Wild Western Tour: Dario e Marta… On the Road!

E' un tour quindi a rigor di logica, c'è poco o nulla di "per caso".. ma nn è così, qualche disavventura e comunque il molto tempo libero che il tour prevede ci ha permesso di scoprire l'America a modo nostro... Risultato: un sogno.. che ricorderemo per tutta la vita...
Scritto da: Vagabundus
wild western tour: dario e marta... on the road!
Partenza il: 30/07/2009
Ritorno il: 16/08/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
30 luglio 2009

Ci teniamo stretta la mano, agitati ed emozionati all’idea che di li a poco intraprenderemo un lungo viaggio… il nostro sogno si sta per realizzare: l’America! La tanto attesa vacanza sta per cominciare… Con un ora di ritardo partiamo da Malpensa; non avevamo mai preso un aeroplano di quelle dimensioni, con film e passatempi di ogni genere. Alcuni minuti dopo la partenza gli assistenti di volo servono il pranzo e nell’aereo si diffonde un profumino appetitoso. Durante il volo guardiamo un paio di film e proviamo i vari videogiochi offerti dalla Continental, ma nonostante ciò il viaggio è interminabile. Nei monitor vediamo il tragitto… l’aereo sembra immobile e non riusciamo neppure a prendere sonno. Ci rendiamo subito conto che sarà un’impresa riuscire a prendere la coincidenza a Newark. Fortunatamente, sull’aereo ci sono altri dodici italiani diretti a Los Angeles nella nostra stessa situazione e ci facciamo coraggio: siamo in compagnia! Dopo nove lunghissime ore il nostro aereo finalmente atterra sul suolo statunitense. Varchiamo il portellone dall’aereo eccitatissimi; nel tunnel, un forte odore di patatine fritte e un aria calda-umida ci avvolge e mai come in quel momento le parole di Max Pezzali sono così appropriate: “Ricordo la prima volta che arrivai a New York, mi colpì subito il suo odore intensissimo di ogni tipo di fritto immaginabile…” è proprio così che immaginavamo il nostro sbarco nel nuovo mondo! Raggiungiamo di corsa la dogana; una lunga fila di persone e pochissimo tempo per fare la lunga procedura di immigrazione. Agitati e sudati e con il fiatone per la corsa appena fatta, ci mettiamo in fila anche noi con i documenti in mano ripensando a tutti gli avvertimenti che ci avevano dato coloro che erano già stati negli Usa riguardo gli agenti dell’aeroporto… Che ansia! “How are you?” Mi chiede l’agente, un giovanotto un tantino sovrappeso, bianco di carnagione e rosso di capelli. “I don’t understand” rispondo paonazza e me lo ripete seccato aggiungendo un “Please relax you!”. “Fine” sussurro titubante e gli consegno il passaporto incerta. Per fortuna, pochi minuti prima, avevo letto su un cartellone come si svolgeva la procedura delle impronte digitali ed è abbastanza rapida la cosa, dopo di che gli passo i documenti di viaggio a tentativi. Dopo pochi ,ma interminabili, minuti ho finito e mi rilasso e realizzo che non è stato poi così complicato. Dario non è nella mia fila e fatta la procedura di immigrazione, ci separiamo. I minuti scorrono inesorabilmente e lui non arriva. “Chissà cosa gli staranno chiedendo?!” penso guardando l’orologio. Quando finalmente mi raggiunge, trafelato, mi spiega che gli avevano chiesto i documenti del volo che avevo io. Poverino! A gambe levate raggiungiamo il ritiro bagagli dove le valige ci aspettano giù dal nastro con ancora una piccola speranza di riuscire ad imbarcarci sul nostro volo per Los Angeles. Leggiamo ogni indicazione per trovare il check-in, trascinando le pesanti valige, quando un addetto ci comunica che siamo arrivati tardi e ci indica la fila degli “sfortunati” che, come noi, hanno perso l’aereo e devono essere imbarcati il giorno dopo. In fila ritroviamo le tre famiglie italiane conosciute durante il volo che di li a poco diventeranno i nostri compagni d’avventura. Durante l’attesa ci vengono in mente idee bizzarre come noleggiare un macchina e guidare fino a Los Angeles oppure prendere un aereo diretto in una città vicina come San Diego. Quando finalmente è il nostro turno ci dirigiamo al bancone con la speranza di alloggiare in un super hotel a spese della Continental, ma le nostre speranze si infrangono quando l’impiegato ci spiega che siamo stati imbarcati sul volo del giorno seguente e le spese dell’hotel sono a carico nostro; non ci resta che prenderla con filosofia e con i nostri “compagni di avventura” cerchiamo un hotel dove trascorrere la notte. Siccome nessuno di noi brilla in inglese un simpatico impiegato, con il quale comunichiamo in spagnolo, telefona agli alberghi per conto nostro; con un bel sorriso, ci dice che ci sono 4 stanze libere all’”Econolodge”, un motel nelle vicinanze dell’aeroporto. Per noi è perfetto in quanto è il più economico e non ci resta che trovare il modo per raggiungerlo. Prima di capire come fare per uscire dall’aeroporto ci spostiamo tutti e dodici diverse volte per i vari piani dell’enorme edificio, chiedendo informazione agli addetti in divisa che di volta in volta ci danno informazioni diverse. Dopo mille peripezie, tra le quali prendere la monorotaia che porta fuori dall’aeroporto, arriviamo alla stazione delle navette degli hotel.ì Davanti alla fermata sostano diversi shuttle lussuosi di hotel altrettanto lussuosi quando da dietro l’angolo vediamo arrivare un vecchio furgoncino blu: è la nostra navetta! Il furgoncino, con l’aria condizionata a mille, sfreccia lungo la superstrada e noi, compressi l’uno con l’altro con zaini e borse sulle ginocchia, ci lasciamo trasportare guardando quello scorcio di New Jersey in silenzio, cercando di realizzare che siamo davvero in America. Questa tappa sulla East Cost è proprio una sorpresa e soprattutto non ci immaginavamo quel caldo, così umido da renderlo insopportabile. La navetta ci lascia davanti alla hall del motel, che a prima vista sembra lo spiazzo di un benzinaio, con il “negozietto” accanto. L’anziano receptionist capisce a stento il nostro inglese e solo dopo vari tentativi di comunicazione ci consegna le chiavi delle stanze. Sul retro del “negozietto” si trovano le stanze dell’Econolodge; è il classico motel dei film americani, a due piani a forma di ferro di cavallo chiuso. La vista del complesso ci lascia un po’ perplessi per non parlare di quando entriamo nella camera; l’afa è insopportabile e anche all’interno non si scherza: due “King Bed” ovvero due letti da una piazza e mezza con copriletti orribili abbinati alle spesse tende e un vecchio condizionatore che perde acqua sulla moquette e fa un rumore tremendo, per non parlare del bagno. Siamo esausti e la giornata sembra non aver mai fine a causa del fuso orario. Dopo una breve doccia rigenerante insieme ai nostri amici gustiamo una deliziosa cena tipica con coca cola al gusto di cloro, in un altrettanto tipico ristorante, con altrettanti “tipici” americani obesi intenti a divorare hamburger enormi. La prima notte americana trascorre praticamente insonne. Alle 5 siamo svegli e nella speranza di trovar refrigerio con la fresca brezza mattutina spalanchiamo la porta della camera rimanendo esterrefatti nel vedere il forte acquazzone in corso. E’ il tempo meno indicato per una toccata e fuga a Manhattan; il cielo è cupo e la pioggia cade fitta fitta e non sembra voler smettere. Dopo una super colazione continentale a base di scrambled eggs, pankake/toast e caffè, che sembra più un pranzo, indossiamo i nostri abiti da viaggio pronti per la breve visita della Grande Mela. Nel frattempo la pioggia si sta placando e ci avviamo all’aeroporto con l’intenzione di depositare i bagagli e invece, con grande sorpresa, le hostess ci dicono che possiamo fare subito il check-in liberandoci dei nostri ingombranti effetti. A bordo di un taxi giallo raggiungiamo Manhattan; c’è traffico lungo la strada questa mattina e nonostante l’acquazzone sia finito da poco la temperatura è intollerante: caldo/umido più che mai. La nostra corsa in taxi termina davanti al Battery Park da dove, a passo spedito, ci incamminiamo verso il molo dove partono i battelli gratuiti per Staten Island. Il battello procede speditamente e il panorama con i grattacieli e la Statua della Libertà è meraviglioso nonostante la foschia. Quelle immagini tanto viste in televisione finalmente sono reali e quasi non ci sembra vero di essere qui. Torniamo sulla terra ferma, il sole è alto nel cielo talvolta coperto dal qualche nuvolone e la pioggia è un lontano ricordo. Attraversiamo Financial District e non possiamo fare a meno di camminare con il naso all’insù per ammirare gli altissimi grattacieli che sembrano vicinissimi l’uno all’altro. Passando Wall Street, lunga e stretta via tra enormi edifici, ci fermiamo per scattare una foto al grande toro dorato simbolo della finanza americana. La via è molto affollata: gente che va al lavoro con caffé di Starbucks in mano o semplicemente turisti come noi che guardano gli imponenti edifici con immenso stupore. Verso l’ora di pranzo, accaldati e affaticati dai pesanti zaini, ci concediamo una sosta. E’ d’obbligo assaggiare un hot dog con una coca ghiacciata. Pochi metri più in la, un grande spazio vuoto circondato da edifici altissimi, colpisce la nostra attenzione. E’ il luogo dove sorgeva il World Trade Center prima dell’11 settembre 2001. Ci avviciniamo ed impossibile non ricordare le immagini viste e riviste al telegiornale e non provare tristezza nel ripensare a tutte le persone che hanno perso la vita li, a pochi metri da noi. Per poter vedere meglio ciò che avviene all’interno dell’area recintata, percorriamo il corridoio di un edificio le cui finestre danno sul cantiere; al di la delle vetrate, ci sono operai al lavoro con alte gru e scavatrici intenti a realizzare la Freedom Tower che in teoria sarà finita nel 2012. All’uscita dell’edificio chiamiamo un taxi alzando un braccio e sporgendoci dal bordo del marciapiede… il nostro tempo a Manhattan è terminato e dobbiamo tornare all’aeroporto. Con largo anticipo andiamo al gate dal quale ci imbarcheremo per raggiungere Los Angeles. Congediamo i nostri compagni d’avventura, che hanno voli diversi dai nostri con l’augurio di incontrarci sulla via del ritorno. L’inaspettata visita di New York rende il nostro arrivo negli Usa spettacolare; nella “sfortuna” di aver perso l’aereo abbiamo avuto la grande fortuna di vedere Manhattan! Siamo veramente entusiasti dell’inizio della nostra vacanza anche se la stanchezza dovuta al fuso orario inizia a farsi sentire. Il volo di sei ore è abbastanza turbolento, ma tra un film e l’altro riusciamo a prendere sonno. E’ ormai sera quando atterriamo a Lax e a bordo dello shuttle nel giro di 40 minuti siamo ad Anaheim, dove ci aspetta un bel letto comodo al Best Western Stovall’s Inn Durante il tragitto l’autista ci fa notare che il nostro hotel si trova precisamente nella Down Town di Disneyland il che significa che sarebbe stato facilissimo raggiungere il parco l’indomani mattina. Mentre scarichiamo le valige, in lontananza, ci danno il benvenuto i fuochi artificiali di Disneyland… Davvero una splendida accoglienza che in un attimo ci fa dimenticare l’afa Newyorchese cullati dalla brezza delle sere californiane. ” Siamo scioccati dal prezzo della colazione fatta alle porte di Disneyland: 17$ per due cappuccini e due brioches! Dopo una lunga fila alla biglietteria varchiamo i cancelli del parco rimanendo senza parole… è un sogno, sembra il paese dei balocchi e in sottofondo c’è una musichetta molto disneyana. Minnie e Mickey Mouse accolgono i visitatori firmando autografi e facendo fotografie di ricordo con grandi e piccini. Io sono al settimo cielo, non so più cosa fotografare… torniamo bambini bper un giorno. A bordo di un buffo “autobus” percorriamo la Main Street, la via dei negozi di souvenir, e arriviamo in una grande piazza da cui si accede alle varie zone a tema del parco. Il grande arco con la scritta “Adventurland” ci incuriosisce molto e varcata la soglia facciamo per prima cosa un bel safari in barca nella giungla per poi visitare la casa di Tarzan, seguita da un giro sulla jeep di Indiana Jones e anche un giro su una vera canoa con tanto di istruttore che ci da il tempo per remare tra un veliero pirata e un battello a vapore che a turno ci superano e così via, di giostra in giostra tra una foto e un sorso d’acqua e una spalmata di crema solare. Per dare un idea, le attrazioni, sono simili a quelle di Gardaland: i Corsari, le canoe che scendono in picchiata, gli ottovolanti eccetera ma con percorsi più lunghi e divertenti! A metà mattina il sole brilla alto nel cielo e picchia forte, ma il venticello che soffia di tanto in tanto rende la temperatura molto piacevole e non ci rendiamo conto che ci stiamo scottando la pelle. Grazie al Fast Pass le file sono abbastanza veloci, in quanto questo sistema permette di “prenotarsi” un orario al quale ritornare ed evitare lunghe code! Per il parco incontriamo i personaggi di Walt Disney e visitatori di ogni età con gadget di ogni genere e bambine vestite da principesse! Verso le 18.30 mentre stiamo per uscire dal parco rimaniamo incantati nel vedere la parata con i carri, i ballerini e i personaggi Disney al completo che si esibiscono in balli e canti! Finita la parata torniamo di corsa all’hotel dove alle 19 c’è l’incontro con il gruppo e la guida Contiky! Siamo trafelati e in ritardo quando entriamo nella saletta dove è in corso la riunione; i nostri compagni di viaggio sono intenti ad ascoltare la guida, un giovanotto di nome Matt, che spiega in americano puro quello che dovremo affrontare nelle prossime due settimane di tour. Del lungo discorso di Matt, noi capiamo solo che è tassativo rispettare gli orari e che l’unico orario che esiste è quello del suo orologio. Abbiamo in programma di tornare a Disneyland per la serata e dopo una doccia veloce e un cambio d’abiti ci incamminiamo nuovamente verso il parco esausti e con le gambe dolenti per il troppo camminare fatto durante il giorno. Mancano pochi metri all’ingresso del parco, quando presi dai morsi della fame, ci precipitiamo in una pizzeria chiamata “Neaples” ovvero Napoli dove la pizza è incredibilmente buona. Dopo cena siamo troppo stanchi per rientrare nel parco e così, dopo aver guardato qualche negozio torniamo all’albergo.Dopo una veloce colazione a buffet a base di ogni ben di Dio, il gruppo Contiky parte alla volta di San Diego. Percorriamo un enorme autostrada e siamo affascinati dalla grandezza di tutto ciò che ci circonda: dalle automobili ai camper ai camion e persino i cartelli stradali sono extralarge! Durante il viaggio Matt parla con il suo accento californiano e dobbiamo prestare attenzione ad ogni singola parola per poter comprendere il discorso ed inizialmente non è facile. Dalla superstrada, in lontananza, spicca una torre blu, è Sea World ci spiega Matt, il famoso parco dove si esibiscono le orche; fin da quando ero bambina sognavo di visitarlo e di ammirare quei grossi animali che mi affascinano molto. Percorrendo l’imbarcadero, ovvero il porto, ammiriamo imbarcazioni lussuose, alcune portaerei, un veliero e un sottomarino e in lontananza la bellissima skyline di San Diego. Il tour prevede diverse attività/escursioni extra e la prima che scegliamo è la Harbor Cruise, una piacevole crociera nella baia di San Diego durante la quale avvistiamo i leoni marini che prendono il sole ed emanano un odore di pesce fortissimo. Il paesaggio circostante è davvero bello, proprio come lo avevamo visto in diversi telefilm ambientati nella zona dell’ Orange County: da una parte i grattacieli e dall’altra verdi colline con villette bianche. Il nostro tour prosegue in direzione del Balboa Park, bellissimo e curatissimo parco nel cuore di San Diego, dove intravediamo sportivi che praticano jogging e famigliole che fanno picnic in questa meravigliosa domenica d’agosto. Arrivati al Gaslamp Quarter, la via principale della città ricca di negozi e locali, facciamo una sosta per il pranzo. Nel pomeriggio il sightseen continua e percorriamo lo stupendo Coronado Bridge che porta sulla Coronado Island, che nonostante il nome tende ad ingannare non è un isola, ma bensì una penisola. La Coronado Island è la Beverly Hills di San Diego ci spiega Matt; ci sono ville con giardini ben curati, macchine di lusso parcheggiate e alte palme lungo la strada che rendono questo quartiere decisamente particolare. Un sogno abitarci! Non lontano tra la vegetazione scorgiamo il “The Del” o Hotel del Coronado; lo superiamo velocemente ma riusciamo comunque ad ammirare il suo splendore: tutto bianco con i tetti rossi e una grande torre circolare. L’hotel è noto per aver ospitato alcuni presidenti americani ed è stato utilizzato come set di diversi film. Ultima tappa del tour guidato è la Old Town. Lungo la strada che percorriamo i cartelli stradali e molte insegne dei locali sono scritti in spagnolo perché siamo vicinissimi a Tijuana in Messico. La Old Town è la ricostruzione della città antica di San Diego, sembra un villaggio western con bassi edifici in legno tutti colorati e grandi cespugli di cactus. Nel tardo pomeriggio arriviamo al nostro hotel, il Days Inn che si trova a 15 minuti di taxi dal centro città. Abbiamo giusto il tempo di farci una doccia veloce per poi tornare in centro per la cena in un simpatico locale dove i camerieri urlano per prendere le ordinazioni e si mangia con la bavaglia. Un posto davvero insolito!

