passiamo anche da Bel Air e da UCLA. Proviamo a dare un’occhiata ma in università non si può entrare e a Bel Air riusciamo ad intravedere solamente le case che non hanno recinzioni particolarmente alte e che quindi sono di minor pregio. Beh, certo che se queste sono quelle brutte, chissà quelle belle! Poi, dalle case di pregio, passiamo ai negozi di pregio, sulla Rodeo Drive. Un minimo spirito di orgoglio nazionale ci coglie ad apprezzare la presenza di tante firme italiane! Ormai è ora di mangiare, e quindi dobbiamo allontanarci da qui, se non vogliamo lasciargli l’auto quale pagamento.
Girovaghiamo parecchio e alla fine ci accontentiamo, anche se in fondo non ci dispiace troppo, di un Jack in The Box. Proprio di fronte all’ingresso vediamo un tabellone pubblicitario posato dall’Associazione contro il cancro su cui figura un numero che cresce, in progressione davvero rapida, indicante il numero di persone morte quest’anno a causa dei tumori dovuti al fumo. Giusto il tempo di mangiare, e per giunta in un fast food, e quel numero si è incrementato di 27 persone!!! Risaliamo in auto accendendo la necessaria aria condizionata e scrutiamo la piantina. Riusciamo a capire che, a parte Disneyland e gli Universal, abbiamo visto tutto ciò che volevamo. Ragioniamo allora sull’opportunità di incominciare a cercare l’hotel per la notte successiva, trovandone uno che sia a metà strada tra Disneyland e gli Universal. Il nostro giornalino dei coupon ci viene sempre in aiuto. Cominciamo quindi un lungo peregrinaggio tra le uscite autostradali, scoprendo, ancora una volta, che il prezzo non è sempre quello segnalato sul coupon e quali zone sarebbe meglio evitare. Tra l’altro, in alcune zone, l’addetto alla reception dell’hotel mi parla da una postazione protetta da una grata ed uno spesso vetro, probabilmente antiproiettile. Mi sento molto su Real Tv e quindi meglio cambiare zona. Alla fine approdiamo nella zona di Anaheim, che è praticamente a due passi da Disneyland, ma in fondo non lontanissimo da Universal, e soprattutto la troviamo carina, servita e sicura. Prendiamo una camera all’Econolodge a 68 dollari, è di 40 dollari inferiore a quello pagato a Redondo. Il Motel si trova ad un paio di blocchi dalla Knott Berry farm, un altro parco di divertimenti, simile a Gardaland. Notiamo di questo parco, in particolare, una montagna russa che non ci sembra possibile funzioni, viste le pendenze. Aspettiamo qualche secondo ed ecco il trenino passare. Un brivido ci percorre la schiena e ci ripromettiamo di tornare qui, se avremo il tempo.
Ormai sono quasi le quattro e stiamo patendo il caldo da parecchie ore. Decidiamo quindi di andare a fare un tuffo refrigerante nell’Oceano. Sulla strada del ritorno, fra le autostrade, fa caldo persino con l’aria condizionata accesa. D’altronde si parlava tanto del caldo sole californiano e finalmente eccolo! Ci aspetta però la spiaggia e quindi sopportiamo anche con una certa felicità, certi di rifarci sull’Oceano che ci aveva fatto patire il freddo il giorno prima.
Arriviamo in hotel e, dopo aver indossato lo stesso abbigliamento di ieri, alla velocità della luce, corriamo verso la spiaggia. Già in hotel abbiamo però notato una temperatura nettamente più bassa rispetto a L.A. Una volta arrivati in spiaggia ci rendiamo conto che qui ci saranno almeno 10 gradi in meno, o almeno sono quelli che si percepiscono! Sarà il vento, sarà quel che volete ma in questo momento, non pensando ad altro che al mare, rimpiango Riccione! Poi ripenso però alle cose viste oggi e in fondo mi rendo conto che va comunque più che bene così. Non mi venite però più a parlare di Oceano e di creme solari californiane, perché potrei diventare violento. Rientriamo in hotel e facciamo una doccia, calda, per poi riprendere l’auto e andare a fare qualche compera in un supermercato. Questa sera abbiamo deciso di mangiare in hotel e io ho inoltre voglia di fare un po’ di vita da indigeno, non da turista. Ci fermiamo prima in una biblioteca, in modo da sfruttare i 15 minuti di internet gratuiti.
Entriamo poi al supermercato Ralphs, che da fuori ci ispirava, più di altri. Ed in effetti è davvero bello, forse un po’ costoso, ma ci da la possibilità di comporci delle belle insalatine, finalmente un po’ di verdura!! Ne componiamo così una e ci rendiamo conto che sarà la prima volta che mangeremo in modo decisamente sano da che siamo qui. Ci fermiamo in un altro supermercato per comprare altre cose che ci servivano per poi approdare in camera per la cena. Accendiamo la tv e troviamo uno show che impareremo ad amare. Si chiama “So you think you can dance?”: è una sorta di Amici di Maria americano. La differenza risiede nel fatto che il peggiore di questi concorrenti potrebbe dare lezione al migliore insegnante di Amici! Passiamo quindi una bella serata con la nostra sana e gustosissima insalata ed uno splendido show. Al termine dello show per di più c’è spazio anche per dare un’occhiata alla Playboy tv e sognare di essere Hugh Hefner, il patron di Playboy, che vive in una villa eccezionale attorniato dalle Playmate. Direi che è stata anche questa un’intensa giornata americana.
Redondo Pier Inn hotel: 99,68$ Pranzo da Jack in the Box a Beverly Hills: 9.90$ Cena comprata da Ralph: 19.48$
11 AGOSTO 2005 DISNEYLAND.
Lasciamo il nostro bello, ma caro, hotel sulla costa californiana diretti al mitico parco di Walt Disney. Riguardo Disneyland c’è da fare una premessa. Nel preparare il viaggio ci siamo bloccati per parecchio su Disneyland per capire come funzionasse. Vale quindi la pena di fare una sorta di punto della situazione: Disneyland in realtà si definisce Disneyland Resort ed è composto da 4 zone: la zona degli hotel (che sarebbe il vero e proprio resort), Disneyland Downtown (dove si trovano locali notturni e negozi), Disneyland California Adventure (un parco divertimenti tipo Gardaland ma con i personaggli di Walt Disney c’entra poco) e Disneyland theme park (che sarebbe il vero Disneyland, per come lo immaginate, con i personaggio Disney e anche qualche giostra). Gli ultimi due sono affiancati. Varrebbe probabilmente la pena di visitarli entrambi ma sicuramente in una giornata non è fattibile. I costi di Dineyland sono proibitivi. Mentre per gli Studios abbiamo trovato sconti e riduzioni, per Disneyland non esiste niente di tutto questo e prezzi e orari di ingresso sono studiati per guadagnare il massimo. Facciamo un esempio: se fate Disneyland Theme Park vi costa 56 dollari. Se ci volete aggiungere California Adventure (che altrimenti da solo ne costerebbe una cinquantina), nella stessa giornata, vi costa solo 70 dollari, ma non riuscirete mai e poi mai a visitarli entrambi, a meno che non ne visitiate metà di uno e metà dell’altro. Per quanto riguarda Theme Park l’ingresso apre alle 8 di mattina e chiude a mezzanotte.
Oltre a questa premessa esistono altre due particolarità rilevanti di Disneyland. La prima è che se avete i soldi non fate la fila. Davvero. Se pagate di più (tipo il doppio se non ricordo male) avete diritto a non fare mai la coda e ad avere i posti riservati, davanti, agli spettacoli. Certo ‘sti americani, sono proprio legati al Dio denaro! C’è però da dire che sono anche piuttosto bravi nell’entertaiment, e veniamo alla seconda particolarità: in Italia abbiamo il Telepass, qui c’è il Fastpass. Insomma un modo per evitare la coda. Ma in questo caso niente lotte di classe legate al prezzo del biglietto, ma un metodo democratico e intelligente. Funziona così: le giostre che solitamente hanno più fila (che facilmente arriva a 2 ore) hanno delle emettitrici di biglietti FastPass vicino all’ingresso. Recandosi a questo chiosco si può vedere per quella giostra a che ora potrò tornare senza dover fare la coda. E il trucco? Il trucco sta nel fatto che se io richiedo il FastPass alla giostra di Indiana Jones, per esempio, che varrà alle 17, fino a quell’ora non potrò richiedere altri FastPass. Esiste anche un modo per annullarlo, ma bisogna far trascorrere 2 ore dalla richiesta precedente. Quindi pensate bene su quale giostra volete giocare questo Jolly, meditando anche sul fatto che quelle più belle (Space Mountain e Indiana Jones, dicono) sono anche quelle che vedono le richieste per prime e quindi in tarda mattinata già esauriscono questo diritto o comunque ve lo danno per la serata sul tardi. Noi abbiamo difatti utilizzato questo diritto in modo errato sfruttandolo molto all’inizio. Ci siamo trovati così a non poterlo utilizzare su quelle più belle in quanto o erano finiti i FastPass per quella giornata oppure emettevano biglietti per la tardissima serata.
Poste queste basi, possiamo riprendere il racconto degli eventi.
Siamo approdati al parcheggio sulle note di Mary Poppins e la Bella e la Bestia, che avevo preparato su Mp3 appositamente per questo momento. Una volta parcheggiata l’auto siamo passati dalle note irradiate dalla nostra auto a quelle irradiate dagli altoparlanti Disney, ma il tema musicale non è chiaramente cambiato. Felici e contenti come due scolaretti ci siamo avviati quindi trotterellando verso l’ingresso, in modo da subire il salasso previsto per l’ingresso.
Gli americani, nella loro abilità nell’entertainment, vi forniscono all’ingresso del parcheggio di una card su cui sono stampati i nomi delle varie zone, naturalmente a tema Disney, nonché fila e numero, in modo che possiate barrare con una penna il vostro posto auto in modo da ritrovare l’auto all’uscita. Procedura quest’ultima che si renderebbe impossibile per chiunque senza questo fondamentale aiuto. Ovviamente la card dovete portarvela dietro, perché se lasciata in auto la sua utilità viene azzerata..
Una volta entrati nel parco imbocchiamo la mitica Main Street ed in poco approdiamo all’ingresso di Fantasyland. Meditando sulla cartina abbiamo infatti presto deciso che a noi, più che le giostre, ci stava a cuore visitare la vera Disneyland, con i suoi Paperino, Minnie e l’odioso Topolino.
Il castello me lo aspettavo più grande, ma varcata la soglia siamo proiettati nel mondo fatato ideato da quel genio di Walt Disney. Ci spariamo tutte le giostrine a tema. Le code scorrono veloci in quanto ci sentiamo davvero al settimo cielo. Tra l’altro, nelle code notiamo spesso di essere fra i pochi adulti senza bambini. Mentre aspettiamo per visitare la casa di Minnie, ci accorgiamo di essere proprio gli unici senza bambini al seguito. Ci sorge un dubbio che di lì a poco si svela veritiero: la giostra in realtà non è una giostra ma serve per poter fare la foto con Minnie, all’interno di casa sua. Noi gentilmente glissiamo, non senza aver fatto arrabbiare Minnie, che non capisce perché non vogliamo fare la foto con lei. A proposito di foto capita spesso in giro per Disney di vedere le maschere di personaggi minori (tipo Pluto) circolare, salvo poi fermarsi a fare le foto coi bambini. Quando succede che qualcuno li fermi, nel giro di 30 secondi si forma una ordinata fila di persone che si pone in attesa. In merito a questo invidiabile senso dell’educazione degli americani, c’è da dire che anche nelle code relativa al FastPass l’imbroglio sarebbe facile. Il biglietto che viene emesso, una volta giunta l’ora, va timbrato all’inizio della coda e poi più nessun controllo. Il percorso per arrivare alla giostra è affiancato alla coda “normale” separato semplicemente da una cordicella. Volendo, passare dall’altra parte sarebbe facile. In fondo perché fare due ore di coda quando si potrebbe salire subito?!? Gli americani invece non lo fanno:che educazione!! Peccato non siano così educati a livello politico, ma questo è un altro discorso.
Pranziamo nella zona di Fantasyland, mangiando una pizza oscena e subendo un altro salasso, ma nulla ci scuote dall’enfasi.
