Vivere in australia
E’ proprio a Taipei che inizia il calvario più lungo della mia vita, nove ore di scalo, e dico nove toglierebbero anche l’ultima vita ad un gatto sano come un pesce… un controsenso!?? Ce in effetti la possibilità di uscire e visitare il centro città, ma l’aeroporto è ad un ora e passa e questo paese non è certo noto per l’economicità, la tariffa media è 80 euro ad andare, altrettanto per tornare, davvero troppo, devo rinunciare.
Meno male che nel corso di tanto volare e sostare, incappo in una serie di interessanti e forse utili conoscenza future. Sulla tratta per Bangkok conosco un trentenne bolognese, si chiama Guido, e dopo due mesi di Thailandia la scorsa primavera ha deciso di compiere il passo decisivo. Guidato da un amore per la “terra del sorriso” che lo ha completamente assuefatto, ha venduto casa, e si appresta a vivere anni di vero ozio, campando da re in quel di Ko-Pangan. Conosco anche Rodolfo, un ragazzo di 22 anni di Roma, anche lui diretto a Sydney per tre mesi di studio della lingua. Ha già prenotato tutto il periodo in una casa-famiglia, quindi non c’è possibilità di mettersi d’accordo per una coabitazione, ma è nata una amicizia e credo che se ne sentirà parlare ancora parecchio in questo diario.
Forse la conoscenza più utile al mio fine è quella con un intera famiglia di tipici emigranti calabresi. Ovviamente la prole, è a tutti gli effetti australiana, ma loro due sono il classico esempio dell’accento misto inglese-dialettale, della vita serena e senza problemi economici alcuni, e della grande generosità verso i conterranei, di qualunque regione essi provengano. Luciano, cosi si chiama lui, mi consiglia luoghi e situazioni, mi lascia il numero di cellulare e mi raccomanda sino all’ultimo istante di contattarlo, lui può rimediarmi casa e lavoro con grande facilità. La moglie Rosa mi racconta della bella vita che si può condurre nella capitale dell’emisfero australe, una vita fatta di divertimenti, semplicità e completa assenza di privazioni. Sono tornati da un mese di Calabria e non riescono a concepire come possiamo noi campare con quello che ci rimane, hanno completamente ragione… Finalmente Sbarco, Sydney, ore 9.30, in Italia l’1.30, non c’è tempo per i convenevoli, subito un taxi driver privato bracca me e Rodolfo, ci accordiamo per una cifra fissa, anche perché da qui in avanti le nostre strade si divideranno, io verso Kings Kross, lui a Manly, paradiso marino subito a nord di Sydney.
Attraversando la città ci si rende conto certamente del traffico, anche qui intenso nelle ore di punta, ma soprattutto si nota l’ordine, la pulizia, il verde che campeggia in ogni quartiere. Nulla è incalcato, su tutto dominano i grandi spazi, le palazzine mai più alte di tre piani, fatta eccezione per il centro economico che a distanza regala uno skyline di altissimi grattacieli in stile americano.
L’Ostello che ho scelto si conferma come Lonely aveva previsto, è pieno di gente che va e viene, una ragazza tedesca in reception molto disponibile e la possibilità di vedere e conoscere molte persone. Il quartiere che richiama il vizio della prostituzione con mille localini sponsorizzati da luminescenti luci al neon, tante insegne in stile Honk Hong e una vita particolarmente frenetica, che regala scorci da piccola cittadina inglese ma immersa in una tale modernità da lasciare stupefatti.
Dopo una doccia, rischio il crollo sul divano dell’ostello, prima che la stanchezza mi attanagli senza concedermi possibilità di ritorno, mi faccio forza e decido di espletare un paio di noiose ma utili pratiche. Acquisto una tessera Vodafone locale per il mio cellulare (incredibile con 49 dollari, l’equivalente di 35 euro circa, potrò parlare per 250 dollari, inutile dire inconcepibile per noi). Compro un altro adattatore utile per le prese a tre entrate, mangio un insalata di frutta in un bel localino consigliato dal Lonely Planet, e concludo con un piccolo tour nel quartiere.
Tornato in stanza mi concedo un oretta davanti al pc, una connessione wireless volante va e viene e riesco a fare due chiacchiere via MSN con un paio di amici italiani.
Sono le 20.30 circa, ho fatto quel che c’era da farsi, mi appresto a cercare qualcosa da mangiare in giro, fare le ultime chiacchiere e vedere cosa avrà da offrire la serata, anche se a dire il vero credo che il sogno ricorrente delle ultime 36 ore prenderà infine il sopravvento, letto aspettami!!. Domenica 8: E’ la mia prima giornata completa a Sydney. Mi alzo verso mezzogiorno costringendomi a mettere i piedi giù dal letto nonostante la crisi da jetlag mi urla di rimanere sotto le coltri.
Mi infilo le prime cose che trovo in valigia e sono prontissimo ad affrontare la nuova avventura. Documentatomi presso il piccolo banco informazioni del mio ostello, mi faccio indirizzare verso l’acquisto di una carta per i mezzi pubblici valida una settimana (qui è tutto a settimane), e mi avvio in una passeggiata che mostrandomi un paesaggio misto tra il cittadino e il naturale mi proietterà verso la city.
Attraverso Kings Kross, taglio per l’enorme giardino botanico e spunto infine in vista dell’Harbour Bridge, coperto dalla sagoma di enormi grattacieli che rompono l’azzurro di un cielo terzo, ma per nulla caldo.
Il vento è forte e freddo e quando decide di lanciarsi in lunghe folate fa dimenticare del tutto il sole, che nonostante tutto è caldo e cocente sopra la mia testa.
Dopo 5 minuti arrivo a Circular Quey. In pratica il cuore pulsante del centro cittadino, da qui parte ogni traghetto, bus, filobus e treno interno o esterno alla city. Mi imbarco al ponte 3, direzione Manly, paradiso marino a nord di Sydney, dove incontrerò Rodolfo.
Manly è per Sydney quello che Sabaudia è per Roma (ma con un quarto della distanza), in pratica il luogo di mare chic dove spiccano belle villette da qualche milione di dollari, australiani ovviamente, e tanta ma tanta gioventù. Il lungomare è affascinante ma rovinato dal tempo che nel frattempo si è messo al peggio e minaccia addirittura pioggia. Il freddo sempre più intenso non scoraggia comunque le decine di surfisti che cercano il loro reef perfetto. Io che ero uscito senza felpa, decido di rifugiarmi in uno dei tantissimi shop, ma purtroppo per le mie tasche scelgo quello della Billabong. I prezzi nemmeno paragonabili ai soliti eccessi italiani, che richiamano a passamontagna e pistola puntata, mi costringono a strisciare la mia credit card per l’acquisto della felpa e di un costume, era d’obbligo del resto. Cerco di sfuggire a passaggi in altri enormi negozi di marche per surfisti altrettanto note, e con Rodolfo decido di optare per una pausa pranzo. Mangiamo Thailandese per pochi dollari e poi da bravi italiani medi diamo vita ad una caccia a caffè espresso. Un baretto infrattato offre marca Illy, è il nostro giorno fortunato.
E’ tempo di rientrare, sono ormai le 17, pardon le 5 p.M., e ormai il clima ha imboccato la strada senza ritorno del brutto persistente.
Il traghetto è un continuo saliscendi sulle enormi onde oceaniche, nonostante la baia ne attutisca l’entità, e meno male che non soffro il mal di mare.
Sbarco, trovo un autobus che mi possa riportare all’ostello e senza indugio lo prendo. In mezz’ora sono di nuovo in stanza, c’è il tempo per una connessione ad internet sfruttando il wireless volante che il mio notebook non si lascia sfuggire. Saluto i presenti on line di MSN, in Italia è tarda mattinata di domenica. Un chiamata per sentire la mamma, del resto le mie inconfutabili tendenze “medioman” mi portano a rifarmi al famoso detto: la mamma è sempre la mamma.
Doccia, mi vesto è sono di nuovo in cerca di un posto per mangiare tra le mille luci di Kings Kross. Addento una pizza al volo e mi dirigo in un pub con biliardi e televisori sempre proiettati sullo sport. C’è tempo per una birretta e due chiacchiere con il cameriere, e poi via di nuovo verso l’ostello. Mi soffermo a vedere la parte finale del film “Sahara” sulla payperview e quando è ormai quasi l’una, saluto la prima domenica australiana.
Lunedì 9: Come da accordi post aerei, oggi è la giornata in cui devo chiamare Giuliano. Sono le 10 di mattina e purtroppo lo sveglio, anche lui sta pagando i postumi di nottate in bianco a causa di un fuso che deve essere ancora integrato.
Mi dice di andare a mangiare da lui, preparo il mio fidato zaino, e con un paio di mezzi sono dalle sue parti. Cains, cosi come Leinchard, Abbey, ed altri quartieri ad ovest del centro, sono l’esempio della massiccia immigrazione italiana del dopoguerra. Interi quartieri, intere strade sono abitate e vissute da soli italiani, e qualche cinese, quelli non mancano mai del resto.
Ristorante da Mario, Da Gino, Da Rosa, pizza Italia, pizza tricolore, sono solo una minima parte delle insegne che vedo sfrecciando nella macchina di giuliano che è venuto a prendermi alla fermata del treno.
Siamo sempre a Sydney certo, ma una periferia piuttosto distante dal centro, anche se l’efficienza del trasporto pubblico la rende davvero vicina. Arrivo a casa del mio “compare” e svolti i convenevoli di rito, vedo Rosa cominciare a cuocere delle belle bistecche. Mi raccontano della vita li ha Sydney, delle possibilità, dei figli, delle loro gioie e dei loro dolori, nemmeno li conoscessi da chissà quanto.
Nemmeno finiamo di mangiare e Giuliano, moglie e un amica della moglie arrivata nel frattempo cominciano una sequela di chiamate alla ricerca di posti liberi per uno sprovveduto cameriere che non parla un inglese impeccabile. Mi trovano almeno tre soluzioni per l’indomani, e sembrano soddisfatti di aver aiutato un paesano, raccomandandosi più volte di farsi sentire e fargli conoscere gli esiti.
Arrivo in centro in pieno pomeriggio, sono le 16 circa e decido di approfittarne per perdermi tra le vie cittadine. Attraverso l’area di Hyde Park, visito il Queen Victoria, un centro commerciale ricavato in un antico palazzo, davvero spettacolare. E’ ancora incredibile concepire come tanta confusione non generi nessun problema di organizzazione, pulizia o qualsivolgia problematica da noi talmente evidente da essere divenuta routines.
Arrivo all’ostello stanchissimo, sono le 19.30 e avrò fatto almeno 10 chilometri oggi. Gia pregusto una comoda connessione ad internet sul mio letto con successiva mangiata in un ristorante cinese qui vicino, ed ecco che mi arriva un messaggio di Rodolfo: è a Manly con una sua amica italiana che frequenta l’università qui a Sydney. Nonostante tutto deciso di raggiungerli, una corsa contro il tempo e contro gli autobus che ancora non ho capito a dovere, ma alla fine ce la faccio, sono a Manly in un ora al massimo.
In un ristpub, ordino carne di maiale in crosta con salse varie, davvero buona, anche se a mio parere troppo caricata di sapori eccessivi, una normale bistecca mai!?? Beviamo una birra, prendiamo un dolce squisito, spacciato dal menu come una strudel, non ne è nemmeno la lontana somiglianza se non per le mele calde come base, ma cavolo è buono davvero e finisce in pochi istanti.
E’ ora di tornare, solito traghetto, solito bus, solito ostello. In camera mi connetto ad internet scrivo qualcosa, saluto gli amici e in quattro e quattr’otto è l’una, domani sarà un’altra giornata faticosa, spengo la luce e buonanotte. Martedì 10: La giornata inizia con una sveglia in tarda mattinata, è circa mezzogiorno e sbrigando le consuete pratiche da risveglio passa una mezz’ora buona. Esco dall’ostello bisognoso di mettere qualcosa sotto i denti. Prendo il bus, in 5 minuti sono a Circular Quey, in un baretto affacciato sul porto compro un enorme muffin alla banana, un caffe caldo che vuole somigliare alla lontana ad un espresso ristretto, e una bottiglia d’acqua.
Sono ancora in procinto di pagare quando vedo alle mie spalle il bus che mi porterà direttamente a Bondai. Mi affretto, pago e salgo a bordo. E’ una nuovissima linea inaugurata proprio domenica e che diminuendo notevolmente le fermate, parte da qui ed arriva alla principale spiaggia di Sydney.
Bondai è bella come nelle foto che a centinaia avevo salvato sul mio pc. Lunga, con sabbia chiara spazzata da un forte vento,e con onde che nelle zone d’angolo sono altissime, da vero surfer a caccia di emozioni. Una scuola di surf per bambini fa strecciare gli allievi tutti dotati di mutino, mentre giovani surfisti esperti aspettano seduti sulle loro tavole che arrivi l’onda perfetta.
Ce tempo per una passeggiata per il lungo mare, un occhio ad un paio di scultori di sabbia (di qui a poco si terra il campionato australiano, ed io non me lo perderò di certo), ed ecco venire nuovamente il mio bus, che come tutti i mezzi a Sydney è efficentissimo.
Salto nuovamente a bordo e in un 20 minuti sono al punto di partenza. Sono quasi le cinque, ne approfitto per scrivere le tre cartoline d’obbligo che mi sono state richieste, nonostante tutti sappiano bene quanto sia contrario a questa pratica… Passo al bar in Hyde park che mi è stato trovato da Giuliano per lavoro, ma Corrado, il proprietario, non c’è, per oggi ho fatto tardi.
Non è poi cosi tardi per fare altro però, e decido di incamminarmi per vedere il primo simbolo di questa città. L’Opera House è davvero spettacolosa e maestosa, ma nonostante tutto nulla non può reggere il confronto con le vere meraviglie che posso vantare nel mio paese.
Mi viene a tal proposito da pensare come ancora una volta noi italiani riusciamo ad essere campioni in stupidità in ogni campo. Qui venerano come mostri sacri, contornandoli di ogni attenzione e sciccheria una struttura ultra moderna come questa (e per altro progettata da un italiano), e noi con le più grandi bellezze al mondo non sappiamo nemmeno cosa sia il rispetto delle nostre città e della nostra storia. Qui potrebbero creare un mondo attorno ad un solo capitello dorico, e noi permettiamo che cadano a pezzi i maggiori esempi della nostra identità storico-culturale, continuiamo a tassare le tasche di tutti, senza renderci conto di che ricchezza vera possediamo, è una vergogna che viaggiando diviene evidente come un grossa luce al neon sparata in piena faccia.
Si è fatto tardi davvero ora, torno all’ostello e non appena ultimata la cena, Cristopher uno dei miei materooms, mi propone una serata in un discopub in zona Darlinghurst. Accetto, mangio qualcosa in un take-away e arrivo al “The Gaffs” verso le 10. E’ strapieno, birre a 3 dollari e musica a cannone su due piani differenti, ce n’è per tutti i gusti di divertimento, e si socializza facilmente. Sono quasi tutti turisti in effetti, gli australiani conducono in questo una vita similare alla nostra, uscendo soprattutto nel fine settimana. Sono nel più bello della serata quando il mio cellulare squilla… E’ il contatto per una casa che avevo chiamato nel pomeriggio, mi da appuntamento presto per domani, ed io, per evitare di perdere l’occasione, decido di contrariare le voglie dell’eterosessualità e della birra e torno all’ostello per quella che sarà l’ultima notte. Mercoledì 11: La mattina è un corri corri per rientrare nei tempi del check out dell’ostello, e non incappare nei fastidiosi 20 dollari di deposito camera. Mi alzo di buon ora, e cartina alla mano arrivo alla casa del tizio che ho sentito la sera precedente. Il proprietario si chiama Pepe, è peruviano, molto gentile e disponibile e mi mostra immediatamente il posto. L’abitazione non è male, del resto per 190$ a settimana è il minimo (ma capirò presto che non è nemmeno tanto per una casa con stanza da solo in pieno centro). In effetti avrò una camera per me, ma al secondo piano di questa maxi villetta a schiera che conta altre 4 camere da due letti, più due bagni, una cucina ed salone in comune, oltre ad un giardinetto/garage.
Accetto, saldo il conto per la prima settimana (qui si fa tutto in anticipo), e sfruttando la disponibilità di Pepe, che sprizza quella vervè tipica dell’animo sud americano, mi faccio riaccompagnare all’ostello, prendo le borse e saluto la mia prima residenza di Sydney.
Sistemata la parte riguardante la casa è tempo di pensare a ciò che in teoria nobiliterebbe l’uomo. Mi presento dunque al bar su Hyde Park, “bar Quattro”, e qui conosco Corrado, il proprietario, un napoletano sulla quarantina, che senza problemi mi dice che l’assunzione è sicura (le raccomandazioni servono sempre). Quello che pero mi dice dopo è che ho bisogno di un paio di pantaloni eleganti, un paio di camice nere, nonché delle scarpe nere. Non ho nulla di tutto ciò e non ho certo intenzione di spendere 200 e passa dollari per lavorare. Lo ringrazio e lo saluto, cercherò qualcosa di più alla mano.
E primo pomeriggio e ce tempo per una scappatina al mare. Prendo il traghetto per Manly e raggiungo Rodolfo. Un paio d’ore in spiaggia a parlare il nostro caro accento romano, una birretta in un risto-pub con vista sul bel mare del posto, ed è gia ora di tornare indietro. Per strada compro qualcosa per la cena e incamminandomi mi fermo ad un internet point. Purtroppo infatti, la casa ha l’unica pecca di mancare di connessione web, è una pecca che per molti potrebbe apparire irrilevante, ma che io invece reputo assolutamente necessaria, è per questo che gia da domani pagherò il prezzo di una nuova ricerca.
La serata la lascio trascorrere tra un po di lettura, due chiacchiere con i simpatici coinquilini irlandesi, a dire il vero molto “sfascioni”, ma fortunatamente provvisti di una ragazza che si occupa di tenere in ordine tutto il loro caos. Non ho eluso di scrivere i nomi, ma ad oggi ancora non sono riuscito a farmeli entrare in testa.
Giovedì 12: Una settimana fa mi imbarcavo per questa avventura. Potrebbe essere il momento di un primo piccolo punto della situazione, ma proprio piccolo visto il poco tempo trascorso qui. Nessun rimpianto certo, almeno per ora, per ora vivo ancora in un clima vacanziero che sarà difficile abbandonare, ed è proprio questo probabilmente la parte più difficile del viaggio, legata a fatto che essere da solo in una terra nuova senza parlarne l’idioma in maniera quanto meno buona non è affatto facile. Sydney = easy life, vero, verissimo anzi, ma mettiamo un bell’asterisco vicino a quell’easy e aggiungiamo che la semplicità non è poi cosi evidente in tutte le situazioni. Vivo dei momenti di leggero sconforto in cui penso a tornare sui miei passi, meno male che riesco sempre a ritirarmi su e a non pensare più a quei pochissimi elementi di negatività che possono rovinarti alcune ore del giorno. Del resto una destinazione cosi lontana era proprio a prova di facili e affrettate tentazioni da “come back”.
E la prima giornata veramente calda. I giornali del resto l’avevano previsto gia a tempo. Tocchiamo i 33 gradi gia alle 11.30 di mattina. Un scappata a Bondi beach con la scusa della ricerca del lavoro è d’obbligo. Visito alcune pizzerie italiane che ho mancano momentaneamente del padrone, o sono gia “be quite”, ossia a posto. Fa troppo caldo per prolungare la camminata zaino in spalla, è invece tempo sdraiarsi tra centinaia di ragazzi di ogni etnia e provenienza ed immergersi completamente nella calda giornata di mare.
Quando il mio orologio segna le quattro, decido che è giunta l’ora per tornare ad essere un turista avido di esperienze. Non ho ancora visto Darling Harbour, è giunto il momento. Da Circular Quey prendo il ferry, avrei potuto optare per il classico bus, ma volete mettere la sensazione di attraversare nuovamente la baia.
Darling Harbour è un vero fiore all’occhiello di Sydney, decine di locali e ristoranti dislocati attorno alla banchina ed intervallati da interessanti attrazioni come l’acquario, il wild life show, un laghetto, un parco per bambini e molto altro ancora. Una passeggiata lungo il porto, ed un occhio alla miriade di ristoranti, locali, pub, che sono già in frenetica a attività, ma che acquisiranno enorme fascino con l’arrivo della sera. Darling Harbour si potrebbe definire come l’area più “in” della città. Qui vengono i giovani rampanti delle classi più agiate a bere un drink con vista sugli yacht, ma passano anche tanti turisti che spesso si fanno abbindolare da bellissimi e affascinanti locali, pronti a colpire duramente al momento del conto.
Non posso non visitare l’acquario del quale mi sono procurato uno sconto sul giornale odierno. E’ un esperienza affascinante davvero anche se l’acquario della nostra Genova non ha nulla da inviargli. Forse l’attrattiva che spinge tutti ad affrettarsi davanti alle enormi vasche per murene, pesci tropicali, crostacei e quan’altro è quella di vivere l’esperienza dei passaggi subacquei nelle due sale apposite. La prima con le foche, che per altro stanziano sulle rocce che affiorano rendendo la camminata subaquea piuttosto superflua. Ma per nulla superfluo è invece ciò che si prova nella seconda sala, quella dedicata ai grandi pesci di mare. Squali di più tipologie, razze, e banchi di pesce in continua frenesia animano quella che mi sento di definire la vera attrazione principale del posto. Vedersi passare enormi squali grigi a pochi centimetri dalla testa è davvero entusiasmante e le foto si sprecano. E’ il momento di uscire, e passando per l’area dedicata alla fauna dei reef corallini, ovviamente coloratissima e bella, ci si appropinqua verso l’uscita.
Sono stanchissimo, anche oggi avrò macinato una decina di chilometri. Nonostante tutto mi metto d’accordo con Rodolfo per un salto in un disco pub dalle parti di Manly. Non appena cenato dunque sono di nuovo in movimento: bus, traghetto ed approdiamo allo “Shark”. Qui come è solito vedersi gli stessi hotel dispongono di grosse sale, spesso a più piani, dove viene sparata musica e elettronica o dal vivo, e dove la gente parla, beve, si conosce, ribeve, e poi beve ancora un pò, in perfetto stile anglosassone. La serata non finisce tardissimo, anche perché all’indomani inizierà la vera e propria caccia a lavoro e soprattutto alla casa, che comincio, visto le temperature gia elevatissime, a desiderare proprio al mare, probabilmente a Manly.
Venerdi 13: Mi alzo tardi, il caldo è stressante, oggi arriveremo almeno a 35/37 gradi, e pensare che siamo soltanto al principio della primavera.
Il tempo di una rapida pulita e sono gia in pista, oggi lo dedicherò a cercare qualche lavoro, anche se senza particolare grinta dato che la mia priorità e la casa, e solo successivamente un occupazione redditizia che spero rimanga nella stessa zona.
Acquisto come ogni giorno il quotidiano, oggi il “Daily telegraph”, che come ogni giornale propone nella pagine finali annunci per case e lavoro, anche se i giorni con i maggiori inserti in tal senso sono in genere il Mercoledì e il Sabato.
Gettando un occhio alle varie offerte noto ancora un volta come qui con un inglese fluente sia davvero semplice lavorare, in ogni campo e per paghe davvero ottime. Un uomo di fatica prende 20$ per ora, più di un cameriere, uno chef anche non professionista arriva a 40 nei locali non rinomati, pizzaioli, manovali d’ogni genere servono come il pane, cosi come laureati soprattutto in campo ingegneristico, l’università non ne riesce a sfornare a sufficienza per rimanere a passo con i tempi. Insomma una società cosi evoluta deve per forza di cose far leva sul lavoro degli stranieri, giapponesi, europei e sud americani, sono tutti ben accetti per far funzionare la grande macchina tecnologica australiana.
Chiedo un pò di lavoro a Bondi beach, e non trovo granchè, ma in effetti la ricerca non dura a lungo, sono completamente catturato da una spiaggia talmente piena da fare paura. Non esistono stabilimenti a pagamento qui, non esistono lettini ne ombrelloni, qui c’è solo una marea di gente distesa su asciugamani precari che legge, parla, gioca, scherza, fa il bagno o guarda chi lo fa, è una vera apoteosi e farsi immergere è davvero facile. Stendo l’asciugamano ed in 5 minuti sono gia in catalessi. Verso le cinque sono a casa con qualcosa per cena acquistata al vicino market e tanta voglia di vivere il Venerdi sera australiano. Con Rodolfo ci vediamo a Circular Quey, direzione Darling Harbour by night. Le luci rendono davvero sfavillante il posto, era da immaginarlo del resto. E’ la prima volta però che noto un effettiva disparità tra chi può e chi vorrebbe, tanto che in alcuni locali non ci è nemmeno permesso entrare perché indossiamo scarpe da ginnastica, che poi sono Nike Silver e Nike Shox, in Italia sono pressoché d’obbligo per i locali alla moda.
Non ci scoraggiamo, facciamo amicizia con alcune ragazze Aussie, due chiacchiere, qualcosa da bere e ce ne torniamo a casa, soli purtroppo.
Tornando è evidente che qui ogni posto può divenire una disco per la notte, negli hotel, nei grattacieli, nei normali palazzi, nei pub più tranquilli di giorno, basta passeggiare per trovare il posto che piace, è una lezione che non dimenticheremo.
Sabato 14: Oggi sono davvero deciso a trovarmi casa, destinazione Manly, primo obiettivo una copia del “Daily Manly” che di sabato offre una bella rassegna di possibilità.
Seleziono una serie di numeri, cerco casa con stanza da solo, connessione internet e possibilmente con il centro agibile, non è un impresa impossibile se si intende spendere tra i 150 e i 200 dollari a settimana.
Le prime chiamate sono un flop, occupate, tutte. Poi riesco a contattarne due che potrò pero vedere soltanto all’indomani. Soltanto per una ho un via libero immediato. Salto su un bus e raggiungo l’abitazione, o meglio mi perdo nel tentativo di raggiungerla e soltanto grazie ad un gentilissimo signore del posto che si prende la briga di cercarla sullo stradario e poi anche di accompagnarmi con la sua macchina, grazie davvero.
La casa è splendida, me ne innamoro immediatamente, 170 $ per una villetta per sole due persone, io e la tizia appunto, con tanto di ampio salone con camino, cucina aperta all’americana, bagno personale, e vetrata con vista sul mare. Perfetto! Presa! Ed invece no perché la stanza da letto è mancante del letto, va comprato, quasi non mi scoraggia la notizia, ma poi ci aggiunge che non c’è linea telefonica, quindi no internet, devo rinunciare ma davvero a malincuore, perché un posto cosi è davvero un sogno possibile.
La sera iniziata tra grandi ambizioni finisce in un flop, faccio l’errore fatale di appisolarmi sul letto, ed apro gli occhi solo alle 2 di notte passate, e vabbe ho ancora due mesi davanti.
Domenica 15: Ancora in cerca di casa, ancora dalle parti di Manly. Unica pecca della giornata è che con un cambio repentino ed imprevisto, che solo le mezze stagioni possono “regalare”, oggi spira vento freddo e cielo plumbeo di nuvole, che ogni tanto lascia cadere una pioggia leggera. Non ne sono affatto scoraggiato, come non lo sono tutti gli abitanti dei posti di mare, perennemente in costume, ciabatte se non scalzi, e spesso con le loro tavole sotto il braccio.
Visito un paio di abitazioni, entrambe bellissime, entrambe senza letto, ma che è una mania? Domani ho ancora un appuntamento, speriamo bene… Mangio un dolce fatto in casa di una pasticceria sul corso e domando in vari shops: “i’m looking for employment” (cerco un lavoro). Al negozio di scarpe della Converse ce bisogno d ragazzi, ma il boss non è presente, rimando l’incontro a domani, sperando che non faccia troppo caso all’inglese ancora maccheronico anche se migliorato, del resto un commesso qui viaggia sui 22 dollari l’ora ed anche più.
Giornata tranquilla quella di oggi, giornata che decido di completare con due spaghetti al pesto, tutto rigorosamente marca Barilla, e poi un bel film direttamente dal mio portatile, del resto Domenica è fatta per il relax. E’ ormai finita la mia presenza da turista in questa città bellissima, è giunto il tempo per immergermi nella realtà della vita quotidiana, fatta di lavoro, palestra e uscite il fine settimana.
Era un programma già fatto del resto, prima periodo di completo relax, da traveller quale mi sento e quale sono, anche se un viaggiatore in parte stressato da un inequivocabile bisogno di cercare un tetto sotto il quale tornare la sera.
E’ finita la quarta settimana Australiana, la quarta settimana che vivo a Sydney, un mese tondo tondo, un mese che mi rimarrà per sempre nella testa e nel cuore.
Ho tanti progetti, vorrei partire e vedere altri lidi, ne ho quasi abbastanza della grande metropoli occidentale fatta di grattacieli e asfalto. Sogno il Nord dell’Australia, Darwin e la sua ristrettezza cosi tropicale, Alice Springs ed il suo essere sperduta nel nulla, la costa Est, la costa di Cairns e della seconda più grande barriera corallina al mondo. Il progetto è chiaro tra due settimane comincerò a viaggiare nei weekend per le destinazioni più vicine: Melburne, Adelaide e Brisbane per prime, e per Dicembre forse qualcosa di più lungo.
L’ultima settimana registra anche qualche significativo cambiamento, di cui il più importante è quello sul fronte lavorativo. Finalmente penso di aver trovato qualcosa di buono davvero. Attraverso gli annunci del mercoledì contatto un centro vendita Nissan. Parlo con un certo Craig David, che si dimostra davvero gentile, e scoperte le mie origini mi dice di avere anche uno zio di Messina. Mi ci vedo per un colloquio Venerdi, mi spiega il lavoro, controllo macchine e pulizia di alcune, nulla di difficile, nulla di particolarmente faticoso, e soprattutto 25 dollari l’ora per 8 ore al giorno da Lunedì a Venerdi, il che costituisce la cifra di 1000 dollari per settimana, assolutamente perfetto. Ancora una volta devo constatare come i datori di lavoro australiani siano davvero onesti e rispettosi, quindi non esito ad accettare potendo cosi felicemente mandare a quel paese i “cari” boss paesani.
Il Sabato sera è un bere con i coinquilini irlandesi, non posso reggere il passo e dopo qualche ora crollo a picco sul divano risvegliandomi in piena notte senza più nessuno accanto.
Ma un mese serve soprattutto a chiarire tanti pensieri confusi, tante speranze attese, tante idee riposte nel cassetto. E’ forse giunto ora il momento di un vero punto della situazione.
Non posso parlare da esperto, conosco certamente la prima città australiana, ma è troppo poco per dire di potersi sbilanciare in considerazioni che riguardino tutto il continente/nazione. Quello che scriverò dunque è il resoconto delle mie impressioni dopo aver vissuto in una sola città, e sono quindi considerazioni parziali e propense (forse) a possibili cambiamenti futuri: Sydney è l’esempio perfetto di come una società moderna (che nasce infatti alla fine del 1700) abbia saputo sfruttare gli errori del millenario mondo arabo, orientale ed occidentale per generare una nazione in cui si possa vivere davvero bene. Non esistevano strutture storiche qui, ma solo una grande pianura sulla quale far crescere una metropoli davvero vivibile. Tre corsie per le auto anche in pieno centro, zone verdi, costruzione meticolosa ed organizzata, società che tutela il suo cittadino, welfare concreto ed in continuo movimento. Questi sono gli elementi di grande spessore che ho rilevato qui, questo è motivo di grande invidia per chi, come me, non conosce la vita rilassata, ma solo quella della competizione per l’arrivismo a cui siamo soggetti, le continue gomitate per arrivare prima del nostro prossimo, il lusso e la ricchezza come primari valori da sfoggiare e di cui vantarsi. Questi sono solo alcuni dei bei regali che il capitalismo inteso a modo proprio e modificato nel corso del tempo hanno regalato alla nostra attuale generazione.
Ed allora non posso non provare rabbia nel conoscere una società dove si vive bene e con dignità sempre, dove ogni occupazione regala la possibilità di un esistenza senza privazioni, dove la disoccupazione (che qui è prettamente volontaria) è supportata dalla stato con sovvenzioni di reale entità settimanale (parliamo di 300 dollari a settimana, 1200 al mese). Non può un ragazzo non provare invidia nel vedere come qui si sappia cogliere a pieno il gusto della vita, dove tutto scorra lento, nonostante la frenesia della metropoli continui ad incalzare come un treno in corsa. Bella questa vita, bella questa filosofia, bella come la tavola da surf che vedi sotto braccio ad un ragazzino di 8 anni, una tavola che richiama la libertà e lo spirito dell’oceano, alla tranquillità del non dover avere paura per un domani incerto. Eccole le mie invidie, ora capisco chi torna e sogna di vivere qui, ora capisco perché in tanti decidano di prendere quel aereo di sola andata che li porterà a sperare in un reale possibile successo. Tutti possono a Sydney, tutti hanno l’opportunità di farsi valere, tutti, ma proprio tutti. La meritocrazia regna in ogni ambito lavorativo, la capacità paga ottimamente, la forza, la virtù, la voglia e il coraggio sono i valori che contano per venire fuori ed imporsi realmente. Non ci sono lobby qui, non ci sono farmacisti e tassisti che sbraitano perché gli si toccano i loro beneamati diritti, non ci sono avvocati che minacciano scioperi, non ci sono mazzette e tangenti per poter arrivare ad acquisire un business anche in pieno centro, non ci sono notai che sono sempre e soltanto figli di notai a loro volta figli di altri notai, non ci sono tasse inutile per far mangiare tutti questi privilegiati, non ci sono commercialisti dall’albero genealogico simile a quello dei precedenti, non ci sono tante cose ancora… Ma allora perché dentro di me ancora non sento quella enorme passione che ho riscontrato in tante persone tornate nel nostro “belpaese”?. Non so come spiegarmi una continua propensione alla mia patria, alla mia casa, alla mia caotica città. Forse è questione di tempo, forse la non piena conoscenza della lingua limita la mia voglia di conoscere e fa si che la frustrazione possa montare oltre i livelli creduti. Forse è proprio questo l’elemento che mi fa notare anche qualche limite in quello che sembra il paese dei balocchi. Di certo il primo che ho voluto chiarirmi è stato il perché una società come questa, abbia estremo bisogno di lavoro specializzato estero, perché penda assolutamente dalle labbra di chi parla bene la lingua ed ha in tasca una bella laurea occidentale. Come mai tanti giovani non riescono a sopperire alla richiesta nazionale? Come mai tutti corrono lontano dagli studi non appena completata la scuola dell’obbligo, nonostante una università, neanche a dirlo perfetta, permetta di completarsi professionalmente e lanciarsi in una sicura carriera fatta di ottimi guadagni e vita da ricchi? Limitati! Eccola la parola che assegno a questo popolo, limitati nelle ambizioni, limitati nelle voglie, limitati nella propensione alla propria ricchezza culturale. Non ne sentono il bisogno qui, non lo sentono perché a 18anni, non appena preso quel inutile pezzo di carta che si chiama diploma, sono pronti a correre a lavoro come camerieri, commessi o baristi, perché sanno che guadagneranno bene, perché non sono interessati ad altro se non al surf, alla birra ed allo sballo del sabato sera. E’ forse la pena che si paga ad essere un isola, enorme certo ma pur sempre un isola. Un isola vuol dire nessun diretto contatto con il mondo esterno, isola vuol dire nessuna competizione con il confinante, isola vuol dire creare un ambiente in cui tutti vivano bene e non aspirino a conoscere nulla che gli sta intorno. Forse è per questo che mentre gli altri madrelingua inglese nel mondo si specializzino in altri idiomi, e non ne abbiano mai abbastanza, gli australiani rimangano nel piccolo del loro inglese fortemente accentato, che loro stessi definiscono un non-inglese. Forse è per questo che incapaci di capire il valore della cultura, perché inesistente storicamente, letterariamente, ed in ogni altro ambito conosciuto, vivono la loro vita alla giornata, felici del poco-tantissimo che hanno; forse è per questo che ancora non ho conosciuto un solo australiano che abbia visitato la vicinissima Melburne, o abbia minimamente viaggiato nel suo paese: “Sydney è il meglio” questo ci si sente rispondere quando gli si chiede come siano le altre località. Hanno copiato e migliorato le due più grandi concezioni di vita al mondo, il capitalismo occidentale e la cultura orientale, hanno creato un crogiuolo di migliorie effettivamente perfette, ma in fondo hanno copiato. Non sono capaci di inventare nulla qui, perché gli manca la base più utile: la mentalità adatta.
Non sanno cosa vuol dire essere circondati da 4000 anni di storia, assuefarsi all’ombra del Colosseo, ammirare la brillantezza di via della Conciliazione, scoprire i canali di Venezia, scrutare il mare azzurro dal Maschio Angioino di Napoli e la lucentezza dei vicoli di Palermo; come non sanno cosa voglia dire aprire un libro è leggere i nomi dei sette re di Roma, Leonardo da Vinci, Galleo Galilei, Raffaello, Barberini, e via a continuare in una lista che soltanto limitata all’ambito italiano non potrebbe essere contenuta nella più grande biblioteca al mondo. Hanno il loro surf qui, e gli basta, hanno l’oceano e le onde più belle al mondo, e gli basta; hanno la certezza di poter non pensare al domani, e gli basta, ma non hanno la coscienza che tutto ciò che di bello posseggono sono stati altri a conquistarlo, con il sangue ed il sudore, con la storia e la guerra, con l’amore e l’intelligenza.
Eccolo il mio primo resoconto, io la penso cosi in questo momento, si può essere d’accordo o no, si può credere o no a quanto ho scritto, ma certamente non mi si può chiedermi di inchinarmi a chi ha copiato la cultura delle mie genti e della mia casa, e ne ha fatto business da commerciare, non mi chiedete di ripudiare casa mia, ora come ora ho bisogno ancora di sentire quella tiepida brezza che dalle mie parti chiamano ponentino.
La settimana appena trascorsa è una settimana di pieno lavoro, allenamento in piscina e alzatacce precedute da precoci riposi serali, in quanto torno a casa verso le 8 e il letto mi canta la ninna nanna mentre sto ancora aspettando che bolla l’acqua in pentola per la linguina. E’ però soprattutto un’altra settimana di conoscenza del posto, della gente, della vita e della cultura locale, altri sette giorni che regalano una migliore coscienza del luogo che vivo.
Il mai cosi atteso fine settimana trascorre tra un Venerdi a bere ettolitri di birra in un locale vicino con il coinquilino ed ormai amico Alexis, ed un Sabato nella disco “Stain ”di Manly, con Rodolfo ed altri amici provenienti un pò da tutto il mondo. Ecco quello che posso aggiungere a quanto detto fino ad ora: 1- Lavoro E’ la prima volta che mi incrocio con la macchina lavorativa e burocratica australiana, ed ovviamente ne sono colpito in positivo. Già il colloquio con il mio Boss, un certo Craig Tong, mi aveva mostrato la chiarezza con la quale viene esplicitata la proposta di lavoro, ma il primo giorno riesce a farmi ammirare il sistema locale ancora una volta.
La mattina inizia con un giro di presentazioni personali di tutti, ma proprio tutti gli occupati del posto, con relativa spiegazione della loro funzione interna. Ancora una volta noto quanti giovanissimi lavorino qui, diciannove, vent’anni o poco di più, freschi di diploma e vogliosi di guadagnare. Continuo firmando tre o quattro moduli che mi vengono prima spiegati e letti, in modo da avere la coscienza che tutto sia perfettamente chiaro. Le mie mansioni sono nero su bianco, punto per punto, e tutto ciò che è oltre e soltanto una mia scelta, farlo o non farlo è un favore e non un obbligo verso chi te lo chiede.
Successivamente mi viene consegnato un modulo che diviso per paragrafi parte dalla storia e dalla filosofia dell’azienda per concludere con tutti i diritti/doveri ai quali è soggetto il lavoratore. Mi si prega, vocabolario alla mano di leggere con calma tutte le 30 e passa pagine e soltanto dopo firmare in calce, il tutto ovviamente nella sala staff e pagato come ore di lavoro normali.
Completato l’intero iter posso apporre l’ultima mia firma sul modulo di rispetto di una legge della salvaguardia dal mobbing, approvata in Australia più di 30 anni fa. Sono pienamente tutelato, tutelato nella paga, nelle ferie, nelle malattie, nei soprusi ed in quant’altro, e pensare che in Italia ormai il tempo “indeterminato” che offre questi diritti è ormai una chimera, mentre qui lo si ottiene dopo un colloquio di 20 minuti al massimo.
Come previsto il lavoro è tutt’altro che duro, in perfetto stile australiano, il lavoratore non è mai sotto pressione, le otto ore potrebbero essere in realtà 2 o 3 di reale occupazione, il resto è un chiacchierare, un aspettare ed un prender un caffè, ovviamente lunghissimo e gratis. Sposto macchine da 50 e passa mila euro, ne porto alcune a lavare nell’apposita struttura automatica, cambio targhe, appiccico sticker della Coolcrafford (ossia la mia ditta), sull’usato in vendita. Ho qualche reale imbarazzo nel guidare bestioni con il volante a destra, tenendo la sinistra su strada e con il cambio rigorosamente automatico, non sia mai che il guidatore si stressi creando situazione in stile italiano, per la serie “tutto clacson e parolacce”. Per concludere vengo ufficialmente invitato al party di Natale, in data 1 Dicembre prossimo venturo, in un locale completamente affittato dalla ditta e dove a sentir parlare i veterani scorreranno alcol e cibarie come sul letto di un imperatore romano. Si raccomanda vivamente di partecipare nella lettere di accompagno all’invito, il tutto per mantenere lo stile di cordialità interna che la ditta vuole tra i suoi dipendenti. 2- Salario/tasse: E’ una stangata vedere il saldo del mio primo stipendio, si già il primo in quanto qui il giorno di paga è il mercoledì di ogni settimana, e quindi ho diritto ai miei primi due giorni direttamente accreditati su conto corrente e decurtati dei “bisogni statali”. I 15 dollari l’ora, che mi avrebbero regalato un accumulo bancario davvero sicuro sono in realtà al lordo delle tasse, che facendo due rapidi conti sono quasi il 30% del complessivo. Saltando inutili e boriosi calcoli matematici ne deriva che percepisco al netto 450 dollari per settimana, con la certezza che il prossimo Luglio, mese per eccellenza della dichiarazione delle tasse versate, potrò rientrare di circa il 20% del complessivo, il problema è che io il prossimo Luglio non credo proprio che sarò qui. Devo immediatamente rivedere calcoli e progetti, speranze di fine settimana e tranquillità economica. Attenzione con questa cifra posso vivere davvero bene senza alcun problema e senza mancanze, ma con un risparmio quasi nullo.
3- Progetti Come già detto devo modificare i miei progetti, la Domenica pomeriggio la dedico al lonely planet, scrivo numeri, date e cifre, ed ora so quello che devo fare. Due settimane ancora di lavoro, ossia fino al 30 Novembre, e poi fino alla data di rientro natalizio sarà un perdersi tra Cairns, Darwin, Perth e Melburne cosi da gettare l’occhio sulle quattro coste australiane. 4- Altro Non sono certo il tipo che si lascia commuovere dal periodo natalizio, per me un enorme business che vale poco, se non per i più piccoli, e che per me rimane importante ma soltanto in relazione al sentimento verso la famiglia, ai bellissimi ricordi passati, alle attese “riunioni” a base di tanto mangiare, nonché ovviamente alle lunghissime nottate tra un sette e mezzo ed un pezzo di torrone.
Qui però vedere addobbi in un clima agostano è davvero la goccia che fa traboccare il vaso, è come una pelliccia il 5 di Luglio, quanto meno incredibile. Certo loro saranno abituati a questa atmosfera e probabilmente gi sembrerebbe insolito il contrario, nonostante le migliaia di rappresentazioni televisive, cinematografiche, letterarie e quant’altro su questo tema gli possano aver creato un idea dell’evento nella patria di Babbo Natale. Non riesco proprio a farmi coinvolgere da un enorme abete all’ingresso di un grande shopping center, quando indosso un costume da bagno ed ho ancora la sabbia incollata alle gambe. Stranezze dell’altro emisfero certo, eppure non ho resistito ad acquistare un bel panettone Motta, in attesa di quella tavola con il colore rosso dominate che mi attende tra ormai poco più di un mese. Ancora una volta continuo come l’altra settimana con una carrellata di nuove info, curiosità ed altro su quanto apprendo della vita quotidiana.
1- Quartieri non sobborghi E’ davvero incredibile ed è la prima volta che vedo una cosa del genere, Sydney non ha nessun quartiere, area o dislocazione che sia povera, malfamata o di basso rango sociale. Insomma ovunque, in qualsiasi paese del mondo, dalla tecnologica New York, a Roma, Milano, Napoli, e qualunque città occidentale o pseudo tale esiste sempre una o più aree dalle quali “tenersi lontani”. Sydney e credo anche altre città australiane vanta invece il primato assoluto, mostrando in questo una società di enorme benessere in cui la flat batte il condominio, e lo spazio disponibile permette di evitare costruzioni abitative che superino i 5 piani, puntando invece sull’espansione orizzontale e non verticale, a parte il centro del business è chiaro.
2- Ancora una finestra “La città del Voyeurismo” cosi potrei definire scherzosamente Sydney. Il termine mi è venuto in mente durante gli ormai giornalieri spostamenti con i mezzi pubblici, spostamenti durante i quali si nota nella consuetudine architettonica di case, ville e palazzetti, la sostituzione delle pareti con enormi vetrate che danno luce e viste mozzafiato dall’interno. Il problema sorge quando buona parte delle vetrate tralascia la questione della “privacy” e non tenendo assolutamente conto di possibili oscuramenti, vetri-finestre o quant’altro lascia a chi passa al di fuori un altrettanto ottima vista su saloni, cucine e ogni tanto camere da letto, che soprattutto se illuminate la sera da lampadine elettriche mostrano un quadro più che chiaro, alla faccia dei reality da televisione.
3- Barbecue ragione di vita Il Barbecue e’ davvero un elemento importante della vita sociale del popolo australiano. Si comincia a “sbriciolare gia verso le 5” accompagnando il tutto da ettolitri di birra. Organizzarne uno è semplice ed immediato, basta disporre di un barbecue ovviamente, il resto non richiede ne stress, ne fatica, dato che qui si usa che chiunque sia invitato o “imbucato” si porti da casa le sue vivande, e se le cucini come e quando desidera. Alla faccia delle cene all’italiana tutte a carico del “destinatario”. E’ strano che una mole cosi ampia di Barbecue, presenti davvero su ogni balcone, non sia per nulla affiancata da qualche comignolo che spunti sui tetti delle abitazioni, e vabbene che qui la temperatura più bassa sarà 15 gradi, ma la bistecca sulla brace del camino credo che non sappiano che fantastica invenzione sia. 4- metereologicamente parlando i giornali e le tv continuano a ripeterlo da tempo: un Ottobre e un Novembre cosi caldi non si registravano da decenni. E’ la solita storia insomma, quella che sentiamo puntualmente anche noi ad ogni cambio di stagione. Ma se le medie finali sono un mero calcolo matematico, quello che ho registrato sulla mia pelle è una variabilità davvero impressionante. Qui si passa nel giro di un ora da 30 a 16 gradi e viceversa, qui una giornata di sole intenso può in 20 minuti tramutarsi in una bufera di pioggia e grandine, insomma un clima a dir poco tropicale, ma senza le temperature medie puntualmente sopra il 25. Da quello che ho capito Melburne è ancora più esposta al fenomeno dell’improvvisa variabilità, dato che ancor meno protetta dalla natura, ed anzi prettamente esposta a cielo aperto verso l’Antartide, ma pur sempre con il deserto centrale alle spalle.
Quello che poi stupisce davvero è come qui le previsioni del tempo siano perfette alla virgola, e non sto parlando solo di quelle giornaliere o per l’indomani, ma anche per quelle riferire a 3-5 giorni di distanza. Finora, ed ormai sono quasi 2 mesi, mai una volta hanno sbagliato anche per quanto riguarda le temperature, rendendo a mio parere ridicole quelle italiane capaci di fallire anche le giornaliere.
(Northen Territory- Darwin, Giov 30/11 a Mart 5/12) E’ Giovedì 30 Novembre, Pepe come al solito disponibilissimo mi accompagna all’aeroporto risparmiandomi i 10 dollari di bus-navetta per il terminal (col il taxi ce ne vorrebbero il doppio). La consueta pratica del ceck-in viene anticipata da un autoregistrazione con appositi computer dislocati proprio agli ingessi del terminal. Si inserisce nome, cognome, destinazione, si sceglie il posto sull’aereo, ed il sistema che riconosce la prenotazione stampa il biglietto. Il tutto riduce i tempi alla sola prassi di imbarco bagaglio e controllo veloce del passaporto.
E’ un’altra delle tante piccolezze che, come ad esempio per i biglietti degli autobus pagabili a bordo, o l’apertura conto in banca in pochi minuti, ect.. Ect… (rileggere i passati resoconti per ricordare), ha la forza di soverchiare le inutili perdite di tempo, in nome della pura e semplice funzionalità e servizio efficace al cittadino.
Sbarco nella capitale del “Top End” alle 23 passate, due ore di fuso in meno da Sydney, due ore più vicino all’Italia, ora lontana soltanto otto giri di orologio. La botta di caldo afoso che mi colpisce non appena varcate le porte del piccolissimo aeroporto di Darwin è allucinante, e pensare che il sole è calato gia da un pezzo. Il termometro del bus navetta per il centro città, distante appena 12 km, segna i 33 gradi, ma non indica il valore dell’umidità che a pelle credo sia intorno al 80-90%. E’ una sensazione strana davvero, un caldo del genere è similare a quello del nostro Luglio, all’ora di punta sotto un ombrellone in spiaggia, fate voi i conti. Scelgo l’ostello dal solito Lonely Planet, ed ancora una volta mi dice molto bene. Il Cavenagh hotel è dislocato sulla strada parallela alla principale arteria di Darwin, Smith strett. E’ un abitato davvero ben fatto, costruito intorno ad un invitantissima piscina di una quindicina di metri. Passo per il solito ceck-in, ma aimè non ci sono stanze da 4, devo dunque accontentarmi della camerata da 8 per 18 dollari a notte, ma il ragazzo della reception mi tranquillizza con un: “really quitely”. Veramente tranquilla davvero la mia stanza in quanto, degli otto letti è occupato soltanto uno, il che si traduce in tanto spazio e moltissima pace. La calura della nuova sistemazione mi invita ad uscire immediatamente ed a prendere una birra gelata a bordo piscina. Ne approfitto per chiacchierare con 5 ragazzi che in quanto a bevute sono molto più avanti di me. Chi lavora, chi bivacca, chi è australiano chi è adottato da questa terra, hanno tutti una storia da raccontare e tutti sono concordi nel giudicare Darwin una bella e tranquilla città, dove si vive bene, ci si diverte, si lavora con facilità e i ritmi sono più blandi perché scanditi da un termometro mai troppo clemente. Mi confermano l’impossibilita di fare il bagno in mare che nella stagione umida, ossia questa, che va da Ottobre a Maggio, l’oceano è assolutamente infestate dalle cubomeduse o Shellyfish, una delle specie più pericolose al mondo, e come se non bastasse la baia pare brulicare di coccodrilli che vi arrivano dai canali e fiumi interni che sono in piena, e vi scorrazzano in cerca di cibo. Insomma tanto sole sprecato, almeno per 8 mesi l’anno. Prendere sonno è tutt’altro che facile, l’afa è opprimente nonostante il ventilatore faccia gli straordinari per smuovere l’aria, ma alla fine la stanchezza prende il sopravvento.
Mi sveglio presto, volente o nolente è la calura che decide quali siano i tempi per dormire, e rimanere nel letto è come rigirarsi in un forno, le coperte roventi non permettono sonni tranquilli ed allora meglio far iniziare la prima giornata nel North Territory.
Veloce capatina per una piccola spesa la vicino Woolwhorts, e poi zaino in spalla sono pronto a seguire l’itinerario cittadino consigliato dal Lonely Planet. Con il crescere del sole il caldo diventa davvero un tiranno imbattibile, cerco rifugio in alcuni bar e in comode panchine all’ombra dei parchi cittadini, ma quando è l’una circa siamo ormai a 42 gradi, il deserto è qualcosa di simile.
Nonostante tutto, visito la via centrale, la sede del vecchio parlamento, e le rovine della storica town hall, crollata durante i bombardamenti che Darwin subiti nel corso della seconda guerra mondiale, a causa dei numerosi attacchi giapponesi, dato che qui gli Stati Uniti avevano stanziato il principale centro nevralgico per le operazioni militari nel sud-est asiatico. Il Bicentenallian park ricorda appunto questi tragici eventi con una serie di sculture e statue.
In circa un ora ho completato l’intero percorso e visto tutto, Darwin non vanta certo le dimensioni della grande metropoli. Non mi resta da vedere che L’acquascene, dedicato ad un noto biologo del 800 che passò la vita studiando la fauna marina. In effetti per 8 dollari a persona lo spettacolo non è poi cosi eccezionale, in pratica il tutto si riduce ad una banchina sotto la quale nei momenti di alta marea (il posto è aperto al pubblico soltanto in tali occasioni e quindi per un paio di ore al giorno, non tutti i giorni), centinaia di pesci, grandi e piccoli, cefaloni, a volte Mante, vengono a raccogliere il pane che i visitatori gli lanciano, e agguerriti per accaparrarsi un fetta non temono nessun contatto con l’uomo, tanto che li si può tranquillamente toccare, offrire il pane dalle proprie mani ed ovviamente fotografare. Traggo l’opportunità per conoscere una ragazza tedesca, anche lei 25enne, anche lei alloggia nel mio stesso ostello, anche lei in vacanza post studi universitari, ed in attesa di rientrare per lavoro dopo capodanno. Ci scambiamo alcune informazioni utili da bravi viaggiatori e ci rimandiamo ad una birra per la sera.
Tornando mi fermo all’enorme centro visitatori di Mitchell strett, consulto alcuni book e locandine e prenoto due giorni rispettivamente nei parhi nazionali di Kakadu e Linchfield, il primo in particolare dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, e gestito interamente da aborigeni. Sono i 200 dollari meglio spesi da quando sono in Australia, finalmente l’opportunità di conoscere l’outback e la vera cultura di questa grandissima terra. Il Venerdi sera è un girare per diversi locali e discoteche, inizialmente seguo al Victoria Hotel un paio di ragazzi canadesi con cui avevo fatto la conoscenza nel pomeriggio a bordo vasca. Dopo qualche birra mi dissocio e mi sposto nella più grande discoteca della città, il Discovery, dove un Dj mixa musica a tutto volume. Tornando c’è tempo anche per una capatina allo “Shenningan”, altro disco pub in stile irlandese dove musica e birra sono le attrazioni principali.
La giornata di Sabato inizia con la solita sveglia forzata, non c’è verso di prendere nuovamente sonno e presto desidero un qualche posto dove immergermi. Il mio roommate, un uomo sulla cinquantina, di origini slovene è parco di mille informazioni, conosce bene la città e i dintorni, nonché tutte le tecniche per risparmiare dollari preziosi. Mi indirizza in una grande piscina pubblica a Nord di Darwin, nel sobborgo di Parat. Con 10 minuti d’autobus sono li, la piscina è di lunghezza olimpionica, ed a parte un corso sub in opera, non c’è nessuno nelle quattro corsie adibite al nuoto, tutti i presenti preferiscono bivaccare sul prato circostante all’ombra di grosse palme. E’ quello che faccio anche io non appena finita la sessione odierna di allenamento, godendomi un leggero venticello che fa apparire la temperatura infernale leggermente più mite.
Alle 5 sono nuovamente in ostello, bivacco sulle sdraio a bordo vasca e mi godo il tardo pomeriggio darwiniano in attesa di una serata spero vivace. Scambio due chiacchiere con i nuovi coinquilini, una coppia belga arrivata fresca fresca da un viaggio in Indonesia, ed ora qui in cerca di lavoro. La sera è un nuovo girare per diversi locale su Mitchell strett e Smith Small street, le due principali arterie della città. Ogni 10 metri c’è un disco pub dal quale esce musica ad alto volume, canti, grida e odore di birra.
La Domenica mi offre il primo spettacolo naturale della mia permanenza qui a Darwin. Avevo letto dei maestosi temporali tipici di questa stagione, e della loro forza e rapidità. Sono le 3 del pomeriggio quando alla distanza nuvoloni neri cominciano velocemente ad addensarsi scaricando fulmini e saette. Ho giusto il tempo di tornare all’ostello, e le nuvole che venti minuti prima erano un bello spettacolo, sono ora sopra la mia testa. Il temporale è di un intensità che non credo di aver mai visto prima, ed al contrario dei nostri che rinfrescano l’aria estiva, qui non fanno che intensificare l’umidità, ora a livelli da capogiro.
Per la serata ho in programma di andare al vicino casinò a vedere che aria tira ed a buttare qualche dollaro faticosamente guadagnatomi in quel di Sydney… La Sveglia del lunedì mattina è davvero dura, alle 5.30 il mio cellulare comincia a trillare, è tempo di prepararsi, il Kakadu national park mi attende.
Per un estensione di circa 20’000km quadrati il Kakadu è il più grande parco nazionale australiano, uno dei più grandi al mondo. Dislocato a circa 250km dal centro città meriterebbe una visita ben più approfondita, con un campeggio sul posto, ed almeno tre giorni per essere osservato con cura, ma devo fare di necessità virtù, e gestire al meglio il mio poco tempo disponibile. Il parco è gestito interamente dagli aborigeni che ne conservano con capacità le spettacolari risorse naturali, e proteggono la privacy delle tribù aborigene che vi abitano.
La visita comincia con una sosta presso un grande billabong australe (i billabong sono quei piccoli laghi che si formano come conseguenza del ritiro delle acque nella stagione secca, divenendo sorgenti di vita per ogni specie di animale). Da un punto di osservazione ben dislocato è possibile vedere una moltitudine di volatili e rettili d’ogni specie, nonchè la breve apparizione di un Dingo.
Procediamo per una visita al “Warradjan Aborigenal cultural centre”, un piccolo museo davvero ben fatto, dove è possibile conoscere numerosi aspetti della vita degli aborigeni. Metodi di caccia, armi, piante medicinali utilizzate, strutture societarie, e molto altro, il tutto ben rappresentato da numerosi artefatti ed oggetti originali. Non è possibile fare foto all’interno del museo, la guida ci dice che gli aborigeni hanno concesso una piccola apertura circa la conoscenza della loro vita, perché questo gli consente di continuare a gestire il loro unico patrimonio, la terra, ma vogliono mantenere la loro privacy all’esterno del parco.
Il caldo è afoso ed asfissiante, e le mosche si accumulano a centinaia cercando appoggio in ogni parte del corpo. Schiaffeggiarsi ogni 5 secondi non è certo rilassante, e probabilmente avrei fatto bene ad acquistare una retina per il viso il giorno prima, inesperienze che si pagano caro.
La guida è un ragazzo di 30 anni, si chiama Ken, e le sue origini sono tutt’altro che inglesi, avrò modo di scoprire in seguito che la sua carnagione mulatta è dovuta alla madre pakistana. E’ davvero appassionato al suo lavoro, e nonostante ogni giorno ripeta le stesse identiche cose, è davvero parco di informazioni, aneddoti, storie e conoscenza in genere di animali e flora.
Tra i miei travelmates conosco anche Anna, tedesca, in viaggio da sola, e con il sogno di rimanere a vivere in Australia. Ha lavorato per lungo tempo nel settore della raccolta frutti, mango e meloni, e si gode un paio di settimane di relax prima di tornar alla ricerca di qualcos’altro da fare.
La pausa pranzo è importante per respirare una fresca aria condizionata che libera lo spirito dai 40 gradi uniti al 80% circa di umidità. La tappa successiva è presso lo Yellow river. Sono un paio d’ore davvero intense ed interessanti, passate a bordo di una piccola imbarcazione da 15 posti alla scoperta della flora e fauna del fiume ancora di dimensioni ridotte. Coccodrilli d’acqua dolce, che ci si dice siano piuttosto mansueti, appaiono piuttosto spesso, e disturbati dalla nostra presenza immergono con fare scocciato l’enorme muso nelle profondità del fiume. Enorme è il numero di uccelli di grandi e piccole dimensioni, di pesci, e di piante che in fase di fioritura mostrano colori entusiasmanti. E’ il bello della stagione umida, nella quale certamente si soffre di più caldo ed afa, ma si assiste anche al risveglio della natura, che qui è quanto di più rigoglioso si possa desiderare.
La visita si conclude con la quarta ed ultima tappa presso il Nourlangie rock, un promontorio dove disegni stilizzati degli aborigeni, vecchi anche centinaia di anni, mostrano la vervè creativa di questo popolo, che ama disegnare le principali fasi e situazioni della propria esistenza, come balli, cerimonie, divinità venerate (in particolare una che pare abbia il vizio di possedere le donne e poi strangolarle), ed ovviamente animali.
Finalmente la sensazione di assistere alla vera storia e anima dell’Australia, in mostra su queste rocce rossastre arroventate dal sole. E’ lo spirito di questo popolo millenario che attrae profondamente, riuscendo cosi a sopravvivere dinnanzi una società che va avanti schiacciando tutto ciò che appare superfluo. Il rientro è lungo, sono quasi le nove quando sono nuovamente in camera. La scarsa voglia di cucinare mi porta ad un vicino ristorante dove pare facciano un ottimo Barramundi grigliato. Il Barramundi è assieme al coccodrillo una delle vere specialità di questa regione australiana; si tratta di un grosso pesce che abita le acque dolci, ma anche gli estuari dei fiumi, e che in particolare cotto sul barbecue regala un esperienza gustativa unica. In effetti è cosi, il piatto è squisito, e lo divoro in pochi minuti, il sapore che ricorda quello di una trota salmonata non è certo paragonabile ad una bella spigola od un orata, ma rimane un esperienza culinaria da non farsi scappare.
E’ Martedi, sono particolarmente nostalgico stamattina nonostante mi attenda un altra bella avventura nel secondo più importante parco nazionale dei Northen Territory. Domani dovrò lasciare questa incantevole regione e questa fantastica città, mi attende la costa West e la sua soleggiata capitale, Perth. Forse prenotare anticipatamente tutti i voli è stato in qualche modo positivo, perché probabilmente se avessi fatto diversamente il mio soggiorno qui si sarebbe certamente prolungato, a vantaggio dell’anima, ma a svantaggio di una conoscenza più completa dell’Australia.
La partenza non è particolarmente mattutina come ieri, il Litchfield national park dista soltanto 85 km da Darwin ed è raggiungibile in circa un ora. E’ un luogo certamente più adatto al relax grazie alle sue innumerevoli piscine naturali, create dalle decine di rivi che diverranno a breve fiumi in piena allagando l’intera valle. Visitarlo nella stagione secca è certamente un vantaggio, in quanto ogni sito è accessibile e quasi ogni specchio d’acqua permette di concedersi una nuotata. Pensare che da qui ad un mese coccodrilli d’acqua dolce e di estuario, risalendo i fiumi ingrossati renderanno questi posti incantevoli, delle trappole infernali.
La visita inizia con una prima sosta allo spettacoloso miracolo architettonico dei termitai. Disposti secondo l’asse Nord-Sud per sfruttare al meglio il sole e mantenere costante la temperatura interna, centinaia e centinaia di termitai d’ogni tipo e dimensione, sorgono su una vallata. In particolare ce ne sono di alti anche da 6 agli 8 metri, che pare abbiano fino a 50 anni di vita.
Come seconda tappa passiamo rapidamente al Visitor Centre, dove è adibito un museo che illustra la vita nel parco, soffermandosi in particolare su quel fenomeno noto come “firebushes” che si verifica costantemente nel periodo secco, e che riesce a mantenere fertile la terra, ed ha visto adattarsi la flora e la fauna del posto. Pare che tali incendi possano durare anche per diversi giorni, ed estendersi per diversi kilometri quadrati, rendendo cosi il cielo rosso intenso, in particolare durante il tramonto, che diviene cosi un esperienza unica.
E’ il momento di iniziare l’esplorazione della vera attrazione del parco, le cascate. Iniziamo con le Tolmer Falls, nelle quali non è possibile fare il bagno, perché dislocate in una locazione davvero impervia. Osservando una foto del periodo di piena del fiume, la differenza dall’attuale momento di pre-stagione delle piogge è incredibile. Quello che diverrà un impetuoso corso d’acqua impazzito, che scardina gli argini e riempie il fondo della scoscesa montagna, è ora ancora un filo d’acqua che scende lento nelle profondità della roccia. Passiamo poi alle Wangi Falls, e qui il laghetto che si viene a formare è una vera gioia per anima e corpo. Ci si rinfresca nonostante l’acqua sia tiepida. Diverse locazioni sono adatte a fare qualche bel tuffo, e nel mentre della nuotata si possono notare piccoli serpentelli verdi che tagliano lo specchio d’acqua.
Passiamo ancora per le Florence Falls, anch’esse inerpicate tra la montagna, nelle quali è possibile fare il bagno al costo di una faticosa scarpinata in profondità. Chiudiamo con il Buley Rockhole, un rivo che forma innumerevoli piccole piscine naturali nelle quali rinfrescarsi a dovere.
Si conclude qui questa splendida giornata, e con essa volge al termine il mio tempo nel Top End. Lascio un pezzo di cuore qui, tra il rumore dell’acqua che cade veloce dalle pareti rocciose, e l’incredibile pace tra le strade di Darwin city.
“Walking is good.
You follow track… You sleep, Wake in morning to birds, Maybe kookaburra.
You feel country.” Bill Neidjie – Bunitj clan, Aborigenal traditional owner Eccola la vera Australia finalmente, ecco ricredermi su tanta banalità finora incontrata, eccomi lontano da quel agglomerato di somiglianza che è la metropoli.
Posso tirare un sospiro di sollievo, l’Australia vive ancora di una carica completamente locale che non ha copie nel mondo, l’Australia vive nel Norh Territory.
Darwin, il Top end, la natura incontaminata, un regione coperta per l’85% da parchi nazionali dove gli aborigeni gestiscono un territorio loro da sempre. E’ qui che si possono incontrare le mescolanze di razza, è qui che si possono vedere i veri australiani, è qui che la cordialità si mescola alla rilassatezza che solo il piccolo grande centro può permettersi.
Non è per il mare che si ama Darwin, non è per la mite temperatura che si sogna Darwin, non è per il lusso e la tecnologia che ci si appassiona a Darwin.
Darwin è un suono, è un soffio, è un lungo viale circondato da altissime palme da cocco, è popolazione che sorride al nuovo cittadino, è vita che scorre lenta sotto il battente sole tropicale.
E’ qui che a soli 3 minuti dal centro città, l’uomo cede il passo alla natura, vera risorsa australiana, polmone del mondo ed esempio di vita incontrastata. Nei tenebrosi temporali, nei luminescenti fulmini che cadono sul mare, nella carnagione bruciata dal sole dei suoi abitanti, nei suoni delle art gallery aborigene, nel canto di uccelli che sorvolano l’azzurro del cielo australiano, negli occhi scintillanti di un coccodrillo di fiume, nelle ali bianche di un airone.
Darwin si puo amare o odiare, io non smetterà più di sognarla e per ogni istante vissuto qui che porterò con me per la vita, saprò essere sereno sapendo che ora ha un senso il “Welcome in Australia”.
“If you respect the land, then you will feel the land.
Your experience will be one that you Cannot get where else in the world.” Brian Baruwei – Wurrkbarbar clan Aborigenal traditional owner
(Western Australia- Perth, da Merc 6 a Lun 11 Dic.) Eccomi giunto nel Western Australia, dove tutto scorre più lento, dove il relax è ragione di vita, dove i ritmi frenetici della costa Est non sono riusciti ad arrivare. Perth vanta il primato di essere la più grande metropoli al mondo dislocata a cosi tanta distanza da qualunque altra sua simile. Bisogna percorrere più di 2500km per giungere a Darwin, Alice Spring o Adelaide, nel mezzo solo foreste, deserti e qualche piccolo avamposto rurale, miracoli australiani.