Il programma della giornata prevede la mattina a Sea World, favoloso parco marino, o al San Diego Zoo, che è tra i più belli al mondo, e il pomeriggio alla Mission Beach. Noi optiamo per Sea World. Alle 10.00 varchiamo l’ingresso del parco e piantina in mano sappiamo già dove dirigerci: Shamù Stadium per assistere allo spettacolo delle killer whale ovvero le orche. Io non sto più nella pelle! Il mio desiderio si sta per avverare e sono molto emozionata! Ci sediamo sugli spalti con 45 minuti di anticipo; siamo nella soak zone ovvero la zona più vicina alla vasca con alta probabilità di doccia. Dopo una bellissima presentazione che invita a “Believe”, credere, inizia lo show. A ritmo di musica fanno il loro ingresso le orche che si esibiscono saltando e schizzando o meglio lavando il pubblico con forti battiti di coda. Shamu esce dall’acqua e scivola su una “spiaggetta” cosicché possiamo ammirare tutto il suo splendore e poi si ferma rivolta verso di noi e ci saluta agitando il muso a destra e sinistra. Magnifico…siamo senza parole… le orche si muovono leggere seguendo i comandi degli istruttori e, merito anche della musica davvero azzeccata e coinvolgente, lo show è incredibilmente bello. Believe… bisogna sempre credere nei sogni! Finito lo show, ci spostiamo ancora emozionati, alla piscina dei delfini dove assistiamo ad una nuova esibizione, meno entusiasmante però di quella delle killer whale. Nella vasca ci sono anche due piccole balenottere nere che saltano e portano l’istruttore in groppa. Il prossimo show a cui assistiamo è quello dei leoni marini che con i loro buffi movimenti a ritmo di musica divertono il pubblico aiutati da un assistente d’eccezione: una piccola nutria davvero simpatica. Nel primo pomeriggio, con le spalle scottate dal sole, andiamo alla vasca dei delfini con sponde ad altezza uomo cosicché possiamo mettere dentro le mani in attesa che qualche delfino passi da li… i delfini sono vicinissimi a noi però non abbastanza da poterli accarezzare. Sarei rimasta ore con la mano in ammollo con la speranza che un simpatico delfino mi concedesse il grande onore di fargli una carezza, ma il tempo inizia a stringere e abbiamo ancora molto da vedere. Successivamente percorriamo il tunnel di vetro che attraversa la vasca degli squali e sopra la nostra testa nuotano diversi esemplari con aria minacciosi Infine visitiamo velocemente il padiglione Wild Artic dedicato agli animali del polo nord. All’interno fa freddissimo e ci sono le pareti di vero ghiaccio; dietro la grande vetrata un orsacchiotto bianco sta dormendo e un grosso tricheco nuota insieme a due bellissimi beluga bianchi molto simpatici. Bellissimo Sea World! Lasciamo il parco a malincuore! 58 $ spesi bene anche se meritava un’intera giornata! Alle 15 del pomeriggio il bus ci lascia alla Mission Beach, grandissima e lunghissima spiaggia molto affollata con torrette e guardaspiaggia che girano a bordo dei loro pickup; i bagnanti sono in prevalenza di origine sud americana o almeno così appare a prima vista. Tira un forte vento e il sole si alterna a nuvoloni grigi. Desideriamo fare il bagno nell’oceano Pacifico ma l’acqua è gelida e non riusciamo a bagnarci oltre le ginocchia. In serata i nostri compagni e Matt vanno a vedere una partita di baseball, che si rivelerà estremamente noiosa, mentre noi ceniamo in un pub in Gaslamp Quarter molto carino. Io ordino shrimp & fish andando sul sicuro, mentre Dario azzarda ordinando una pietanza sconosciuta ma consigliata vivamente dalla cameriera: Sloppy Joe tradotto Sbrodoloso Joe, ovvero un gustosissimo hamburger farcito con ketchup, formaggio e ragù a volontà! Il Gaslamp Quarter che di giorno non ci aveva particolarmente colpito risulta molto affascinante di notte per le luci dei numerosi locali e la movida. Spettacolare anche la vista di San Diego da lontano con tutti i palazzoni illuminati.

Ore 8.00, ci lasciamo San Diego alle spalle e partiamo alla voltab di Scottsdale, Arizona. Durante il viaggio attraverseremo il Sonoran Desert, l’Imperial Sand Dunes e la città di Phoenix. L’autobus viaggia su una superstrada a 12 corsie e il paesaggio ì cambia gradualmente man mano che ci allontaniamo dalla città: dai grattacieli e casette su colline verdeggianti si passa a colline rocciose disabitate. Ad un tratto ci accorgiamo di essere nel bel mezzo di un deserto… E’ l’Imperial Sand Dunes! La strada è fiancheggiata da dune di sabbia color oro, che spettacolo! La guida ci racconta che in questo luogo hanno girato una scena di Star Wars episodio 1.

Facciamo una breve sosta in una grande area di servizio a Yuma. Quando scendiamo dal bus lo sbalzo di temperatura e micidiale: a bordo aria condizionata a manetta e all’esterno aria caldissima e secca! Non sapevamo che ad agosto in Arizona ci fosse quel caldo; ci ricorda molto Sharm El Sheik. La sera prima avevamo letto la Lonely Planet e perciò siamo i meglio organizzati del gruppo con cappello, gatorade e 24 bottigliette d’acqua. Prevedevamo temperature più elevate rispetto a quelle della California… ma non così tanto. Per sfuggire alla calura ci rifugiamo in un supermercato dove dire che fa freddo è poco, l’aria condizionata ci fa rabbrividire. Per pranzo acquistiamo una bella vaschetta di anguria gia tagliata; siamo entusiasti della nostra scelta ma ignoriamo le conseguenze che dopo pochi minuti di viaggio si faranno sentire!

Ci rimettiamo in strada diretti a Phoenix e il paesaggio nuovamente muta: il terreno è brullo con rare piante basse che sembrano bruciate: non c’è anima viva se non lungo la strada fiancheggiata dai cactus giganti. Verso le 15.30 attraversiamo Phoenix, graziosa città in mezzo al deserto.

Notiamo belle casette di legno, come nei film, con giardini verdissimi e altre con giardini di sabbia e altre ancora meno belle simili a prefabbricati. Oltre le abitazioni da una parte la up town e dall’altra la down town con i loro grattacieli. In poco tempo raggiungiamo Scottsdale, definita da Matt la Beverly Hills dell’Arizona, con alte palme e casette bianche, lussuosi hotel e ristoranti. L’aria è sempre caldissima e non ci resta che chiuderci in camera con l’aria condizionata e attendere la cena, prevista in un ristorate greco. Siccome ci troviamo nel mezzo di un deserto immaginiamo che di sera ci sia l’escursione termica e quindi siamo convinti che farà più fresco, ma purtroppo non è così: l’aria è la stessa calda e secca del pomeriggio.

Percorriamo la strada che ci separa dal ristorante boccheggiando e troviamo refrigerio solo passando sotto i nebulizzatori dei pub.

