Welcome to Cairo: il racconto

WELCOME TO CAIRO Caspita! Siamo al Cairo! Dall’aereo sembra di arrivare su Marte. Sono le 16,00 circa, ora locale, e voliamo su uno strato di aria rossa. Presto oltrepasseremo l’atmosfera polverosa del pianeta Cairo. Per ora incrociamo le dita per l’atterraggio… Tutto ok! Io (Chiara) e Paolo, il mio fidanzato, veniamo da Parma e stiamo per...
Scritto da: Chiara Sacca
welcome to cairo: il racconto
Partenza il: 31/07/2003
Ritorno il: 09/08/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
WELCOME TO CAIRO Caspita! Siamo al Cairo! Dall’aereo sembra di arrivare su Marte. Sono le 16,00 circa, ora locale, e voliamo su uno strato di aria rossa. Presto oltrepasseremo l’atmosfera polverosa del pianeta Cairo.

Per ora incrociamo le dita per l’atterraggio… Tutto ok! Io (Chiara) e Paolo, il mio fidanzato, veniamo da Parma e stiamo per affrontare dieci giorni di vacanza “fai da te” nella capitale del mitico Egitto! E’ il 31 luglio 2003 e al Cairo non fa più caldo che a Parma, anzi… Tuttavia per l’Egitto questa è bassa stagione, i prezzi sono inferiori e ci sono meno turisti. Il pianeta Cairo è proprio un mondo a parte. Colore predominante: il giallo! Giallo del deserto, della sabbia. Che è ovunque! Un giallo che diventa marrone sulle strade e sui mattoni delle case non finite, sulle facce della gente e persino sui suoi grandi sorrisi. Una marea di sorrisi dai mille significati. Sorrisi smaglianti di chi vuol venderti ogni cosa, sorrisi sgangherati di chi parla solo arabo ma vuole capirti, sorrisi astuti di chi vuole fregarti, sorrisi timidi di chi vuole conoscerti, sorrisi smaliziati di chi è più globalizzato, sorrisi soddisfatti di tassisti troppo pagati e sorrisi amari di chi ha fame.

L’albergo in cui alloggiamo è il “Garden City House”, al terzo piano di un palazzo che pare abbandonato. L’ascensore, quello rimasto, o meglio il quasi-ascensore, quasi-montacarichi, si libra nell’aria quasi privo di involucro e, dopo due piani di scrostato squallore, giunge in quella che sarà la nostra tranquilla e pulita oasi con terrazzino sul Nilo, per 14 euro a notte. Al Cairo non bisogna dare nulla per scontato: anche il più diroccato edificio (cioè quasi tutti) può nascondere un angolo di paradiso (pur sempre egiziano).

Il mezzo migliore per girare in città è il taxi: viaggia veloce (cento all’ora nel traffico perennemente impazzito), sicuro (sempre munito di cinture di sicurezza – o affini… – allacciate all’ascella o con ganci tipo zainetto “Invicta”), confortevole (sedili in tappeto di cammello, cruscotto in pelo di capra, pendagli vari per preghiere di tassista e, soprattutto, passeggero e, infine, musica locale “a paletta”), stabile (freni cigolanti e convergenza ruote verso la Mecca) ed infine economico (solo dopo che avrete imparato a contrattare sulla tariffa e, a volte, anche sulla destinazione con un tassista che parla arabo!).

Il viaggio in taxi può rivelarvi la vera essenza del Cairo: pedoni dispersi in un fiume di carrozzerie fatte a mano, asini, carretti, sidecar, moto quadriposto, autobus stipati inseguiti da chi vorrebbe salire al volo mentre i passeggeri incitanti gli tendono le mani, vassoi di pane arabo su teste di agili ragazzini e mendicanti che chiedono “bakshish” (qualche spicciolo). Il tutto accompagnato dal rombo continuo dei motori, dal suono incessante dei clacson (giorno e notte), dalla musica araba ad alto volume e dalle preghiere diffuse in tutta la città da altoparlanti. Unica regola di guida: attenzione al mezzo che precede e mano veloce sul clacson! Ogni cosa al Cairo è incompiuta o decadente. La periferia è zeppa di palazzoni senza intonaco, disordinatamente accostati e senza tetto, con pilastri che proseguono verso il cielo pronti a sostenere un possibile nuovo piano. In centro grandi costruzioni lasciano intravedere un iniziale volontà faraonica poi soffocata dall’inarrestabile degrado. Il Cairo è caos. Eppure questo caos rappresenta la regola che ognuno rispetta. Tutto fluisce con ironica naturalezza. Tuttavia una cosa va detta: dalle rare ville dei politici alle numerose discariche sui tetti, appaiono evidenti tutte le contraddizioni di un paese povero.

