Week end lungo a New York

Questo itinerario fa parte dei miei diari di viaggio che scrivo aspettando gli aerei. Viaggio molto per lavoro e spesso mi fermo per un qualche giorno o un weekend nel paese dove sono. Sono piu´racconti di sensazioni, ma ci possono essere anche dettagli interessanti... Un venerdi´di gennaio (da Richmond a New York): Non ho scritto per due...
Scritto da: MamGoudig
week end lungo a new york
Partenza il: 11/01/2007
Ritorno il: 14/01/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
Ascolta i podcast
 
Questo itinerario fa parte dei miei diari di viaggio che scrivo aspettando gli aerei. Viaggio molto per lavoro e spesso mi fermo per un qualche giorno o un weekend nel paese dove sono. Sono piu´racconti di sensazioni, ma ci possono essere anche dettagli interessanti…

Un venerdi´di gennaio (da Richmond a New York): Non ho scritto per due giorni. Alla sera arrivavo talmente stanca che non avevo neanche la forza di scrivere, poi ero troppo incazzata per poter fare il rendiconto della giornata. Quando sono cosi incazzata me la prendo col primo che ho sottomano, chiedere ai tassisti per conferma. Stavolta e`stato l’autista dello Space Shuttle che ci ha beccato male. Lo Space Shuttle e`un servizio di trasporto porta a porta dall’aeroporto fino a dove stai a New York. E´molto comodo. Lo prenoti anche su internet, ti arriva un mail con la conferma e un numero di prenotazione e quando arrivi telefoni e ti vengono a prendere con un autobussino. C’è da dire che io con quelli dello Space Shuttle sono prevenuta, che l’ultima volta m’han mollato in albergo come una pisquana e ho dovuto prendere un taxi fino al JFK. Avendo deciso di dare una seconda chance allo Space Shuttle ho prenotato a Richmond via internet, ma non ho segnato il numero di prenotazione, perche` pensavo fosse tutto automatico. Già era cominciata male che le valigie ci han messo una vita ad arrivare, sono uscita dal terminal, nessuno in vista. Chiamo col cellulare, mi dicono di chiamare dal telefono interno. Finalmente arriva l’autobussino, pienissimo, mi devo infilare dietro nell’ultimo posto scavalcando tutti e rimango anche impigliata nella cintura.Vabbè, si parte.L’autista non è contento della raccolta passeggeri e fa la via crucis di tutti i terminal, raccogliendo altra gente, comincio un rosario di maledizioni a quelli dello Space Shuttle. Gli ammortizzatori dell’autobussino sono inesistenti e quelli delle ultime file, cioè io, saltano come le cavallette.Almeno la musica é bella.

Arrivo in albergo e devo pagare, anche se ho già pagato con la carta di credito perchè non ho il numero della prenotazione.Selber shuld (me stesso colpevole), comunque mi incazzo con l’autista e quindi niente mancia. Sono talmente furiosa che non mi piace neanche l’albergo. In effetti viene poca acqua dalla doccia e non riesco a far smettere la ventola di fare casino, ma ho dormito in condizioni peggiori. Sabato. Programma di massima andare al MoMa (Museum of Modern art) e poi si vede. In albergo non danno la colazione, neanche il caffé, quindi bisogna andar fuori. Non ho cenato, visto che l’aereo da Richmond è arrivato a un’ora indegna e vado nel primo posto tra la 30ma e 5a. Self service (come tutti i posti). Mi servo e mi siedo, la tipa della cassa mi intima il pagamento…Avrei pagato prima di uscire, ma qui prima paghi poi magni. Colazione classica caffé e muffin. Esco e decido di avviarmi a piedi averso il MoMa. Passo anche da Time Square dove c’e’ una rivendita biglietti per i musical. Ho giá telefonato dall’albergo per “A Chorus Line”:solo biglietti per il matinée e non ho molta voglia di chiudermi a teatro il pomeriggio.Ci riprovo alla cassa del ticket office. Ancora niente “A Chorus Line”, ripiego, ma non proprio, su “Chicago”. Gli unici biglietti rimasti sono in parterre e costano 111.51 dollari (CENTOUNDICIDOLLARIEVENTUNOCENTS), ma compro lo stesso. Sono posizionata da urlo: in teoria posso riuscire a vedere anche il colore delle mutande delle ballerine. Bene, carta di credito scaldata a dovere, vado al MoMa a piedi gironzolando qui e là. Il MoMa è vicino a Central Park tra la 5a e la 6a Avenue. E’ un museo di arte moderna. Ci sono quadri di Van Gogh, Miro, Picasso ecc.Ecc. Devo dire che sono un pò delusa: la disposizione è alla sans facon (alla cazzo insomma), non c’é né ordine cronologico né tematico. Per fortuna sono arrivata presto: verso l’una è arrivata la folla e non si riusciva più a concentrarsi su niente. Ho avuto la fortuna di beccare una delle esposizioni temporanee. C’è la scultura di un giapponese che è geniale: sono cinque pannelli che proiettano un film. Cinque nudi (tre uomini e due donne di cui una incinta) escono fuori dall’acqua come in un tuffo a rovescio e poi fluttuano nell’aria con la testa che rimane nell’acqua. Sono rimasta un quarto d’ora a guardare.Veramente geniale.Mi chiedo come abbia fatto a realizzarlo.

C’é anche una esposizione su Rossellini, ma ci sono solo un sacco di foto con la Bergman e poche con Anna Magnani. Sono indignata e vado via.