Ci svegliamo alle 6.30 e usciamo sul balcone per sentire se la temperatura è diminuita… fa caldissimo e sembra che un grande Phon ci soffi l’aria in faccia! Lasciamo la città di buon ora

diretti al Grand Canyon; faremo una tappa per il pranzo a Sedona dove ci attende la jeep che ci porterà a visitare il Red Rock Canyon. Il paesaggio è collinare con erba gialla e pochi arbusti verdi e caratterizzato dalla presenza di numerosi cactus giganti che attirano la nostra attenzione. All’orizzonte colline con una forma molto strana: l’estremità è piatta e non arrotondata come siamo abituati a vederle. La strada sale tra pareti rocciose per poi arrivare in una vasta pianura; in lontananza una grande roccia rossa. Stiamo entrando nella città di Sedona. Il panorama è spettacolare, grandi rocce rosse dalle forme bizzarre; una assomiglia a Snoopy che dorme! Sedona sembra un villaggio del Far West con basse case di legno colorate. Dopo pranzo partiamo per l’escursione in jeep; in sette per ogni jeep più il cow boy che sta alla guida. Dopo un breve tratto di strada asfaltato, il cow boy ci chiede se abbiamo allacciato le cinture perché di li a poco avremmo abbandonato la strada asfaltata. Cominciamo il fuori strada tra le imponenti pareti rocciose dal colore eccezionale; il percorso è molto accidentato e la jeep salta che è un piacere. Siamo grati alle cinture di sicurezza che ci permettono di stare il più incollati possibile al sedile. A metà strada la carovana si ferma e possiamo scendere a curiosare e scattar fotografie. Ci accorgiamo che il suolo rosso/arancione è ustionante. Siamo completamente immersi nella natura, lontani dal rumore e dalla frenesia della città e possiamo respirare uno scorcio di selvaggio West. Nel pomeriggio ripartiamo per il Grand Canyon e di nuovo il paesaggio cambia: la strada è un susseguirsi da salite e discese poco ripide e intorno la vegetazione è tutta gialla, secca. Incrociamo poche automobili che percorrono l’unico segno della mano dell’uomo. Sulla Lonely Planet leggiamo che al Grand Canyon, a causa dell’altitudine, il tempo è molto variabile e difatti il cielo si scurisce miglia dopo miglia. Arriviamo al parco che ha appena smesso di piovere, è molto fresco e siamo contentissimi perché non sopportavamo più il caldo torrido di Sedona e Scottsdale. La colonna sonora di “Odissea nello Spazio” accompagna il nostro ingresso nel parco… e qualcosa a dir poco che meraviglioso ci aspetta! Matt ci dice di tenere gli occhi chiusi finche non ci da il contrordine e così ci incamminiamo con gli occhi socchiusi quel tanto che basta per non inciampare e ad un tratto, tra gli alberi, scorgiamo il famoso Grand Canyon. Da brivido… siamo affascinati e increduli davanti alla bellezza della natura. Tra le nuvole filtrano pochi raggi del sole, il che rende lo spettacolo ancora più suggestivo… It’s the best view in our life! Ne siamo convinti, certamente la miglior vista della nostra vita! Siamo eccitatissimi, domani sarà una grande giornata di scoperte all’interno del parco e non stiamo più nella pelle. E’ davvero emozionante e non si può descrivere a parole. Ci svegliamo all’alba e fuori è ancora buio… indossiamo le nostre felpe per andare a fare una bella colazione abbondante per darci la carica… Oggi la giornata sarà faticosa! Muniti di macchine fotografiche, diverse bottiglie d’acqua, cappelli, crema solare e mappa del GCNP siamo pronti per esplorare il Grand Canyon. Il parco dispone di un sistema di navette che permette di spostarsi rapidamente da un luogo all’altro evitando lunghe e faticose camminate. Mentre valutiamo da dove cominciare l’esplorazione la nostra attenzione viene rapita dalla meraviglia che si estende davanti a noi: il Grand Canyon con le sue rocce dai colori mozzafiato. Prendiamo il sentiero “Bright Angel” lungo 13 km che porta direttamente al Colorado River. E’ mattino presto e non fa ancora molto caldo e percorriamo velocemente il ripido sentiero sterrato fermandoci ogni 2 per 3 per ammirare il paesaggio e scattar fotografie. Talvolta ci accorgiamo di essere osservati da uno scoiattolo curioso che aspetta solo un biscottino da portarsi via velocemente. Spinti dal desiderio di avventura continuiamo a scendere cercando di immaginarci lo spettacolo che ci attende alla fine. Dopo più di un ora il caldo è estenuante e il sole inizia a scottare; il sentiero si popola di turisti che risalgono quasi tutti spompati e rossi in viso. La voglia di continuare è tanta ma preferiamo risalire, perché sappiamo bene che la salita non sarà facile e veloce come l’andata… spesso e volentieri infatti siamo fermi a riprender fiato e bere. Ci concediamo una lunga sosta seduti su uno strapiombo all’ombra mangiando una mela e osservando l’ambiente circostante… Proviamo un senso di libertà e ci sentiamo piccoli davanti all’immensità del Gran Canyon; c’è pace e possiamo udire solo i rumori della natura. E’ immenso ciò che si estende davanti a noi e non riusciamo a vedere la fine; cerchiamo di dare una spiegazione a così tanta bellezza ma non troviamo una risposta soddisfacente. Le rocce all’orizzonte sono tutte sullo stesso livello e si aprono in gole profonde e da qualche parte scorre il Colorado River ma da qua non si vede… notiamo che le rocce sono formate da strati di diversi colori e contorni indefiniti frutto di migliaia di anni d’erosione del fiume Colorado; alcune rocce hanno dei pigmenti verdi dovuti alla rada vegetazione, ma il colore prevalente è il giallo/arancione. I colori sono talmente armoniosi che pare l’opera di un bravissimo pittore. Verso mezzogiorno sfiniti raggiungiamo il punto di partenza dove prendiamo la navetta per raggiungere il ristorante. Con la pancia piena visitiamo altri tre punti strategici, che raggiungiamo in pochi minuti grazie alle navette: Yaky Point che è il punto più distante sulla mappa del GCNP, seguito da Yavapai Observation Station che si trova al centro e infine decidiamo di recarci all’ Hopi Point che è il punto migliore per vedere il tramonto. Il sole tramonterà intorno alle 19.30 e quindi con largo anticipo andiamo alla fermata del bus; siamo scioccati nel vedere la lunga fila di persone in attesa, in coda ordinatamente tipo parco dei divertimenti. Sono veramente ben organizzati gli americani e offrono servizi sempre efficienti e di qualità per i turisti. Solo al terzo bus riusciamo a salire e quando arriviamo all’Hopi Point c’è gia molta gente che occupa i posti migliori per assistere allo spettacolo, ma fortunatamente troviamo un angolino e io mi siedo mentre Dario scatta le foto. Man mano che il sole cala i colori si fanno sempre più caldi e il paesaggio è molto suggestivo.

Con un po’ di rammarico per il poco tempo dedicato a questo paradiso, di buon ora lasciamo il parco diretti a Las Vegas. Il viaggio è lungo e monotono e per ingannare il tempo guardiamo il cartone animato “Cars” che è ambientato sulla Route 66 la storica strada che da Chicago porta a Los Angeles. Non ci accorgiamo delle miglia che maciniamo se non quando Matt ci dice che stiamo percorrendo la famosa strada.ì Facciamo una breve sosta in un area di servizio non distante dal cartello con il numero 66 che tutti andiamo a fotografare. Abbiamo solo 30 minuti per sgranchirci le gambe e andare in bagno, ma ne passiamo almeno 25 nel negozio di souvenir a guardare gli innumerevoli oggettini esposti. Ripartiamo e dopo circa due ore di viaggio ci fermiamo per il pranzo in un Wall Mart, un grandissimo centro commerciale che sorge praticamente in mezzo al nulla. Siamo troppo curiosi di assaggiare gli hamburger extra large di Mcdonanld’s e prendiamo un menu “medio” che corrisponde ad un nostro grande con un hamburger gustosissimo di nome Angus a soli 7 $. Oltre al super panino e le super patatine fritte, la cameriera “extra large” ci mette sul vassoio un bicchierone per la coca cola vuoto e che dobbiamo riempire al distributore.

