West American Dream

Parchi e città del sogno americano per eccellenza
Scritto da: Pastru
west american dream
Partenza il: 10/08/2010
Ritorno il: 25/10/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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IL VIAGGIO IN PILLOLE (per i pragmatici) Itinerario: Los Angeles – Palm Springs – Joshua Tree NP – Phoenix – Sedona – Williams – Grand Canyon – Page – Monument Valley – Lake Powell – Antelope Canyon – Bryce Canyon NP – Zion NP – Las Vegas – Death Valley NP – Sequoia NP – Yosemite NP – San Francisco – Alcatraz – Laguna Seca – Monterey – 17mile Drive – Big Sur – Los Angeles Giorni: 16 (10 – 25 Agosto 2010) Km percorsi in auto: 5.200 Km. Percorsi a piedi: almeno un centinaio Stati attraversati: 4 Costo all all all inclusive: € 4.465,14 Pacchetto volo + auto + assicurazione medica/annullamento/bagaglio acquistato tramite Expedia con 4 mesi d’anticipo a € 2.269,15

  • volo: British Airways da MI MXP con scalo a Londra Heatrow per Los Angeles LAX.
  • compagnia assicuratrice: Mondial a cui abbiamo richiesto gli estremi della polizza puntualmente inviataci via mail
  • autonoleggio: Hertz contattata per chiarire le condizioni di noleggio poco chiare su Expedia: LDW (kasko), chilometraggio illimitato e 2° guidatore compreso se coniuge.

A 24 ore dalla partenza effettuiamo il check-in on line sul sito www.ba.com, per un loro disguido siamo impossibilitati a stampare tutte le carte d’imbarco che ritiriamo quindi ai banchi in aeroporto. Controlli all’immigration di LAX (impronte digitali e scansione dell’iride) e ritiro bagagli rapidi: < 1 ora per entrambi. Navetta Hertz con partenza dagli arrivi molto frequente e ben riconoscibile; personale cordiale e paziente col ns. Inglese non sempre fluido; ci hanno omaggiati della mappa di Los Angeles e dato indicazioni per raggiungere l’hotel. Navigatore: cellulare Nokia 5230 previo caricamento mappe California/Arizona/Utah e Nevada: impeccabile! Mappa cartacea: Stati Uniti – I Grandi Parchi – 1:2.000.000 De Agostini Hotels (prenotati tramite Expedia o Booking e pagati all’atto della prenotazione od al check-in):

  • Travelodge LAX – Los Angeles – € 69,80/1 notte – voto: 7,5
  • Days Inn Metro Center – Phoenix – € 31,85/1 notte – voto: 7
  • Page Boy Motel – Page – € 139,54/2 notti – voto: 8
  • Panguitch Inn – Panguitch – € 58,15/1 notte – voto: 5 (siamo tuttora in attesa del rimborso per un doppio addebito sulla carta di credito: unico neo di tutte le prenotazioni on-line effettuate!)
  • Stratosphere Tower – Las Vegas – € 33,65/1 notte – voto: 9
  • Comfort Inn & Suites – Visalia – € 52,41/1 notte – voto: 9
  • America’s Best Value Inn – Jamestown – € 67,58/1 notte voto: 8,5
  • Chancellor – San Francisco – € 271,92/3 notti – voto: 9,5
  • Econolodge Bay Breeze – Seaside – € 80,37/1 notte – voto: 7
  • Ramada Inn Marina del Rey – Los Angeles – € 182,44/2 notti – voto: 8

In auto: limiti di velocità (a cui conviene attenersi) bassi ovunque (max 75 miglia/h); corsia car-pooling: riservata ad auto con più di 2 occupanti; agli incroci con 4 stop senza semafori la precedenza è in base all’ordine d’arrivo (vi immaginate in Italia che caos sarebbe?!); ai rifornimenti di carburante occorre pagare con carta di credito alle pompe o, se in contanti, prima di rifornirsi al chiosco; autostrade tutte gratuite (freeway per l’appunto!): unico pedaggio pagato $ 4,00 per l’attraversamento del ponte che da est giunge a San Francisco. Il carburante (quasi esclusivamente benzina) costa meno della metà rispetto ai prezzi applicati in Italia: circa $ 3,00/gallone. Clima: torrido in Arizona, Nevada e nella Death Valley, gradevole nei parchi dello Utah e californiani, primaverile a San Francisco, mite sulla costa ed a Los Angeles. Valigia 4 stagioni! Da donna a donna: parola d’ordine “praticità”: lasciate pure in Italia vestitini trendy, tacchi 12 e la sacca dei trucchi. Occasioni mondane non ve ne sono e negli hotel si giunge stremati la sera dopo cena per una doccia rigenerante ed un buon riposo. Se proprio non riuscite a tenere a bada la vostra vanità riservatela alla Strip di Las Vegas che ospita ogni genere di eccesso, ma non eccedete col trucco: a 40° diverreste come il clown di Circus! Occhio alla carta di credito! Non per la microcriminalità (mai riscontrata) ma per le crisi convulsive da shopping sfrenato che potrebbero verificarsi negli outlet. Conclusioni: un viaggio intenso, penetrante, in cui dominano natura e paesaggio, da viversi a 360° affiancati solo da 1 o più persone di cui si condivide a pieno gusti, necessità e limiti. Da uomo a uomo: non sottovalutate le distanze! Seppur scorrevoli ed ampie le freeways paiono infinite. Per chi, come il sottoscritto, è costretto a percorrere Corso Buenos Aires a Milano ogni mattina guidare negli States fa comunque riscoprire il piacere di guida: cambio automatico e cruise control (istallati quasi su ogni mezzo) limitano poi il disagio per le molteplici ore spese al volante. Non temete l’imprevisto, anzi, consideratelo l’opportunità per una nuova avventura. Top 10

