Yellowstone, parchi, matrimonio a Las Vegas e San Francisco

On the road tra i più bei parchi nazionali degli USA, poi a Las Vegas per sposarsi e festeggiare a Los Angeles e San Francisco
Scritto da: Gregorio Grasselli
yellowstone, parchi, matrimonio a las vegas e san francisco
Partenza il: 02/08/2010
Ritorno il: 23/08/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Itinerario *

Lu 2 agosto: Venezia – Salt Lake City UT * Ma 3 agosto: Salt Lake City – West Yellowstone MO * Me 4 agosto: Yellowstone WY * Gi 5 agosto: Yellowstone WY * Ve 6 agosto: Yellowstone – Teton Village WY * Sa 7 agosto: Teton Village – Cokeville WY * Do 8 agosto: Cokeville – Arches – Moab UT * Lu 9 agosto: Moab – Arches – Canyonlands – Monticello UT * Ma 10 agosto: Monticello – Natural Bridges – Monument Valley – Grand Canyon AZ * Me 11 agosto: Grand Canyon – Page AZ * Gi 12 agosto: Page – Horseshoe Bend – Antelope Canyon – Hatch UT * Ve 13 agosto: Bryce Canyon UT * Sa 14 agosto: Hatch – Zion Canyon UT – Hurricane UT * Do 15 agosto: Hurricane – Death Valley CA – Las Vegas NV * Lu 16 agosto: Las Vegas NV * Ma 17 agosto: Las Vegas NV * Me 18 agosto: Las Vegas – Los Angeles CA * Gi 19 agosto: Los Angeles – Universal Studios – San Francisco CA * Ve 20 agosto: San Francisco CA * Sa 21 agosto: San Francisco CA * Do 22 agosto: San Francisco CA * Lu 23 – Ma 24 agosto: San Francisco – Venezia

La preparazione

Abbiamo cominciato a pensare al viaggio a gennaio. Dopo aver letto la Rough Guide degli Stati Uniti Occidentali, abbiamo confrontato i vari itinerari del sito turistipercaso.it per farci un’idea sul gradimento delle diverse zone e sui tempi di viaggio e di visita. Inizialmente l’intenzione era partire da San Francisco e passare dallo Yosemite Park, ma abbiamo scoperto che in agosto le famose cascate del parco sono secche, per cui abbiamo deciso di visitare lo Yellowstone e lasciarci lo Yosemite per un’altra volta. Il volo Iberia che abbiamo trovato da Venezia (su Expedia.com) per €790 a testa non è molto comodo (2 scali, 19 ore di viaggio) ma ci porterà a Salt Lake City, abbastanza vicino a Yellowstone. In realtà ci sono piccoli aereoporti praticamente ovunque negli Stati Uniti, ma solo in uno grande potremo noleggiare un’auto da lasciare poi in un’altra città. Compriamo il biglietto il 5 febbraio. Nel prezzo è compresa anche l’assicurazione medica, assolutamente necessaria negli USA. La ricerca di un’auto “a lasciare” non è facile, ma alla fine la troviamo su Economycarrentals.com. Questo sito come altri abbatte i costi noleggiando gruppi di auto dalle compagnie principali ed ottenendo così forti sconti. E’ l’unico però che offre di base tutte le assicurazioni necessarie. Scegliamo un’auto compatta, per avere abbastanza spazio nel bagagliaio per le nostre due valigie più la classica scatola-frigorifero di polistirolo. L’auto viene €713 per 13 giorni, da Salt Lake City a Las Vegas con guidatore aggiuntivo. Anche gli hotel sono tutti prenotati entro maggio.

Lunedì 2 agosto – Venezia – Salt Lake City UT

Partenza alle 7.45 da Venezia, scali a Madrid e a Chicago. Un mese prima del volo veniamo informati che lo scalo a Chicago si è allungato a 5 ore e mezza. Non sarebbe poi male approfittarne per fare una visitina alla città: con la metropolitana ci vogliono circa 40 minuti per arrivare in centro. Peccato che a Chicago, fatti tutti i controlli per l’ingresso negli USA, riconsegnate le valigie alla compagnia aerea interna, e raggiunto l’ingresso per la metropolitana nel vastissimo aereoporto O’Hare, scopriamo che per fare il biglietto non ci sono che macchinette automatiche che non danno resto, in una zona priva di qualsiasi negozio. Noi ovviamente abbiamo solo le banconote di grosso taglio che ci siamo portati dall’Italia! Per prudenza, rinunciamo con rabbia e ci avviamo ai controlli di sicurezza per prendere l’ultimo aereo. Arrivati a Salt Lake City, ora locale 22.15, ritiriamo l’auto allo sportello della Alamo, è una Honda Civic 1.9 targata New York con cambio automatico e Cruise Control, una funzione comodissima che ci risparmierà un sacco di fatica con i rigidi limiti di velocità statunitensi. Ci dirigiamo stanchi al nostro primo motel, subito fuori dell’aereoporto. Le strade sono enormi e ci troviamo spaesati agli incroci. Abbiamo con noi le mappe stampate in Italia con la posizione di tutti gli hotel prenotati, da Google Maps. E la mappa ci spedisce sulla highway, facendoci percorrere miglia prima di trovare un’uscita da cui tornare indietro! Nei giorni successivi per fortuna impareremo a destreggiarci con le strade americane e potremo prevenire questi disguidi. Ed eccoci finalmente al nostro Motel6 (52$), così tipico che ci sembra di trovarci in un parco a tema! Dopo esserci registrati alla reception, parcheggiamo davanti alla porta della nostra camera e ci buttiamo a letto.