Il bus riparte e guardiamo un altro film che ci introduce sulla nostra prossima meta: “21 Blackjack”, ambientato tra i tavoli da gioco dei casinò di Las Vegas. Stiamo attraversando il Mohave

Desert (Nevada) un susseguirsi di colline rocciose dalle punte frastagliate di colore rosso arancio che ricorda vagamente il Sinai in Egitto; di tanto in tanto sorpassiamo aree di servizio con grandi cartelli pubblicitari e non sembra affatto un deserto in quanto il segno dell’uomo è tangibile. Guardiamo fuori dai finestrini nella speranza di scorgere in lontananza i grattacieli di Las Vegas, ma le colline sembrano non finire mai e intorno a noi solo strada e rocce. Si dice che ci si accorga di essere vicino a Las Vegas quando fuori dai negozio o benzinai vedi una slot machine. Ci stiamo avvicinando allora! Oltre alle slot machine notiamo grandissimi cartelloni pubblicitari dei casino. Ai lati della superstrada ci sono casette basse e tutte uguali, potrebbe essere un paesino qualunque, ma all’orizzonte spicca un gruppo di grattacieli… Finalmente siamo arrivati nella famosissima Vegas! E’ impossibile non notare Luxor con la sua piramide nera e il New York New York con i suoi grattacieli colorati, la statua della libertà e le montagne russe. Il nostro hotel, che non ha nulla a che vedere con i maestosi edifici appena visti, si trova all’inizio della Strip che è la via principale. Il caldo è torrido, non si resiste sotto il sole e dobbiamo attendere l’ora di cena chiusi in camera con l’aria condizionata al massimo. Ceniamo velocemente tutti insieme alla “Buca di Peppo” e ci rendiamo conto che il nostro inglese in questi giorni è migliorato; tra una portata e l’altra dialoghiamo con i nostri compagni di viaggio scozzesi e australiani e siamo sorpresi dal fatto che ci capiamo e possiamo parlare di diverse cose. Dopo cena si parte per il sightseen notturno della città tutta luci e lusso. Il bus si trasforma in una discoteca: musica a palla, ragazzi e ragazze ben vestiti e Matt che inizia a ballare lungo il corridoio.. Che sballo! L’allegria di diffonde e ci facciamo trasportare dalla musica. Gli hotel sono meravigliosi e incredibilmente illuminati. Passiamo davanti a Luxor, NY NY, Exalibur, il famoso Bellagio con il suo stupendo show di fontane, e ancora Paris, Venetian,Caesar Palace, il Mirage e tanti altri! Siamo emozionatissimi contagiati dalla frenetica notte di Las Vegas. Sembra di vivere un film! Arriviamo alla down town dove si trovano gli hotel meno famosi e numerose Wedding Chapel. Qui ci aspetta una sorpresa… sostiamo davanti ad una cappella dove si sposano le pazze coppie di Las Vegas, una chiesetta in miniatura, bianca con tanto di finto ponte per le foto e gazebo. Entriamo chiedendoci cosa ci facciamo li. Da una porticina laterale fa il suo ingresso Elvis cantando! Wow! Siamo nella cappella dove è proprio il suo sosia a celebrare le nozze! Elvis si esibisce in balli e canti baciando le mani delle ragazze e per finire intoniamo tutti insieme “Viva Las Vegas” dopo aver assistito ad un finto matrimonio tra due nostri compagni di viaggio. All’uscita c’è una vera sposa in abito bianco e limousine bianca parcheggiata li vicino pronta a dire di si. Siamo sempre più euforici e risaliti in pullman la discoteca continua…lungo la strada incrociamo diverse limousine e anche molte Hummer in versione limousine! Facciamo un’altra sosta al Golden Gate Casinò, dove c’è una lunga galleria piena di vita, negozi, locali, sale da gioco e spettacoli che si ripetono lungo la galleria. Il soffitto è un immenso schermo dove scorrono diverse immagini e quando sullo schermo appare Obama con la bandiera americana e in sottofondo la canzone “We are the champion” a tutto volume la intoniamo all’unisono. Verso le 11 torniamo all’hotel e, salutato il gruppo, continuiamo la visita della città by night a piedi. Percorriamo parte della strip e arriviamo al Bellagio esausti con i piedi dolenti… fortunatamente il caldo si è placato e la temperatura è piacevole. Verso le 2 sfiniti cadiamo in un sonno profondo.

Iniziamo la nostra giornata con un’abbondante colazione continentale per poi partire di buon ora alla scoperta della città; abbiamo intenzione di fare moltissime foto, shopping e visitare quanti più casinò riusciamo. La prima tappa del nostro tour de force è il Venetian e dobbiamo camminare parecchio perché è il più lontano. Lungo il tragitto ci concediamo un bel gelato per rinfrescarci: 15 dollaroni per 2 coni da un gusto.. Siamo scioccati!

Ci tornano in mente le parole di Matt che aveva definito Las Vegas “la grande truffa”. Ad ogni angolo c’è modo di spendere soldi tra casinò, souvenir, venditori ambulanti di cibo e bevande per non parlare dei mercatini che vendono di tutto. Giunti davanti all’imponente Venetian, stanchi e accaldati, rimaniamo incantati davanti alla copia di Venezia: c’è il campanile di piazza San Marco, il ponte Rialto e quello dei Sospiri; inoltre ci sono i canali con gondole e gondolieri. Sembra veramente di essere nella Laguna! Prendiamo un scala mobile che ci conduce all’interno e percorrendo un portico con colonne e decorazione curatissime in perfetto stile veneziano sbuchiamo in un grande atrio con il soffitto affrescato. Davanti a noi il centro commerciale: una lunga via di negozi lussuosi, con soffitto a volta con cielo e nuvole che scorrono per davvero, che fiancheggia il Canal Grande da dove partono i giri in gondola. Al piano di sotto si trova il grande casinò con macchinette di ogni genere e tavoli da gioco affollati. Usciti dal Venetian ritorniamo alla realtà… lasciata l’aria condizionata si muore di caldo e il sole scotta. Ci dirigiamo verso Mirage dove, una meravigliosa fontana con cascatelle e delfini color oro e la vegetazione tropicale, ci accompagna all’interno. Nella hall una grande aiuola riproduce la stessa vegetazione che avevamo visto all’esterno e c’è un via vai di persone notevole. Lascia sbalorditi vedere il lusso sfrenato e l’abilità nel riprodurre luoghi e ambienti, ha dell’incredibile ciò che hanno costruito. Successivamente ci spostiamo verso il Caesar Palace; qui sono i Romani a farla da padroni: c’è una miniatura del Colosseo con la statua di Cesare e la fontana di Trevi identica a all’originale. Visitiamo tutto il centro commerciale, che si estende su diversi piani, in cerca del negozio di Abercrombie dove non resisto e acquisto una felpa. Sembra di essere in via del Corso a Roma; anche qui ritroviamo il cielo con le nuvole e inoltre la luce è soffusa e sembra quasi un pomeriggio d’autunno vista anche la temperatura dovuta all’aria condizionata. Il nostro tour del Caesar Palace termina nel casinò, enorme labirinto di slot machine e tavoli da gioco, dove con aria smarrita cerchiamo l’uscita. Entrare all’interno di questi immensi edifici è semplice, ma trovare l’uscita è davvero un impresa, ci si perde. La prossima tappa del nostro tour è il famosissimo Bellagio, per noi è il più bello e lussuoso. Di fronte al gigantesco edificio c’è la grande fontana dove si può assistere allo spettacolare show dei getti d’acqua. Varchiamo l’ingresso guardandoci attorno sbalorditi è molto caotico, gente che va e che viene. Il nostro obbiettivo è trovare il casino, set del film “Ocean 11” con Clooney e Pitt. Anche qui è facile perdere il senso dell’orientamento, i tavoli da gioco sono affolatissimi anche se è primo pomeriggio e Dario, mentre cerchiamo l’uscita, fa il suo “colpaccio” imboscando un penna che riporta il nome dell’hotel. Nel frattempo è cominciato lo show dei getti d’acqua e ci ripromettiamo di vederlo dall’inizio prima di lasciare la città. Dalla scalinata che costeggia la grande fontana possiamo ammirare gli imponenti edifici del Paris con tanto di Arco di Trionfo, Tour Eiffel e una grande mongolfiera, il Planet Hollywood e in fondo alla strada spicca l’Empire State Building. Verso metà pomeriggio siamo cotti e i nostri piedi chiedono pietà così decidiamo di tornare all’hotel. Camminiamo lentamente sotto il sole cocente del deserto del Nevada; Las Vegas sorge in mezzo al nulla infatti e a pochi minuti dalla città c’è solo una strada che attraversa il deserto. La strada per tornare all’hotel è lunga e tutta diritta, dobbiamo tornare all’inizio della Strip o Vegas BLVD. Ci sentiamo piccolissimi in confronto agli enormi palazzi che sorgono ai lati della strada e anche i negozi non sono da meno, come quello della Coca Cola al quale si accede attraversando una grande bottiglia di vetro o quello delle M&M con due caramelle a grandezza uomo sulla porta, o l’Hard Rock Cafè con un’enorme chitarra sopra l’ingresso. Per attraversare la strada ci serviamo dei comodi ponti con scale mobili per salire e scendere cosicché i nostri piedi doloranti possono riposarsi per qualche minuto. L’asfalto dei marciapiedi è tappezzato di figurine di donnine e ad ogni angolo ragazzi e ragazze ispanici le distribuiscono facendole sbattere tra di loro creando un rumore fastidioso. Ci lasciamo alle spalle il ponte di Brooklyn ricostruito fedelmente e poi Excalibur e in lontananza scorgiamo l’hotel. Ceniamo al terzo piano di un casino con patatine fritte e hamburger! Quanto sono buoni questi paninoni, non come quelli a cui siamo abituati in Italia che ti restano sullo stomaco per tre giorni. Dopo cena ci dirigiamo al Planet Hollywood dove ci saremmo dovuti trovare con il gruppo Contiky per il giro in Limousine, ma troviamo solo il gruppo di italiani; il ritrovo era alle 22.30 ma non si vede nessuno e verso le 23.00 realizziamo che non ci hanno aspettato. A questo punto, un po’ delusi per aver perso il giro in Limousine, attraversiamo la strada che ci separa dal Bellagio per goderci la coreografia delle sue fontane che sulle note di “Viva Las Vegas” esplodono in getti altissimi con un rumore di spari eì rendono quella notte indimenticabile. Desiderosi di tentare la fortuna al casinò più famoso, ma traditi dalla stanchezza ritorniamo all’hotel per trascorrere l’ultima notte.