Il tour nella Monument Valley

Gli elefanti marini a Piedras Blancas La maestosità del Gran Canyon I colori dell’Antelope Canyon Gli hoodoos del Bryce Canyon Il Lake Powell al tramonto Passeggiare tra i giganti del Sequoia Le orchidee del Conservatory of Flowers Una fumante Crab Bread Bowl L’atmosfera che si respira a Sedona IL VIAGGIO ROMANZATO (per i sognatori) Ricorderanno i miei lettori (consentitemelo, dai…) che contemplando le fragorose onde infrangersi sulle coste andaluse (www.turistipercaso.it/andalusia/58175/andalusia-quasi-senza-ritorno.html) il pensiero vagò oltreoceano a ciò che allora era solo l’idea embrionale di un viaggio tanto immaginato da non distinguere se già vissuto o solo desiderato… Le migliori guide turistiche troneggiano sulla libreria ricolme di annotazioni e divisori, i diari dei TPC pazientemente stampati, letti, evidenziati ed integrati con articoli comparsi su riviste di viaggi rivestono i ripiani, le ricevute delle prenotazioni sono sapientemente catalogate: ogni frammento di questo puzzle americano pare aver trovato la sua opportuna collocazione ed averne colmato i vuoti. Le ultime gocce di attesa si prosciugano, il sogno si materializza. 10 Agosto 2010 – Milano – Londra Heatrow – Los Angeles Stesi come nel proprio letto con tanto di coperte, cuscini ed ogni genere di comfort a propria disposizione: mai considerata l’eventualità di viaggiare in business, vige la regola di destinare la cospicua maggiorazione prevista per finanziare un altro viaggio, ma quando lo steward della British Airways, forse per rimediare ad un risolto disguido tecnico con le carte d’imbarco, ti comunica che avrebbe il piacere di ospitarti nelle più ambite e costose poltrone dell’aeromobile, che fai?! … ti trattieni dal gettargli le braccia al collo, scordi la tua condizione di piccolo borghese e mostri apprezzamento ma anche sufficienza come il più navigato dei viaggiatori d’affari. Inutile a dirsi che giungiamo a destinazione senza lo sfinimento che un viaggio intercontinentale di 13 ore comporta. L’apprensione per i famigerati controlli all’ingresso negli States si dissolve dinanzi ad una veloce ed indolore procedura, lo stesso dicasi per la riconsegna bagagli (Heatrow ha smentito la sua fama!). I primi scorci americani li gustiamo dalla navetta dell’autonoleggio che in pochi minuti ci conduce al deposito Hertz dove ritiriamo l’auto. Raggiungiamo agevolmente, anche grazie al mio fido cellulare trasformato per l’occasione in navigatore (grande Nokia!), il Travellodge LAX strategico hotel situato nei pressi dell’aeroporto e per questo sede di innumerevoli transiti nell’arco delle 24 ore. Cena da Denny’s tipica catena di steak house dove il più classico degli hamburger viene servito su di un invitante piatto corredato da verdure e salse. Approcciamo così 2 peculiarità tipicamente americane in ambito della ristorazione: la tip ed il refil. La tip, la nostra mancia, in USA è sostanzialmente obbligatoria, certo, nessuno ti rincorre fuori dal locale come se non avessi pagato il conto, ma è scontato che il cliente lasci una gratuità al cameriere che si è occupato di lui pari al 15/20% della consumazione. Il personale, scarsamente retribuito dal datore di lavoro, pare sia così motivato a meglio soddisfare il cliente per ottenere una tip più alta. Il refil altro non è che il rabbocco, l’illimitato riempimento del bicchiere consegnato in cassa al cliente nei fast food o presente sul tavolo nei ristoranti. Nel corso del viaggio abbiamo scorto più volte cartelli che raccomandavano di non utilizzare il refil con contenitori provenienti dall’esterno o che ne limitavano il numero di riempimenti (ogni mondo è paese n.d.r.). Il vero dramma generato da questo generoso operare sono gli ettolitri di bibite gassate che l’americano medio ingurgita ogni anno ed il conseguente fiorire dell’obesità. Fusi da fuso ci addormentiamo senza attesa né sforzo malgrado la consapevolezza di essere su suolo americano ci galvanizzi. 