Martedì 3 agosto – Salt Lake City – West Yellowstone MO

Con l’aiuto del jet lag, ci alziamo alle 7.00 e ci prepariamo al viaggio che ci porterà a Yellowstone. Prima tappa un supermercato dove fare provviste. Localizzato anche questo con Google maps, scopriamo che è una sorta di enorme discount, con scaffali altissimi pieni di merce coloratissima. Incredibili le confezioni giganti di mirtilli e lamponi per 3 dollari! Con il nostro carico di frutta, dolci e acqua nel bagagliaio (abbiamo sentito che in tanti stati degli USA è vietato tenere cibo nell’abitacolo dell’auto – poi in realtà non abbiamo mai trovato conferma di questo) partiamo verso nord e, attraversando lo Utah e l’Idaho, ci immergiamo negli sconfinati paesaggi americani. Pranziamo in una delle frequenti Rest Area lungo la Highway, attrezzatissima come le altre e con un Visitor Center pieno di brochures che ci saranno utilissime più tardi nel parco. A metà pomeriggio arriviamo a West Yellowstone, lasciamo le valigie al Pony Espress Motel (170$ per tre notti) che si trova proprio al confine tra il villaggio e il parco e ripartiamo alla volta dell’ingresso. Acquistiamo il Pass annuale ($80 per automobile, valido per entrare in tutti i parchi nazionali), riceviamo la mappa del parco e ci dirigiamo subito verso l’Old Faithful: contiamo di visitare la zona finché c’è luce e vedere il resto nei giorni successivi. Subito sperimentiamo una caratteristica del traffico di Yellowstone: se c’è un animale in vista le automobili si fermano per osservarlo e ci si imbottiglia. In questo caso si tratta di due bellissimi wapiti (cervo canadese) che risalgono il fiume alla nostra destra. Trascorse 30 miglia a 45Mph, il limite di velocità del parco, scopriamo di aver mancato per poco una delle eruzioni del famoso geyser. L’ora di ogni eruzione viene calcolata in base alla potenza di quella precedente e viene affissa al centro visitatori. Vedendo che ci manca ancora più di un’ora alla successiva, decidiamo di visitare il bacino di geyser più vicino, il Black Sand Basin, e poi tornare. Già quel bacino si rivela fantastico e ci fa scattare foto su foto, con tutte le sue sorgenti coloratissime e i laghi fumanti. Torniamo all’Old Faithful e ci sediamo in mezzo a centinaia di persone in attesa. Purtroppo l’eruzione questa volta è piccolina e abbastanza deludente. Poco male: il bacino contiene decine di geyser e l’Old Faithful è quasi il meno interessante. C’è il Castle che sembra un vulcano ed ha un gran pennacchio permanente, ci sono formazioni calcaree di tutti i tipi ed ogni fonte ha un nome particolare (come lo Spasmodic Geyser). Quando finiamo il giro, l’Old Faithful sta eruttando di nuovo e questa volta si tratta di una dignitosa colonna d’acqua bollente! Ormai siamo al tramonto e torniamo al motel. A West Yellowstone i posti per mangiare non mancano ma la maggior parte chiude alle 22. Facciamo appena in tempo a prendere il tipico pollo fritto al Kentucky Fried Chicken e ce lo mangiamo in camera: niente male!

Mercoledì 4 agosto – Yellowstone WY

Ci alziamo e andiamo a fare colazione nel posto più rinomato di West Yellowstone (secondo i visitatori di Tripadvisor.com): il Running Bear. Sono le 8 e troviamo subito posto: in capo a mezz’ora il locale sarà strapieno, anche con tanti pittoreschi bikers. Uova e pancetta con French toast per Nadia, Hungry Bear per Greg: 4 pancakes enormi, per di più ordinati con gocce di cioccolato e panna (senza contare la pallina di burro sopra che si presenterà in ogni pancake house!). Decisamente per questa volta il passo è stato più lungo della gamba. Facciamo onore anche al caffè lungo, che con il free refill ci serviamo tre volte. Paghiamo 25$ e carichi di energia ci accingiamo a percorrere uno dei due loop del parco, quello meridionale. Visitiamo i vari viewpoint lungo la strada, ripromettendoci di fare un giorno anche un Trail, cioè un percorso panoramico a piedi. Dal parcheggio di uno dei viewpoint vediamo i nostri primi bisonti, che brucano tranquillamente a un centinaio di metri da noi. Li fotografiamo stando molto all’erta perché secondo il giornale del parco ogni anno una ventina di persone viene incornata dai bisonti! La cosa incredibile qui è che ad ogni bacino di geyser vediamo nuove espressioni artistiche della natura: miscele di colori, fanghi ribollenti, buchi ululanti, rocce spugnose… Facciamo tardissimo: è ora di pranzo passata e ci mancano ancora ¾ del loop. Oltrepassiamo a sinistra l’Old Faithful e ci fermiamo un attimo al Continental Divide, dove un laghetto ricoperto di ninfee (ahimé, fioriscono al tramonto!) vede la sua acqua sfociare da un lato nell’Atlantico e dall’altro nel Pacifico. Saltiamo il West Thumb Basin, visto che ci ripasseremo venerdì, e ammiriamo lo Yellowstone Lake, saltando i porti turistici. Piccola pausa forzata per tre wapiti che brucano, poi c’è una lunga coda: il giornale non parla di lavori in corso nella zona, che ci sia stato un incidente? Dopo un quarto d’ora scopriamo l’inghippo: un bisonte ha deciso che la strada asfaltata è molto comoda da percorrere e gli automobilisti, incantati, si fermano a guardarlo dal finestrino. Lo abbiamo passato da poco quando arriva un’auto dei ranger che con un gra-gra fastidioso lo convince a rientrare nei campi! Facciamo tappa al Mud Volcano, dove respiriamo ancora la salutare aria sulfurea che ormai ci sta liberando i polmoni dallo smog di casa. Proseguiamo lungo la strada entrando nella Hayden Valley, sono le 18.30 e c’è di nuovo una coda! Dopo qualche minuto scopriamo il perché: un’intera mandria di bufali sta attraversando la strada poco a poco per guadare il fiume e andare a dormire in mezzo ai boschi! È un’esperienza incredibile, e lasciando il posto ci rendiamo anche conto di avere avuto un sacco di fortuna: potevamo passare di lì qualche minuto più tardi e avremmo fatto un’ora di coda senza vedere un solo bufalo, come le auto della corsia opposta che stiamo incrociando ora. Ci manca lo Yellowstone Canyon e speriamo di avere ancora sole a sufficienza. Ci dirigiamo subito al viewpoint dal nome più strano: Artist Point. La ragione del nome si rivela appena siamo là: sembra un panorama dipinto, con tutte le sfumature al posto giusto e a 360 gradi! Praticamente ogni foto viene un capolavoro. Bisogna anche dire che abbiamo avuto fortuna ad arrivarci a quest’ora: le ore centrali del giorno hanno la luce peggiore per le foto. Ci godiamo gli altri viewpoint ma il buio ci sorprende a metà del percorso. Poco male, siamo vicini al loop settentrionale e ripasseremo di qui domani. Prima del buio totale però un’altra sorpresa ci attende: un orso bruno ha da poco attraversato la strada (questa è la loro ora per uscire, quando fa meno caldo) e si sta dirigendo verso il bosco. Dall’ingorgo in strada lo vediamo distintamente; niente male considerato che è l’animale più difficile da osservare secondo il giornale del parco. Arrivati a West Yellowstone proviamo una pizza americana e a letto!

Giovedì 5 agosto – Yellowstone WY

Colazione al Running Bear, questa volta pancakes normali per provarli con il classico sciroppo d’acero, poi giretto esplorativo di West Yellowstone. Facciamo benzina e ci rendiamo conto per la prima volta che alcuni distributori automatici non accettano la debit card, ossia il bancomat. In effetti scopriremo che solo nei grandi supermercati si può essere sicuri che funzioni, altrove bisogna avere i contanti o la carta di credito. Per fortuna, praticamente ovunque dentro negozi, ristoranti, alberghi e distributori ci sono degli ATM (grandi quanto un armadietto) per prelevare denaro. Non deve stupire, visto che per ogni prelievo caricano commissioni che vanno da 1 a 5 dollari a seconda della società che li gestisce; i più economici sembrano essere quelli delle banche. Partenza per il parco: prima tappa le Artists Paintpots, una serie di pozze di fango dai vari colori, e il Norris Basin. A dire il vero, qui il lato sulfureo del parco ha ormai poco di nuovo da offrire e passiamo oltre in fretta. Andando verso nord, il parco cambia volto: il paesaggio boscoso si apre e rivela alte montagne e ampie vallate, finché arriviamo alle Mammoth Springs: le sorgenti vulcaniche qui sgorgano sul fianco di una montagna e i loro depositi calcarei scendendo a valle hanno formato una serie di incredibili terrazze bianche e colorate. Completando il loop fiancheggiamo lo Yellowstone River che ad ogni viewpoint regala paesaggi fantastici tra serpentine, cascate e canyons in mezzo alle montagne. Con le ultime ore di luce finiamo i viewpoints sullo Yellowstone Canyon, assistendo ad una frana in diretta sul versante opposto, con tanto di pini abbattuti e trascinati nel fiume. A quanto pare, qui ci sono tantissime mini scosse telluriche e il viewpoint dove siamo ora è già crollato indietreggiando di un centinaio di metri nel 1991. Torniamo a West Yellowstone e dedichiamo un paio d’ore al bucato: il motel dispone di lavatrici e asciugatrici a gettone che risalgono agli anni ’50. Sei apparecchi su dieci sono “out of order” e quindi c’è la coda, ma quelli che funzionano lo fanno molto bene e richiedono solo 5 quarti di dollaro. Le lavanderie dei prossimi giorni saranno molto più care. Durante il lavaggio continuiamo a studiare le brochures. Ecco però che la nostra asciugatrice non ha asciugato nulla: facciamo tardi per rifare il ciclo nell’ultima funzionante e per cena siamo di nuovo costretti a ricorrere al pollo fritto. Buono ma diciamo che per questa vacanza ne abbiamo avuto abbastanza.

Venerdì 6 agosto – Yellowstone – Teton Village WY

Ultima colazione al Running Bear. Ci mancherà. Paghiamo il motel ed entriamo per l’ultima volta nel parco, che attraverseremo dirigendoci a sud verso il Teton Park. Visitiamo alcuni geyser che avevamo saltato, e ci accingiamo a percorrere il nostro primo trail, che ci porterà alle Fairy Falls. All’imbocco di ogni trail c’è una mappa che indica i percorsi possibili e la loro lunghezza. Le cascate sono il punto più vicino: 2,5 miglia ovvero circa 8 Km tra andata e ritorno. In realtà si tratterà di una camminata interminabile, principalmente perché monotona. Passiamo in mezzo al bosco che sta ricrescendo dopo l’incendio del 1988 e tutto intorno è desolazione di tronchi privi di corteccia, con alberi giovani alti non più di due metri. Il sole picchia, e per fortuna abbiamo sempre con noi acqua e integratori salini (ne consumeremo un sacco in questa vacanza). Le cascate sono una bella ricompensa, con il loro laghetto ghiacciato in cui riposiamo i piedi. Torniamo in macchina e proseguiamo verso sud. Passiamo velocemente dal West Thumb, che consiste in fonti sulfuree a pochi passi dal lago. Il vento forte ci fa andare via subito, ed entriamo nel Teton Park con la pioggia. Il Teton park è molto diverso dallo Yellowstone. Per cominciare, al suo interno ha diversi ranch privati, che offrono anche alloggio. Si vedono quindi meno animali selvatici e più animali domestici. Inoltre, il paesaggio è dominato ovunque dalle cime aspre e innevate del Grand Teton e della sua catena montuosa, che ricorda molto le nostre Alpi. Scendiamo lungo il Jackson Lake e poi lungo lo Snake River e abbiamo sempre queste montagne sulla destra. Per la strada ci fermiamo giusto al primo visitor center per prendere la mappa del parco, poi alla Cunningham Cabin (una storica casa del west fatta di tronchi) e sullo Snake in una zona che scopriamo essere il punto di partenza per il rafting. Arriviamo a Jackson Hole: le vie principali sono in pieno stile western, con portici in legno di diversi colori. Sembra proprio un parco a tema, tanto più quando si guardano i vicoli posteriori che hanno invece un aspetto del tutto cementizio. Nella piazza centrale, quattro archi sono fatti completamente di corna cadute ai wapiti. In uno dei tanti negozi compriamo dei cappelli a tesa larga stile cowboy che ci saranno indispensabili nei parchi assolati dei prossimi giorni. È quasi sera, e andiamo a cenare in un altro posto apprezzato dagli utenti di tripadvisor.com, il Betty Rock Café. Ahimè, peccato che tutti i saloon del centro ci abbiano messo voglia di grossi pezzi di carne alla griglia: questo è un locale molto carino ma nel menù ci sono solo sandwich. Prendiamo la macchina e ci dirigiamo al Teton Village. Qui scopriamo la bizzarria del parco: guidiamo praticamente sempre in piano, e in un attimo ci troviamo in un paese di montagna, ai piedi del Teton e a un passo dalle sciovie. Oggi dormiamo a “The Hostel” (89$), una costruzione a tre piani completamente in legno dentro e fuori! È organizzata come un vero ostello e ha una zona comune con giochi, libri, bevande… peccato che siamo così stanchi che non diamo nemmeno un’occhiata! Siamo al terzo piano, scale e corridoi sono esterni e così da fuori entriamo direttamente nella nostra stanza.

Sabato 7 agosto – Teton Village – Cokeville WY

Come usciamo dalla camera, vediamo volare i parapendii davanti a noi. Un’altra bella colazione americana mentre i vestiti girano nella lavanderia, e partiamo alla volta del Jenny Lake. Siamo un po’ preoccupati perché la strada diretta (quella cioè che non ci fa passare di nuovo da Jackson Hole) non è asfaltata. In realtà, anche con la nostra auto “normale” è fattibile, anche se bisogna andare a circa 10Km/h per via delle buche enormi. Arrivati al lago, prendiamo la barca-traghetto per arrivare al Trail che parte dall’altra sponda. Il Trail esteso in realtà prevede anche il sentiero che gira tutto attorno al lago, ma vogliamo risparmiarci per i prossimi giorni. Prima della traversata, il pilota istruisce tutti sulle procedure di sicurezza, come se fossimo su un aereo. Sbarcati al piccolo molo, comincia la salita. Il Grand Teton incombe su di noi con la sua cima innevata, mentre attraversiamo torrenti e costeggiamo cascate. In capo a un’ora siamo all’obiettivo che ci eravamo prefissati: un alto promontorio da cui si gode la vista di tutto il lago. Scoiattoli chipmunks gironzolano e si fanno fotografare, rimpinzati dai turisti nonostante le diffide scritte praticamente ovunque. Ridiscendiamo, riattraversiamo il lago e in auto torniamo sulla statale: passiamo a Jackson Hole per cercare un nuovo paio di scarpe (quelle portate dall’Italia si sono o disfatte o rivelate dannose) e come tutti i turisti, credo, restiamo sconvolti dai bassi prezzi esposti nei grandi magazzini. È ormai pomeriggio, e partiamo per fare il primo tratto della lunga traversata che ci porterà ai parchi dello Utah. Nelle tre ore successive attraversiamo la maestosa Bridger National Forest e poi le piane del Wyoming ricche di ranch e fattorie. Ci fermiamo per cena ad Afton, dove approfittiamo dell’offerta del sabato di un ristorante: Prime Rib a 19$. Si tratta di un pezzo di carne enorme da immergere pezzo per pezzo nell’acclusa vaschettina di sugo, con una montagna di patatine. Con lo stomaco teso guidiamo fino all’albergo di stanotte: l’Hideout Motel di Cokeville (55$). Gestito da una famiglia, economico, le sue stanze sono perfino a tema cowboy o indiani. Nella nostra c’è un enorme acchiappasogni e due giganteschi letti ricoperti da una trapunta-patchwork di jeans. Fuori c’è un vero teepee contenente una vasca idromassaggio e altri elementi indiani.

Domenica 8 agosto – Cokeville – Arches – Moab UT

È giunto il giorno della grande traversata. Una veloce colazione alla stazione di servizio, salutiamo la padrona del motel e partiamo alla volta dello Utah. Il territorio cambia gradualmente, le foreste si diradano e spuntano le rocce rosse. Gli Information Center lungo l’autostrada sono sempre piazzati nei punti più panoramici, e il primo in effetti si affaccia su enormi spuntoni di roccia rossa stratificata, macchiati di alberi, che sovrastano una ferrovia a binario singolo. Superiamo Salt Lake City e il paesaggio si fa sempre più brullo, mentre aumentano le formazioni rocciose dagli sbalzi di decine di metri. Le soste su questa lunga strada sono davvero rinfrancanti. Sono ormai le 18.00 quando ci troviamo all’entrata dell’Arches National Park, e abbiamo proprio voglia di sgranchirci le gambe ammirando le rocce accese dal rosso del tramonto. Già le prime in effetti ci tolgono il fiato e ci costringono a fermare l’auto a più riprese per fotografarle, pur sapendo che il vero spettacolo deve ancora venire. Evitiamo per ora i trail (il primo si chiama “Park Avenue” e passa in mezzo a due skyline di rocce verticali come grattacieli) e ci concentriamo sui viewpoint. Arches si è formato dallo scioglimento degli strati di sale contenuti nelle rocce sedimentarie, che ne ha causato il crollo discontinuo. Spesso la roccia più in basso crolla e quella in alto regge, formando un arco. Il processo continua tuttora, il famoso Lanscape Arch ha perso un pezzo nel 1991 (e il crollo è stato filmato in diretta da un turista!). Dopo aver viaggiato in mezzo ad occhi che si aprono nelle pareti di roccia e a pinnacoli piuttosto allusivi, ci accostiamo all’incredibile Balanced Rock, un masso gigantesco appollaiato in cima ad un mucchio di sassi, la parte più piccola appoggiata e quella più grande sospesa nel vuoto. E i turisti ci si arrampicano per farsi fotografare! Più avanti un sentiero porta proprio negli occhi di cui sopra, le “Windows”. Le tipiche “pinne” rocciose di questo parco, pareti sottili alte decine di metri, hanno aperto qua e là queste finestre che potrebbero contenere una casa, e che sono punteggiate di gente. La luce sta ormai scemando, tentiamo di arrivare al Delicate Arch che la guida descrive come affollatissimo al tramonto, ma lo si raggiunge solo con un trail e ormai è troppo tardi. Andiamo a prendere possesso della nostra camera all’Adventure Inn di Moab (85$) e mangiamo al Pizza Hut. Niente a che vedere con una pizza italiana, ma è buona. Non ci sono pizze predefinite, ma una lista di ingredienti che ognuno può combinare come vuole. Ricordate: “Pepperoni” non vuol dire peperoni, ma salamino piccante! Ci portiamo via le fette avanzate e andiamo a dormire.

Lunedì 9 agosto – Moab – Arches – Canyonlands – Monticello UT

Sveglia prestissimo: abbiamo deciso di fare il trail del Devil’s Garden, lungo ma con tantissimi archi, e vogliamo evitare il sole più caldo. Colazione a base di pizza e via (la colazione del motel non è neanche aperta a quest’ora)! Siamo equipaggiati, soprattutto con acqua in quantità. Guidiamo fino in fondo al parco e ci incamminiamo; torneremo all’auto dopo cinque ore. Vediamo un sacco di archi percorrendo non solo sentieri ma anche le creste delle “pinne” (ammiriamo sulla destra un canyon scavato proprio di traverso alle pinne, sulla sinistra un’ampia vallata), e decidiamo di non tornare per la stessa strada, secondo il principio che annoiandoci ci stancheremmo di più che con una camminata extra. Imbocchiamo allora il Primitive Trail, meno comodo e con qualche arrampicata in più, che ci porta sul fondo del canyon guidati solo dai pinnacoletti di sassi costruiti dai ranger. Camminiamo in mezzo alle pinne e sul fondo secco di un torrente, uno spettacolo entusiasmante. Appena ci troviamo di nuovo sul sentiero dell’andata, di fronte a Lanscape Arch già visto, la meraviglia cala e le gambe in effetti cedono. Abbiamo faticato abbastanza, ci fermiamo giusto davanti al Delicate Arch ma lo fotografiamo da lontano. Ci rifocilliamo a Moab, nel fresco di un internet café. Approfittiamo per verificare se qualcuna delle persone del CouchSurfing contattate per Los Angeles ci ha risposto, ma non avendo nessuna certezza decidiamo di prenotare un hotel ai piedi di Hollywood. Ripartiamo per Canyonlands. In realtà vedremo solo la sezione “Island in the sky”, un enorme altopiano che domina i canyon dall’alto. Salteremo “The Maze”, la sezione senza strade in cui è ambientato il film “127 ore” e “The Needles” che ha un ingresso molti chilometri più a sud. L’esperienza di “Arches”, a stretto contatto con le rocce rosse, non può essere eguagliata da questo posto, pur stupendo, in cui le rocce si guardano da lontano, lontanissimo. In effetti sembra davvero di starsene sul bordo di un’isola volante che sorvola queste centinaia di canyon scavati nella pianura. Torniamo a Moab per un’altra tappa in lavanderia (qui costa decisamente di più) mentre ci mangiamo dei panini fatti da noi, quindi ci dirigiamo al nostro prossimo motel, a Blanding. La strada ormai è molto buia, e resistere al sonno per un’altra ora è duro. Arriviamo poco prima delle 11, e scopriamo che il Four Corners Inn ha dato via la nostra camera! La giustificazione è che la prenotazione non era stata fatta con la carta di credito. D’accordo, se la regola è quella staremo più attenti nei giorni successivi, intanto la receptionist mortificata fa delle telefonate e scopre che a Blanding non ci sono più hotel con camere. Ce ne trova una a Monticello, mezz’ora di strada più indietro! Arriviamo all’hotel, che non è male: una stella in più e la camera (la receptionist si preoccupa del fatto che non sia al piano terra!) costa anche poco (70$) perché presa dopo le 23.