Con un pizzico di rammarico per non aver tentato la fortuna, ma convinti di aver risparmiato partiamo alla volta della California destinazione Bass Lake alle porte dello Yosemite National Park. Lasciata la città dove casinò, luci e palazzi la facevano da padroni ci troviamo circondati dal nulla, una sorta di deserto con vegetazione bassa e montagne rocciose tagliate in due da una striscia di asfalto. Questo sarà il viaggio di tutto il tour e la guida ci consiglia di dormire. Intorno alle 10.30 del mattino ci fermiamo per il “pranzo” nel parcheggio di un grande outlet; i nostri compagni si dileguano rapidamente tra i negozi mentre noi ci limitiamo a guardare e rifarci gli occhi perché le nostre finanze piangono e le valige scoppiano. Verso mezzodì prima di rimetterci in viaggio per Baskerfield, dove faremo un’altra sosta, ci gustiamo un bell’hamburger con patatine fritte all’“In’n Out Burger”, nota catena di fast-food che secondo di Matt fa i migliori hamburger di tutti gli Stati Uniti.

La strada, adesso fiancheggiata da binari, corre nuovamente in mezzo al nulla; tutto intorno il paesaggio è arido con cespugli color giallo-marrone. In lontananza scorgiamo dei rilievi montuosi che poco hanno a che vedere con il paesaggio desertico del Nevada. Per ingannare il tempo guardiamo “Pursuit of happiness” tradotto “La ricerca della felicità” di Muccino e alla fine del film il paesaggio è mutato nuovamente: ai lati della strada e sulle colline ci sono tantissimi pini verde scuro. Ci stiamo avvicinando a Bass

Lake! Verso le 17.30 dopo circa nove ore di viaggio, finalmente arriviamo a Bass Lake al il Pines Resort. Il posto è splendido l’aria profuma di pineta e ci sono tanti chalet a due piani immersi nel verde; un pensiero comune si diffonde nelle nostre menti: “ma solo due giorni dobbiamo rimanere qua?! E’ troppo bello!” Matt ci consegna le chiavi dello chalet e 20$ per acquistare la colazione compresa nel tour; lasciate le valige nella “casetta”ci fiondiamo al market per comprare pasta, pane, sugo, affettato, latte e cereali in modo da garantirci due colazioni, pranzo e cena per il giorno visto che abbiamo la cucina nello chalet. Per la prima volta riusciamo a risparmiare qualche dollaro. La cena è offerta da Contiky questa sera e il ritrovo è alle 19.30 in piscina. La piscina si affaccia sul lago e l’atmosfera creata dal tramonto è favolosa… sulla terrazza una tavolo imbandito con diversi tipi di pizza fumante e bibite ci attendono e oltre la staccionata il lago e le colline con i pini; sulla spiaggia ci sono svariate famiglie americane in vacanza, diversi ragazzi che fanno wake board e vanno in moto d’acqua.

La giornata comincia con una buona colazione a base di latte e cereali preparata da noi. Alle 8.00 partiamo alla volta dello Yosemite National Park che dista circa un’ora e mezza da Bass Lake. Ad un certo punto entriamo in una galleria buia e accompagnai dalla colonna sonora di “Odissea nello spazio”sbuchiamo davanti all’imponente El Captain. Ci fermiamo nel parcheggio e scattiamo una marea di foto… e siamo solo all’inizio della giornata! Varcati i cancelli del parco ci disperdiamo in un attimo, chi noleggia le bici, chi entra nei negozi di

souvenir, chi va al bagno e chi gironzola… noi siamo tra questi ultimi e cerchiamo di capire cosa fare visto che abbiamo solamente 5 ore per andare alla scoperta del parco. Dario si lascia subito prendere dai buffi scoiattoli che popolano la zona e inizia a far loro tantissime foto; questi animaletti sembrano amichevoli, ma ovunque ci sono cartelli che vietano di dargli il cibo in quanto possono mordere. Dopo un attenta consultazione della Lonely Planet e della mappa del parco, prendiamo la navetta gratuita per raggiungere Happy Isles, zona molto apprezzata per i picnic e da qui imbocchiamo il faticoso sentiero che porta alle Vernall Falls. Il sentiero asfaltato è tutto in salita e facciamo varie soste per riprendere il fiato. Siamo circondati da una natura splendida e incontaminata: una pineta profumata, massi rocciosi enormi e il ruscello con il suo rumore rilassante. Se alziamo gli occhi verso il cielo, tra gli alberi, sbucano dei montanarozzi di pietra grigio chiaro con le pareti ripidissime; è davvero suggestivo e ancora più bello quando in lontananza intravediamo le meravigliose cascate. Ci fermiamo sul ponte sottostante per ammirare lo spettacolo e naturalmente immortalarlo. Il sentiero prosegue, ma noi decidiamo di tornare indietro per prendere la navetta che ci porta nelle vicinanze del famoso Mirror Lake. La discesa è molto veloce e in breve tempo siamo al punto di partenza dove prendiamo la navetta che in pochi minuti ci porta nelle vicinanze del lago. Il sentiero che percorriamo questa volta è una larga strada asfaltata tutta in piano.La camminata è molto piacevole eper nulla faticosa; siamo circondati ancora dalla pineta e qua e la appaiongli scoiattoli in cerca di un biscotto e uccelli davvero particolaricon piumedai colori stupendi che attirano subito l’attenzione del nostro bravo fotoreporter.Dopo neanche mezz’ora arriviamoal famoso lago, noto perché nelle sua acque sirispecchia il paesaggio con l’imponente Half Dome. Quandoraggiungiamo la meta peròl’immagine che avevamo in mente svanisce: buona parte del lago è prosciugata.La dove c’era il famoso specchio d’acqua solo sabbia dorata e pozzanghere e così ci ripromettiamo di tornarci in un’altra stagione. Alle 14.30 lasciamo il parco e nell’uscire avvistiamo tre adorabili orsacchiotti intenti ad arrampicarsi su un albero. Giunti a Bass Lake, dopo una noiosissima ora di pullman, trascorriamo il resto del pomeriggio in piscina; il sole picchia ma si sta bene e ripensiamo a Scottsdale con il suo caldo esagerato che seccava la bocca e scottava il naso quando respiravi. La sera ceniamo a lume di candela sul terrazzino con un lenzuolo bianco come tovaglia, gustando un menù tutto italiano a base di pasta al sugo, pomodorini e Philadelphia. Arriviamo a San Francisco e ci fermiamo per il pranzo al Fisherman Warf , il porto.Quando scendiamo dal pullman il clima fresco e ventilato della città ci fa rabbrividire e ci ricordiamo il caldo patito in Arizona , ci sembra quasi un’altra stagione! Ci avviamo speditamente al Pier 39, il molo più famoso della città, dove abbiamo avvistato il ristorante “Bubba Gump Shrimp & Co” e l’”Hard Rock Cafe”; il Pier 39 è una breve “via” costruita su un molo con molti di negozi di souvenir e ristoranti che termina sul mare da dove si ha una bella panoramica della Baia di San Francisco con l’isola di Alcatraz ed il Golden Gate avvolto immancabilmente nella nebbia. La pausa pranzo è breve e il pomeriggio è dedicato al sightseen della città tutta salite e discese. Oltrepassiamo Little Italy dove scorgiamo locali con nomi italiani e ci sembra di essere a casa; incrociamo inoltre China Town con le decorazioni tipiche e gli ideogrammi sulle insegne dei locali. Superiamo Financial District dove ci sono alti grattacieli e la Transamerica Pyramid, per poi arrivare in Alamo Square con le casette vittoriane con i grattacieli sullo sfondo. Passiamo sul Golden Gate e facciamo una sosta al vista point da dove contempliamo meravigliati il paesaggio intorno a noi: c’è una fitta e bassa nebbia che avvolge il ponte ed i tetti dei grattacieli. Per finire ci indirizziamo verso l’hotel in Market Street attraversiamo il Golden Gate Park, Lombard Street dove in lontananza intravediamo la famosa Russian Hill con la sua Crokkedest street per poi arrivare al nostro hotel. Nel tardo pomeriggio ci aspetta la Sunset Cruise che parte da uno dei Pier del Fischerman Warf. Sul molo ci sono tantissime foche cicciotte che dormono e fanno i loro versi; è incredibile quanto puzzano! Inoltre nel mare avvistiamo un delfino che di tanto in tanto fa capolino. Dopo qualche minuto di attesa saliamo a bordo di un grande catamarano e ci sediamo tutti contenti sulle due punte davanti per non perderci lo spettacolo. Il tempo non è affatto l’ideale per vedere il tramonto infatti il cielo è grigio, c’è la nebbia e il vento è molto forte; dopo circa un quarto d’ora la barca prende velocità e ci arrivano degli schizzi di acqua gelida! Infreddoliti quasi tutti andiamo sotto coperta dove c’è l’aperitivo, mentre i più temerari tra cui Dario restano fuori a scattare foto in balia del vento delle onde. Mi siedo al calduccio mangiando qualche stuzzichino e inizio a parlare con Kim, una ragazza australiana di 26 anni che viaggia da sola; ci capiamo e dice che il mio inglese non è male. “Wow! Mi esalto troppo quando me lo dicono!” Quando Dario mi raggiunge è bagnato fradicio e tutto congelato, fortuna che è riuscito ad accaparrarsi una giacca bella pesante che hanno distribuito sulla nave prima di partire. Finita la “crociera al tramonto” realizziamo che altri 40 dollaroni sono partiti per un’altra “sola”(la prima l’abbiamo presa a San Diego, sempre in barca!) Vorremo cenare al Bubba Gump, ma bisogna aspettare troppo e siccome Dario è bagnato fradicio, prendiamo un taxi e torniamo all’hotel dove consumeremo una cena a base di hamburger di Burger King e cappuccino di Starbuck’s.

