Whisky, birra e poesie: un viaggio sentimentale alla scoperta di Dublino, la capitale più particolare d’Europa

Dublino ha un segreto, e non è il clima. È un mistero sussurrato, celato nell’anima delle sue strade. Mi sono imbattuto in questa visione blu, magnetica. Non è street art, è un Oracolo che esige un solo atto: Raccoglimento. Quel dito sulle labbra non è un “shhh”. È un comando sacro: zittisci la tua voce interiore e osserva la città. Conoscimi, ti dice, e la tua prospettiva si affinerà. L’unico punto rosso ti fissa. Ti ricorda che la verità è nascosta dietro il silenzio che non sai più fare. Quando riparti, ti lascia la cosa più preziosa: un’anima nuova. Se vuoi capirla, devi aprirti. Ne hai il coraggio?
Indice dei contenuti
Diario di viaggio a Dublino
Anime scultoree e la purezza Wildeana a Merrion Square
Il mio viaggio a Dublino era appena iniziato. Mi ero diretto verso Merrion Square per rintracciare l’ombra letteraria di Oscar Wilde. Appena varcato il confine del parco, il cielo si fece improvvisamente plumbeo, tingendo l’aria di quel grigio profondo, intrinseco all’anima irlandese. Ma proprio mentre la mia aspettativa cozzava con la realtà, i miei occhi furono catturati da un’altra presenza: una statua. Femminile. Innocente. Silenziosa, colta nell’atto di voltare la testa. L’immagine racchiudeva tutto: la casa natale del poeta, il suo spirito anticonformista e la purezza della musa di bronzo sotto un cielo da melodramma.
L’audacia di Wilde: marmo sfrontato
Dopo un lungo momento di contemplazione, prima di lasciare Merrion Square, un ultimo, sornione, addio andava dato. A darmelo con la sua eleganza un po’ snob, c’è lui: Oscar Wilde. Adagiato con regale noncuranza nel St. Stephen’s Green. Questo suo sguardo dissacrante e sornione mi ha subito fatto capire: qui, l’anima non si nasconde. Principe dell’Estetismo, genio capace di rovesciare la morale con un paradosso e un’eleganza feroce. Le sue parole tagliavano l’ipocrisia; la sua vita fu un inno (e un martirio) all’autenticità. Ci ha lasciato la bellezza di Dorian Gray, ma soprattutto il coraggio di essere scomodamente se stessi. Il suo ritratto di marmo è un memento: a Dublino, lo spirito ribelle vince. Ho assorbito l’audacia di Wilde. Sono pronto per il prossimo passo: immergermi nel vero cuore pulsante e meno contemplativo della città.
L’Everest di Bronzo: lo sguardo sognante di mr. flusso di coscienza
Tornando in hotel, giro l’angolo, e chi mi ritrovo lì, piazzato sul marciapiede? Il mio vecchio tormento del liceo: James Joyce. In carne e bronzo, Mr. Flusso di Coscienza in persona! La vera epifania di Joyce va oltre la raffinatezza delle parole. È il suo amore viscerale per Dublino. E quel suo sguardo sognante, con gli occhialini tondi? È un invito, silenzioso ma potente, a guardare oltre la superficie, a cercare l’anima più vera della città e, perché no, un po’ anche la nostra.
Temple Bar: il cuore che batte a ritmo di Guinness
È tempo di lasciare la contemplazione per la passione viva. E la trovo qui, dove l’asfalto si fa acciottolato, i mattoni rossi e l’aria densa di luppolo: Temple Bar. Si scrive Temple Bar, ma si pronuncia Dublino. È un vortice elettrico dove la musica tradizionale ti entra nelle ossa e le pinte di birra scorrono come il Liffey. Non è solo un quartiere; è una promessa di festa perenne. Un’esplosione di colori e divertimento che ti regala un’iniziazione totale e indimenticabile su cosa sia l’anima dublinese.
Molly Malone: il Mito, il mercato e il décolleté conturbante
Dopo aver “shakerato” l’anima a Temple Bar, ci aspetta lei: Molly Malone, la pescivendola più famosa (e conturbante!) d’Irlanda. La ritroviamo qui, immortalata in bronzo, con il suo carretto di pesce. E con un décolleté che fa girare la testa! Forse, come suggeriva un amico, a Dublino le storie si prendono sempre di petto! Molly è l’incarnazione schietta, resiliente e un po’ saucy dello spirito dublinese. Una tappa che ti fa sorridere.