Martedì 10 agosto – Monticello – Natural Bridges – Monument Valley – Grand Canyon AZ

Una veloce nuotata nella piscina coperta dell’hotel, colazione e partiamo. Stasera dovremo essere al Grand Canyon! Passiamo per il Natural Bridges National Monument. Anche qui ci sono enormi archi naturali, ma sono stati scavati dai meandri di un fiume, in roccia molto più compatta. Due li osserviamo dall’alto (prevedono trail molto lunghi), l’Owachomo Bridge invece scendiamo a vederlo da sotto. È lunghissimo e completamente dritto, un ponte di Brooklin naturale. Peccato che sia presente anche una famiglia che schiamazza fastidiosamente (italiani, cos’altro!). Lasciamo il parco e ci aspetta una bella sorpresa. Ci dirigiamo verso la Monument Valley, ma da qui ci conviene fare la statale 261 (da Blanding avremmo preso la 191). Attraversiamo la macchia brulla, e ci sono cartelli che avvisano i camion di tornare indietro… ad un certo punto capiamo perché: la piana che abbiamo percorso fino a quel momento finisce bruscamente con uno scalino alto centinaia di metri! Là sotto c’è la Valley of the Gods, e per arrivarci c’è una stradina sterrata tutta tornanti. Il panorama però è impagabile, e siamo tutti contenti! Scesi dallo “scalino” proseguiamo trovandoci di fronte una roccia piatta in bilico su uno spuntone: è la famosa “Mexican Hat” che ha dato il nome al villaggio vicino. Eccoci alla Monument, con i suoi paesaggi inconfondibili! Il traffico è così scarso che ci azzardiamo a fare una foto in piedi in mezzo alla strada, nell’esatta posizione in cui Forrest Gump si dichiara “un po’ stanchino”. Guidiamo girando la testa da ogni parte fino al parco, gestito dai Navajo. Decidiamo che non c’è tempo per fare il tour interno sul camioncino, e farlo in auto non è proponibile: dalla terrazza panoramica del centro visitatori vediamo le code che provocano certe auto sportive che procedono a 5 all’ora per non frantumarsi nelle buche della stradina sterrata. Ci limitiamo a visitare il centro visitatori e alle 17.00 ripartiamo alla volta del Grand Canyon. Lungo la strada costeggiamo un’enorme montagna solitaria di roccia verde scuro (l’Agathla Peak, inquietante), di fronte ad un gufo (l’Owl Rock) appollaiato su una terrazza. Per un po’ piove (è da notare che questo cosiddetto deserto è ricchissimo di verde a dispetto dell’idea che se ne ha di solito). Passando dalla riserva Navajo all’Arizona, entra in vigore l’ora legale, così guadagnamo un’ora. La strada da fare tuttavia non finisce mai. All’ingresso del parco del Grand Canyon comincia un tratto di lavori in corso e procediamo lentissimi sull’asfalto fresco. Arriviamo al primo Viewpoint sul canyon, il Navajo Point, alle 19 locali, giusto in tempo per fare le foto del tramonto, spettacolarissime. Nel buio raggiungiamo il Grand Canyon Village dove abbiamo prenotato una notte al Bright Angel Lodge (85$). Questa struttura era usata dai ranger ed è stata trasformata in un hotel. Dai resoconti online avevamo capito che si trattasse solo di capanni, ognuno separato dagli altri, che davano direttamente sul canyon. La nostra camera invece è all’interno di una struttura più grossa, con docce in comune. In ogni caso è completamente in legno e il ciglio del burrone è pochi metri più fuori. Da sottolineare il fatto che ci sono pochissime luci all’esterno, e il canyon si percepisce solo col pensiero mentre le stelle brillano incontaminate interrotte solo da un lontano orizzonte. Ceniamo nel ristorante “El Tovar” e ci fiondiamo a letto, mettendo la sveglia prestissimo per vedere l’alba dallo Yavapai Point.

Mercoledì 11 agosto – Grand Canyon – Horseshoe Bend – Page AZ

Prima di tutto andiamo a vedere l’alba (sono le 6 di mattina), catturando con le foto una calda luce di taglio che non vedremo più nel corso della giornata. Poi andiamo a fare colazione a “El Tovar”. Quindi carichiamo le valigie in macchina, telefoniamo al motel di stasera per confermare il nostro arrivo (non è prenotato con carta di credito) e ci apprestiamo a fare il West Rim Drive, un percorso che costeggia il ciglio del canyon e che è servito da un bus gratuito che ferma ai principali viewpoint. Facciamo a piedi i tratti meno lunghi, guardando dritti nello strapiombo, e prendiamo il bus per quelli più faticosi, e comunque tutto questo ci richiede tre ore. Fare il trail che porta in fondo al canyon richiederebbe in teoria una giornata per scendere e una per salire, con un’escursione termica notevole (si scende dai 2100 ai 700 metri di altitudine!). Siamo così soddisfatti e stanchi che, uscendo dal parco, non ci fermiamo nemmeno ai viewpoint che avevamo costeggiato la sera prima nel buio. Ma gli spettacoli non sono finiti: stiamo andando verso Page sulla US-89 e sulla nostra destra si alza una parete di roccia rossa altissima. Ricorda quella che abbiamo sceso il giorno prima, ma questa la costeggiamo per chilometri con alla sinistra la verde valle del fiume Colorado, davanti il cielo blu e bianco e sotto la strada nera. Improvvisamente la strada scarta a destra e oltrepassa lo scalino. Siamo vicini a Page, dove il Colorado è stato imprigionato nel lago artificiale Powell. Poco prima di Page però c’è lo Horseshoe Bend: partendo da un parcheggio terroso si oltrepassa una collina e nel terreno si apre un’enorme ferita profondissima e rotonda. Qui il Colorado ha scavato una strettissima ansa, e dal bordo senza alcun parapetto ci si gode questa struttura pazzesca, mentre sul fiume blu e verde in fondo sfrecciano le barchette bianche. Entriamo a Page e costeggiamo un numero impressionante di chiese, ognuna dedicata a un credo diverso. Il motel che abbiamo scelto via Internet è il “Bashful Bob’s Motel” (55$) e Bob è un vecchietto fantastico che con i suoi trecento anni sulle spalle spara battute a raffica. Ci dà le chiavi dell’edificio n.1 che rivela essere il suo ex appartamento, quindi se troviamo le sue camicie nell’armadio ci dice che possiamo anche usarle! L’appartamento è fornito anche di cucina con classica macchina da caffè americano, e davanti alla TV c’è la storica poltrona in pelle con foro portabicchierone nel bracciolo! Dedichiamo quel che resta del pomeriggio alla ricerca di un’escursione all’Antelope Canyon per l’indomani. La nostra guida stranamente ne parla poco, e poco abbiamo trovato anche in altri resoconti di viaggi. I depliant però sono molto accattivanti e ci sembra di capire che non ci sia modo di visitare il canyon (riserva Navajo) autonomamente. Le prime telefonate ci scoraggiano: non ci sono più posti e cominciamo a credere che avremmo dovuto prenotare via internet mesi prima. La terza e ultima agenzia (Chief Tsosie) però ha ancora posto. Ci fiondiamo a comprare i biglietti: sono già esauriti quelli attorno a mezzogiorno (le ore più spettacolari in cui i raggi del sole penetrano in verticale nel canyon) e prendiamo dunque quelli delle 15.00. La sera portiamo gli abiti in lavanderia e nel frattempo ceniamo al Fiesta Mexicana Family, un caratteristico fast food locale dove vediamo entrare e uscire famiglie e ragazzini.