11 Agosto 2010 (auguri Massy!) – Los Angeles – Palm Springs – Joshua tree NP – Phoenix – Lasciamo Los Angeles in un insolito clima autunnale per iniziare la nostra avventura on the road. Ci sentiamo frizzanti, leggeri,… liberi. Orgogliosi di non aver ceduto alla comodità del viaggio organizzato e consapevoli che, comunque andrà, questo viaggio ci segnerà nel profondo, aumenterà la nostra complicità di coppia e la maestosità della natura che presto si rivelerà a noi ci rammenterà con forza l’umile condizione umana. L’agglomerato urbano di Los Angeles pare non avere fine; finalmente il deserto domina il paesaggio e non possiamo fare a meno di notare intere colline fittamente ricoperte da pale eoliche; ordinate, lineari, candide, non deturpano il paesaggio ma lo caratterizzano. Palm Spings si rivela una lussureggiante oasi nel deserto: un susseguirsi di graziosi villini dai giardini curati dove enormi fuoristrada sonnecchiano dinnanzi ai portoncini d’ingresso dai colori pastello. Acquistiamo per pochi dollari due frigo in polistirolo più per rispettarne il rito che convinti di un loro reale futuro utilizzo: quale ingenuità! Nei giorni a venire il valore aggiunto di questi due semplici contenitori debitamente riempiti di ghiaccio si rivelerà incalcolabile. Raggiungere l’ingresso del Joshua tree NP nell’omonima cittadina richiederà più tempo di quanto ne avevamo previsto: riusciamo a varcarne la soglia solo nel primo pomeriggio dopo aver acquistato al Visitor Center la Annual Park Card al prezzo di $ 80,00 per un auto e due occupanti che si rivelerà di indubbio vantaggio nel corso del nostro peregrinare. Non nutrivamo grande aspettative per questo parco, lo consideravamo solo una piacevole alternativa all’Highway per raggiungere la torrida Phoenix. Che sorpesa! Gli insoliti alberi di Joshua, (Giosuè) da cui il parco prende il nome, sono disseminati ovunque specie a nord; molteplici sono i punti panoramici ben segnalati, meritevole il Keys View da cui è possibile osservare con velata apprensione un tratto esposto della faglia di Sant’Andrea che si ritiene sarà responsabile di un sisma dalle proporzioni bibliche sulla costa Ovest degli Stati Uniti: the BIG ONE. Una strada dalle morbide curve e dai dolci dislivelli attraversa il parco da nord a sud e ci consente di godere di mutevoli paesaggi sino al suo limitare. L’interminabile e monotona Hwy 10 ci conduce a Phoenix (dove veniamo tamponati!) ed un breve tratto della 17 al nostro hotel; malgrado l’imbrunire l’aria è infuocata. Ceniamo da Lone Star, un tipico saloon americano, e pernottiamo al Days Inn dove Morfeo prende presto il sopravvento. 12 Agosto 2010 – Phoenix – Sedona – Williams – Grand Canyon – Page – Lasciamo la torrida capitale dell’Arizona e percorrendo l’Hwy 17 giungiamo a Sedona. Culla del movimento NEW AGE, che qui ritiene esserci positivi influssi di madre terra che caricano di energia vitale (WOW, altro che vitamine!), la cittadina si rivela un bijou circondato da monoliti dall’improbabile color rosso fuoco. Riprendiamo l’Hwy 17 seguita dalla 40 per giungere alla mitica Williams dove tutto ricorda la mother route: meglio conosciuta come la Route 66. Questa storica strada che collega Los Angeles a Chicago taglia in due il paese dove si sprecano pub e negozi ispirati alla leggenda. Non poteva mancare il questo luogo da film western l’acquisto del mio tanto sospirato cappello Stetson…A malincuore si riparte, ma la prospettiva della prossima meta sana il dispiacere. Nel nostro immaginario le aspettative per questa meraviglia sono notevoli, ma nemmeno le fantasie più ardite possono competere con la realtà quando questa è così straordinaria. Percorriamo l’Hwy 64 che conduce direttamente all’ingresso del parco, raggiungiamo il Visitor Center e ci apprestiamo a comprendere quale sia il modo migliore per assorbire questo luogo. All’improvviso, mentre su di un agevole camminamento, ci stiamo dirigendo verso Bright Angel Point: …eccolo! Restiamo ammutoliti, in religioso e doveroso silenzio dinanzi a questo dirompente manifestarsi della natura, all’incessante lavoro che il fiume Colorado e gli agenti atmosferici hanno compiuto negli ultimi milioni di anni. In auto raggiungiamo diversi view points consapevoli che il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo: la sera col suo nero mantello priverà presto i nostri occhi della visione forse più esaltante su cui si siano mai posati. Giungiamo al desert view poco prima che la luce si eclissi e che l’intero canyon sprofondi nell’ombra. Estasiati ma contrariati per non aver potuto dedicare il doveroso tempo, peraltro mai sufficiente, a questo capolavoro cavalchiamo l’interminabile e deserta Hwy 89 per raggiungere Page dove pernotteremo 2 notti allo spartano tipico motel americano: Page Boy Motel. L’ora è tarda ed al nostro arrivo nessuna luce ad attenderci, lo sconforto sta per prendere il sopravvento quando scorgiamo una busta attaccata malamente al vetro esterno della buia reception, ci avviciniamo e scorgiamo il nostro nominativo scritto con una grafia elementare: strano a credersi ma i gestori del motel hanno lasciato a nostra disposizione (e di tutti coloro che avrebbero potuto appropriarsene prima del nostro arrivo) le chiavi e le indicazioni per raggiungere la nostra camera. Beata fiducia! 