Visitare il museo egizio può essere un buon modo per abbandonare per qualche ora la confusione della città. Inutile dire che l’atmosfera è decisamente suggestiva. Tutto appare estremamente bello e spettacolare. A volte sembra di essere sul set di un film hollywoodiano. Tipo “Cleopatra” con Liz Taylor. Invece è tutto vero! Tutto autentico! E’ incredibile la cura estetica che avevano gli antichi egizi. Le linee delle sculture essenziali e imponenti, la precisione e la cura del dettaglio, la bellezza dei materiali e dei loro accostamenti, ogni particolare è davvero splendido. Senza parlare del tesoro di Tutankhamon: che spettacolo! Altro che quelle noiose gite ai musei dei tempi della scuola, qui nessuno si distrae, nessuno sbadiglia. Il fascino del museo egizio è davvero alla portata di tutti. Per vedere ogni cosa ci vorrebbero due giorni. Noi, che non siamo esperti di antico Egitto, ci accontentiamo di un pomeriggio che concludiamo con un incontro con i faraoni in persona: le mummie! Però…Pensare che sono proprio loro! E poi, al Cairo, ci sono le mitiche piramidi di Giza! D’un tratto appaiono dal finestrino del taxi. Grandiose. E’ forse questo l’unico istante in cui se ne percepisce a pieno l’immensità, vedendole svettare eteree tra i palazzi della città. Accanto alle piramidi compare poi, un po’ provata da varie vicissitudini, la leggendaria Sfinge che, pur non essendo gigantesca, è elegante e solenne. In quel momento la mente viaggia indietro nel tempo di 4000 anni immaginando faraoni, servi, masse di schiavi, antichi egizi ricoperti d’oro e pietre colorate, cammelli e cammellieri. Di tutto questo solo le piramidi sono arrivate fino a noi. Con un’unica “drammatica” eccezione (almeno per il turista): l’onnipresente cammelliere! Il cammelliere compare dal finestrino del taxi quasi contemporaneamente alle piramidi. Anzi prima. Compare sottoforma di stanco lavoratore residente in zona piramidi che gentilmente ti chiede un passaggio verso casa oppure sottoforma di isterico sequestratore che si infila a forza nel tuo taxi o ancora sottoforma di stuntman che si getta sul cofano per fermare l’auto come in un poliziesco e infine, in gruppo, come un’orda di fans impazziti. Manco fossimo John Lennon e Joko Hono! Tutti con un’unica missione: farti fare un giro sul proprio cammello e spillarti più soldi possibili.

Il cammello, agghindato e colorato, ha un muso davvero bizzarro e farci un giretto può essere divertente, specie se si raggiungono le zone da cui si vede tutta la piana di Giza. Io e Paolo, però, preferiamo non farci catturare e sballottare dal cammelliere e ci facciamo una bella passeggiata attorno alle piramidi. Camminando lungo lati che sembrano non finire mai ci si rende conto di strare ai piedi di vere e proprie montagne di pietra.

Tra l’altro, accanto alla piramide di Cheope, è stata ricostruita la barca solare, di un’eleganza strepitosa. Gli originari 1200 pezzi in legno di cedro sono stati restaurati (in ben 14 anni) ed hanno dato vita ad una imbarcazione che avrebbe consentito una precaria navigazione sul Nilo. Per questa ragione si ritiene che la barca solare servisse esclusivamente per portare il re defunto verso l’aldilà. Solo poche persone al giorno possono accedere alla grande piramide. Così di primo mattino ci siamo addentrati nei cunicoli misteriosi della tomba fino a giungere, sudati e appiccicosi per l’umidità, al sarcofago del faraone. Per chi soffre di claustrofobia è un’esperienza da evitare. C’è invece chi si sente particolarmente a suo agio e si fa fotografare sdraiato nel sarcofago…Mah! Il giorno dopo abbiamo un insolito mal di muscoli. Salire e discendere quegli stretti corridoi certo contribuisce, ma la nostra idea è che l’inquinamento della città amplifichi ogni malessere. Del resto è da quando siamo arrivati che abbiamo la gola infiammata! Alle piramidi siamo tornati anche una sera per vedere il tramonto e assistere allo spettacolo “Son-et-loumière”, suoni e luci nella piana delle piramidi. Una “burinata” per turisti che tuttavia, data la spettacolarità dello scenario, arriva al cuore dello spettatore.