Giovedì 12 agosto – Page – Antelope Canyon – Hatch UT

Dedichiamo la prima parte del mattino al riposo, poi passiamo a fare provviste in un megamercato e proviamo ad esplorare la sponda del lago Powell. In realtà non troviamo niente da ammirare, il lago è troppo giovane e le sponde sono ancora nient’altro che il bordo di roccia a cui è arrivata l’acqua. Ci sono solo porticcioli da cui partire in barca, con annessi megaparcheggi per i natanti. Torniamo a Page con il progetto di un picnic in un parco pubblico. Il parco c’è, ed è incredibilmente ben tenuto se si considera che siamo in mezzo al deserto: erba fitta, fresca e verde smeraldo, grandi alberi dalla chioma folta e ombrosa, tavoli e perfino barbecue in attesa di carbonella. Si fa l’ora della visita al canyon. All’agenzia ci sono i pickup attrezzati per portarci all’Antelope. Gli organizzatori raggruppano i turisti per provenienza, e così capitiamo insieme ad un altro gruppo di italiani (ben riconoscibili anche questi…). Già il viaggio in pickup è da raccontare: il navajo guida come se avesse una fretta del diavolo ed in un attimo siamo alla zona recintata fuori città. Non è qua che dobbiamo fermarci però: il pickup risale il letto di un torrente ricoperto di sabbia, e ci sembra di capire che se lo facesse a meno di 70Km/h si arenerebbe. I più fortunati di noi hanno un fazzolettone con cui coprirsi naso e bocca, gli altri masticano sabbia! Eccoci all’imbocco del canyon. Le pareti sembrano scolpite, è una cosa incredibile e varia continuamente per tutti i 200 metri in cui si snoda questa fessura di roccia larga a volte solo 40cm. Il depliant aveva ragione: per fare delle foto decenti serve un cavalletto, o una mano fermissima, perché la luce del giorno quasi non riesce a passare. La guida però ci dà una mano indicandoci alcune inquadrature a cui non avremmo mai pensato, a volte prendendo lui stesso la nostra fotocamera per catturare i giochi di luce nel modo migliore. Arrivati all’uscita dall’altra parte, ci fermiamo un po’ e la guida ci spiega come ogni piena del torrente in cui ci troviamo depositi nel canyon uno strato di sabbia alto 30cm. Attualmente infatti il canyon è piuttosto “basso” perché è pieno di sabbia. Ogni due o tre mesi, però, dopo una decina di piene normali ce n’è una grande che si porta via tutta la sabbia, e questa leviga tutte le pareti del canyon. La guida ci mostra anche una serie di graffiti scolpiti nella roccia: sono stati lasciati da qualche vandalo all’epoca in cui la visita del canyon era libera, e da allora per evitarlo sono obbligatorie le visite guidate. Torniamo al pick-up riattraversando il canyon e, una volta a Page, riprendiamo la macchina mentre una danza Navajo è in corso per i turisti, nel parcheggio della stazione di servizio! Oggi ci sarebbe piaciuto anche visitare il Coyote Buttes, un magnifico paesaggio di rocce striate scoperto così di recente (anni ’90), che ancora non è servito da una vera e propria strada. Siccome però è già a rischio di deterioramento, solo 20 visitatori sono ammessi al giorno: 10 con prenotazione on-line 6 mesi prima e 10 a estrazione tra i presenti la mattina stessa. Quindi siamo fuori tempo massimo. Un’altra cosa che avremmo potuto ammirare nel viaggio fino al prossimo motel sarebbe stato l’Escalante, ma si tratta di chilometri di strada sterrata lungo i torrenti, e non ci piace l’addensarsi di nubi che vediamo, con tanto di abbassamento della luce: sarebbe brutto ritrovarsi impantanati di notte in mezzo al nulla. Restiamo quindi sulla strada principale ed in effetti arriviamo a Hatch che il sole è già tramontato. Nel frattempo l’aria si è fatta fredda: siamo saliti non poco in altitudine. Arriviamo alla Hatch Station (110$ per due notti) giusto un attimo prima di un gruppo di 20 italiani e svizzeri che viaggiano insieme. Per poco non restavamo impantanati nel check-in quindi! Decidiamo di non avventurarci alla ricerca di un ristorante: ce n’è già uno attaccato all’hotel. Peccato che i 20 stiano ordinando tutti insieme e non riescano a mettersi d’accordo! Ci rintaniamo in un angolo arrossendo e facendo finta di essere spagnoli.

Venerdì 13 agosto – Bryce Canyon UT

Per questo e per il prossimo parco la stanchezza accumulata ci giocherà un brutto scherzo: ci alzeremo tardi dal letto e visiteremo il posto nelle ore di maggior luce, con il risultato che tutto ci apparirà “sparato”, piatto e con meno magia. Senza contare che il caldo ci stancherà più velocemente e, stufi e non entusiasmati, ce ne andremo prima che la luce cali. Facciamo colazione al Galaxy, una deliziosa tavola calda in stile anni ’50 tappezzata con foto di Lucille Ball, e partiamo alla volta del parco. Dai viewpoint riconosciamo i paesaggi visti nelle foto: migliaia di pinnacoli di roccia rossa e bianca scavati dal gelo (a questa altitudine in inverno c’è la neve) e strutture a cattedrale gotica totalmente naturali. Siamo diligenti e ci facciamo tutti i viewpoint segnati sulla mappa, salutando i corvi che si lasciano fotografare da vicino sui parapetti, e nonostante la stanchezza ci facciamo solleticare dall’idea di farci un trail in mezzo ai pinnacoli… ma davvero, non ce la facciamo più, e passiamo il resto della giornata a Hatch, nel letto!