13 Agosto 2010 – Page – Monument Valley – Lake Powell – Page Oggi conosceremo i Navajo! Oggi vivremo in una sceneggiatura western canticchiando le melodie di Ennio Moricone. Tramite la scenic drive 98 ed un tratto della Hwy 163 giungiamo a Kayenta e da li il passo sino all’ingresso al Monument Valley Navajo Tribal Park è breve. L’annual pass qui non ha valore: siamo in territorio navajo, ma l’onesto prezzo del biglietto ($ 5/persona) mette a tacere ogni polemica. Già dal Visitor Center sono ben visibili i 3 mittens che hanno meritatamente resa famosa la valle: vederli spuntare da questa piana desertica ed assolata maestosi e vivaci impone riverenza. Con qualche dubbio su capacità e resistenza del nostro mezzo a noleggio (una normalissima berlina, per chi l’avesse scordato) decidiamo di percorrere le 27 miglia di sterrato circolare che offrono ampie e particolareggiate vedute di tutte queste formazioni di cui la valle è ricolma. La polvere ci arde la gola, impregna i vestiti e fa lacrimare gli occhi ma,… che straordinario contatto con una realtà conosciuta solo sul grande e piccolo schermo: siamo nel far west che tutti si immaginano. All’Antelope Canyon tours di Page prenotiamo la visita per l’indomani nell’omonimo Canyon ($ 32/persona): mannaggia, mannaggia gli ultimi 2 posti disponibili sono per il tour in partenza alle 7:30 (vivamente consigliati sono invece quelli nelle ore centrali della giornata quando il sole si insinua perpendicolarmente tra le rocce). La rosea luce (sono solo le 18:00!) preannuncia l’imbrunire: giusto il tempo di rendere omaggio al lago Powell, formatosi a seguito della costruzione di un’immensa diga sul fiume Colorado proprio qui a Page. Specchiarci nel blu cobalto delle acque contrastato dall’aranciato delle frastagliate coste che si levano imponenti è il modo migliore per congedarci da questa ennesima giornata intensa per fatiche ed emozioni. Buona notte Arizona! 14 Agosto 2010 – Page – Antelope Canyon – Bryce Canyon – Panguitch Sveglia all’alba (che novità!) per raggiungere il ritrovo da cui partono le jeep scoperte per l’Antelope Canyon. Il navajo che ci condurrà sino all’ingresso del canyon pare contrariato ed annoiato e la sua guida disinvolta ce ne da conferma. Una ventina di minuti esposti alla frizzante aria mattutina ed alla polvere per giungere dinanzi alla fenditura ingresso del canyon; prepariamo l’attrezzatura fotografica (cavalletto indispensabile!) e ci addentriamo in ciò che esalterebbe anche il reporter più navigato. La luce interna è debole, la reflex esige tempi lunghi (fino a 20’!), ma ciò che viene riprodotto sul display ad ogni scatto è ancor più paradisiaco di ciò che l’occhio umano, in questa scarsità di luce, riesce a cogliere. L’arenaria levigata dagli agenti atmosferici regala anfratti e colori che sembrano usciti dal pennello di un fantasioso artista. Poesia, autentica poesia. Lasciamo Page e l’Arizona per entrare, percorrendo l’Hwy 89, nello Utah; breve sosta a Kanab (cittadina mormone) per poi dirigerci impazienti al Bryce Canyon NP. L’intero parco è percorribile con la propria auto sostando ai vari point of view segnalati sulla cartina fornita all’ingresso. Ogni sosta regala scorci differenti degli innumerevoli hoodoos, i più arditi possono percorrere chilometrici sentieri pedonali che costeggiano l’intera valle, noi ci siamo “limitati” al trail che partendo dal Sunrise Point conduce al Queen’s garden: più che la meta il vero spettacolo è il percorso che si snoda alle basi di queste eclettiche formazioni. Osservarle da vicino, oltrepassare cavità al loro interno, ammirarne i colori che assumono differenti sfumature al mutare della luce solare, accarezzare la loro superficie,…: non vi è pace per occhi, spirito ed obiettivi. Attendiamo il tramonto al natural bridge chiedendoci per quanto tempo questi imponenti ma fragili manufatti della natura resisteranno agli stessi agenti che li hanno modellati. Un’altra immagine di questo viaggio sta per imprimersi indelebile nella memoria: gli hoodoos al Bryce Point che lentamente spengono i loro vivaci colori come tizzoni ardenti di un fuoco morente. Da segnalare sulla statale 12 prima della deviazione per Bryce il Red Canyon dalle rocce di un rosso acceso punteggiate da rigogliose e verdissime conifere che si stagliano nel cielo blu cobalto; due tratti di strada scavati in queste pareti consentono di sentirsi un elemento di questa tavolozza naturale. E’ tale l’estasi per le meraviglie da poco incontrate da offuscare la mediocrità del Panguitch Inn Motel e l’arroganza del suo gestore. 