Attorno al Cairo vi sono altri siti archeologici che vale la pena vedere, come Saqqara dove si trova la piramide a gradoni, la più antica d’Egitto, e alcune tombe. Noi ci siamo arrivati al mattino, quando ancora non ci sono turisti e l’atmosfera è rilassante e suggestiva. Ad aspettarci c’è qualche poliziotto assonnato, un cane egiziano che, incredibile! parla la stessa lingua dei nostri in Italia, e gli immancabili guardiani delle tombe. Questi personaggi davvero singolari, si spacciano per guide turistiche dandoti notizie sommarie e ripetitive in un inglese tipo “whatzanamericanboys”, con una sola, unica, grande missione (la solita) spillarti qualche sterlina egiziana. Alla fine gli lasci la consueta “bakshish” ma non certo per il sevizio reso, piuttosto per le incredibili commedie inscenate pur di portare a termine la missione. La stessa mattina andiamo anche a Menfi con il suo colosso coricato di Ramsete II e a Dahshur dove si trova la Piramide Rossa, tanto bella quanto poco frequentata.

Bisogna proprio dire che in queste giornate accade una cosa molto piacevole: si riesce a pensare solo al presente.

Oltre alle visite nei siti archeologici, il Cairo offre davvero tante cose da fare. Come avventurarsi a Khan al khalili, il mercato islamico. Mentre si gironzola per borghetti carichi di bazar coloratissimi si vorrebbe tanto passare inosservati ma, sfortunatamente, il turista è assolutamente e spudoratamente riconoscibile. Non resta che accettare, rassegnati ma anche divertiti, tutti i tipi di invito, richiamo, esortazione, segnale e incitamento a comprare. Anzi, a spendere! A Khan al khalili si trova di tutto! Tappeti, vestiti, scarpe, cofanetti in legno e madreperla, narghilè, statuette egizie, essenze, spezie, cuscini in pelle, foulard, manufatti in rame, oro, legno e quant’altro. Basta trascorrervi qualche ora per diventare esperti nel mercanteggiare. Durante le trattative, in cui ci si batte a colpi di offerte e controfferte sul prezzo, è fondamentale non mostrarsi mai interessati all’acquisto. Deve sembrare che da un momento all’altro si andrà via. Il commerciante spesso offre una coca-cola (al posto del vecchio the) per alleggerire l’estenuante rituale di compravendita. Alla fine ci incamminiamo, stravolti, in cerca di strade trafficate per prendere un taxi e, nostro malgrado, percorriamo al-Muski, la zona meno turistica in cui si accalcano gli egiziani per i loro acquisti. Oramai è sera e, stupiti, osserviamo il mare di gente che si riversa per le strade dopo il tramonto. A quell’ora tutto rivive dopo il caldo della giornata. I negozi sono aperti fin oltre la mezzanotte e il vento, portato dal Nilo, scuote i copricapo delle donne mussulmane.

Camminiamo spinti dalla corrente umana e cerchiamo invano di captare ogni immagine di un mondo tanto diverso. E mentre i nostri occhi sgranati scrutano ogni cosa tanti altri ci fissano con la stessa curiosità. Più tardi, sdraiati nel nostro letto, continueremo a ricordare quegli emozionanti momenti ed in particolare il viso di una bambina che, dopo aver ricevuto una piccola bakshish, mi regalò un bacio tanto dolce quanto sincero. La religiosità in Egitto è molto sentita ed è facile imbattersi in numerose moschee. La più grande è la Cittadella da cui si vede tutto il Cairo e le piramidi. Giunti all’interno, dopo aver tolto le scarpe ed essere stati accuratamente selezionati in base all’abbigliamento, ci sediamo sui tappeti rossi e riposiamo ascoltando un uomo che canta la preghiera rivolto alla Mecca.