Sabato 14 agosto – Hatch – Zion Canyon UT – Hurricane UT

Non rinunciamo ad un’altra colazione al Galaxy. La strada per lo Zion park costeggia colline di roccia con particolarissime spaccature a forma di grandi scacchiere. Arriviamo allo Zion di nuovo nell’ora più calda e luminosa. Parcheggiamo all’imbocco del canyon e prendiamo la navetta gratuita che lo risale costeggiando il fiume che l’ha scavato. Lo strato roccioso del fondo è lo stesso di cui è fatta la cima del Grand Canyon; sopra di noi, quindi, svettano altissimi strati di roccia che ancora non avevamo visto. Come al Bryce, soppesiamo attentamente l’idea di farci un trail che dev’essere davvero bello: l’Angel’s Landing, lassù, in mezzo a montagne rosse e bianche… ma anche questo sarebbe uno strapazzo di troppo. Ci limitiamo a fare il trail che si inoltra nel canyon oltre l’ultima fermata della navetta, senza inoltrarci oltre il punto in cui bisogna attraversare il fiume. Notiamo che in questo punto, dove fanno sosta tutti i turisti, gli scoiattoli sono grassi e ci si avvicinano perfino gonfiando la coda minacciosi per ricevere da mangiare; mentre qualche centinaio di metri prima, dove la gente passa senza fermarsi, sono tutti magri. La mappa del parco riporta la foto di una mano sfregiata dal morso di uno scoiattolo, ricordando che essendo animali selvatici hanno un comportamento imprevedibile. Ciononostante i genitori lasciano che i figli li accarezzino. Lasciamo anche questo parco abbastanza presto e ci dirigiamo verso Hurricane dove il nostro motel Super8 (38$) ha una piscina, che ci godiamo per un paio d’ore. Ceniamo al JB’s che sta di fronte, e per 6 dollari ci serviamo a volontà al banco verdure, frutta e minestre (che per gli americani sarebbero soltanto contorni).

Domenica 15 agosto – Hurricane – Death Valley CA – Las Vegas NV

Si parte per Las Vegas! Il primo obiettivo è il tribunale per fare la licenza di matrimonio. Avvicinandoci alla città, notiamo come l’atmosfera semplice che abbiamo attraversato finora svanisca rapidamente. La stazione di servizio dove ci fermiamo è tetra e poco ospitale, e appena parcheggiamo vicino al tribunale veniamo avvicinati da persone che ci propongono cerimonie matrimoniali. La trafila per la licenza è veloce e in un attimo siamo sulla strada per la Death Valley. Attenzione: sarà un’esperienza stressante per colpa del nostro contratto di autonoleggio. Abbiamo infatti sottoscritto un’offerta che prevede la restituzione dell’auto con serbatoio vuoto, e per questo partiamo giusto con la benzina che stimiamo ci servirà fino alla restituzione di stasera. Strada facendo però la temperatura si fa così alta che l’aria condizionata consuma sempre di più. Facciamo il primo rifornimento nei pressi dell’Area 51, e anche questo è sottostimato: la benzina fatta è a malapena sufficiente per arrivare alla stazione di servizio successiva, all’interno del parco della Death Valley. E ovviamente, più ci si allontana dalla civiltà più la benzina è costosa. A parte questi problemi, la Death Valley è uno spettacolo: il terreno non è coperto da nessuna forma di vegetazione, qui è davvero “deserto”, e sfoggia colori minerali che è difficile immaginarsi. All’inizio usciamo dall’auto per brevi momenti (per esempio a Zabriskie Point) e poi torniamo dentro per stare al fresco. Dopo la visita all’Information Center facciamo la bravata di mangiare all’aperto, in una zona picnic all’ombra di numerose palme. Ovviamente così ci appesantiamo, e la traversata del deserto diviene ancora più difficile. A un certo punto rinunciamo all’aria condizionata (la benzina ormai costa quanto l’oro) e ci affidiamo alla nostra traspirazione (di acqua ne abbiamo ancora molta), aprendo i finestrini e lasciando passare l’aria calda ma secca. Arriviamo fino al lago salato, poi all’Artist Drive (con i suoi mucchi enormi di sabbie colorate) e al Golden Canyon, che vediamo solo dall’imbocco dove incrociamo un americano che ci dice che è solo “uno spreco di acqua”. Torniamo a Las Vegas, e andiamo alla cappella del matrimonio di domani, la “Viva Las Vegas”, che fa un sacco di matrimoni a tema. Il nostro sarà in stile “Rocky Horror Picture Show” e il nostro ministro sarà Frank’n’Further affiancato da RiffRaff, Magenta, Rocky, Brad e Janet. L’abbiamo acquistato a maggio per 940$ e oggi definiamo la scaletta e i particolari, mentre nel locale accanto si svolge un matrimonio in stile Blues Brothers! Poi andiamo a fare il check-in all’Harrah’s (96$ per tre notti) e andiamo a restituire la nostra gloriosa auto all’aereoporto. Da adesso siamo a piedi. Per muoverci a Las Vegas abbiamo acquistato una tessera di tre giorni per gli autobus: costa meno e permette una mobilità maggiore della famosa monorotaia. Peccato che il traffico sulla Strip rallenti i bus in modo intollerabile… A posteriori, la monorotaia sarebbe stata molto più pratica. Trascorriamo la serata con una breve passeggiata lungo la Strip, ammirandone i principali hotel.

Lunedì 16 agosto – Las Vegas NV

E’ il grande giorno! Dopo una ricca colazione da Denny’s, la nostra preoccupazione principale è trovare un accessorio. Infatti ci sposeremo vestiti da Brad e Janet, e ci manca solo la borsetta. Per fortuna non ci sono solo i negozi con le grandi firme, ma anche i negozietti ultra-economici, ed alla fine di un giro in cui visitiamo anche altri hotel famosi, abbiamo tutto quello che ci serve. Ci prepariamo nella camera dell’hotel, e siamo sempre più nervosi. L’attesa telefonata arriva, e scendiamo all’ingresso dell’hotel attraversando il casinò, sicuramente attirando commenti… Saliamo sulla limousine (compresa con il matrimonio) che ci porta alla cappella (nota: evitando la Strip), dove attendiamo che termini un matrimonio tra due ragazze. Tocca a noi: Daphne, l’ufficiale civile, ci aspetta fuori dalla sala mentre i personaggi del Rocky Horror cantano e ballano intorno a noi e, attraverso una webcam, parenti e amici ci guardano dall’Italia. Finita la cerimonia spettacolare, subito fuori della soglia Daphne ci chiede ufficialmente se vogliamo sposarci, ed è fatta. Il nostro testimone è il fotografo dello staff. Facciamo ancora delle foto in posa, e poi torniamo in limousine all’albergo. Ci prepariamo per uscire: andiamo a fare un giro sulle montagne russe che sfrecciano dentro e fuori l’hotel “New York New York”, dove poi assisteremo allo spettacolo “Zumanity” del Cirque du Soleil. Si tratta di uno spettacolo in chiave erotica, divertentissimo.

Martedì 17 agosto – Las Vegas NV

Prima attività della giornata: andare a visitare gli hotel un po’ più fuori mano, come il Luxor e l’MGM. Il caldo è davvero pesante, e ad un certo punto si fa l’ora dell’appuntamento per vedere le foto del matrimonio alla cappella “Viva Las Vegas”. Siamo così scoraggiati dal servizio bus che prendiamo un taxi (che infatti evita lo strip). Alla cappella incontriamo una coppia italiana che sta per fare un matrimonio deciso lì per lì, con tanto di licenza. Ci chiedono se il matrimonio vale solo a Las Vegas o in tutti gli USA. Non facciamo in tempo a dirgli che, se lo fanno con tanto di licenza, il matrimonio è un contratto che avrà valore in tutto il mondo, che lo facciano riconoscere in Italia o no… Speriamo che si siano sposati consapevolmente alla fine! Torniamo a riposarci dal caldo in albergo, e usciamo di nuovo per andare alle attrazioni dello Stratosphere. Questa volta il servizio bus è tanto scadente che in pratica arriviamo dopo la chiusura!