Guinness: l’Anima Nera (e Frizzante) di Dublino
Come si fa a raccontare Dublino senza parlare della sua anima più liquida? Parlo, ovviamente, della Guinness! Il punto è semplice: Guinness è sinonimo di Irlanda. Guinness è sinonimo di Dublino. La servono in ogni pub, con quel rito impeccabile del doppio pour che è quasi una preghiera. È lei, la Black Stuff, che chiude la giornata, apre le conversazioni e cementa le amicizie. Non è solo una birra: è un rito.
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Sua Maestà il Whiskey: l’anima ambrata di Dublino
Non è solo un distillato, è l’oro liquido che scorre nelle vene della capitale irlandese. Dublino non è soltanto la città dei pub; è il cuore pulsante e l’antica capitale mondiale dell’Irish Whiskey. È qui, grazie alla purezza dell’acqua del Liffey e all’ingegneria della tripla distillazione, che nasce lo spirito più morbido e vellutato. Ogni goccia è un sorso di storia.
Toc, Toc: La ribellione a colori della Dublino georgiana
Dietro l’austera uniformità dei mattoni rossi, si nasconde il cuore ribelle dell’individualismo irlandese. Queste magnifiche Porte Georgiane sono un’esplosione di colore. Non è solo estetica, è pura necessità e simbolo di libertà. Ogni porta colorata è una dichiarazione: un tocco di geniale follia che rompe la monotonia e grida silenziosamente: “Free Éire!” È un dettaglio che rende Dublino unica.
Trinity College: il cervello luminoso di Dublino
Incastonato tra il frastuono cittadino, spunta lui: il Trinity College. Dall’esterno, un’imponente e austera cattedrale del sapere. E lì, si apre un mondo: un’oasi di pace e pensiero critico che dal lontano 1592 distilla l’intelletto irlandese. Le aule hanno formato menti brillanti come Swift, Wilde, Beckett e Joyce. Il Trinity non è solo un’università; è il cervello e l’anima intellettuale che ha plasmato la letteratura e la cultura mondiale.
An Gorta Mór: le ferite dell’anima irlandese
Questa scultura, posizionata in modo straziante sulle rive del Liffey, vale più di mille libri di storia. Non è solo arte, è il grido silenzioso di un milione di vite spezzate dall’An Gorta Mór (la Grande Carestia, 1845-1849). Guardi questi volti scavati e senti la disperazione, la stessa che spinse due milioni di persone a salire sulle Navi Bara. Un monito potente: la città non dimentica le radici della sua tenacia e della sua resilienza.
GPO: l’adrenalina della nascita di una Nazione
Scordati le lezioni noiose. Questo palazzo non è Storia: è il cuore che batte al ritmo della Rivoluzione irlandese. Qui, nel 1916, è stata letta la Proclamazione della Repubblica. Hanno dichiarato l’indipendenza sapendo di firmare la propria condanna. Sulla facciata, vedrai ancora i buchi dei proiettili. È la dimostrazione che un’idea, una speranza, può sopravvivere al fuoco e diventare più forte. Una facciata di pietra, un’anima d’acciaio. Semplicemente epico.
Kilmainham Gaol: la sentenza finale della Rivoluzione
A guardarla così, si apprezzano solo le linee pulite. Ma in queste mura, si concluse la Rivolta di Pasqua del 1916. Un luogo sacro dove l’orrore si è trasformato in lezione. Si cammina dove hanno camminato i patrioti, capendo il valore di una libertà conquistata col sangue. Da qui, l’Irlanda ha imparato il prezzo della sua indipendenza.
Il Samuel Beckett Bridge: dove la poesia incontra il codice
Può un ponte rappresentare tutto questo popò di roba? Assolutamente sì. L’immagine di copertina (il Samuel Beckett Bridge) è Calatrava che canta la storia di Dublino. Osservalo: è un’imponente arpa celtica d’acciaio sul fiume Liffey. Questa forma non è casuale: è un “corridoio letterario” che onora la tradizione (l’arpa, Beckett) e al tempo stesso celebra la modernità aggressiva dei Docklands.