15 Agosto 2010 – Panguitch – Zion NP – Las Vegas Oggi abbiamo riattraversato l’oceano alla scoperta… del Trentino. Già, perché sono questi i panorami dello Zion NP: una versione ambrata delle nostre Dolomiti. L’auto va lasciata al Visitor Center ed una comoda e frequente navetta conduce ai punti di interesse nonché alle basi di partenza per i trail. Intraprendiamo quello che conduce al Lower Emerald Pools percorrendolo in senso orario: il percorso si rivela più arduo del previsto e la meta uno stagno di pochi metri. La Hwy 15 solca un torrido nulla finchè si staglia all’orizzonte la nostra prossima meta: ladies & gentlemen LAS VEGAS! Transitiamo al Premium Outlet Las Vegas dove strisciamo a volontà le carte di credito: non per tutti gli articoli, ma la convenienza è reale. Alloggiamo allo Stratosphere: mega hotel con immenso casinò all’inizio della Strip, la via che è Las Vegas stessa. In qualità di ospiti abbiamo diritto alla salita gratuita alla torre panoramica; per accedere all’ascensore si viene perquisiti e privati di ogni oggetto ritenuto pericoloso, nel nostro caso il cavalletto che ci avrebbe garantito di certo foto migliori. Lo spettacolo è davvero notevole: tutto lo sfarzo di Las Vegas in un unico campo visivo. Grazie alla possibilità di parcheggiare gratuitamente in ogni hotel raggiungiamo in auto il centro della strip e diamo il via alla nostra esplorazione notturna. Gli ampi marciapiedi sono gremiti di gente: uno sorta di “vasca” costellata da coreografici hotel illuminati a giorno; meritevoli il Venetian, il Paris, il Bellagio, il Caesar Palace, il New York ed il Luxor, costatiamo dunque con un pizzico d’orgoglio che l’architettura italiana trionfa tra queste maestose imitazioni. L’ora è tarda, gli spettacoli che i singoli hotels inscenano ogni sera sono terminati da ore, ma veniamo comunque rapiti da questa dimensione irreale quanto eccessiva che poco concilia con quanto goduto sinora nella nostra avventura americana. 16 Agosto 2010 – Las Vegas – Death Valley NP – Visalia – Poche ore di riposo e poi di nuovo on the road: oggi ci aspetta… la MORTE. Hwy 95 e di seguito la 190 per raggiungere il nulla, non a caso uno dei luoghi più inospitali della terra. Malgrado i buoni propositi di non visitare il parco nelle ore più calde della giornata ne varchiamo la soglia all’ora di pranzo: la temperatura è infernale, temiamo per l’incolumità nostra e della nostra auto. Debuttiamo con Zabrisky Point, una collina da cui la vista spazia su suggestive dune desertiche dove assistiamo all’intervento provvidenziale di un ranger accorso in aiuto ad un incauto turista che mai avrebbe potuto scegliere luogo peggiore per chiudere le chiavi dell’auto al suo interno. Come nel noto telefilm (…) il ranger ha subito il controllo della situazione e con uno strumento semplice quanto ingegnoso riesce a forzare senza danno alcuno la portiera dell’auto. Incorruttibile rifiuta la gratuità che il turista vorrebbe riconoscergli, saluta cordialmente e scompare nella polvere. Camminiamo sulla candida distesa di sale a Badwater Basin dove il caldo va a sommarsi ad un insolita afa dovuta alla latitudine negativa; ho dei capogiri, la vista a tratti annebbiata e sono incapace di procedere in modo lineare, con l’aiuto di Massimo raggiungo l’auto ma mi è negato il sollievo dell’aria condizionata: compressore in blocco. Nostro malgrado ci immedesimiamo con chi perì in questa valle dandole il nome e ciò rende questo paesaggio lunare ancor più fascinoso ed allarmante. Il piccolo canyon dell’Artist Drive ci regala un suggestivo percorso tra rocce dalle mille sfumature ed a Fornace Creek la spartana area ristoro ci consente di riportare le nostre condizioni psico-fisiche alla normalità. In tarda serata, stremati giungiamo al Confort Inn & Suite di Visalia per un sonno ristoratore. 17 Agosto 2010 – Visalia – Sequoia NP – Jamestown – L’Hwy 198 ci proietta nel regno dei giganti, tra alberi millenari che infondono un profondo e doveroso senso di rispetto. Ci si sente lillipuziani qui al Sequoia NP, ma al contempo protetti, … a casa; decine di generazioni umane si sono alternate da quando i semi del Generale Sherman e del Generale Grant li hanno generati. Un trail su Moro Rock per beneficiare di una spettacolare vista sulla Sierra Nevada e poi di nuovo tra gli alberi per abbracciarli, accarezzare la loro tiepida superficie rugosa, respirare il loro odore. Anche oggi l‘arrivo in hotel avviene a sera inoltrata, peccato: dormiamo in uno dei cottage dell’American Best Value Inn Royal Carriage di Jamestown ed avremmo potuto godere di questa particolare location più a lungo. Notte! 