Mercoledì 18 agosto – Las Vegas – Los Angeles CA

Ci prepariamo per ripartire, andremo a Los Angeles con la storica corriera Greyhound. Andiamo fino alla stazione a lasciare le valigie e passiamo un po’ di tempo nella Fremont Street, sede dei casinò più vecchi (quelli con le insegne fatte di migliaia di lampadine). Pranziamo in un localino in stile irlandese, assistendo anche ad un arresto in diretta nella strada di fronte. Saliamo in corriera e nelle sei ore successive assistiamo al cambio graduale di paesaggio, dal deserto alla metropoli sconfinata. Smontiamo a sera inoltrata, in una zona di Los Angeles abbastanza inquietante, e decidiamo di predere il taxi almeno per arrivare alla metropolitana più vicina! Con quella arriviamo fino ad Hollywood e ci mettiamo a cercare il nostro albergo, “The Hotel Hollywood” (59$). Quando lo troviamo, la porta è chiusa e nessuno risponde al campanello! Stiamo già per perdere le speranze quando un ragazzo ci apre. L’hotel è piccolino e molto carino, almeno quello!

Giovedì 19 agosto – Los Angeles – Universal Studios – San Francisco CA

Gentilmente l’hotel terrà le nostre valigie fino a sera. Prendiamo la metro e scendiamo vicino agli Universal Studios, che visiteremo oggi. La cassiera del parco ci convince a fare i VIP Pass, che costano quasi il doppio del biglietto normale ma in effetti è proprio grazie a quelli che riusciremo a fare tutte le attrazioni in una sola giornata: permettono infatti di saltare le file. Rispetto ai parchi Disney, questo è molto più dedicato alle tecniche del cinema, quindi alcune attrazioni sono meramente educative o rievocative. Quello che ci colpisce tanto comunque è quanto gli attori, che fanno gli stessi numeri più volte al giorno, siano bravi e impegnati, professionali. Verso la fine della giornata, ci rifacciamo l’attrazione dei Simpson ben 4 volte! Si tratta di una cavalcata su un roller coaster virtuale, pieno di trovate da guardare e riguardare. Nel negozietto dedicato, ci compriamo anche due enormi e deliziose ciambelle di Homer che a fine giornata vengono scontate. Torniamo all’hotel a prendere le valigie e ci dirigiamo verso la fermata del Greyhound diretto a nord, che partirà verso mezzanotte. Nell’attesa, decidiamo di provare il vino californiano in un wine bar vicino. Quello che non ci aspettiamo è che il calice, abbastanza costoso, ci venga portato completamente pieno di vino! Siamo ormai brilli quando arriva la corriera, e qui ci accorgiamo che sarebbe stato meglio prenderla al capolinea: infatti non c’è quasi più posto. Ci sistemiamo un po’ sparsi (uno dei due sedili rimasti non si reclina neanche) e cerchiamo di dormire per quanto possiamo.

Venerdì 20 agosto – San Francisco CA

L’impatto con San Francisco è abbastanza sgradevole: fredda in pieno agosto, grigia, degradata e povera. Ci dirigiamo subito al nostro hotel, l’Aida Plaza, che abbiamo scelto basandoci sui giudizi di TripAdvisor. Il prezzo medio degli hotel qui è alto, e speriamo in un po’ di fortuna perché questo, che costa un po’ meno della media (204$ per tre notti), si riveli almeno decente. Purtroppo sospetteremo che i giudizi positivi ricevuti, se sinceri, siano stati relativi a camere molto diverse dalla nostra. Puzza di fumo, formiche e dubbi sulla pulizia delle lenzuola… la nostra sarà una dura sopportazione per i prossimi tre giorni. Andiamo a vedere San Francisco. Innanzitutto acquistiamo il Muni Pass per tre giorni per il trasporto pubblico, che in questa città funziona davvero. Con la stessa tessera inoltre possiamo prendere il tram storico in legno, una delle attrazioni principali della città. La coda per il tram in effetti è lunghissima, ma nell’attesa assistiamo all’antico sistema ancora in vigore per far ruotare il tram al capolinea: il tram si ferma su una piattaforma circolare e due inservienti lo fanno girare spingendolo. Quando saliamo ci dirigiamo verso il Pier 39, passando accanto alla famosissima stradina a zigzag, Lombard Street. Al porto, ammiriamo le navi storiche ormeggiate e da lontano vediamo il Golden Gate immerso per metà nella nebbia. Siamo ad agosto e sembra autunno… a quanto pare settembre qui è più caldo. Ci divertiamo un sacco ad osservare le otarie in coma sul molo. Vediamo da lontano l’isola di Alcatraz che decidiamo di non visitare. Nel pomeriggio giriamo attorno ad Union Square e poi a ChinaTown, un quartiere così diverso che non sembra nemmeno di essere a San Francisco.

Sabato 21 agosto: San Francisco CA

Torniamo al Fisherman’s Wharf per dare un’altra occhiata ai negozietti e soprattutto perché il giorno prima ci hanno ingolosito le zuppe di granchio servite nelle ciotole di pane, da Boudin. Una delizia, confermata dalla coda lunghissima per farsele servire. Prendiamo poi il bus per andare al Golden Gate Park, dove vaghiamo un po’ e visitiamo il padiglione giapponese (a pagamento). Quindi ci dirigiamo verso il quartiere Hippy. Lungo il tragitto, guardiamo dai bus le case vittoriane. Il quartiere Hippy ha un sacco di negozi molto divertenti e pittoreschi. Per 10 dollari compriamo tre paia di occhiali molto “glam”. Per concludere la giornata, andiamo nel mini-quartiere giapponese a gustarci un okonomiyaki: in Italia di sicuro non lo si trova da nessuna parte.

Domenica 22 agosto: San Francisco CA

Dopo aver stampato i biglietti aerei per il ritorno in una copisteria, ci dirigiamo al mercato domenicale dei coltivatori all’Embarcadero, dove ci concediamo delle prelibatezze fresche e preparate sul posto. Facciamo una puntata al quartiere “gay” e poi a quello messicano. In quest’ultimo però vediamo della gente davvero inquietante e lo lasciamo subito. Per finire, andiamo a vedere l’oceano Pacifico! Torniamo verso l’albergo, le scarrozzate in bus alla fine sono state davvero lunghe. Potremmo andare in aereoporto anche domani con il Muni Pass, ma decidiamo di non rischiare col trasporto pubblico, e di utilizzare uno dei trasportatori che si pubblicizzano sulle riviste per turisti, il costo è molto ragionevole.

Lunedì 23 – Martedì 24 agosto: San Francisco – Venezia Cinque e mezza del mattino, finalmente lasciamo l’Aida Hotel e a bordo del minibus raggiungiamo l’aereoporto. Sarà un lungo volo, con alla fine anche la sorpresa di non ritrovare più in valigia uno dei tre occhiali di San Francisco…

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