Trascorsi alcuni giorni in città viene proprio voglia di un po’ di natura. Gli stessi egiziani amano fare pic-nic negli spazi verdi che spesso, questa è la cosa buffa, non sono altro che aiuole spartitraffico. Noi, invece, organizziamo una gita nel Fayyum, un’oasi a cento km dal Cairo. Dopo aver girato qualche ora in cerca della stazione dei bus, finalmente partiamo. Il viaggio è piacevole osservando il deserto dal finestrino. Intanto la tv di bordo trasmette un film egiziano piuttosto avvincente: un thriller con diverse scazzottate che producono un ridicolo suono tipo quello di un tamburo. Sempre meglio del ritorno, in cui siamo costretti ad ascoltare per due ore, a tutto volume e distorto, il Corano recitato con la massima enfasi! Io rido dalla disperazione mentre Paolo cerca di difendersi con un tappo (l’unico recuperato) in un orecchio.

Durante il giorno e la notte trascorsi nel Fayyum io e Paolo cerchiamo di godere in particolare della natura evitando di visitare alcuni monumenti faraonici e moderni meno conosciuti. Comodamente seduti su un calesse gironzoliamo per il territorio osservando i campi verdi e lussureggianti irrigati dalle famose ruote idrauliche. Qui sembra di essere ancora nel medioevo dove il paesaggio, gli uomini e gli animali si mescolano con naturalezza.

Sarebbe tutto molto bello, se non che, fin dal nostro arrivo, ci viene affidato un poliziotto personale col compito di accompagnarci ovunque e proteggerci da eventuali pericoli (ancora non abbiamo capito quali). Addirittura, durante una passeggiatina nel Suq, il mercato del paese, un altro militare si aggrega con tanto di mitra imbracciato, sorridendoci e rassicurandoci con lo sguardo. Eppure la popolazione pare cordiale e amorevole. Alla sera ceniamo in riva al lago salato “Birket Qarum” affascinati da uno splendido tramonto mentre alle nostre spalle… c’è il solito poliziotto! E il tassista. Inutile dire che ad entrambi dobbiamo offrire la cena.

Tornare al Cairo ci sembra, in parte, come una riconquista della nostra libertà: lì possiamo muoverci come ci pare e piace. Ormai, però, cominciamo ad accusare la stanchezza del viaggio.

In questo caso non c’è niente di meglio che passare una divertente giornata al “Felfela Village”. Questo ristorante coloratissimo organizza spettacoli folcloristici per tutto il pomeriggio. L’atmosfera ricorda un set del film Indiana Jones, ideale per un avventuroso inseguimento tra i tavoli. Vassoi colmi di frutta, sulle spalle di eleganti camerieri in gallabiyya bianco, paiono pronti a volar via, spazzati dalla sciabola del cattivo in nero. E, mentre lo spettacolo prosegue, gli sceicchi presenti ordinano di gettare manciate di quattrini sulle teste dei più apprezzati artisti. Io e Paolo, in t-shirt e bermuda, armati di macchina fotografica osserviamo ogni cosa comodamente seduti al tavolo mangiando un’ottima grigliata di carne.

I nostri dieci giorni al Cairo stanno per concludersi e, a dire il vero, ne siamo contenti. Non perché qualcosa sia andato storto, ma perché, di giorno in giorno, è aumentata la voglia dei confort di casa nostra.

L’ultima sera ci facciamo un’ottima pizza in un ristorante italiano e poi una bella passeggiata sul lungo Nilo. Anche qui, unici turisti, ci godiamo la quotidianità delle famiglie medio-borghesi del Cairo. Tanti bambini scorrazzano e giocano a palla accompagnati dallo sguardo attento di papà affettuosi e madri assolutamente disinvolte sotto il loro velo. L’aria è fresca, la gente serena, il Nilo zeppo di imbarcazioni, feluche, barconi e battelli-discoteca in cui ballano allegre compagnie di ogni età.

Tutto si conclude al meglio! Abbiamo persino scampato la famigerata maledizione del turista: “la diarrea del viaggiatore”. Forse anche grazie alle numerose cenette sul nostro terrazzino a base di cibi portati dall’Italia.

Ora che siamo a casa riaffiorano di tanto in tanto questi penetranti ricordi. Ma quello che più ci ha colpiti, a dispetto dei faraoni, sono le persone di oggi: disponibili e gentili, ironiche e serene, chiassose e astute, tutte sempre tese ad accoglierci con un affettuoso “welcome to Egypt, welcome to Cairo!”.



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