8.30 ci troviamo con Elena, Adriana e Kim per colazione… una grande abbuffata! Di buon’ora partiamo per il tour della città con guide e mappe alla mano Per prima cosa andiamo a fare il

biglietto per poter usufruire di tutti i mezzi pubblici per 3 giorni al prezzo di 18 dollari, un gran risparmio. Raggiungiamo a bordo di un filobus Alamo Square dove rimaniamo affascinati dalle bellissime case vittoriane dai colori pastello e sullo sfondo i grattacieli e la Transamerica Pyramid, è proprio il paesaggio delle cartoline! Ci tenevo proprio a vedere queste case in quanto me ne ero innamorata vedendo il telefilm “Streghe”. A piedi ci dirigiamo verso il Golden Gate Park … la strada è un susseguirsi di salite e discese davvero faticose; quando arriviamo al parco la prima impressione non è delle migliori: “forse abbiamo sbagliato entrata!” pensiamo. Ai lati del sentierino sterrato che percorriamo c’è una vegetazione incolta e ci aspettiamo da un momento all’altro che salti fuori qualche malintenzionato, ma quando svoltiamo l’angolo rimaniamo sorpresi dalla bellezza della grande aiuola. Davanti a noi un grande prato verde con tanti fiori stupendi e accanto alle scale da cui stiamo scendendo per raggiungerlo c’è un orologio di fiori con vere lancette che si muovono. Ci facciamo subito riconoscere calpestando il prato per fare le foto. Il parco è curatissimo ed è veramente piacevole passeggiarvi; ci sono alcuni musei tra cui la California Academy of Science, un planetario, diversi giardini a tema come il Japaense Tea Garden e il Shakepeare Garden, una grande serra in cui sono esposte piante meravigliose per non parlare delle diverse strutture sportive… tutto eccezionale se solo avessimo avuto il tempo di visitarlo come si deve, ma abbiamo solo un giorno libero per la visita di San Francisco e una miriade di cose da vedere.

Lasciato il parco camminiamo lungo il marciapiede prima in un senso e poi nell’altro alla ricerca della fermata del filobus per raggiungere il Golden Gate Bridge,. La giornata è limpida e soleggiata e fa quasi caldo, il contrario del giorno prima e ci pentiamo di esserci vestiti pesanti!

Arrivati nelle vicinanze del ponte rimaniamo delusi nel vedere la bassa nebbia che lo avvolge e decidiamo di non scendere e proseguire fino alle vicinanze della Lombard Street. Purtroppo la fermata non è vicino alla nostra destinazione e la fila di ripide salite che ci troviamo davanti ci invita a chiamare un taxi.

Saliamo tutti e cinque sull’auto, un po’ stretti, e in pochi minuti siamo in cima alla Russian Hill. Scendiamo la serie di tornanti a bordo del taxi molto entusiasti; la strada è piastrellata e di color “mattone”, delimitata dal aiuole ben curate di ortensie che rendono così particolare questa collina. Quando arriviamo alla fine della strada il taxi si ferma per permetterci di scattare delle foto. La corsa in taxi termina al Pier 39 dove consumiamo un gustosissimo pranzo a base di zuppa di gamberi servita in una pagnotta a forma di scodella con tanto di coperchio sempre di pane. Veramente buonissima. Dopo pranzo salutiamo le nostre amiche e ci dedichiamo alla estenuante ricerca dei souvenir e delle cartoline. A metà pomeriggio torniamo all’hotel con un tram che la città di Milano donò a San Francisco. Siamo esausti ma contenti della nostra giornata, anche se il povero Dario è un po’ giù per non essere riuscito a fotografare il Golden Gate Bridge senza la nebbia. Ci svegliamo presto la mattina perché alle 10 ci aspetta la visita guidata di Alcatraz. Facciamo colazione da Starbuck’s, famosa catena di caffetterie diffusa in tutti gli States, a base di cappuccino e brioches e poi prendiamo il tram F, che si ferma proprio davanti all’hotel, diretti al Pier 33 dove ci aspetta il traghetto per Alcatraz. Il tragitto è breve, la prigione dista solo 2 km dalla città. Muniti di audio guide in italiano percorriamo i corridoi della prigione entrando nelle varie sale e uscendo anche nel cortile dove tira un vento pazzesco. Le celle si trovano lungo tre corridoi e salgono per tre piani, sono piccolissime e dotate dello stretto necessario se non meno. L’audio guida è molto interessante e spiega accuratamente le varie sezioni della prigione, i tentativi di evasione, la guerra tra guardie e detenuti e l’unica fuga forse riuscita da cui è tratto il film “Fuga da Alcatraz”; vediamo proprio le celle in cui i tre detenuti organizzarono la fuga con tanto di buco sotto il lavandino scavato con i cucchiai e fantocci nelle brande per eludere il controllo.

I narratori sono quattro ex guardie e altrettanti ex detenuti che rendono il racconto molto suggestionante; veniamo a conoscenza dei loro stati d’animo e di quello che succedeva all’interno della prigione. Un racconto molto toccante è quello di capodanno quando i detenuti rimanevano svegli ad ascoltare la musica dei festeggiamenti portati dal vento.

Dal “giardino” della prigione si può godere di una delle migliori viste della baia di San Francisco e questa probabilmente era la tortura più grande per i carcerati perché, come spiega l’audio guida, a soli 12 minuti da loro c’era la vita e il mondo. Inoltre non sapevamo che sull’isola vivessero le mogli e i bambini delle guardie, che svolgevano una vita “normale” e che di notte sentivano le grida dei prigionieri che impazzivano. Grazie ai racconti in italiano siamo molto soddisfatti della nostra visita certi di aver imparato qualcosa. Tornati sulla terra ferma, finalmente, gustiamo un pranzo a base di gamberi al “Bubba Gump Shrip & co.”, nota catena di ristoranti dedicati a di Forest Gump e ai suoi amici. Nel pomeriggio setacciamo tutti i negozietti in cerca dell’ultimo souvenir e infine ci mettiamo in fila per prendere il Cable Car; la fila è lunga e lenta e solo dopo un ora riusciamo a salire. Nel frattempo assistiamo a diversi cambi di senso di marcia, famosi in quanto il tram si ferma su una pedana rotante e viene fatto girare a mano da tre uomini. Quando finalmente riusciamo a salire possiamo goderci il viaggio, purtroppo seduti all’interno e non appesi fuori, fino alla Union Square, un anonima piazza con negozi di grandi firme.Con un altro tram raggiungiamol’hotel dove abbiamo poco tempo per prepararci per la cena a Castro ilquartiere gay, casualmente in un ristorante italiano.