18 Agosto 2010 – Jamestown – Yosemite NP – San Francisco – L’Hwy 120 conduce direttamente nel parco più popolare ed amato dagli americani: lo Yosemite. Scegliamo un percorso circolare one way che consente di godere della Yosemite Valley e di svariati point of view sul Capitain e sull’Half Dome le due enormi rocce di granito che vegliano sulle attività praticate all’interno del parco: hiking, rafting, climbing o semplici passeggiate. Due brevi trail ci conducono in prossimità delle cascate Bridalveil Fall e della più nota e frequentata Lower Yosemite Fall. L’atmosfera che regna all’interno del parco solcato dal fiume Merces è di armonia e pace: rocce imponenti, ruscelli, cascatelle e fitte foreste di alte conifere sotto un cielo terso. Al pari dello Zion NP anche qui si gode di panorami a noi più noti, ma ne usciamo comunque appagati e rasserenati anche grazie ad un fortuito incontro con un intera famiglia di bambi che brucavano ai bordi di un sentiero. Per nulla allarmati dalla nostra presenza ma comunque guardinghi ci hanno regalato frammenti di vita familiare ed innumerevoli occasioni per graziosi scatti. Riprendiamo l’Hwy 120 in direzione Ovest alla scoperta della città che diede i natali alla Bit Generation: San Francisco. Con il navigatore, qui vivamente consigliato, raggiungiamo il centralissimo hotel Cancellor in Powell Street convenzionato con un vicino parcheggio dove mandiamo l’auto in letargo per 2 giorni. L’impatto con il clima di Frisco è devastante: 15° e costanza di vento gelido. Ci rifocilliamo da Tad’s Steak con una lodevole bisteccona corredata da insalata, bruschetta e patatona bollita; 2 passi nell’adiacente Union Square e poi di filato sotto le coperte. Brrr! 19 Agosto 2010 – San Francisco – La stanchezza cronica che ormai iniziamo ad accusare imporrebbe più ore di riposo, ma la consapevolezza di essere nella tanto decantata San Francisco ci elettrizza. Cable car, strade dalla inusuale pendenza e vento, vento, vento pungente e penetrante. Qualche giorno fa boccheggiavamo nella Death Valley a 50° C ed ora ci rintaniamo nell’indispensabile piumino con cappuccio. Direzione Alamo Square dove riconosciamo ed immortaliamo una delle vedute più conosciute ed amate di San Francisco: le Painted Systers in primo piano e, sullo sfondo, i grattacieli del Financial District. Prossima meta il Golden Gate Park dove visitiamo il Conservatory of Flowers (€ 7): una calda ed umida serra davvero meritevole con svariati tipi di orchidee, piante tropicali e carnivore. Una biologa con amorevole pazienza ci spiega e mostra il meccanismo che consente a queste piante di intrappolare sino alla morte i malcapitati insetti. Trascurabile invece il Japanese Garden (altri € 7) che con un po’ di presunzione, ci ricorda il giardino di casa a cui rivolgiamo un pensiero. Ci attende ora una lunga camminata sino al simbolo per antonomasia della città: il Golden Gate Bridge. La cartina non è chiara chiediamo così consiglio ad una sorta di ausiliaria del traffico che ci fa desistere dal nostro intento “too far and too dangerous”. Ripieghiamo quindi sul bus che con $ 2 a corsa ci scarica nei pressi di questo capolavoro architettonico, Ma… dov’è il ponte?!… Nooo… La tristemente nota nebbia di San Francisco lo avvolge completamente. Iniziamo la traversata ma non vi è modo di scorgerlo nella sua imponente intierezza; avevamo studiato inquadrature, angolazioni, invece il display riproduce solo una nuvola bianca attraversata da una sottile striscia rossa . Inquietanti i telefoni pubblici posti sul ponte per segnalare emergenze e per dissuadere gli aspiranti suicidi che prima del folle gesto dovrebbero provare desiderio di confidarsi con l’operatore telefonico costantemente all’altro capo del filo… Raziocinio americano! Sottovalutando le distanze decidiamo di percorrere a piedi l’intera costa sino al Fisherman Warfs dove giungiamo infreddoliti ed affamati. Crab Bread Bowl la meritata ricompensa: una fragrante pagnotta privata della mollica e satura di fumante zuppa di granchio. Una prelibatezza! La concentrazione di turisti è alta, specie al Pier 39 dove su delle chiatte di legno staziona pigramente una colonia di leoni marini. Rumorosi, goffi, ma dal tenero musetto, si sfugge volentieri alle innumerevoli proposte di shopping dei piers per restare ad ammirarli ed immortalarli. Ennesima dose di ripide salite e discese per rientrare in hotel e regalarci una doccia bollente ed una calda coltre. 