Valutiamo anche la possibilità di acquistare dei cappellini “orecchiuti” come souvenir ma non siamo disposti all’ennesimo salasso. Decidiamo allora di indossarli all’interno del negozio, fare qualche foto per poi riposarli prima di uscire. In fondo, a Milano non li avremmo mai indossati! Va bene tutto ma…
Visitiamo le varie aree del parco, che è davvero grande. Quando finalmente approdiamo alle zone dove ci sono le giostre che dicono essere le più belle, ma anche quelle che c’entrano meno con Walt Disney, ci rendiamo conto di aver usato male il Fastpass e quindi, se vogliamo farle o facciamo due ore di coda o prenotiamo il Fastpass che indica orari tardissimi (tipo le 23). Cominciamo però ad accusare la stanchezza e quindi meditiamo sull’opportunità di alzare i tacchi ma con il rammarico di non aver visitato le giostre più spericolate e famose. Dirigendoci verso l’uscita veniamo, però, ad un certo punto avvicinati da una signora, ispano-americana, che ci chiede se vogliamo il suo FastPass per la giostra di Indiana Jones. Ci dice che a lei non serve più perché sta andando via. Scopriamo che varrà tra solo mezz’ora. Possibile che non potesse stare un’altra mezz’ora? Forse ci leggeva in faccia il nostro rammarico. Fatto sta che siamo esaltatissimi. Proviamo addirittura ad entrare qualche minuto prima ma l’addetto ci fa notare che non è ancora ora. Ad un minuto dall’orario previsto ci riprovo ma lui mi fa notare che manca un minuto: e che gli vuoi dire?!? Poi il minuto passa e finalmente entriamo. Ci divertiamo molto. Con Disneyland in fondo non c’entra proprio niente, ma è veramente bella.
Usciti da lì decidiamo che potremmo anche andare ma scegliamo di aspettare la passerella, che si terrà tra un’oretta circa, alle 7 p.M.. Nell’attesa entriamo all’Enchanted Tiki Room: una giostra dove una serie di pappagalli finti canta. Una roba oscena. Sarà anche causato dalla nostra stanchezza, ma rischiamo davvero di addormentarci. Ci avviamo verso l’uscita in modo da posizionarci vicino alla stessa per vedere bene la sfilata. La partenza sarà proprio da qui. Arriviamo nella piazza della city hall, dove abbiamo deciso di sostare, in tempo per vedere la cerimonia dell’ammaina bandiera, con tanto di banda, militari e gente ferma in piedi con la mano sul cuore a cantare l’inno americano.
Proviamo a posizionarci su delle belle panchine in posizione ottimale ma scopriamo che sono riservate ai ricconi che hanno acquistato il biglietto a prezzo maggiorato.
Poco male, riusciamo comunque a goderci la sfilata, che troviamo davvero bella.
Usciamo stravolti dal parco e ci dirigiamo verso la macchina per andare al vicino hotel prenotato il giorno prima.
Avevamo sentito parlare bene degli Econolodge nei racconti ed effettivamente questo è bello, pulito ed in ottima posizione. Decidiamo, per la cena, di sfruttare un’altra dritta tratta dai racconti e ci rechiamo al Korean BBQ che abbiamo notato lì vicino. Nella zona la scelta di ristoranti è ampia. Forse sarebbe meglio se avessimo operato un’altra scelta ma in fondo non mangiamo malissimo, peccato più che altro per il prezzo piuttosto alto.
Anche questa giornata, con le sue emozioni forti, fa si che non ci voglia molto per addormentarsi appena appoggiata la testa sul cuscino.
Econolodge Motel ad Anaheim: 68.94$ Parcheggio Disneyland: 10$ 2 ingressi a Disneyland: 112$ Pranzo a Disneyland: 15.70$ 2 Gelati a Disneyland: 5$ Cena al Korean BBQ: 35$
12 AGOSTO 2005 – UNIVERSAL STUDIOS Come molti ragazzi della mia età, sono cresciuto a pane e telefilm americani. Se la prima cosa che ho fatto imbattendomi nelle autostrade americane è stato mettere su la colonna sonora dei Chips e cercarne uno vero: figuratevi la mia emozione nell’entrare all’interno degli Universal Studios che hanno visto nascere tanti telefilms e films! Vista la stancata del giorno precedente e quella in previsione per oggi preferiamo non arrivare tanto presto, evitando così anche la coda dei mattinieri.
Approdiamo al parcheggio e passeggiamo quindi per la zona di Universal Citywalk, una sorta di zona commerciale con negozi e locali che troviamo molto bella già al mattino e che ci piacerà ancor più la sera con le luci. Arrivati al botteghino tiro fuori le riduzioni. Noto però che per sfruttare quelle maggiori che avevo trovato, da 8 dollari, dovremmo essere in sei. Nella coda dietro di noi vedo una famigliola di quattro persone e quindi propongo loro le riduzioni, fiducioso di una loro collaborazione per assicurare alla cassiera che siamo tutti insieme. Questa “italianata” si rileva poi inutile in quanto ci vengono scontati gli otto dollari senza nessuna spiegazione. Già qui comincio ad apprezzare ancor più gli Studios a scapito di Disneyland.
Prendiamo la cartina e, come consigliato da tutti, ci dirigiamo subito verso il pulmino organizzato, che farà fare il giro dei set. In giro per gli Studios troviamo numerosi pannelli che segnalano la durata delle code alla varie attrazioni. Purtroppo qui non ci sono Fastpass,ma i 40 minuti di coda del pulmino scorrono, almeno per me, veloci, in quanto tra le corsie si trovano dei pannelli illustrativi con tutti i film e telefilm girati lì e naturalmente relative foto. Questo fà si che mi carichi ancor più.
Il giro sul pulmino è ECCEZIONALE! Passiamo da Cabot Cove al Bates Motel, dalla Guerra dei Mondi a Jurassic Park. Insomma una abbuffata di luoghi rievocativi, animati in maniera eccelsa dagli effetti speciali, aiutati dalle spiegazioni fornite dalla guida.
A questo punto io potrei anche tornare in Hotel. Già questo giro ha soddisfatto appieno la mia fame di film. Eppure è solo l’inizio. L’inizio di una splendida avventura tra le fiamme di Fuoco Assassino, o la saliva di Shrek 4D, o l’acqua di Jurassic Park, o la paura di Van Helsing o la stupefacente esperienza di Waterworld. Gli americani hanno la passione di chiamare qualunque cosa “the… experience”. Beh, devo dire che qui ne hanno ben donde, in quanto ricordo ancora oggi, a distanza di un anno, ogni experience, in modo davvero vivo.
Inoltre, in giro troviamo sia l’auto dei Blues Brothers che le auto di Fast & Furios.
Non ci sono parole per descrivere le emozioni provate in questa giornata. E’ assolutamente un’esperienza tutta da provare! E’ da provare ogni cosa ma, giusto per intenderci, ecco un breve sommario di cosa avviene nelle experience succitate: · FUOCO ASSASSINO: una passeggiata in mezzo a bidoni che si infiammano, scale e passerelle che crollano, serbatoi che esplodono (che caldo e che coinvolgimento!) · SHREK 4D: un cinema 3D con l’aggiunta di effetti fisici quali, ad esempio, degli spruzzini fissati sul sedile davanti che spruzzano quando Shrek starnutisce (che risate!) · JURASSIK PARK: la spiegazione di molti trucchi cinematografici (istruttivo) · VAN HELSING: tipo la casa degli orrori ma camminando a piedi, con attori veri. Ok, c’è anche in Italia ma qui vi assicuro che si viaggia solo in gruppo, presi da paura pura (che paura!) · WATERWORLD: il film faceva pena ma qui invece, tra sparatorie, esplosioni, aerei quasi veri che atterrano sull’acqua e simpatici “clown” che vi lavano completamente si provano emozioni vere (davvero emozionante!) E infine qualche consiglio: mangiare e bere all’interno non è poi così costoso. Noi abbiamo mangiato al service di fianco a Jurassic Park, provando tra l’altro la mitica gelatina: una roba nauseabonda anche per me che adoro le cose ultradolci.
Non fatevi inoltre scappare i souvenir presenti nei negozi, davvero belli e a prezzi abbordabili.
Un altro consiglio è quello di sedervi lontano, molto lontano dal bordo della vasca di Waterworld. Perché? Voi provate a mettervi davanti, poi ne riparliamo.
E infine, se avete figli, vi conviene proibirgli la zona di Blast Zone, dove c’è Sponge Bob, a meno non vogliate passare la giornata a strizzare dall’acqua i loro vestiti, oppure mettetegli un costume.
Una giornata da ricordare, indubbiamente si, anche questa.
Però è tutto finto…Qualcuno potrebbe obiettare.
E allora sappiate che abbiamo visto anche una cosa vera. Ripresa l’auto, ci siamo recati alla vicina Hollywood per cercare la casa di Happy Days, che si trova in Cahuenga Boulevard al 565. E questa sì che è vera, talmente vera che ora ci abitano dei cinesi e i vicini di casa, da noi interrogati, manco sanno della passata esistenza di questo set. Effettivamente anche noi ad un certo punto incominciamo a dubitare,d’altronde l’informazione l’abbiamo desunta da un racconto senza ulteriori conferme. Raggiunto il civico però ci rendiamo conto che se proprio non è lei, lo sembra davvero tanto! Quindi chi sono io per dubitare, e perché i miei amici dovrebbero dubitare della mia parola. E allora…Click…Foto, e potremo vantarci di aver davvero visto la casa di Ricky e della mitica Sig.Ra Cunningham.
Nel ritorno verso il motel, proviamo a fermarci in uno dei molti outlet che abbiamo notato vicino all’autostrada ma alle 7 p.M. Chiudono e non ce n’è più per nessuno. Usciti dalla Highway decidiamo di ascoltare un altro consiglio desunto dai racconti riguardo i ristoranti. Entriamo da Denny’s sperando di non fare la stessa fine del giorno prima. Scopriamo invece un altro felice alleato della nostra mitica vacanza negli States: prezzi buoni, cibo ottimo, locali carini. Ne approfittiamo anche per aggiornare i nostri giornali di coupon, in quanto per domani sono previsti molti km e cambieremo addirittura stato: si va verso l’Arizona. Chiudiamo la giornata con un altro consiglio da parte mia: se anche voi avete una moglie freddolosa e non volete sentirla per tutta la cena lamentarsi dell’aria condizionata troppo alta da Denny’s, ricordatevi di farle prendere un giubbino.
Econolodge Motel ad Anaheim: 68,94$ Parcheggio Universal Studios: 10$ 2 ingressi agli Universal Studios: 90$ Pranzo agli Universal Studios: 21.17$ Cena da Denny’s: 28$
13 AGOSTO 2005 – U.S. 66 da l.A. A FLAGSTAFF (Calico, la mitica US 66) Lasciamo soddisfatti, anche dalla colazione a base di Donuts, il nostro Econolodge.
Ripresa la nostra macchina, puntiamo diritti verso l’Arizona, direzione Las Vegas, per poi girare, all’altezza di Barstow, verso la route 66.
Anche oggi, come quasi sempre durante questa vacanza, non sappiamo dove ci fermeremo. Abbiamo solo l’idea di cosa vedere, e una gran voglia di macinare km. Il primo stop alla traversata, lo facciamo all’altezza di Barstow, per approdare a Calico Ghost town www.Calicotown.Com.
Se gli Studios sono solo finzione, Calico non fa eccezione. E’ la ricostruzione di una città fantasma della corsa all’oro nell’epoca dei cowboy. Non è poi così male, ma nemmeno un granchè. Vedendo le foto tutti i nostri amici hanno detto “che bella”, mentre noi ricordavamo solo il caldo. Era quasi mezzogiorno ed in mezzo al deserto al 13 di Agosto vi assicuro che, a differenza che da Denny’s, il giubbino proprio non ci voleva.
Ritornati in auto, per la mia felicità in quanto stavo male dal caldo, ripartiamo per fermarci solamente a pranzo dal nostro neoamico Denny’s, e arrivare quindi a Kingman, da cui si snoda uno dei tratti più belli e famosi della mitica route 66. A Kingman non possiamo farci mancare, come recita la guida, il museo della Route 66. In realtà era meglio se ce lo facevamo mancare. A meno che non siate dei veri appassionati, credo non vi interessi. Inoltre, la diciamo avveduta, per non dire tirchia, Fabiana, mi costringe a visitare l’altro museo compreso nel prezzo, una specie di museo di storia americana, o qualcosa del genere. All’ingresso un’arzilla vecchietta volontaria ci informa che solo due ore dopo il museo chiuderà. In realtà ci bastano due minuti per ripresentarci davanti a lei. Per giustificare questa veloce visita, imposta dalla noia che ci ispirava il museo, penso bene di raccontare che abbiamo avuto una telefonata imprevista e inoltre non ci eravamo accorti di quanto fosse tardi. Sulla via dell’uscita, nel vedere tutte le foto dei presidenti americani, mi lascio sfuggire un gestaccio all’indirizzo di Bush. Faby non se ne accorge nemmeno, a differenza della telecamera che registra il tutto. Risultato: per decine di miglia successive continuo ad osservare lo specchietto, preoccupato di vedere apparire un auto della polizia, cercando di dissimulare con Fabiana questa preoccupazione. Lei mi chiede anche, vedendomi strano, se voglio che guidi lei. Io però, che sono un’”ottimista”, in mente mi ero già “fatto un film”: la vecchietta che, insospettita dalla nostra veloce visita, ha pensato avessimo combinato qualche marachella. Dopo aver controllato il filmato, ha scoperto il mio misfatto e chiamato la polizia, in quanto credo che i misfatti del genere negli Usa siano molto pericolosi.