Alle 17:30 c’é un film di Ken Loach nel museo, ma esco e faccio un giro verso Central Park. Il laghetto é ghiacciato, tento di fare qualche foto ma c’é talmente tanto freddo che è a pain the butt (letteralmente dolore nel culo) tenere le mani fuori dalle tasche. Fare delle foto a NY non e´mica facile. Non c’é luce e tutto é altissimo e io in cittá non so far foto. Beh almeno qui é inverno. Ci sono 25 gradi. Qui si usano i gradi Fahreneit. A fare la conversione ci ho rinunciato da un pò, l’unica cosa che ho capito e´che verso i trenta fa un freddo cagone e verso i 100 c’e’ un caldo che non ci si sta (e che non si sappia in giro che ho una laurea in fisica). Un po´di shopping per concludere la giornata (preludio a quella di domani dove ho previsto di fare montare la temperatura della carta di credito ben oltre i 100 F)…

Domenica. Mi avvio a piedi a SoHo. SoHo e´un quartiere di downton Mahattan la cui attrazione principale sono i negozi. La mia meta é l’Apple store, dove devo comprare i copri-ipod per la collettivitá, in realtá la staffetta dei negozi ha avuto molte cambi : Gap, Anne Taylor, un negozio di scarpette da ginnastica, Bath e Body Works. Mi sono fermata anche da Victoria’s Secrets. E´un negozio di lingerie che sembra piu´un bordello che altro. Non vendono che wonder bra, ma si sa che agli americani piacciono le tettone. Sosta in albergo per rapido cambio d’abito e mi avvio a piedi verso l’Ambassador Theatre anzi Theater, come scrivono qui. Non é lontano, poi cosí posso mangiare l’n-esimo panino prima di entrare a teatro. Non sono mai stata in un teatro a Broadway, chissa com’é… E´ piccolissimo.Veramente minuscolo.Sono abituata ai teatri d’opera e questo sembra proprio mini mini a confronto. Sono veramente vicinissima al palcoscenico. Meglio, spesi molti soldi, ma spesi bene.

C’é l’orchestra dal vivo, con una direttrice d’orchestra. “Chicago” è bellissimo, veramente emozionante e gli attori veramente bravissimi.Sono contenta che non ci fosse piu´posto per “A chorus line”. Sono un po´delusa nel vedere che le ballerine non sono perfette come nei balletti, anzi cianno i rotolini e sboffan nei costumi, ma queste devono anche cantare oltre a ballare, quindi licenza poetica. Ho sempre sentito dire che in America c’è la standing ovation. Cioè se la performance ti piace tanto ma proprio tanto ci si alza in piedi e si batte le mani. Stavolta faccio anche io. Detto, fatto. Non posso lasciare NY senza aver preso il taxi e averlo fermato con la mano alzata. Allora visto che ho la scusa che sono “già” le dieci di sera, fermo un autista indiamo che mi porta all’albergo per 8 dollari (piu´mancia). 6 euri per fare la goduta, anche qui licenza poetica.

Lunedi´. Ho ancora in testa “All that jazz” dal musical di ieri sera e me la canticchio mentre faccio la valigia. Oggi giornata corta, alle 17:30 passa l’autobussino a prendermi (non lo Space Shuttle, che non si sa mai). Colazione da Tiffany, nel senso che l’ho pagata come in gioielleria, ma non mi è piaciuta per niente. Mi sono intossicata con uno scone, che è una specie di brioche untissima con dell’uvetta passa. Non voglio sapere quanto ho i triglicerdi dopo questo weekend. Invece di andare verso Central Park per la 5a, ho preso la 6a, per cambiare. Nella 6a ave ci sono piu´grattacieli e mi sento una formica nella giungla. A Central Park non c’é nessuno, come la volta scorsa. E io che mi immagino sempre Central Park pieno di gente che fa jogging con il nano ipod superfigo. Il Central Park é la mia strada verso il Guggenheim. Il Guggenheim e´ un edificio che ospita una esposizione permanente che apparteneva appunto al signor Guggenheim (ebreo suppongo, ma di questo non ci frega) e delle esposizioni temporanee. Il Guggenheim ha una forma a spirale sembra come una Girella Motta srotolata ed è bellissimo perchè lo si percorre dall’alto verso il basso in discesa senza far scale. Sono le tre e ho tempo per una visita nei quartieri alti, cioè nell’Upper East side (Park Avenue). Allora, le case con i portieri in livrea fuori dai palazzi esistono veramente e sembra che per poter entrare uno debba essere annunciato. Nei palazzi piú fighini c’é persino una lampada che ti riscalda sotto la tettoia del portone d’ingresso. Wow. Un sacco di ragazzotti con la divisa della scuola (esclusiva), le nanny tutte rigorosamente nere o come minimo messicane con i bimbi biondissimi, un sacco di SUV. Adesso mi spiegano cosa cazzo serve un SUV a New York.

Entro in un ultimo self service per mangiare l’ultima schifezza prima di tornare in Europa. La proprietaria mi ha salutato con un “Take care” (abbi cura di te, più o meno). Non ho l’aria particolarmente sofferente né sprovveduta, qui ti salutano tutti cosí e anche gli sweetie e darling si sprecano. A Richmond ero nel lobby dell’albergo e una sconosciuta mi ha detto “Ah che begli stivali!” Non riesco ad immaginare nessuna tedesca che abbia degli approcci così diretti; devo dire che non mi dispiace questo stile easy going.

Stavolta torno in aereoporto con un altro servizio piú caro, però almeno questi mi sono venuti a prendere e l’autista ha avuto anche diritto alla mancia (comunque ho scoperto che a New York gli ammortizzatori non esistono, almeno sugli autobussini). Sul ponte che mi porta verso Queens vedo la skyline dei grattacieli e piango. Il guaio di New York é che quando ci sei ti sembra di vivere in un film e quando ci esci ti sembra di vedere la scritta The End : un seguito non é assicurato…



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche