Un weekend in Emilia Romagna nelle terre dei Malatesta

Giorno 1 – da Santarcangelo a Rimini
Santarcangelo di Romagna
Quando giungo a Santarcangelo di Romagna è metà mattina di una soleggiata giornata autunnale. Qualche difficoltà per trovare parcheggio, perché quello di piazza Cagnacci, su cui avevo puntato per la prossimità al centro storico, è pieno. Riuscito a lasciare l’auto non troppo distante, mi incammino per via Faini, che costeggia in un tratto il campo del gioco della palla al bracciale, delimitato lato collina da altissime mura la cui sommità inquadra porzioni della rocca ed una fila di pini marittimi.
Visitata la settecentesca chiesa collegiata, mi dirigo verso piazza Ganganelli. Contornata da edifici ottocenteschi, è caratterizzata dal grande arco dedicato a papa Clemente XIV, da un monumento ai Caduti e da una fontana. Per via Saffi affronto la salita al colle, dominato dalla torre del Campanone. Un breve percorso mi porta al cospetto della massiccia Rocca Malatestiana, caratterizzata da tre torri poligonali. Proseguo ancora verso ovest fino al convento dei Frati Cappuccini, dove visito la chiesa. Ripercorse le strette e caratteristiche vie del borgo, ed attardatomi più volte per osservare alcuni scorci di puro medioevo, ridiscendo nella luminosa piazza Ganganelli per un’ultima sosta prima di riprendere il mio itinerario.
Verucchio
Percorro la valle del fiume Marecchia fino a raggiungere Verucchio, borgo già individuabile a distanza, adagiato sulla sommità di un colle boscoso. Lasciata l’auto nel parcheggio di via Mura del Fossato, salgo fino a raggiungere piazza Malatesta, su cui prospetta il palazzo Comunale. Sotto i suoi portici, il bronzo di una donna seduta e pensosa. Proseguendo in salita raggiungo dapprima la collegiata dei SS. Martino e Francesco e poi il monastero di Santa Chiara. Il tratto di via Marconi che interessa il lato orientale del borgo mi conduce, questa volta in discesa, fino al belvedere sulla Rocca Malatestiana, che si erge su una rupe isolata. Una via acciottolata scende fino all’ex convento di Sant’Agostino, dove è ospitato il Museo Civico Archeologico, che esibisce innumerevoli reperti riconducibili alla civiltà Villanoviana, sviluppatasi tra il IX e l’VIII sec. a. C. Particolarmente interessanti gli oggetti in ambra ed i resti di un trono in legno intagliato.
Proseguendo verso sud lungo la SP258, appena prima della località di Pietracuta devio su una strada bianca che mi conduce in prossimità dell’argine destro del fiume Marecchia. Di fronte, al di là del fiume, su di una piccola collina sassosa si trova il santuario della Madonna di Saiano, mentre più lontano sulla sinistra il castello di Montebello integra il profilo di un colle.
San Leo
Ritorno alla strada principale e guido fino a San Leo. Parcheggio l’auto in un ampio slargo sterrato della SP22, che due curve e un paio di centinaia di metri separano dalle prime case dell’abitato. Muovendomi a piedi ho la possibilità di cercare il punto migliore per fotografare lo sperone roccioso ed il forte sulla sua sommità: uno spettacolo davvero speciale.
Una volta raggiunto il borgo antico, ubicato nella parte più bassa dello sperone, raggiungo piazza Dante, su cui prospettano alcuni notevoli edifici e le tre absidi della pieve di S. Maria Assunta. Di origine preromanica, in conci di pietra, ha un interno a tre navate su pilastri e colonne in parte romane. Nel presbiterio, elevato sopra la cripta, è ubicato un ciborio che ha più di 1000 anni. Non lontano dalla pieve, da cui lo separa uno spiazzo erboso, sorge il duomo di San Leone, costruito nel XII secolo. L’interno è a tre navate separate da pilastri cruciformi e colonne; mi attraggono in particolare una statua dorata della Madonna con il Bambino e angioletti, ed un crocifisso dipinto collocato nel presbiterio sopraelevato sulla cripta. Isolata dal duomo, sorge una torre del XII secolo trasformata in campanile. Una caratteristica comune ai due edifici sacri è che l’ingresso in entrambi avviene per mezzo di un portale ubicato in una navata laterale: le facciate “principali “sono infatti cieche, rivolte verso occidente e prossime al ciglio dello sperone.