Howth Head: la cartolina selvaggia a portata di treno
Un rapido balzo dal centro e in pochi minuti sei catapultato in un’altra dimensione. Howth Head non è solo un promontorio; è la quintessenza dell’Isola di Smeraldo distillata in una singola, mozzafiato cartolina! Qui, la natura fa da padrona: il verde lussureggiante si scontra con l’azzurro profondo dell’Atlantico in un contrasto che toglie il respiro. Le scogliere rocciose si gettano nell’infinito, incarnando la forza indomita della costa irlandese.
Glendalough: l’incantesimo irlandese che ti rapisce l’Anima!
Dimentica Dublino. A pochi chilometri dalla capitale, la nebbia si alza e ti ritrovi catapultato nel cuore pulsante e selvaggio dell’Irlanda: Glendalough. Qui, l’atmosfera è magia pura. Le rovine mozzafiato sono un palcoscenico millenario. La Croce Celtica ti fissa, un simbolo potente che unisce la terra alla fede, il mistero all’eternità. Glendalough ti afferra. Ti costringe al silenzio, a respirare l’aria limpida e a sentire la potenza mistica del passato.
L’ultima sosta: il regalo della Wild Atlantic Way
L’ultima fermata prima delle Cliffs non è dove mangi, ma cosa vedi mentre mangi. In quei pochi minuti rubati, con il bus in sosta e il pranzo di fretta, la costa atlantica si è rivelata in tutta la sua potenza. Non un panorama, ma una vertigine. Selvaggia, irregolare, eppure così colorata: le pecore come puntini bianchi sul verde elettrico, le case con i tetti in ardesia che resistono al vento, i cieli che cambiano sfumatura ogni trenta secondi. La vegetazione è piegata dal vento, i gabbiani ubriachi di libertà danzano nell’aria. È un’esperienza che ti entra dentro e ti lascia il desiderio bruciante di tornare, subito.
Cliffs of Moher: la follia maestosa dell’Atlantico!
C’è un posto sulla selvaggia costa occidentale che ti incolla letteralmente al bordo del mondo: le Cliffs of Moher. Immagina un muro verticale di 214 metri che si tuffa nell’Oceano. Non un panorama, ma una sferzata di adrenalina! Il vento ti schiaffeggia il viso. Prendi un tour: ti godrai la cavalcata attraverso i paesaggi lunari del Burren e la Wild Atlantic Way. Sono un’esperienza che ti toglie il fiato e ti lascia un senso di meraviglia che non dimenticherai mai.
Il Burren: la lezione di vita di pietra e fiori
Il Burren ti obbliga a pensare. Non è solo geologia: è una lezione di vita con l’Oceano sullo sfondo. A prima vista, è un deserto di roccia calcarea. Ma è proprio qui che il Burren rivela la sua magia: la vita non si ferma di fronte a niente. Tra le fessure grigie e aride, ho visto i fiori. Colorati, delicati, spuntare dalla nuda pietra. Questo paesaggio è contemplativo. È uno spettacolo insolito che cattura proprio per il suo contrasto brutale.
Gran Finale: la bellezza e il lerciume (ovvero, la vita a Dublino)
Dublino non è solo cartoline patinate. È bellezza e lerciume gomito a gomito. Ed è qui che l’ami davvero. Mi sono imbattuto in un vicoletto cieco con una pungente puzza. Lì, l’ho visto: il murale di Joyce. L’omaggio brillante al Maestro, dipinto proprio in mezzo a quel degrado, accompagnato dalla sua celebre frase: “Quando morirò, Dublino sarà scritta nel mio cuore.” L’Irlanda ti chiede di sopportare il lerciume per vedere la bellezza disarmante che vi fiorisce accanto.
L’Addio (e il calore che resta)
Dopo aver attraversato la Dublino dei ponti di ferro e dei mattoni rossi, dopo aver scattato foto alle sue statue algide e alle sue cattedrali imponenti, è lei che mi saluta. Non più la Madrina austera che mi ha accolto, ma questa Dea del Muro, dipinta col fuoco vivo e la passione. I suoi occhi vibrano di tutto quel calore che ho cercato e trovato tra i banconi dei pub, nelle risate genuine della gente. Le ciminiere in basso? Sono la sua memoria. Dublino è questo: una donna che prima ti chiede rispetto e poi, quando le hai dato ascolto, si svela per l’anima vibrante e indimenticabile che è. E a questo punto, caro lettore, lasciarla è il prezzo da pagare per averla conosciuta. Un addio caldo, con quel pizzico di malinconia che si attacca alla pelle e non se ne va più.



