Di buon ora lasciamo San Francisco diretti alla volta

di Santa Barbara. Anche questo viaggio sarà lungo e per passare il tempo guardiamo vari film. Ci fermiamo per il pranzo, ovviamente da Mcdonald’s e ci preoccupiamo di indossare il costume e prendere il telo da mare, dato che Matt ci ha promesso che a destinazione ci sarebbe stata una bella spiaggia ad aspettarci. Arriviamo a destinazione intorno alle 15.00 e oltre a renderci conto che la temperatura non è favorevole a causa del forte vento, notiamo che la spiaggia non è affatto come ce l’aspettavamo, ma al contrario è un molo, niente a che vedere con le belle spiagge dei telefilm californiani con surfisti e ragazze che pattinano in bikini. Percorrendo la pista ciclabile che costeggia la spiaggia la nostra attenzione viene attirata da impavidi giovani che muniti di skate e biciclette compiono varie evoluzioni nell’apposito park in cemento con tanto di rail e salti. Dopo aver assistito a voli d’antologia prendiamo la navetta per l’unica attività possibile: shopping. Prima tappa negozio Billabong; appena entrati Dario adocchia subito una bella felpa azzurra che nel giro di pochi minuti decide di acquistare insieme ad un’altra per suo fratello e in più riceve una maglietta in omaggio. Il tutto ad un prezzo molto conveniente rispetto all’Italia.

Anche io cerco una felpa per mio fratello, che adora questa marca, ma di taglie small nemmeno l’ombra. Prossimo negozio è Abercrombie (il mio negozio preferito) in cui acquisto una felpa per mio fratello che puntavo già da San Diego. Sono proprio felice adesso. Verso le 17.30 torniamo al bus e Rich, l’autista, ci fa notare i nostri borsoni degli acquisti… quasi tutti nel risalire portiamo con noi una grande borsa. Dopo una breve sosta alla missione californiana, costruita dai primi missionari cristiani che arrivarono nel nuovo mondo, arriviamo a Carpinteria dove pernotteremo.

Ultimo giorno di tour… Ci lasciamo Carpinteria alle spalle per raggiungere in un paio di ore Hollywood. La città in se non ci colpisce affatto, non c’è niente di particolare se non la Hollywood Blvd con la Walk of Fame, con le stelle dorate dedicate ciascuna ad un personaggio famoso e la scritta sulla collina. Da una via parallela partono i tour in pullman per le case dei vip, Beverly Hills e Bel Air oppure i tour di Hollywood; il biglietto costa 25-30$ e vale 24 ore ma noi ne abbiamo solo due e non ne vale la pena, non ci resta che camminare ed esplorare a modo nostro. Io sono un po’ abbattuta dal fatto che ogni cosa che Matt “la sola” ci propone comporta pagare soldi. Fortunatamente l’entusiasmo di Dario mi contagia e partiamo alla ricerca della famosa collina con la scritta Hollywood. Lasciata la Hollywood Blvd. La strada si fa in salita e camminiamo sotto il sole cocente allontanandoci sempre di più dalla via principale. La scritta sembra irraggiungibile e riusciamo a fotografarla solo da lontano. La città è alquanto anonima e non c’è un anima in giro. Ritorniamo sulla via principale per l’ora di pranzo e mentre camminiamo ci divertiamo a leggere i nomi scritti nelle stelle, quasi tutti sconosciuti. Pranzo immancabilmente da Mcdonald’s… non potevamo non gustarci l’ultimo hamburger made in Usa. Nel pomeriggio inaspettatamente facciamo una sosta alla stupenda Venice Beach a pochi minuti dalla famosa spiaggia di Malibù. Questa si che è la spiaggia che ci aspettavamo come in Baywatch: surfisti che aspettano le onde e bagnini muscolosi sulle torrette o che pattugliano la spiaggia. Quest’ultima è delimitata dalla pista ciclabile dove ragazzi e ragazze pattinano o vanno in bicicletta e poi ci sono altissime palme e un mercatino molto affollato e gli immancabili graffiti. Colti alla sprovvista torniamo al bus per prendere il costume e il telo che stendiamo velocemente in riva al mare. A turno entriamo in acqua… l’impatto con l’oceano è sensazionale, l’acqua è gelida ma ci si abitua in fretta ed è di un blu incantevole. Le onde sono altissime e l’acqua è subito profonda. Ci divertiamo tanto a saltarle e tuffarci ma il tempo stringe e dobbiamo per asciugarci e rivestirci velocemente. Siamo increduli di trovarci su una spiaggia californiana vista solo nei film e ci promettiamo che nella prossima vacanza negli States dedicheremo più tempo a Venice Beach & Malibù. In realtà abbiamo detto la stessa cosa per quasi tutte le tappe del tour, ma è troppo bello ciò che abbiamo avrebbe meritato più tempo. Solo un ora di strada ci separa da Anaheim dove terminerà questo splendido tour e quando Matt ci mette le nostre sigle, quella del mattino “the Adventure” e quella della sera “I gotta feeling” ci emozioniamo tutti consapevoli che sta davvero per finire la nostra meravigliosa vacanza. Arriviamo al punto di partenza nella Downtown di Disneyland ed è triste dirsi addio! Ognuno va per la sua strada… Noi aspettiamo la navetta che ci porta a LAX, l’aeroporto di Los Angeles per poi andare al vicino hotel dove trascorrere l’ultima notte. L’hotel è una bomba, 15 piani e una stanza da letto enorme. Per cena non potevamo non provare un mitico panino di Subway, che tra l’altro è l’unico locale nella zona. Dopo cena prepariamo la valigia, che nel corso della vacanza è aumentata di volume, e poi tutti a nanna a riposare che domani ci aspetta una super giornata.

16 agosto 2009

Ci svegliamo prestissimo e per le 6.30 siamo già in aeroporto. Ci dispiace lasciare la California, è meravigliosa… questi 17 giorni sono volati e ci sono sembrati pochi per le troppe cose belle che abbiamo visto; cose che si vedono solo nei film. Le sei ore che ci separano da Newark volano tra film e chiacchiere. Arriviamo nel New Jersey in perfetto orario e ci dirigiamo con calma al gate 74. Evvai! Questo giro non rimaniamo qua. Mangiamo un trancio di pizza, perché secondo l’orario di Los Angeles è suppergiù l’ora di pranzo mentre qui a Newark è tardo pomeriggio. Alle 18 ci imbarchiamo ma il previsto orario di partenza slitta di mezz’ora in quanto siamo in coda con altri aerei che devono decollare prima di noi. Raggiunta la quota gli assistenti di volo passano con la cena che,nonostante il trancio di pizza appena mangiato, divoriamo. Questo aereo, nonostante sia molto più grande di quello precedente, ha dei passatempi davvero scarsi: pochi film in inglese con un orario di proiezione e il telecomando è scomodissimo. La notte arriva presto, ma non riusciamo a prendere sonno e siamo anche scomodissimi! Chissà all’arrivo come saremo ridotti dopo 15 ore di aereo e, più che altro, come faremo ad affrontare la giornata visto che arriveremo alle 8.50 del mattino ora italiana. Saremo a pezzi, ma poi ci aspetta una settima di mare per riprenderci. Passeremo mesi a ricordare questa mitica vacanza tra foto da sistemare e video da creare. Abbiamo gia cominciato a fare dei progetti per quest’ultimo e abbiamo gia in mente quali canzoni utilizzare come colonne sonore. … non abbiamo chiuso occhio e il sole è spuntato; sull’aereo fa freddo e stiamo ben coperti. Dopo 7 ore e mezza finalmente tocchiamo il suolo italiano, sono le 9 del mattino e fuori fa caldo, un caldo afoso che avevamo dimenticato. La vacanza è davvero finita e dobbiamo tornare alla realtà della vita quotidiana… porteremo per sempre nei nostri cuori il ricordo di questa mitica avventura. Ci siamo divertiti tanto, ma soprattutto abbiamo realizzato un sogno… l’America… che ci sembrava così lontana è ora diventata realtà, indimenticabile e unica. E’ scontato dire che ci torneremo… prima o poi. Adesso ci aspetta il mare e un annointero per programmare laprossima stupenda vacanza!!



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