20 Agosto – San Francisco – L’ingegnoso quanto semplice meccanismo che fa procedere i Cable Car merita interesse; ci assiepiamo con una massa di turisti armati di fotocamere al termine di Powel Street dove assistiamo alle fatiche dei macchinisti che ad ogni capolinea devono far ruotare a spinta la carrozza di 180° per rimetterla nella facoltà di procedere ovvero di agganciarsi ad un cavo sotterraneo in perenne movimento ed a cui scollegarsi per potersi arrestare. Al Museo d’Arte Moderna progettato dall’architetto ticinese Mario Botta riserviamo una breve sosta per poi innescare la marcia ridotta ed inerpicarci sino a Grace Catedral la cui facciata ricorda quella di Notre Dame a Parigi. Come in molte città anche San Francisco ha il suo quartiere cinese e lascia attoniti svoltare l’angolo e trovarsi proiettati nel centro di Pechino con tanto di lampioni a lanterna, striscioni con bandierine multicolori e, ovviamente, negozi che vendono artigianato cinese e cinesate. Quartiere caratteristico in netto contrasto con quello attiguo: il Finacial District, la zona degli impiegati in doppiopetto e tailleur. Un pranzo veloce ad uno dei botteghini che vendono sandwich con pesce fresco al Pier 43 e poi in coda all’imbarco per… the Rock, la fortezza. Biglietti provvidenzialmente acquistati anzitempo su Internet (www.alcatrazcruises.com) dunque il cartello “next cruise available Teusday” (oggi è venerdì!) non ci scompone. Con una cadenza poco più che oraria un capiente traghetto scarica una badilata di turisti armati di fotocamere ed aspettative sull’isola di Alcatraz. Dopo lo sbarco veniamo radunati nel piazzale antistante il molo dove vengono fornite sommarie indicazioni sulla visita; una breve salita conduce all’edificio dell’ex carcere di massima sicurezza più noto al mondo dove ci viene consegnata un audioguida nella lingua di provenienza. La voce in cuffia ha il potere di far rivivere al visitatore le atmosfere di quando il carcere era abitato da pericolosi detenuti: rumori, voci, confessioni, schiamazzi. Le celle sono disposte su tre piani, 6 mq ciascuna comprensivi di WC, tavolino, sedia e branda; uguali in contenuto, forma e dimensioni ma distinte da un numero che diveniva il nuovo nome dell’occupante: alienazione totale. I racconti di Al Capone, quelli dei direttori che si sono succeduti alla guida del carcere e, di forte suggestione, quello del tragico tentativo di fuga che costò la vita a 3 detenuti e 2 guardie e quello che invece ebbe successo ma di cui non si conoscono le sorti degli evasi: chi li vuole volontariamente esiliati all’estero chi invece periti nelle gelide acqua della baia durante la traversata a nuoto. Come gli attuali visitatori anche i detenuti potevano godere della vista dello Skyline di San Francisco, immaginare la vita che si svolgeva a soli 2 Km dal luogo della loro prigionia e se il vento soffiava a favore udire le maliziose risate delle donne durante le feste sui piers. Si lascia Alcatraz con un pizzico di tristezza nel cuore al pensiero di quanta sofferenza si è consumata in quelle celle e quanta ne è stata provocata dai loro occupanti alle loro vittime. Il breve tragitto di una ventina di minuti non riesce a neutralizzare questa sensazione e già si viene proiettati nella bolgia dei Pier… Mettendo a dura prova muscoli ed articolazioni ci arrampichiamo (letteralmente!) sino al famoso tratto di Lombard Street caratterizzato da 8 tornanti consecutivi: la via più tortuosa al mondo. Per la verità e’ maggiore l’enfasi dello spettacolo, ma il serpentone lastricato che emerge da cespugli di variopinte ortensie è comunque meritevole. Notte Frisco! 21 Agosto – San Francisco – Laguna Seca – Monterey – Seaside – Siamo in coda sull’Hwy 101 in uscita da San Francisco, sembra lontana anni luce l’Arizona con le sue lunghe e desolate strade circondate da uno spettacolare nulla. Prima di giungere all’incantevole cittadina di Monterey ci concediamo una deviazione al circuito internazionale di Laguna Seca. Malgrado si stia svolgendo un trofeo Porche l’incaricata alla biglietteria ci fa gentilmente accedere gratuitamente. Veniamo calamitati al mitico Corkscrew, una serie di curve e controcurve con una pendenza che ne limita la visibilità dove riconosciamo il tombino su cui avvenne l’irripetibile sorpasso di Rossi su Stoner. Nonostante la manifestazione gli spalti sono deserti, giungono a noi voci italiane e di li a poco stiamo orgogliosamente evocando le prodezze del Valentino nazionale con 3 ragazzi di Como giunti sin li con le nostre stesse motivazioni ed emozioni. Monterey si rivela una cittadina piacevolissima, curata nei dettagli e dotata di un invidiabile lungomare; dal Pier sono poi visibili esuberanti leoni marini che hanno preso possesso delle imbarcazioni ormeggiate. Ceniamo in un romantico ristorantino affacciato sulla baia mentre i gabbiani starnazzano, i leoni marini oziano e le balene, al largo, compiono le loro evoluzioni. 