Per fortuna dopo qualche decina di miglia percorse con una guida da me compiuta piuttosto speditamente e senza fermarmi mai, arriviamo a Seligman, fine del tratto dove la 66 corre sola soletta prima di essere riassorbita dalla Interstate 40. A Seligman ci fermiamo a fare acquisti al Gift shop di Angel Delgadillo. Il locale è veramente sui generis e le auto fuori rispecchiano in pieno l’atmosfera tipica che si pensa di trovare su una strada così mitica. Se andrete troverete anche il mio biglietto da visita appeso insieme a quelle di centinaia di altri viaggiatori passati da quelle parti.
Al gift shop incrociamo anche una squadra di viaggiatori francesi con delle Harley. Pensiamo le abbiano affittate per una giornata per poter scorrazzare liberamente sulla Route 66, persino senza casco in quanto in Arizona è permesso. Mi rammarico di non averci pensato prima anch’io e consiglio caldamente l’opportunità di fare, almeno una volta nella vita, l’Easy Rider.
La giornata presenta ancora qualche ora e decidiamo allora di non fermarci ancora per la notte, nonostante a vedere la guida dei coupon Seligman sembri molto più abbordabile di Flagstaff, dove invece decidiamo di fermarci.
A Flagstaff proviamo a fermarci nuovamente in un Econolodge ma, nonostante siano solo le 5 p.M., non c’è più posto. Cominciamo quindi una ricerca, che si rivelerà estenuante, battendo tutta Flagstaff. Alla fine optiamo per il Motel 6, pagando comunque un prezzo sopra la media (70 dollari) ma comunque accettabile. Decidiamo, per abbattere i costi giornalieri, di tornare da un altro vecchio amico, più economico di Denny’s: Jack in the box. Questa volta scegliamo di non prendere due menù ma un menù e qualche pietanza separate, risparmiando qualcosa visto che tanto il bere è free refill.
Visto il caldo patito oggi e quello che ci prepariamo ad affrontare, ci rechiamo nel supermercato Walmart di fronte al Motel per comprare dell’acqua nei mitici bidoni da cinque litri che in Italia usiamo per l’acqua distillata. Compriamo anche una borsa termica semi rigida, a misura di bidoncino appena acquistato, la tanto decantata cooler, che si rivelerà assolutamente fondamentale.
Grazie a questo acquisto avremo sempre acqua e bibite fresche grazie al ghiaccio comprato ai distributori di benzina o, meglio, gentilmente offerto dai motel dove pernottiamo. Noi useremo spesso questi distributori, ignorando il cartello presente in molti motel che chiede gentilmente di non prendere il ghiaccio per poi usarlo con le borse termiche.
La cittadina sembra molto carina, ma andiamo a dormire piuttosto stanchi e provati dal caldo, avvolti in una bella stanza e nel silenzio. Questo sarebbe mancato sicuramente se avessimo trovato posto in uno dei molti motel presenti nei pressi dei binari ove passano per tutta la notte treni merci che hanno inoltre la simpatica peculiarità di suonare copiosamente: che simpatici questi macchinisti americani! Motel 6 a Flagstaff: 72,67$ 2 ingressi a Calico Ghost Town: 12$ Pranzo da Denny’s a Needles: 22$ 2 ingressi al museo R66 a Kingman: 8$ Cena da Jack in the box a Flagstaff: 8.20$
14 AGOSTO 2005 – FLAGSTAFF/MEXICAN HAT (Monument Valley) Si parte, come sempre, presto e ci dirigiamo verso un altro posto da film, un set naturale: la Monument Valley.
Percorrendo la 89 e quindi la 160, arriviamo in tarda mattinata, passando attraverso posti già molto belli.
Prima di approdare alla Monument passiamo da Tuba City, dove naturalmente non c’è un tubo e da Kayenta, dove approfitto di un gift shop/information point gestito da indiani per dare un’occhiata ad internet. In realtà non approfitto in quanto lascio anche una mancia di 2 dollari mentre l’avveduta Faby non è d’accordo. Ne nasce quindi una discussione sullo sfruttamento degli indiani e sulla nostra situazione economica vacanziera che volge verso il rosso, che si protrarrà sino alla Monument Valley, con relativa litigata e sfuriata isterica, da parte mia, che in parte rovina il primo impatto a questo posto meraviglioso. Fatta una pace temporanea, decidiamo di scendere nella Valle, percorrendo con la nostra auto il sentiero normalmente percorso dai fuoristrada degli indiani con le loro visite guidate. Una volta pagato l’ingresso è possibile scendere nella valle anche con la propria macchina, anche se credo sia caldamente sconsigliato farlo qualora piova o abbia piovuto nei giorni precedenti, in quanto la strada è tutta sterrata e piuttosto accidentata. Grazie alla cartina che ci hanno consegnato all’ingresso visitiamo tutti i luoghi principali. Il giro dura 2 ore, senza correre né cazzeggiare, sulle note di musica tratta dai film western nonché indiana: par condicio.
Preoccupati dalla quasi totale assenza di luoghi per pernottare decidiamo quindi di ripartire verso Mexican Hat, fiduciosi di tornare qui a goderci il tramonto.
A Mexican Hat non troviamo posto nel primo Lodge proprio sul San Juan River, mentre troviamo posto al Mexica Hat Lodge, che consiglio caldamente a tutti in quanto veramente caratteristico. L’interno e le camere sono spettacolari: con biliardo, selle, corna, coperte di mucca e immancabili gigantografie di John Wayne. Niente di pacchiano, davvero caratteristico.
Ritornando verso la Monument non possiamo esimerci dal fare la foto al mitico pezzo di strada in discesa, con risalita in lontananza, dove Forrest Gump smette di correre durante il suo giro d’America: ve lo dicevo che qui è tutto un set naturale.
Ritornati all’ingresso della Valle, aspettiamo il tramonto che purtroppo è però oscurato dalle nubi. Non ci resta che meditare sulla nostra piccolezza a cospetto di cotanta grandezza. Ci rendiamo inoltre conto che la nostra vista sta cambiando, che, abituati a Milano, stiamo invece imparando a guardare lontano, fin dove l’occhio può spaziare; e qui si tratta di molte miglia.
Ritornando a cose più terrene, ci concediamo una cena al nostro Mexican Hat Lodge a base di T-Bone Steak, la prima della mia vita. Per me, amante della carne, è stato fantastico vedere cuocere la mia bisteccaccia da due veri cowboy su una griglia dondolante con tanto di sottofondo di musica country suonata dal vivo in un ambiente eccezionale con una birra ghiacciata in mano. Il tramonto mancato e la litigata con Faby sono lontani anni luce: mi sento al settimo cielo perché sto vivendo un sogno che coltivavo da tanto.
Anche questa sera si va a letto con nel cuore un emozione in più.
Mexican Hat Lodge: 70.85$ Ingresso Monument Valley: 10$ Cena al Mexican Hat Lodge: 48.71$
15 AGOSTO 2005 – MEXICA HAT/MOAB (Arches) E’ Ferragosto e siamo lontani da quanto di più italianamente si prevede di fare a ferragosto. Siamo nel deserto, talmente nel deserto che il cellulare non prende. Guardando la cartina pensiamo che la cosa di protrarrà per molto. E difatti sarà così. La nostra scelta quindi di acquistare una carta telefonica si rivela azzeccata.
Al Mexica Hat Lodge non possiamo purtroppo contare sulla colazione. Ripieghiamo quindi su un caffè acquistato al distributore di fronte insieme alla carta telefonica e al carburante. Ci torneranno utili anche delle “schifezze” acquistate due giorni prima da Walmart.
Appena oltre la roccia del “cappello messicano”, che da il nome all’area, ci dirigiamo verso un posto sconosciuto alle guide ma segnalato in un racconto: Muley point. Ci fidiamo talmente di questo consiglio da infilarci su una lunga e accidentata strada sterrata per arrivare al view point, senza nemmeno ben sapere cosa ci aspetta. E invece avevamo ragione a fidarci. Anche in questo caso tutti gli amici quando vedono le foto dicono “che bello”, ma, a differenza di Calico, anche noi conserviamo un ricordo eccelso di quel luogo. Vi incollo quindi qui l’indicazione stradale così come l’ho tratta io: “si trova all’interno del Goosenecks N.P. E non è molto segnalato: per raggiungerlo bisogna ripercorre a ritroso da Goosenecks la 261 che poi diventa di ghiaia e fa superare l’enorme bastionata rocciosa in vari tornanti e prima di tornare asfaltata la si lascia a sinistra per andare sulla 241 che è piana ed in terra battuta. Dopo 5 km si arriva a Muley Point.” Questa deviazione ci porta via quasi due ore, contando anche sul fatto che Muley Point ci ha talmente affascinato da rubarci molto tempo in contemplazione. In fondo in questa vacanza riusciamo, almeno in parte, a dimenticare di essere milanesi dentro, cosa molto difficile normalmente per Faby.
Decidiamo inoltre di fermarci a visitare Goosenecks, che si rivela anch’egli molto bello. Anche qui come nella Valle e a Muley Point ci sentiamo piccoli di fronti a quest’immensità.
Il pranzo lo risolviamo grazie ad un ottimo e salutare panino da Subway a Monticello: finalmente qualcosa di non fritto o grasso. Anzi scopriamo per la prima volta l’utilità di questa catena: economica e dietologicamente equilibrata. Utile specie se dovete prendervi dei panini al sacco.
Nonostante la deviazione arriviamo a Moab abbastanza presto. Presa una camera al Days Inn, al costo di 62 dollari, decidiamo di visitare Arches. Grazie alle guide, alle cartine ed al consiglio chiesto al motel, tra Canyonlands (di cui abbiamo scelto di visitare Island in the Sky) e Arches scegliamo quest’ultimo proprio perché è probabilmente visitabile più velocemente ed è molto più vicino a Moab, mentre Canyonlands è sulla strada per la UT 12 e Bryce. Forse la visita ad Arches potrebbe durare più a lungo se si battessero tutti i vari tragitti. A noi invece bastano 3 ore per fare un bel giro complessivo, compresi 3 sentieri , tra cui quello che porta al Viewpoint del Delicate Arch. Preferiamo non esagerare e soprattutto evitare di inerpicarci verso il Delicate Arch ma accontentarci di vederlo da lontano, dal suo View Point, come consigliato da tutti. E’ sicuramente meno impegnativo e, forse, con migliore prospettiva dell’arco. Tale sentiero consente comunque di passare in mezzo a rocce e terre dai colori più disparati, dal verde al rosso al viola, al blu. La mia reflex scatta che è una bellezza.
Nelle tre ore è compresa anche una lunga passeggiata verso Landscape Arch, ritornando all’auto appena in tempo per evitare di prenderci un grosso temporale sulla testa. Eppure pochi minuti prima avevamo visto uno spettacolare arcobaleno! Usciti dal parco, che si trova proprio attaccato a Moab, ritorniamo in città. Troviamo una città animata, dove le attività all’aria aperta sono molteplici. Noi non abbiamo molto tempo e poi diluvia, quindi come attività all’aria aperta, si fa per dire, ci concediamo un po’ di shopping. Compriamo due cappelli da veri cowboy: e diamine, dopo la cena di ieri possiamo permettercelo.
La T-Bone era proprio buona e inoltre stasera ho il mio cappello da cowboy, per cui la T-Bone vista sul menu di Denny’s le volte precedenti è tutta mia. Entriamo, naturalmente con Faby che indossa il giubbino, e baldanzoso ordino la T-Bone. Ieri avevo bevuto una birra ma oggi vorrei provarla col vino. Provo quindi a chiedere che vini hanno e la cameriera mi risponde che non ne hanno. D’altronde siamo negli Usa, e manco in California, per cui cosa vuoi aspettarti. E vabbeh vorrà dire che anche stasera ci bevo sopra una birra e invece: niente birra. Alle mie rimostranze in merito, la cameriera mi fa presente che ci troviamo nello Utah, uno stato spettacolare, dove però comandano quei puritani dei Mormoni, che ripudiano l’alcol. Ora, voi non mi conoscete, ma quando ho raccontato ai miei amici che hanno osato dirmi che c’è gente che ripudia l’alcol, hanno compreso difficilmente come io possa essere sopravvissuto ad una notizia tanto drammatica. A questo punto non ho potuto fare altro che annullare l’ordinazione della bistecca e prendere una banalissima bistecca di pesce, roba da puritani.
Tornati in hotel diamo un’occhiata, per curiosità, alla SPA del motel e, fattaci una grassa risata vista la piccola vasca a idromassaggio e la sauna, il tutto nello spazio di un paio di camere non più, torniamo all’amato letto.
Days Inn Motel a Moab: 61.74$ Pranzo con Subway a Monticello: 9.73$ National Parks Card: 50$ Cena da Denny’s a Moab: 23$
16 AGOSTO 2005 –MOAB/TROPIC (Canyonland, Kodachrome Basin, UT 12) L’amato letto lo lasciamo presto, come al solito. Oggi ci aspetta una delle tappe più lunghe, considerando sia le miglia che la strada piccola; è una Scenic Byway, ossia che vale la pena fermarsi spesso.
Prima di partire non ci facciamo mancare niente. Prima di tutto un bel rifornimento in motel di ghiaccio per il cooler, in barba al divieto affisso sulla macchinetta. Questa si trova nella hall e, per non dare troppo nell’occhio, fischiettando a tono molto alto per cercare di mascherare il forte rumore dei cubetti che sbattono, riempio quella specie di bacinella/secchiello che si trova in ogni camera di motel. Fino a quel momento ignoravo il corretto uso di tale contenitore, ma ora so a cosa serve: ad essere riempita di ghiaccio. Ghiaccio che poi finisce nei sacchetti che vengono stivati insieme alle bottiglie nel cooler. E d’altronde uno cosa dovrebbe farsene di un secchiello di ghiaccio alle 7 e mezza del mattino con l’aria condizionata a meno venti? Non contenti, tornati nella hall con le valigie, approfittiamo della colazione, prendendo anche qualche frutto (apparso per la prima volta in una colazione) diciamo “da asporto”. Anche in questo caso fischietto forte per dissimulare una certa tranquillità e non far sentire il rumore dello stack delle banane staccate dal casco.
Fatto il pieno di tutto quanto di cui si poteva fare il pieno, riprendiamo la strada verso nord, superando Arches, per dirigerci a Canyonlands N.P..
Tecnicamente questo parco è diviso in tre regioni. In base ai racconti, e perché no al suggestivo nome, abbiamo deciso di visitare Island in the Sky. Per quanto ci riguarda posso dire che la regione da noi visitata merita, e davvero molto, specie al primo mattino. Facciamo un paio di sentieri, nella solitudine più assoluta. Lo sguardo va davvero lontano e sembra che il parco non abbia fine. In un view point, il Grand view point overlook, stiamo fermi parecchi minuti ad ammirare, cercando di capire dove e come finiscono i vari sentieri che si snodano in lontananza. Cavolo la Monument è la Valle, ma questo posto è davvero west, anche lui. Tant’è che non resisto a farmi fotografare da Faby in postura da cowboy, considerando anche il mio abbigliamento d’ordinanza: legate in vita da un lato la macchina fotografica digitale, dall’altro la macchina fotografica reflex, il tutto completato dal neo-acquistato cappello da cowboy:sembro proprio un pistolero! Non fosse per i pantaloni corti e la faccia da bonaccione, sarei quasi credibile.
Qualche ora è già passata e dobbiamo ripartire veloci. Si ritorna sulla strada principale, la 191, che ci porterà verso un tratto della Interstate 70. Poche miglia ed eccoci fermi un’altra volta. Ma d’altro canto ci appare una fattoria con dei piccoli bufali e dei piccoli pony: come fai a non fermarti.
Una volta presa l’interstatale è già l’una passata e quindi pensiamo di fermarci per pranzo. Non sembra ci siano stazioni di rifornimento nel tratto prima di uscire e quindi decido di uscire a Green River, sul cui cartello di uscita figurano vari tipologie di fast food. Forse non ho ancora fatto cenno ma è importante sapere che ad ogni uscita è segnalato se e quali posti per dormire e mangiare ci sono. Usciti a Green River scopro che questa è la città delle angurie. Con tipico fare americano si autodefinisco la più importante città di produzione del mondo. Mah, a me manco piace l’anguria. Sveglio Faby, a cui invece le angurie piacciono molto,proponendole un acquisto ma lei nicchia e quindi cerco un fast food. Attraversiamo l’intera, piccola, città ma non trovo i fast food promessi. Così mi fermo in un’area di servizio con annesso sconosciuto fast food.
Dentro abbiamo occasione di vedere un telegiornale locale. Oltre ad una notizia, che per loro sembra essere importante, relativa ad un tizio che ha trovato un cervo nel proprio garage, parlano di una zanzara killer, che ha già ucciso alcune persone nello Utah.
Ah che bello, oltre a non esserci l’alcol in questo stato c’è pure sta zanzara killer.
Non abbiamo però il tempo di aspettare che ci punga questa zanzara, in quanto dobbiamo per forza correre via veloci verso la UT 12. Un caffè all’americana dentro il bicchiere di polistirolo e rieccoci sulla interstatale. Qualche miglio e si esce nuovamente per immetterci sulla 24. Dopo un paio di miglia troviamo i cartelli dei lavori in corso, l’asfalto rimosso, ed un limite assurdo di 30 miglia orarie. Ci mancava solo questa, speriamo che finisca presto. Ma come sempre: chi visse sperando… e infatti andiamo avanti per molte miglia senza soluzione di continuità, senza asfalto, senza manco un operaio o una macchina al lavoro o almeno ferma. Dopo qualche miglio comincio a portare la macchina a 40 miglia, ma non me la sento di andare oltre. Dovrà finire prima o poi, e invece non sembra finire mai. Devo anche mettere su Elio e le Storie Tese per tenermi sveglio, anche per cercare di fare quattro risate in quanto comincio ad essere stanco e spazientito dalla situazione. Fosse almeno una scenic byway, e invece è oscena, piatta e dritta in mezzo ai campi. Ho ancora oggi un ricordo sgradevole di quelle miglia che sembravano non terminare mai. Invece, prima di Hanksville, dopo almeno 50 miglia così, si riprende l’andazzo un po’ più veloce. L’illusione dura ben poco però perché la strada non è più così dritta e piana ma ha qualche curva e quindi si è costretti a rallentare. Comunque riusciamo a passare Hanksville, Torrey ed Escalante. La sera prima, a tavolino, avevamo preventivato che, se avessimo tardato, avremmo anche potuto fermarci in uno di questi posti. L’assenza di qualunque forma di hotel o motel ci ha però costretto a proseguire il nostro cammino. Se non altro ora la strada è effettivamente bella e scorre abbastanza veloce. Come alternativa alle 3 città sopra citate avevamo pensato di pernottare a Tropic, Hatch o Panguitch, in modo da non essere troppo lontani la mattina successiva dal Bryce. Vista l’ora e visto che troviamo un motel che sembra una baraccopoli ma che è economico e pulito, decidiamo di fermarci subito a Tropic.
Dopo aver preso la camera, anche se è tardi, decidiamo comunque di fare un veloce salto al Kodachrome Basin. E’ lì vicino, dobbiamo tornare indietro però, vicino a Cannonville. Seguiamo il consiglio di Steve, la mitica GPC dell’America on the road, ma direi che stavolta ha toppato. Il giretto ci costa 5 dollari (la national park pass qui non vale) e non troviamo molto da vedere. Inoltre sulla strada abbiamo avuto un incontro imprevisto: alcuni tori! All’andata ci mettiamo alcuni minuti a passarci in mezzo, molto timorosi, con l’auto. Già mi vedevo al banco della Avis a cercare di spiegare che il danno era relativo ad una carica di tori. Invece, con “calma e gesso”, riusciamo ad uscirne indenni. Al ritorno li troviamo ancora lì, ad aspettarci. Io decido allora di provare un’emozione, visto anche che il Kodachrome non ce ne aveva riservate. Scendo dall’auto desideroso che Faby mi fotografi vicino ai tori, a mò di Pamplona. Invece, appena scendo e cerco di avvicinarmi, la corsa la fanno loro. E come corrono, in pochi secondi liberano la strada. E pensare che all’andata abbiamo perso 20 minuti e un paio d’anni di vita a passarci in mezzo con l’auto.
Per la serata abbiamo deciso di cenare in camera con una pizza, visto che vicino al motel c’è un posto dove la fanno. A Cannonville ci fermiamo in un market in quanto voglio comprare la birra per stasera da bere con la pizza. E invece niente birra. Eh già, siamo nel fantastico stato dello Utah! Non fosse per l’incredibile bellezza della natura, questo stato lo odierei.
Vicino al motel c’è anche un market. Provo lì e la birra c’è. Evviva!!! Anche il market è vicino al motel come il ristorante, come tutto in questo paese che è piccolo, ma tanto caratteristico, tanto americano.
Presa la pizza a 12 dollari, rientriamo al nostro Country Inn Motel, pagato 55 dollari.
Rigorosamente sul letto, ruttando allegramente grazie alla birra, ci gustiamo la pizza. Oddio forse gustiamo è una parola grossa, però non è nemmeno male.
E buonanotte.
Country Inn Motel a Tropic: 55.50$ Pranzo a Green River: 11.60$ Cena con pizza da asporto a Tropic: 12.49$
17 AGOSTO 2005 –TROPIC/HURRICANE (Coral Pink Sand Dunes, BRYCE CANYON) Alla mattina decidiamo di tornare nel locale dove la sera prima avevamo preso la pizza. Abbiamo difatti letto ieri che oltre alla pizza loro fanno le colazioni a base di frittelle (pancakes) con lo sciroppo d’acero. E il tutto all you can eat, pagando 5 dollari.
Noi, che siamo i re dell’all you can eat, non possiamo rinunciarci; poi le frittelle con lo sciroppo d’acero non le abbiamo ancora assaggiate ed, in una cittadina americana come questa, non possiamo farcele scappare. Talmente americana che nel tratto tra il motel ed il ristorante fotografo una casa che amo definire: la casa americana. E’ così composta: villettina in legno colorata di bianco, di un piano fuori terra, con annesso box; vialetto di ingresso in cemento su cui è parcheggiato un grosso pick-up, con di fianco erbetta tagliata corta; tutto pulito tutto ordinato e, ciliegina sulla torta, l’asta della bandiera con issata le stelle e strisce. Insomma la casa americana! Non fosse per il fatto che il tizio che la abita probabilmente è uno che non sa nemmeno dov’è l’Italia, che crede ciecamente nella pena di morte, che crede alle balle delle multinazionali, sarebbe un bel posto in cui vivere.
Ma questo è un altro discorso.
Ritorniamo alle frittelle. Tutto galvanizzato dall’all you can eat parto con le mie prime 3 frittelle, facenti parte del primo giro di una lunga, almeno così credo, serie di giri. E invece faccio fatica a finire la terza. Sono buona ma intoppose da morire. Per principio chiedo un altro giro, ma veramente non ce la faccio più. Mi sento pieno da vomitare.
Riforniti del ghiaccio (questa volta acquistato presso il distributore vicino al motel) partiamo verso il Bryce. Sulla strada facciamo però una breve deviazione per visitare il piccolo parco di Coral Pink Sand Dunes. All’ingresso non c’è nessuna guardia. C’è solo una cabina per il ranger ed una specie di casella della posta dove lasciare le proprie offerte. Beh ma noi abbiamo la National Park Pass, ci diciamo. Ma invece qui non vale. Allora ci guardiamo, e, da italianissimi, facciamo un pensiero poco carino: passare senza lasciare niente. Poi però ci sentiamo un po’ in colpa e lasciamo 5 dollari, in totale. Va bene tutto ma insomma. E poi, una volta entrati scopriamo che non è che offra molto: le dune le vedevamo benissimo anche da fuori. Mi avventuro per qualche metro in questo deserto, molto cautamente in quanto all’ingresso ho letto un pannello informativo molto interessante, sul quale era segnalata la flora e la fauna del parco. Per quanto riguarda la flora ok, ma la fauna è composta da qualche animale e soprattutto rettili, tarantole, scorpioni. Insomma una bellezza. E allora via, considerando anche che ci aspetta il Bryce.
Siamo talmente mattinieri che arriviamo al Bryce che ancora quelli che dormono nei cottage si stanno svegliando. All’interno del Bryce sono presenti molti cottage più o meno grandi. Sicuramente costano un botto e bisognerà prenotare per tempo, ma ci rammarichiamo di non avervi pernottato. Sai che bello godersi alba e tramonto al Bryce! Noi intanto abbiamo la fortuna di arrivare dal lato giusto, quello dell’alba. Va bene che è presto ma non è l’alba. Non fa niente però, perché ci godiamo comunque uno spettacolo di colori che non è possibile raccontare né per iscritto né a voce: BISOGNA ANDARCI. Il Bryce E’ IL CANYON! Quando pensate alla natura ed alle meraviglie che può creare, si deve pensare subito al Bryce.
Noi lo giriamo, senza fare alcun trail, in circa 3 ore. Forse ci è risaltata fuori la milanesite, ma non ci sembra sia necessario maggior tempo. Voglio dire, è stupendo, ma in fondo non è tanto grande e non siamo gente da grandi passeggiate, specie dopo le frittelle di stamattina. Al massimo al Sunrise Point compiamo un ampio giro, ma per il resto ci limitiamo a sostare in adorazione attaccati alle balaustre che danno sugli strapiombi.
Neanche le foto scattate rendono l’idea, e dire che sono scattate con una bella Canon Eos. E’ una meraviglia che ognuno deve scattare col proprio cervello, di persona.
Ripartiamo alla volta di Zion. Guardando la cartina e l’orologio(abbiamo tempo), decidiamo di pernottare ad Hurricane. Così facendo attraverseremo lo Zion, lo sorpasseremo e poi ci torneremo domani per visitarlo meglio.
La strada che lo attraversa è meravigliosa. E’ la mitica statale 9. Una strada che è talmente immersa nel rosso delle rocce, da essere stata colorata anche lei, per non dare troppo impatto all’ambiente. Si insomma, ha l’asfalto rosso! Abbiamo modo così di arrivare al bivio che l’indomani prenderemo per entrare nel vero parco. Apprendiamo che è vietato l’ingresso alle auto private, a meno di avere una prenotazione nei lodge interni. Apprendiamo anche che, continuando sulla 9, tra poche centinaia di metri, troveremo il centro visite. Entriamo e prendiamo tutto il materiale possibile sul parco da poter studiare in modo da essere preparati l’indomani.
Arriviamo ad Hurricane. E’ una classica cittadina di passaggio, un posto abbastanza squallido. Provo a chiedere qualche prezzo nei motel, dopodiché vado al Super8 dove posso usufruire di un coupon per avere uno sconto. Chiedo il prezzo e lui mi dice quello intero. Faccio presente che ho un buono sconto. Allora lui mi dice che deve vederlo e io vado in macchina e torno dentro col buono, mostrandoglielo. Lui mi dice che devo darglielo. Allora pazientemente lo ritaglio e glielo consegno. A questo punto, con fare molto preciso, mi dice che potrà farmi lo sconto per una delle due notti. E va bene, ma io devo starcene due. Lui mi dice che gli serve un altro buono. Guardo sotto il bancone e vedo che ci sono una ventina di giornalini di sconto uguali al mio, proprio sotto il suo naso. Alludo a questo fatto e lui, sempre serioso, mi dice che senza coupon non potrà farmi lo sconto. Allora, sempre molto pazientemente, prendo il giornale sotto e gli mostro il coupon. Lui mi dice che lo deve avere per potermi fare lo sconto. Allora lo strappo dalla pagina e glielo consegno. A questo punto lui, sempre con piglio preciso, mi fa presente che potrà farmi lo sconto per due notti. E allora va bene, dormiamo qua. Esco e racconto la cosa a Faby, la quale non crede che sia possibile che questo abbia preteso che ritagliassi i coupon, nonostante avesse lui stesso li da lui i giornali sotto i suoi occhi. Voglio dire sono lì e sono pure gratis.
Questa sera in tv c’è la nostra trasmissione americana preferita: So you think you can dance.
Decidiamo allora di andare al fast food e comprare un po’ di schifezze e mangiare, anche stasera, seduti sul letto. Tra i tanti fast food disponibili, optiamo per Taco Bell. Non lo abbiamo ancora provato.
Entriamo e dentro non c’è praticamente nessuno, mentre all’esterno c’è praticamente la fila al drive. La gente, pur di non scendere dall’auto, con tanto di parcheggio davanti all’ingresso, fa la coda: roba da non crederci. Noi, visto che non abbiamo mangiato a pranzo, compriamo parecchie prelibatezze. Tutti contenti entriamo in camera e cominciamo a gustare queste prelibatezze. Fanno schifo. Se già non amate molto il fast food, vi consiglio vivamente di non provare nemmeno Taco Bell.
Digerendo con molta fatica, ci addormentiamo.
Super 8 Motel ad Hurricane: 40.37$ Colazione a Tropic: 11$ Ingresso Coral Pink Sand Dunes: 5$ Cena da Taco Bell ad Hurricane: 13.76$
18 AGOSTO 2005 –HURRICANE (Zion Park) Prima di raggiungere Zion, decidiamo di andare da Subway e farci fare dei panini che sfrutteremo poi per un picnic a Zion. Idea che si rivelerà azzeccatissima in quanto a Zion non ci sono molte offerte per mangiare e si fanno code lunghe.
Presi i nostri panini e fatta benzina, partiamo verso Zion. Prima dell’ingresso ci fermiamo però a Spingdale, per sfruttare il servizio Internet della biblioteca. Non è gratuito come nelle altre biblioteche ma si paga 1 dollaro, per cui va bene comunque. Scriviamo a casa, guardiamo qualche sito che ci servirà nelle settimane prossime ed il quarto d’ora è già finito.
Ok siamo pronti per Zion. La macchina l’abbiamo già parcheggiata, in quanto a Zion si gira solo con il pulmino interno. Beh poco male, il servizio è comodo e nemmeno troppo affollato. Il bus interno ti porta dai parcheggi sino al punto più lontano (il tempio di Sinagawa) e ritorno e si può salire e scendere quando si vuole. Gli intervalli di passaggio non sono nemmeno troppo ampi e variano durante la giornata. Noi andiamo subito alla fine del parco, in modo da passarlo tutto col bus per poi scendere al ritorno. Al tempio, intraprendiamo un trail, il Riverside Walk, che vediamo non essere troppo difficoltoso. Lo troviamo molto piacevole, costeggiamo il fiume, caratteristica fissa di tutta Zion. Facciamo anche un paio di foto ai castori, o almeno credo siano castori.
Ci fermiamo sulla strada del ritorno a fare il nostro picnic. Scelta veramente azzeccata.
Ritornati all’inizio del sentiero riprendiamo la navetta. Ci sarebbero altre fermate ed altri sentieri, ma tutti piuttosto impegnativi, quindi evitiamo.
Scendiamo allo Zion Lodge. Non sappiamo nemmeno noi perché scegliamo quella fermata, forse per andare in bagno. Forse perché il destino ha in serbo per noi un’esperienza meravigliosa. Appena scesi notiamo dei cavalli ed un avviso che invita a provare una passeggiata a cavallo. Io e Faby non ci siamo mai montati su un cavallo e fare questo battesimo in un posto del genere è un occasione da non perdere.
Pagati 60 dollari in totale, siamo pronti per cavalcare i ns. Destrieri. Come noi, in molti fanno questa scelta. Entriamo tutti in un serraglio dove ci accolgono 3 veri cowboy, con tanto di stivali, copripantaloni in pelle, gilet di pelle, bolo tie e cappellone. Anche noi ce l’abbiamo (siamo gli unici) e ci sentiamo un po’ a disagio, ma i cowboy parlando in americano, velocissimo, cercando di rassicurarci, per quello che capiamo. Uno di loro ci fa passare ad uno ad uno e guardandoci ci assegna un cavallo, dicendoci il nome di quel cavallo, in modo che possiamo poi andare dagli altri cowboy e farci consegnare il nostro prescelto. Mi guarda e apprezza il mio cappello. Mi chiede di dove sono e io gli dico italiano e gli dico: “come Sergio Leone e Ennio Morricone”; ma lui mi guarda come se non sapesse chi sono. Inutile dire che la cosa purtroppo non mi sorprende. Comunque a me viene assegnato Buckshot mentre a Faby assegna Sandybob. Li andiamo a prendere e sono effettivamente dei veri cavalli. Ci scatta quindi un po’ di paura a salirci sopra, ma apprenderemo subito che sono come telecomandati: seguono il percorso e fanno tutto quello che fa il cavallo davanti a loro. Io e Faby cerchiamo l’un l’altro di fotografarci. Lei avrà tra l’altro la fortuna di essere fotografata in un modo meraviglioso da quelli dell’organizzazione: e dire che lei manco voleva farla st’esperienza! Esperienza che ci regala davvero delle emozioni, perché a cavallo tra quelle rocce rosse con il fiume da un lato e un cowboy dall’altro, è davvero un’esperienza che definirei quasi mistica.
Terminiamo la passeggiata di quasi un’ora con le mie gambe che un po’ ne risentono.
Riprendiamo il bus e raggiungiamo l’auto che ci riporta a Hurricane. Ieri ho notato che al motel c’è la lavatrice. Decidiamo quindi di comprare il detersivo e, con 5,50 dollari laviamo e asciughiamo i vestiti. Per ingannare l’attesa della lavatrice e dell’asciugatrice ci godiamo la piscina.
Apprezziamo molto la funzione dell’asciugatrice che ci consente di ottenere, unitamente alla lavatrice, panni puliti ed asciutti in relativamente poco tempo. Peccato che in casa ns a Milano un’asciugatrice proprio non ci sta.
Per cena altro fast food: Burger King. La spesa è decisamente più alta di ieri (22,02 contro 13,76) ma anche la qualità è decisamente più alta. Questa catena c’è anche in Italia ma la grandezza dei panini è commisurata agli americani: sono enormi.
Super 8 Motel ad Hurricane: 40.37$ Pranzo con Subway ad Hurricane: 8.56$ Gita a cavallo nello Zion Park: 60$ Cena da Burger King ad Hurricane: 22.02$
19 AGOSTO 2005 –HURRICANE/LAS VEGAS (Las Vegas_outlet e Downtown) Ripartiamo da Hurricane alla volta di Las Vegas. Abbiamo prenotato un hotel tramite Internet per l’indomani notte, per cui se troviamo qualcosa di interessante e di bello sulla strada, ci fermeremo. Questa è in sostanza una delle due giornate “buche” del programma, lasciate al caso. Una l’abbiamo già “persa” per strada. Questa è la seconda e ultima.
Prendiamo la statale e poi la freeway. Non c’è niente, solo deserto e pale eoliche e pale ns.
La strada ed il panorama sono piatti.
Troviamo solo sulla statale, vicino Virgin un posto da turisti, dove vendono ogni genere di souvenir. Compriamo un paio di souvenir che potranno tornare utili da dare agli amici rimasti a casa.
Stancamente arriviamo fino a Las Vegas abbastanza velocemente perché sul percorso non c’è proprio niente di interessante. Ci sarebbe la Devils Valley o qualcosa del genere ma il tempo lì sembra davvero brutto. Penso, preoccupato, al fatto che noi domani passeremo lì sopra con il piccolo aereo che ci porterà al Grand Canyon.
Entriamo a Las Vegas che non è buio. Peccato, avrei voluto vedere apparire tutte le luci dal buio del deserto. Se non altro questo significa che non è tardi. Posso quindi prendere la prima uscita di Las Vegas ed entrarci da Nord, percorrendo la statale che prende il nome di Strip a Las Vegas proprio dall’inizio. A Nord si trova il nucleo storico di Las Vegas, quello fondato dalla mafia per riciclare i soldi. Sembra che la mafia non se ne sia andata! La zona è brutta e apparentemente pericolosa. La attraversiamo tutta. Sul giornalino degli sconti cerco delle soluzioni per la notte. Ci sono hotel a 11 dollari addirittura. Ma tutti i prezzi valgono per tutti i giorni tranne Venerdì e Sabato notte. Sapevo già dall’Italia di questa anomalia e quindi avevo pensato bene di organizzarmi per non dover dormire qui in quei giorni. E difatti dormiremo Domenica al Venetian e Lunedì in un altro grande hotel, mentre Sabato partiremo con l’aereo e dormiremo al Grand Canyon. Insomma tutto calcolato, tranne il fatto che siamo un giorno in anticipo! Siamo qui e non c’è altro per miglia. Proviamo ad informarci qui nella old Las Vegas sui prezzi e scopriamo che gli stessi hotel che paghi 11 dollari al Giovedì o alla Domenica, per esempio, al Venerdì ci costano intorno ai 100 dollari. Forse è anche legale ma è da bastardi! I prezzi dei grandi hotel (Venetian, Excalibur, Circus Circus) non sono nemmeno da pronunciare a voce alta. Girando girando, troviamo un Days Inn che non ha gonfiato troppo i prezzi ma che ci costerà comunque 64,31 dollari. Abbiamo già pernottato in questa catena, ma gli standard soliti qui non sono rispettati. Il motel è una catapecchia, con, lo scopriremo poi, la tv senza telecomando, l’aria condizionata che puzza e le lenzuola sporche. Il tutto poi inserito nel meraviglioso contesto della downtown. Siamo nel pieno centro di Las Vegas, a duecento metri dalla passeggiata sotto le stelle di Fremont Street, eppure sembra il Rione Scampia di Napoli, con tutto il rispetto per il Rione Scampia e per i suoi abitanti, che sono sicuramente meno delinquenti di quelli che apparentemente abitano qui. Chiedo lumi sulla zona al tizio della reception che mi risponde, per tranquillizzarmi, che nella loro proprietà non è mai successo niente. Che vuol dire che fuori dal cancello mi sparano??? Tutta questa tensione deve essere eliminata. E come se non attraverso del sano shopping. Come a Los Angeles anche qui regnano sovrani gli outlet. Tanto per gradire iniziamo a girarne due: il Chelsea Outlet ed il Premium Outlet. Compro le Nike Shox, che in Italia costano 200 euro, pagandole 55. Compro le Timberland a 40 euro, i Lewis a 12 dollari, una camicia di Ralph Lauren a 10 dollari. Insomma un PARADISO. Se i posti visitati nei giorni scorsi erano una meraviglia per gli occhi, questi sono una meraviglia per il portafoglio. Ed anche per il fisico perché compro maglie della taglia L, e anche M, mentre in Italia talvolta non mi sta nemmeno la XL.
Pian piano si fa sera e nella zona dei grandi hotel il casino aumenta a dismisura. Pensando che già nei prossimi giorni, dormendo in due grandi hotel, proveremo quell’esperienza, decidiamo di uscire dalla zona incasinata e di andare a vedere come vive la gente di Las Vegas, al di fuori dal centro e dalla Strip.
Approfittiamo anche per acquistare del liquido per il radiatore in quanto sono preoccupato del fatto che c’è un gran caldo e che nella death valley tra qualche giorno sarà anche peggio.
Ceniamo da Pizza Hut/KFC e non ci troviamo bene come c’eravamo trovati in Scozia ed Inghilterra.
Per digerire ci fermiamo in un parco in cui vediamo delle luci e scopriamo come occupa il suo tempo libero la gente di Las Vegas: fa sport. Questo parco ha un sacco di attrezzature, campi da tennis, da pallavolo ed un grande campo con gli spalti, in cui la gente fa di tutto: bambini che giocano a football, a baseball, ragazze che provano le coreografie da cheerleader, gente che corre e c’è un’atmosfera meravigliosa. Si coglie davvero un grande senso di famiglia: c’è il papà che gioca col figlio più grande, il piccolo che si allena con gli altri bambini e con l’allenatore, le madri a bordo campo che guardano un po’ i figli e un po’ le cheerleader. C’è qualcuno che fa addirittura il barbecue. Poi arriva il camioncino dei gelati, quello dei film, con tanto di musichetta e gelati strani. Davvero una bella sensazione, strana da trovare in una città, specie in una città come Las Vegas, la città del gioco e della perdizione. Questo tipo di americani mi piace! Ritorniamo a malincuore al nostro motel, una volta parcheggiata l’auto dentro la proprietà, dove non succede niente, decidiamo di rischiare qualcosa avventurandoci, per l’appunto fuori dalla proprietà. D’altro canto non possiamo resistere alla tentazioni di vedere Fremont Street che si trova a 200 metri. Non rimaniamo particolarmente colpiti da questo “monumento”. Rimaniamo invece colpiti dai 200 metri di strada. Mentre all’andata c’era un auto della polizia ed, in fondo, tutto non sembrava così male, ora c’è poca luce, niente auto della polizia e gente che dorme per terra o vaga, con facce molto poco raccomandabili. Dico subito a Faby di mollarmi la mano, di mettersi il cappuccio sulla testa, di camminare a testa bassa, di assumere una camminata veloce ma un po’ sciancata: di sembrare insomma meno turisti possibili. Io sputo pure un paio di volte in terra con aria spocchiosa. Probabilmente non c’ha creduto nessuno ma fatto sta che torniamo alla ns meravigliosa camera sani e salvi. Come dicevo prima, scopriamo solo ora quanto sia “pulita e confortevole”. Meditiamo sull’opportunità di raggiungere i senzatetto e dormire con loro sul marciapiede: sicuramente sarebbe più igienico ma non credo arriveremmo sani e salvi alla mattina. Se non altro qui abbiamo una porta e, una volta messe le valigie davanti alla stessa, confidiamo nel fatto che all’interno della proprietà non è mai successo niente. Sonni felici e tranquilli.
Days Inn Motel: 64.31$ Cena da Pizza Hut + KFC a Las Vegas: 15.66$ 20 AGOSTO 2005 –LAS VEGAS/GRAND CANYON (Grand Canyon) Nonostante i presupposti, dormiamo decentemente e alla mattina siamo pronti per volare verso il Grand Canyon. In realtà il volo partirà solo nel primo pomeriggio, per cui abbiamo tempo per un altro giro nel Chelsea Outlet, dove ieri siamo potuti stare poco perché chiudeva. Altro giro, altri affaroni. Peccato che tra poco dovremo lasciare tutto nell’auto ferma nel parcheggio del mini aeroporto, che si trova poco fuori Las Vegas. Per pranzo ci fermiamo in una specie di ristorante/albergo/stazione di rifornimento dal nome Texas Station. Dentro ci sono milioni di macchinette e vediamo le prime vecchiette da Bingo. Non so se avete presente il telefilm de “la Tata Francesca”. Beh lei aveva una zia, zia Ietta. Qui somigliano tutte a lei.
Pranziamo da Sbarro, sempre all’interno di questo posto strano, e non ci troviamo troppo male. Oddio la pizza è un’altra cosa, ma va bene lo stesso.
Arriviamo all’aeroporto con largo anticipo. Si tratta dell’aeroporto della Scenic Airlines, una delle più conosciute compagnie che fa il servizio sul Grand Canyon. Consegno i nostri documenti, dichiariamo i nostri pesi e attendiamo. Non c’è nessuno. Ad un certo punto arriva qualcuno, che però sale su un altro aereo e parte. Speriamo quindi di avere l’aereo tutto per noi ma invece arrivano una serie di giapponesi che salgono con noi sull’aereo. Arriviamo all’aereo, che è davvero piccolo: come faremo a starci tutti! Decolliamo, non senza qualche difficoltà, e la bellissima sensazione di volare che già si prova con un boing, è chiaramente amplificata in questo piccolo aereo. Come è anche ampliato il cosiddetto vuoto d’aria. Un boing manco l’avrebbe sentito mentre questo aereo perde chissà quanti piedi in un secondo. La mia espressione felice per la sensazione del volo si tramuta in un attimo in preoccupazione. Si, insomma, sono su un trabiccolo che come minimo avrà trent’anni, e che un temporale può spazzare via. Faby ed il panorama mi fanno però scordare dove mi trovo.
Durante il volo una voce registrata e collegata tramite il gps (ne ha uno?!) dell’aereo, ci descrive, nelle cuffie, le cose che vediamo sotto di noi.
Sorvoliamo la Hoover Dam e iniziamo a vedere il South Rim del Canyon. Quando stiamo per arrivarci sopra, l’aereo scende, quasi in picchiata, per atterrare nell’aeroporto del Grand Canyon a Tusayan. Ma come non dovevamo sorvolare il Canyon? Eh no, quello è un altro tour, mi dicono al banco della Scenic Airlines e va pagato a parte. Ma come ho già pagato una cifra questo (419 €), devo pagare pure quello? E anche volendo non c’è posto. Insomma attenzione a quando scegliete il giro. Usciti dall’aeroporto ci viene spiegato che ci verrà a prendere il bus che ci porterà al nostro lodge, il Maswick. Aspettiamo, aspettiamo, e aspettiamo ancora. Ci mette almeno un’ora ad arrivare a prenderci. Arriviamo alla ns. Camera e lasciamo giù tutto al volo perché c’è un altro bus che ci porterà a vedere il tramonto. In realtà col ritardo accumulato, vediamo la fine del tramonto, correndo pure per arrivare allo strapiombo e godendoci pochissima luce, considerando che il tramonto dura poco. Sarà per l’arrabbiatura, sarà perché ho già visto Muley Point, Canyonlands e gli altri posti, ma non mi colpisce particolarmente. Lo so che tutti cantano le lodi del Grand Canyon ma né a me né a Faby fa una grande impressione. Voglio dire è bellissimo, ma forse meno bello degli altri posti stupendi che abbiamo visto sinora.
Il bus ci riporta poi al Lodge. Per cena, non compresa, optiamo per il ristorante annesso al Lodge. Si tratta di un self service e non mangiamo male, spendendo anche poco (26,15 dollari).
Dobbiamo dire che anche la camera è abbastanza bella, tutta in legno ed immersa nella natura. Però, che bella la natura! Decidiamo di goderci un po’ di natura e di raggiungere il bordo del Canyon, per vedere com’è con la luce della luna. Non abbiamo la piantina e nemmeno la torcia perché sono in camera e non abbiamo voglia di tornarli a prendere. Cerchiamo quindi di avventurarci per la strada asfaltata, cercando di ripercorrere la strada fatta qualche ora prima con il bus. Man mano che ci allontaniamo dalle costruzioni dei lodge e dal ristorante, le luci finiscono e la luna è scarsa ad illuminarci il percorso. Per fortuna che ogni tanto passa un auto che ci illumina il percorso. Una di queste auto allontanandosi su un’altra strada, illumina una creatura sulla strada, apparentemente un coyote, che illuminato dall’auto si volta verso di noi e comincia a camminare nella nostra direzione. Visto questo noi cominciamo a camminare, o per meglio dire a correre, verso il ristorante ritornando sui ns. Passi. Entrati nel ristorante ci rincuoriamo, anche questa volta con lo shopping, acquistando un marsupio con porta borraccia inclusa, molto bello. Uscendo dal negozietto notiamo un pannello informativo che segnala che, si, ci sono i coyote, ma di non preoccuparsi, perché non attaccano mai l’uomo. Porca miseria e ora me lo dici! Vista l’ora è comunque tardi per tornare dal ns amico di prima e farglielo presente e quindi andiamo a dormire.
Gran Canyon Tour Scenic x2: 418.41$ Pranzo da Sbarro a Las Vegas: 13.95$ Cena al Self Service del Maswick Lodge: 26.15$ 21 AGOSTO 2005 –GRAND CANYON/LAS VEGAS (The Strip, The Venetian) Alla mattina abbiamo giusto il tempo per farci un giretto nella zona prima che il bus della Scenic ritorni a prenderci per riportarci all’aeroporto a Tusayan. Per strada facciamo caso a quanti motel e lodge ci siano, ma anche a quanta gente ci sia. Riteniamo quindi conveniente essere venuti con l’aereo, considerando comunque i prezzi dei lodge (e dove abbiamo dormito noi è uno dei migliori) e quanto casino ci sia.
Se questa volta il bus è stato puntuale, arrivati all’aeroporto apprendiamo da altri italiani che ci sono dei loro amici che sono stati “dimenticati” dal bus al lodge. Noi per fortuna veniamo presto imbarcati su un aereo e ritorniamo all’amata/odiata Las Vegas, non senza essere stati prima pesati fisicamente su una bilanciona, per poter dividere i pesi. Per fortuna, essendo in America, non ho timore di essere pesato: risulto comunque longilineo rispetto a loro.
Spero di vedere il Canyon ma niente, è alle nostre spalle e l’aereo punta dritto a Las Vegas. Anche il percorso è lo stesso identico dell’andata quindi non c’è niente di nuovo. Dormire? Manco a parlarne visti i vuoti d’aria. Insomma l’esperienza poteva, se scelta meglio da me, e doveva, se operata meglio dalla Scenic, essere migliore, ma comunque nemmeno da buttare. Da valutare insomma.
Atterrati a Las Vegas, possiamo fare ritorno alla nostra auto sperando che nessuno abbia rubato lei o i preziosi acquisti che contiene. E’ tutto a posto, per cui muso verso LV ed il Venetian.
Oggi è Domenica e quindi possiamo permetterci di fare i signori. D’altro canto ho prenotato via internet, a circa 115 euro, una suite da 60 mq per una notte in uno degli hotel più belli di LV. Speriamo sia così. In realtà le nostre speranze si rivelano errate: non è uno dei più belli, è il più bello! Anzi non è bello, è stupendo, meraviglioso, eccezionale, incredibile, ecc… Entriamo nella hall e rimaniamo abbagliati da tanto lusso: sembra la Reggia di Caserta all’epoca del suo massimo splendore. Una roba che toglie veramente il fiato. Facciamo la registrazione e, per poter accedere all’ascensore che ci porterà alla nostra suite sita al 12° piano, dobbiamo attraversare centinaia di slot machine. L’ascensore, lussuosissimo anche lui, ci porta al nostro piano ed alla nostra suite. Entriamo ed eccola! Cavolo ma è più grande di tutta casa nostra. Letto a baldacchino, poltrone elegantissime, mobili classici, a terra finalmente non c’è la moquette ma c’è legno e marmo di Carrara, ed una finestra che domina Las Vegas. Resteremmo in questo splendore di camera per ore, ma vale la pena di vedere il resto dell’hotel. Ci sono piscine su piscine: con acqua calda, con acqua fredda, idromassaggi, c’è una spa (a pagamento) meravigliosa. E poi Venezia, con tutti i canali e le gondole dentro, al secondo piano dell’albergo. Ed all’esterno il campanile dei Dogi, il ponte di Rialto, tutto a grandezza naturale. Si, va bene è tutto finto e fatto col cartongesso, ma, diamine, è uguale a quello vero! Preso da tutta questa italianità, sebbene mi sia abituato al caffè americano, non resisto ad un Illy. Il prezzo non è dei più accessibili (3,23 dollari) ma ne valeva la pena.
E poi la Strip. Che dire? Forse potrei tirare fuori la classica frase: Las Vegas o la ami o la odi. Io e Faby la amiamo. Abbiamo imparato ad amarla visitandola. Noi non abbiamo mai apprezzato le cose finte, ma qui è tutto talmente realistico da non sembrare più finto. Il casino per le strade, il caldo, la gente che mi consegna, nonostante sia mano nella mano con mia moglie, inviti per andare con delle prostitute, non ci da fastidio.
Insomma sembra di stare in un enorme parco dei divertimenti. Un posto dove il limite è spostato nettamente più in alto, dove per essere strani o eccessivi, bisogna esserlo molto, ma molto molto.
Giriamo, affascinati, i vari hotel. Parlare dell’uno o dell’altro hotel è difficile. Noi li abbiamo trovati tutti belli, chi più chi meno, e sono organizzati nel medesimo modo, tra un hotel e l’altro cambia solo il leit motiv: Venezia, Parigi, New York, l’antica Roma, l’Egitto, i templari, ecc… In ogni hotel ci sono le camere, i ristoranti, i bar, i locali, i teatri, più o meno grandi (al Cesar Palace ce n’è uno da 5000 persone) e soprattutto ci sono i casinò. Io dico soprattutto, non perché la cosa ci interessi, anzi, ma perché tutto ruota intorno ad essi. La politica degli imprenditori di LV presumo sia: io ti do da dormire in hotel stupendi a poco prezzo, ti do da mangiare ogni genere di prelibatezze a poco prezzo, ti do i migliori spettacoli a poco prezzo (per gli standard americani non certo per quelli italiani) e tu mi ridai tutti i soldi che ti ho fatto risparmiare, ed anche di più, giocando nei miei casinò. Probabilmente ciò può essere vero per la maggior parte delle persone ma non per noi, per me e Faby, e, permettetemi il campanilismo, nemmeno per molti italiani. Nei casinò vedevamo gente che anziché utilizzare i gettoni o i soldi, infilava direttamente la carta di credito nelle slot machine. Per evitare di dimenticarla dentro, l’avevano legata alla cintura con un cavo. In questo modo sembravano dei cagnolini legati alla cuccia. Ma la cosa forte è che avevano anche la faccia dei cagnolini legati, che non posso correre in libertà. Si, insomma questi giocatori incalliti non davano per niente l’impressione di gente che si stava divertendo, anzi.
Grazie a questa politica lasvegasiana, noi ceniamo al buffet del ristorante Flamingo, mangiando sushi, gamberi, granchio, filetto, ecc…, all you can eat, al prezzo totale, compresa una bottiglia di vino bianco, di $ 44,99. E tenete conto che ho speso circa 12 dollari di vino. No non mi sono sbagliato, abbiamo speso 4 soldi per mangiare una cena incredibilmente buona. Il tutto in un posto bellissimo tra l’altro. Unica pecca: il fatto che facciamo un’oretta di coda per poter entrare. Noi facciamo tre o quattro giri di buffet, mentre molta gente entra, mangia una zuppa o poco altro ed esce, presumiamo per tornare alle slot.
Noi invece impieghiamo più di un’ora, tenendo conto che abbiamo a ns disposizione un intero banco di dolci, compresa una macchina che dispensa gelato ai vari gusti e con a disposizione svariati condimenti per gelato: cioccolato fuso, caramello, smarties, cocco, ecc… Decisamente pieni, continuiamo il giro dei casinò. Le ore volano ed, in men che non si dica, diventano le 2 di notte e torniamo alla ns amata suite. Devo però ammettere che, sulla strada del ritorno, abbiamo trasgredito. Ebbene sì abbiamo fatto quello che gli imprenditori di LV si aspettavano da noi: abbiamo giocato! La bellezza di 2 dollari! Lo so, sono rammaricato, ma non abbiamo proprio saputo resistere.
Beh, insomma non si sa mai, magari era destino.
Venetian Hotel: 115.6$ Pranzo da Toscano’s: 15.03$ Cena al Flamingo Hotel: 44.99$
22 AGOSTO 2005 –LAS VEGAS (The Strip) Lasciata, a malincuore, l’amata suite del Venetian, abbiamo davanti a noi una giornata intera per goderci LV. Ci mancano ancora un sacco di hotel e quindi bando alle ciance e via col giro. In principio abbiamo un problema: dobbiamo lasciare il Venetian e riprendere quindi la macchina. Dove la parcheggiamo? Per strada non si può! Poi meditiamo sul fatto che quando abbiamo posteggiato al Venetian nessuno ci ha chiesto documenti, prenotazioni o altro. Il parcheggio si trovava nel retro dell’hotel ed era simile a quello di un grosso centro commerciale. Pensiamo quindi di sfruttare i parcheggi dei vari hotel per visitarli. E la cosa funziona. Tra un hotel e l’altro non resistiamo ad un’altra veloce puntatina in un paio di outlet dove facciamo altri acquisti. Tra i tanti Outlet girati, giriamo anche quello più pubblicizzato, ma più scadente, il Primm Valley.
Girando girando approdiamo anche all’hotel dove avevamo prenotato dall’Italia: il Circus Circus. Entriamo, facciamo la nostra brava fila al check-in e quando tocca a noi vado al banco. Dico il cognome e l’hostess mi dice che non c’è nessuna prenotazione a nome mio. Io mi spazientisco, dicendo che negli altri hotel non ho mai dovuto tirare fuori la prenotazione stampata ma con loro mi toccherà farlo. Tutto scocciato gliela mostro, e lei, gentilmente, mi fa notare che c’è scritto Excalibur. Ops!! Nei giorni precedenti alla partenza il Circus Circus e l’Excalibur erano entrambi in lizza, con il primo in vantaggio, ma poi per un cambio di prezzo all’ultimo avevo prenotato al secondo. Mesti mesti andiamo via ed andiamo a prendere possesso della ns camera all’Excalibur. Hotel e soprattutto camera non sono nemmeno lontanamente paragonabili al Venetian, ma comunque, riflettendo su dove abbiamo dormito certe notti, va più che bene.
Nel frattempo, alle 5 pm, siamo andati a mangiare al buffet del Flamingo. Il giorno prima avevamo deciso di provare ad andare appena apriva in modo da cercare di evitare la coda: l’idea ha funzionato!! In più, oggi, a pranzo non abbiamo neanche mangiato , in modo da goderci di più il buffet e inoltre risparmiare il costo di un pasto, da veri accattoni!! Credo che l’imprenditore del Flamingo con noi abbia proprio toppato.
Nel giro degli hotel una menzione speciale merita lo Stratosphere. Si trova ai confini con la zona vecchia e domina gli altri hotel. Li domina sia per la posizione sia soprattutto perché ha una torre di 330 metri di altezza. Su questa torre c’è il ristorante e soprattutto ci sono le giostre. Si, le giostre: montagne russe, bigshot, una specie di calcinculo ed una specie di scivolo. Qualche giorno fa mi è arrivata una mail che conteneva alcune foto di cose strane nel mondo, tipo la pista da sci a Dubai, e tra le altre c’erano le giostre dello Stratosphere. Tutto vero!! La prima giostra è l’ascensore, che in circa 10 secondi vi porta dal piano terra al 109° piano. E poi, sopra ci sono queste giostre. Inutile dire che, se soffrite di vertigini, è meglio che non vi avviciniate nemmeno alla torre. Se invece non è così, entrate e visitatela. Anche se si paga quasi 10 dollari a testa, ne vale davvero la pena. Io compro anche un giro sulle montagne russe e questa costituisce una delle esperienze più emozionanti della mia vita, e tenete conto che ho anche provato il parapendio, forse anche a causa del dopo giostra.
Sceso, non resisto all’acquisto di una bella birra grande in lattina, per tirarmi su. Appoggio la mia brava birra sul porta lattine dell’auto e via si riparte. Al primo semaforo, vedendo un’auto della polizia di fianco a noi mi ritorna in mente il fatto che è un reato che comporta il carcere, portare un alcolico aperto nell’auto. Così intimo a Faby di buttare subito la lattina dal finestrino senza farsi vedere. Passo 30 secondi ancora più paurosi di quelli passati sulle montagne russe.
Ma tutto va bene e completiamo i nostri giri, anche questa sera a tarda notte.
Excalibur Hotel: 55.85$ Cena al Flamingo Hotel: 44.99$ 2 ingressi allo Stratosphere compreso di un giro sulle montagne russe: 21.90$
23 AGOSTO 2005 –LAS VEGAS/BAKERSFLIED (Death Valley) Non ci alziamo molto presto e appena partiti dall’hotel ci fermiamo subito da Subway per prenderci i panini per pranzo, in modo da essere indipendenti. Il tragitto per oggi è piuttosto lungo: dovremo arrivare sino a Bakersfield, passando dalla Death Valley. Questa è una delle tappe preimpostate da casa. Bakersfield non sembrava poi così lontano e ci consentirà il giorno dopo di raggiungere Josemite, deviando anche per il parco Sequoia. In realtà la tappa si rivelerà ancora più lunga: conveniva partire prima! I panini ce li abbiamo, nella borsa con l’acqua, immersi nel ghiaccio. La benzina l’abbiamo fatta il giorno prima ed abbiamo il pieno. Il liquido per il radiatore ce l’abbiamo. Arriviamo abbastanza in fretta a Pahrump. Vedo un paio di distributori ma mi è scesa poca benzina e al limite so che a Stovepipe o comunque oltre la Death Valley ci saranno i distributori. Perchè parlo tanto della benzina? Semplice, perché a Stovepipe non c’è più alcun distributore. Il primo distributore da Pahrump si trova solo a Trona, dove tra l’altro la benzina costa un botto. Visto che a Pahrump ne avevo ¾ nel serbatoio non sembrava un problema ma invece la benzina nella Death Valley sembra che evapori, vedo l’astina scendere quasi a vista d’occhio. Se riesce ad evaporare la benzina dal serbatoio, sembra superfluo dire quanto caldo faccia.
Appena scesi dall’auto si avverte un vento caldo, tipo phon, che sembra comunque sopportabile. Tant’è che scendiamo abbastanza frequentemente dall’auto, nella quale abbiamo l’aria condizionata, che, visto che la temperatura del motore è sotto controllo, lasciamo accesa. A Badwater ci concediamo anche una passeggiata di 200-300 metri prima di risalire in auto. Tanto sembra tutto sopportabile. E invece appena risaliti in auto, prima di accenderla ci accorgiamo che di colpo iniziamo a sudare a dismisura. Ci accorgiamo anche che abbiamo assunto un color pomodoro maturo e abbiamo una mezza tachicardia. Insomma gli effetti di un caldo del genere sono veramente clamorosi. Noi siamo anche in pantaloncini corti e canotta, forse non è l’ideale, ma stiamo veramente male. Ci riprendiamo però dopo qualche minuto e decidiamo di mangiare. Tiriamo fuori i panini e ci accorgiamo che, nonostante fossero dentro la borsa col ghiaccio, al riparo dal sole, dentro un auto con l’aria condizionata accesa, il formaggio duro che c’era dentro somiglia alle sottilette fila e fondi. Un caldo veramente incredibile! Riprendiamo la strada, ripartendo da Badwater e ci dirigiamo verso Ridgecrest e poi Bakersfield. Ci sono però ancora diverse miglia e la benzina comincia davvero a scendere e si presentano le prime forti salite. Decido allora di spegnere l’aria condizionata, sperando che il motore non ne risenta, in quanto ho paura che la benzina finisca. La strada e le salite sembrano non finire mai. Facciamo davvero fatica ad arrivare a Trona dove poter fare una ventina di dollari. La spiacevole sensazione del caldo unita alla preoccupazione per la benzina, con la simpatica prospettiva di rimanerne senza proprio in un posto cosi dove, naturalmente, non prendono manco i cellulari, non ci ha lasciato un ricordo molto positivo della Death Valley. Si, è sicuramente un posto da vedere ma i colori ed i paesaggi visti sinora hanno qualcosa in più: Bryce Canyon, Monumenth Valley, Canyonlands, ecc…Sembrano tutti più belli.