22 Agosto – Seaside – 17mile Drive – Big Sur – Los Angeles – L’idea di dover pagare un biglietto d’ingresso per poter godere di un tratto di costa affacciato sull’oceano non ci aggrada, ma mentre percorriamo queste 17 miglia all’interno di una raffinata zona residenziale, con innumerevoli piazzole attrezzate dotate di pannelli espositivi su cui vi sono dettagliatamente illustrati territorio, flora e fauna giungiamo alla conclusione che ben servano i fondi raccolti alla cura di questo paradiso. La giornata è cupa e ciò amplifica la drammaticità di questo tratto di oceano selvaggio dove la scarsa presenza umana è ben celata. Le onde si infrangono vigorose su aspri speroni di roccia circondati da macchie di vegetazione multicolore; numerosi uccelli sfidano la forte brezza con acrobazie aeree per poi tuffarsi nell’oceano alla ricerca di un lauto pasto. Lasciamo a malincuore questo documentario vivente ed iniziamo a percorrere la Highway 1 che ricopre quasi interamente il tratto di costa pacifica tra San Francisco e Los Angeles e che qui prende il nome di Big Sur. La strada si snoda tra pareti rocciose e strapiombi sull’oceano, il paesaggio è costantemente da cartolina: percorrere questi tornanti vertiginosi è una delle esperienze più straordinarie che ci sta riservando la California. E’ d’obbligo la sosta a Piedras Blancas dove una nutrita colonia di elefanti marini si crogiola al sole: mammiferi che possono pesare fino a 2 tonnellate morbidamente adagiati sulla spiaggia regalano ad una manciata di turisti foto da National Geographic. Giungiamo al Ramada Inn di Los Angeles a tarda sera colmi di gratitudine verso Madre Natura che oggi si è rivelata a noi in tutta la sua magnificenza. 23 Agosto – Los Angeles –

La nostra cultura cinefila è mediocre, ma non possiamo sottrarci al mito di Hollywood. Con la nostra fida Nissan ancora incipriata con la rossa sabbia dell’Arizona raggiungiamo Hollywood Boulevard, parcheggiamo (ovviamente a pagamento) e ci buttiamo nella mischia tra orde di turisti che si divertono a riconoscere ed immortalare nomi noti sulle stelle del Walk of Frame. Ecco il Chinese ed il Kodak Theatre dove vengono assegnati gli Oscar ed il famoso piazzale, inaspettatamente minuscolo, dove divi del passato e di oggi hanno impresso le loro impronte nel sottofondo stradale, un presunto sosia di Michael Jackson simula le movenze del cantante ballerino per stimolare la generosità dei passanti, …eppure… un velo di malinconia pare steso su questa fabbrica di sogni ormai tale solo nell’immaginario collettivo. Non intendiamo rinunciare alla foto alla collina con la famosa scritta e grazie alle indicazioni dei residenti ed al navigatore eccoci in una via secondaria, trafficata di turisti, da cui si può ottenere la miglior inquadratura per la foto di rito. La nostra generazione era adolescente ai tempi del telefilm “Beverly Hills 90210” quindi la curiosità di vedere i luoghi in cui Brendon o Kelly o Dylan hanno scorrazzato con le loro fuoriserie o le case in cui hanno abitato ci trascina sino a questo quartiere residenziale che immaginavamo iperblindato è che invece delega a cartelli segnalanti la videosorveglianza la sicurezza di queste dimore davvero notevoli spesso addirittura prive di recinzione. Un salto a Rodeo Drive per costatarne la similitudine con Via Montenapoleone a Milano o Via Condotti a Roma se non fosse per le dimensioni: si sa in America tutto è BIG!, per poi tornare stregati all’oceano. I piers più noti di ogni località si somigliano un po’ tutti: San Francisco, Monterey ed ora Santa Monica. Dribliamo la zona più caotica di questo pontile sull’oceano e restiamo in silenzio ed armonia ad osservare i pescatori sino al crepuscolo. Ceniamo in una nota arteria pedonale commerciale, tradendo hamburger e bisteccone per uno sfizioso Fish & Chips accompagnato dalla nostra amata Guinness: domani si rientra, dobbiamo coccolarci! 24 Agosto – Los Angeles – Siamo lieti di avere una manciata di ore a disposizione per poter visitare Venice, il quartiere più hippy e stravagante di Los Angeles. Partendo da Marina del Rey camminiamo sull’infinito lungo oceano tra una larga distesa di sabbia ed un susseguirsi ininterrotto di negozietti naif. Stiamo solcando le leggendarie spiagge californiane quelle dove imperversava il mito di Pamela Anderson & C., ma di prosperose bellezze mozzafiato nemmeno l’ombra. Ecco Muscle Beach: una rustica palestra allestita sulla spiaggia e frequentata si da ipertrofici atleti ma over 50 a conferma che anche qui, malgrado il Governatore sia un noto palestrato, si inizia a prediligere il wellness al body building. Acquistiamo magliette con le tipiche scritte e, con la malinconoia tipica di ogni fine viaggio, decidiamo che il nostro ultimo pasto americano dovrà avvenire da quel Denny’s dove tutto ebbe inizio, da dove decollammo per questa incredibile avventura americana che ha arricchito il nostro bagaglio di cultura, esperienze, emozioni, …vita. Grazie AMERICA!



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