Arriviamo quindi a Bakersfield molto felici di essere passati indenni dalla Valle della Morte, nonostante tutto. Per cena ci concediamo una mega bistecca in un Roadhouse. Qui apprendo per la prima volta che la T-Bone non è il taglio di carne più grande ma anzi ci sono altri 2 tagli di carne più grandi. Naturalmente provo, soddisfatto, quello più grande di tutti. Inoltre, per la prima volta, ci capita di cenare in un posto dove, come “antipasto”, trovi sul tavolo le arachidi e dove è obbligatorio buttare in terra le bucce. Faby è a disagio e non se la sente. Io mi abituo subito, divertendomi a buttare sporcizia in giro. Faby non crede si possa fare davvero ma viene smentita da una cameriera che, sbaraccando un tavolo, butta a terra le bucce,anziché raccoglierle.
Hotel a Bakersfield: 52.53$ Pranzo con Subway a Las Vegas: 9.87$ Cena al Logan Roadhouse a Bakersfield: 44$
24 AGOSTO 2005 –BAKERSFLIED/EL PORTAL (Sequoia, Josemite) Prima tappa di oggi: il Sequoia NP. Dovendo arrivare per sera a Josemite ed essendo, in parte ed in particolare il Kings Canyon, una brutta copia, così almeno dicono, dello Josemite, la nostra visita non sarà molto lunga. Il nostro giro comprende però il General Sherman ed il Generale Grant, 2 delle 3 più grandi sequoie del parco, 2 dei più grandi esseri viventi del mondo. Anche in questo parco comunque la natura ci meraviglia, mostrandoci quanto grande possa essere un albero. Abituati alla grandezza delle querce, questi alberi ci sembrano davvero incredibilmente enormi. C’è anche una sequoia, caduta a causa di un fulmine, piuttosto giovane, che può ospitare al suo interno cavo un’intera famiglia. Ci si passa difatti dentro stando perfettamente in piedi, anche se siete alti oltre la media, come me.
La strada, con molte curve, passa attraverso il parco e ci permette di visitarlo, non del tutto ma in molte parti, credo quelle salienti, in poco tempo. Devo dire che in realtà il fatto di aver voluto includere il Sequoia nel giro, ha comportato la necessità di procedere verso sud, escludendo la zona di Mammoth Lakes, allungandoci altresì la tappa di ieri. In realtà quel giro avrebbe comportato anche il dover passare il Tioga Pass sulla 120, che spesso è chiuso per neve. Diciamo che a cose fatte in fondo è valsa la pena fare il giro che abbia scelto.
In realtà in mezzo a tutta questa natura ci piazziamo l’amato shopping, fermandoci in un Outlet che si trova sulla 99 tra Bakersfield ed il bivio con la 198 per Three Rivers ed il Sequoia. Ci fermiamo più che altro perché il fratello di Faby, appreso quanto abbiamo speso per comprarci le Nike Shox, ne vorrebbe un paio anche lui. Santo Outlet ci viene incontro piazzandosi proprio in quel punto che segnalavo prima. In realtà le paghiamo qual cosina in più che a LV, ma comunque molto ma molto meno che in Italia.
Pranziamo a Fresno, sulla strada che ci porta a Josemite. Abbiamo prenotato al Cedar Lodge, che consiglio, sebbene il Josemite View Lodge sembra meglio, almeno da fuori.
Arriviamo al nostro lodge che non è molto tardi e quindi decidiamo di farci un giro perlustrativo, di Josemite. Facciamo quindi un primo giro nel parco in modo da cominciare a studiare come visitarlo il giorno dopo. Abbiamo difatti prenotato anche per la notte successiva. Dal primo giro ci sembra subito di notare che il parco sia molto bello e che sicuramente ci riserverà piacevoli sorprese.
Come sottofondo c’è il Boss Bruce Springsteen a farci da colonna sonora. Ogni volta che sento The River, non posso che pensare a quei meravigliosi momenti. D’altro canto la musica ha accompagnato il nostro viaggio, sottolineando un panorama stupendo, regalando istanti indimenticabili.
Per la cena decidiamo di accontentarci di carne secca e altre “schifezzine” comprate nel market del nostro lodge, da mangiarsi rigorosamente in camera, perché è Mercoledì e quindi in tv c’è il nostro show preferito su Fox: So you can think you can dance.
Cedar Lodge Hotel: 102.24$ Pranzo a Fresno: 9.46$ Cena al Cedar Lodge a Josemite: 16.36$
25 AGOSTO 2005 –EL PORTAL (Josemite) Tutto il giorno che ci aspetta sarà dedicato a Josemite. Facciamo colazione con due muffin e siamo pronti per entrare nel parco. Visto che la benzina scarseggia ci troviamo costretti a farla nel benzinaio sulla strada, che la fa pagare quasi il doppio di quanto la fanno pagare negli Usa. Sono piuttosto spazientito e arrabbiato ma mi rincuoro pensando che comunque l’ho pagata la metà di quanto la pago in Italia e allora mi viene da pensare: un giro di circa 7000Km, in Italia chissà quanto ci sarebbe costato in benzina?!? Mi scordo poi di tutti questi calcoli non appena entro a Josemite, sempre con il sottofondo della musica: Dire Straits con On Every Street, Barry Manilow con Mandy su tutti. Josemite è il parco. Quando penso ad un Parco Naturale, non posso fare altro che pensare a Josemite. E’ stupendo. Unici difetti, forse: le zanzare, i mosquito, che grazie però al nostro repellente per zanzare portato proditoriamente dall’Italia, non ci danno poi così fastidio, e la gente, che è davvero tanta. Raggiunta la parte centrale del parco non è più possibile girarla in auto e bisogna, come a Zion, usare il servizio interno di bus navetta. Si può sennò affittare di tutto: dalle bici (7,50 $/h a persona) ai gommoni (40 $/h per due persone). Visto che il fiume è piuttosto tranquillo e che la bici ci consente di girare meglio, optiamo proprio per queste.
Giriamo per circa due ore. Riconsegnata la bici, camminiamo godendo di questo meraviglioso parco e fermandoci a fare il nostro solito picnic, seduti su due sassi, con i piedi a mollo nel gelido fiume, ad Happy Isles, posto assolutamente consigliato da vedere e dove fare picnic.
Giriamo i vari posti segnalati sulla cartina e segnalo su tutti il Mirror Lake ed il Bridalveil Creek con le relative cascate.
Passiamo una giornata in mezzo ad una natura, diversa dalle altre “nature” viste sinora, ma sempre, ancora una volta, meravigliosa.
Cedar Lodge Hotel: 102.24$ Pic nic per cena al Josemite View: 16.11$
26 AGOSTO 2005 –EL PORTAL/SAN FRANCISO (Sonora, Oakland) Appena partiti ci troviamo subito a scalare una montagna, con sequoie a perdita d’occhio e di cui alcune purtroppo bruciate da qualche incendio, che ci porterà verso la zona pianeggiante di Sonora. Zona dove si coltiva il vino, o almeno così sapevo. Ed invece troviamo piantagioni di frutta a perdita d’occhio, con relativi chioschi per la vendita. La frutta non sembra niente male ma non ci fermiamo, anzi Faby dorme, come al solito in auto, e io macino chilometri verso Oakland. L’ambiente comunque non è un granché.
Arriviamo abbastanza in fretta ad Oakland, sulle strade devastate qualche anno prima dal terremoto. Usciamo dalla freeway e ci fermiamo dal solito Subway per farci un panino.
Oakland non sembra poi così interessante e così decidiamo di puntare dritti a SF già pregustando l’idea di mangiarci una bella Clam Chouder.
E difatti è la prima cosa che facciamo, subito dopo aver preso possesso della ns camera d’albergo prenotata al fido Stratford hotel e lasciata l’amata Chevy Aveo che ci ha fedelmente accompagnato per questi 7000 km scorrazzando dal punto più basso degli Stati Uniti fin su per i monti.
La temperatura invernale lasciata è identica a quella trovata e quindi una zuppa calda come la Clam Chouder ci sta sempre bene. Dopo la zuppa andiamo in un internet point per fare il check in on line per il volo di ritorno. In realtà riesco a registrare tutti i dati ma non riesco a scegliere i posti, e dire che è l’unico motivo per cui volevo fare il check in.
Vabbeh, continuiamo il nostro giro per questa città che non ci entusiasma ma che in fondo, almeno a me piace. Spesso si leggono racconti di gente assolutamente entusiasta di SF. A noi in realtà piace ma non più di altre città.
Approfittiamo per fare gli acquisti degli ultimi regali, tenendo proprio conto che SF è così amata, sicuramente verranno apprezzati i regali comprati qui, con il logo SF.
Completiamo la nostra giornata cenando in un locale che avevo sentito nominare e di cui avevo letto nei tanti racconti presi dai vari siti nei mesi/anni spesi a preparare il mitico viaggio: Hooters.
Questo locale è così organizzato: cameriere poco vestite e disinibite, mangiare fritto o alla griglia e piccante, tv in ogni dove su cui viene proiettato solo sport americano. Ora, scritta così sembra un posto per beoti, per maschi privi di cervello e pieni di ormoni. Ed invece vi assicuro, testimone mia moglie, che è un posto da provare. Non c’è niente di squallido o triste, ma, anzi, è un locale molto allegro e le buffalo chicken wings mangiate lì sono le migliori mai mangiate. Con la bocca un pochino in fiamme per quanto sono piccanti, ma felice, ci incamminiamo per la luuuuunga passeggiata che ci porterà sino a Union Square ed il nostro hotel. Io intanto continuo a non capire questa città, con i suoi continui avvallamenti ha messo fuori uso il mio servizio interno di navigazione e orientamento.
Grazie a Faby riusciamo ad arrivare al nostro hotel.
Colazione al Cedar Lodge: 2.87$ Subway: 5.99$ Clam Choulder: 10.30$ Pedaggio Bay Bridge: 3.00$ Cena da Hooters a San Francisco: 29.56$
27 AGOSTO 2005 –SAN FRANCISO/MILANO (San Francisco) Prima del volo di ritorno abbiamo abbastanza tempo per poter fare ancora un ampio giro a SF. Abbiamo talmente studiato questa vacanza, da aver prenotato il volo anche in funzione degli orari in modo da arrivare presto e partire tardi.
Andiamo a visitare Chinatown, che avevamo visitato poco all’inizio, approfittando inoltre per pranzare in un ristorante cinese. Insomma non sarà la Cina, ma poco ci manca. A Chinatown compriamo inoltre gli ultimissimi regali.
Salutiamo idealmente questa città con i suoi pro ed i suoi contro, e salutiamo soprattutto gli Stati Uniti, che si sono rivelati più che all’altezza delle nostre aspettative regalandoci tanti di quegli Istanti importanti nella vita, anzi fondamento della vita come dice Borges.
O almeno, crediamo di salutare in quanto, arrivati in aeroporto al check in ci viene detto che non possiamo partire perché siamo in overbooking. Prima ancora che possa aprire bocca per insultarla, la hostess, leggendo sul pc, si accorge che io ho già fatto il check in via internet e mi dice che quindi ho diritto a partire. Se non avessi fatto quella registrazione, che mi sembrava inutile visto che non ho potuto scegliere i posti, sarei rimasto sicuramente a terra. Per convincermi a restare, la hostess mi offre comunque 700 dollari per un giorno in più a SF. Guardo Faby che vuole andare a casa e penso che anche io vorrei andare a casa o che comunque, insomma, sono già entrato nell’ordine di idee che la vacanza è finita. E si è chiusa bene, perché rischiare di essere poi posti alla mercè della compagnia aerea, facendo poi magari un viaggio allucinante. Declino quindi il lucroso invito e ci imbarchiamo.
Sull’aereo siamo su due file diverse, al centro della fila da tre. Altro che scegliere il proprio posto. Non dormiamo per niente e, a causa del fatto che le hostess, nonostante fuori ci sia il sole ci costringono a tenere abbassate le tendine, ci facciamo due occhi così guardando i film sul nostro monitor. Se non altro faccio amicizia con l’olandese di fianco a me, con il quale condivido la passione per gli alcolici e, alla faccia dei mormoni, ci scoliamo parecchie bottigline di vino e bicchieri di superalcolici.
L’aereo atterra a Malpensa e torniamo a casina nostra. Non voglio essere melanconico o esasperato, ma davvero un viaggio come quello che abbiamo fatto ti lascia dentro qualcosa, ti regala qualcosa che entra a far parte di te.
Spero vi possa essere utile questo racconto per costruire il vostro viaggio. Purtroppo la perizia nei particolari l’ho persa man mano scrivendo questo racconto, scritto nell’arco di più di due anni, a causa di mille problemi, con la conseguenza che la memoria di molti avvenimenti è scomparsa e che se avessi continuato ad essere così preciso forse non lo avrei mai finito. Spero vi possa essere utile lo stesso. Bart San Francisco: 5$ Pranzo a Chinatown: 15.39$
…E, visto che avete avuto la pazienza, avete diritto a contattarmi alla mia mail e, perché no, a chiedermi la raccolta dei consigli di cui facevo cenno all’inizio.
PAOLO ZAMBIANCHI p.Zambianchi@libero.It