Fondata nel 1829 vanta oggi circa un milione e mezzo di abitanti. Sorge sulle coste del lento Swan river, ma a due passi dal mare.
La prima giornata la trascorro vagabondando per le vie della città in compagnia della mia travelmate Kelly, una ragazza canadese che ho conosciuto a Darwin, e che casualmente aveva il mio stesso volo. Ci divide la permanenza in Australia, lei è qui da Aprile e conta di rimanere almeno sino alla prossima estate, lavora saltuariamente, ed a Perth cercherà un occupazione, probabilmente nel settore primario che nel Western Australia vuol dire azienda vinicola.
Iniziamo con un giro nella zona commerciale in prossimità della scintillante stazione ferroviaria. Attraversiamo le due principali vie pedonali Murray st. Mall e Hay st. Mall, che sono adornate a festa per l’ormai imminente Natale. Nonostante la temperatura sia assolutamente più mite della precedente Darwin, il caldo non rende grande onore al bellissimo abete alto 10 metri esposto in una piazza centrale. Continuiamo affiancando il Perth Hospital e la Mary’s Cathedral, in particolare il primo edificio è ricavato in un antica struttura dell’800 ed appare tutt’altro che un luogo di sofferenza, ha vederlo infatti mostra l’anima rilassata di una città incarnata nell’enorme salice che vi cresce proprio davanti ombreggiandone la facciata.
Eccoci attraversare i giardini del Governament house e del tribunale dove, durante una pausa sulle panchine dell’atrio, conosco un cameraman di “channel-9”, una della principali emittenti pubbliche australiane. Sta aspettando la conclusione di un importante processo ai danni di un pluriomicida, la violenza è ovunque del resto.
Sbuchiamo in un altro soleggiatissimo parco che lascia poi spazio allo scorrere del fiume. C’è tempo per una visita alla torre di vetro che conserva un museo di antiche campane, ma che viene sfruttato da tutti i turisti per bellissime foto panoramiche. La parte conclusiva del tragitto è piuttosto faticosa. La strada si inerpica sul promontorio che si erge su Perth. Strade in salita e una scalinata di oltre 300 gradini dove parecchia gente fa jogging. Giungiamo in cima finalmente; siamo nel King’s park, da qui la vista della città è davvero impareggiabile, e l’ombra degli eucalipti permette una sosta rilassante. Su questi promontori nel corso della seconda guerra mondiale, era dislocato l’avamposto della principale contraerei australiano-americana, ed una serie di cannoni d’epoca troneggiano al centro dello splendido parco. Qui vi sorge anche uno dei quartieri residenziali più “in” della città. Inutile chiedersi i prezzi di queste bellissime case con vetrata sul meraviglioso panorama, superiamo i sei zeri. Sulla strada del ritorno decidiamo di fermarci in un cinema locale, The Saw 3, non capisco molto, del resto la tv è ancora un utopia per il mio inglese, ma in un movie del genere c’è più da vedere che da sentire.
Venerdi. Decido di allungarmi alla vicina località di Fremantle che da letture varie pare sia un vero fiore all’occhiello di Perth. Potrebbe definirsi come la Manly di Sydney, ma soltanto al termine della mia visita capirò che è molto ma molto di più.
Il paese è un agglomerato di strutture storico-coloniali, è la prima volta in Australia che sulla punta delle dita si contano gli edifici moderni e non quelli con un solido passato alle spalle. Fremantle mi appassiona immediatamente, ed armatomi di cartina comincio un tour all’interno delle sue splendide vie.
Giunto a King’s square (in Australia i nomi di piazze e vie è lo stesso in ogni località, grande fantasia…) entro nella “St John’s Anglican church”, la pace e le coloratissime vetrate rendono l’ambiente davvero sublime. Mi incammino per Elen st. Facendo visita al famigerato “Fremantle market”, dislocato in un edificio storico, dove è possibile acquistare un po di tutto, dalla frutta ad oggetti di artigianato locale, ma anche sedersi in piccoli baretti d’angolo od approfittare di un massaggio thailandese. Mille colori ed odori inebriano l’aria e rendono questo posto una vera gioia per i turisti e non.
Continuando per la mia strada trovo accesso al “Fremantle oval”, lo stadio dove trova casa la squadra di football locale: i Fremantle bulldog. C’è tempo per qualche foto e per una piccola sosta all’ombra delle tribune.
Successivamente giungo in uno degli edifici più famosi del posto: la “Old Fremantle prison” un carcere costruito nel 1882 e rimasto tale sino al 1991. E’ visitabile con tour organizzati compresi nel prezzo del biglietto, e mantiene un atmosfera che è più da piccolo castello medievale che non da prigione. Mi affascina pensare alla possibilità del tour notturno a lume di candela, ed a quella per la visita alle gallerie sotterranee, purtroppo non ho tempo e devo salutare lo splendido posto. La mia visita procede con una fermata al Museo delle arti, ingresso gratuito e ampia sezione momentaneamente dedicata alla follia e creatività. In effetti il posto è un museo nel museo, dato che i dipinti e le opere in genere sono accolte all’interno di un edificio davvero affascinante, anch’esso d’epoca coloniale, che presenta all’interno numerosi piccoli giardini davvero incantevoli.
E’ tempo di riprendere la via della stazione centrale, ma non prima di essere passati per la “Sanson House” e per la “Fremantle town hall”, altri due dei tanti edifici che rendono bene l’idea di come doveva essere la città all’epoca. Non ne ho ancora abbastanza di questa cittadina piena di storia e di fascino e decido di visitare anche lo “Shipwreck Museum”, con ingresso su offerta e visite guidate gratuite, nella quale sono raccolte storie di navi e di pirati, di vascelli e di esplorazioni, in particolare una sezione temporanea è dedicata a 100 anni di scoperte olandesi dell’Australia. Sezione di grande fascino è anche quella che racconta la triste storia dell’ammutinamento della nave “Batavia”, con una esposizione di parte dello scafo, nonché di altri interessanti artefatti.
Chiudo con la “Round House”, il più antico edificio del Western Australia, in pratica una grossa torre che fu adibita al multiplo scopo di scrutare il mare, prigione e come luogo dove praticare le impiccagioni pubbliche.
E’ davvero tempo di rientrare ora, certamente Fremantle sarà una destinazione che non mancherò di consigliare a nessun intraprendente viaggiatore del Western Australia. Fremantle è davvero affascinante, forse la locazione più bella, storicamente parlando, di tutte quelle che ho visto sino ad ora. Qui si respira davvero l’aria della città coloniale dell’800, qui tutto è un museo a cielo aperto, e gli edifici moderni vanno cercati con il lanternino. Quella bella e intraprendente tendenza australiana a rendere gli edifici con reale valore storico dei musei, e gli altri adibirli a perfetta conservazione, ma anche ad utile business, rende unica questa città dove la clinica, il centro di meditazione buddista, il mercato od il medico trovano sede in strutture vecchie di duecento anni. E’ impensabile non affascinarsi a queste strutture dai colori pastello, con le loro balconate rosse, verdi, gialle o blu, che regalano al posto una fascino davvero senza pari.
Ancora una volta ho la conferma che la costa Est, in particolare la sua Sydney, sia tutt’altro che Australia, che la storia e la cultura di questa terra risieda altrove, e che fermarsi soltanto li è un limite che non può essere perdonato a nessun viaggiatore che tale si possa dire. Sabato. E’ tempo di allontanarsi maggiormente dalla città. Faccio rotta verso Sud, ed in circa un ora e mezzo, con una serie di mezzi pubblici raggiungo la località marina di Rockingham. Sul Lonely planet è consigliata come meta famigerata per il suo gelato, per la sua spiaggia protetta e per le crociere giornaliere in nome del “dolfins watching” e di “Pinguin island”. Purtroppo per quest’ultime, che sarebbero state la parte più eccitante della lunga traversata, sono in ritardo, non c’è possibilità di trovare nulla e decido quindi di far rotta sull’incantevole spiaggia che cintura la costa la Rockingham. La sabbia è bianca, non c’è confusione, e mi godo un paio d’ore di splendido sole della West Cost. In fase di rientro decido di fare sosta nella tanto declamata gelateria del lungo mare, il gelato in effetti è buono, ma si potrebbe fare di meglio, forse tentare con una delle decine di specialità di pasticceria casereccia sarebbe stata un idea più fortunata.
Domenica e Lunedi. Ultime 48 ore in questa incantevole città. Dedicherò le giornate al mare ed al relax dopo tanto camminare. Domenica Mi sveglio tardi, faccio colazione e verso mezzogiorno sono pronto per prendere nuovamente il treno, destinazione Cottesloe.
Cottesloe, un piccolo sobborgo ad Ovest della city è un vero gioiello della costa bagnata dall’oceano Indiano. La spiaggia è incantevole ed adatta al relax, dato che grazie ad una cintura artificiale di scogli ed alla posizione obliqua rispetto ai venti che spirano dall’oceano, non subisce quel fenomeno di forti folate tipiche di tutte le coste australiane. La spiaggia si divide tra una zona adibita al turismo ed un’altra a parco marino protetto, nel quale è possibile praticare snorkeling, ma null’altro, in nome della fauna e flora da salvaguardare.
Lunedì invece decido di fare sosta nella seconda beach più popolare di Perth, Scarborough. La località è dislocata leggermente più a Nord di Cottesloe e pare sia un paradiso per gli sport acquatici. Mi renderò presto conto, a mie spese, che effettivamente il feroce vento che si alza intorno alle 2 del pomeriggio, rende perfette attività come windsurf, surf o Kaiack, ma risulta assolutamente improponibile per una rilassante seduta sulla sabbia. In circa una mezz’ora il vento spazza la costa e mi costringe a riparare la testa dentro la maglia in stile berbero. Non è stata un idea propriamente fortunata.
La sera in ostello faccio la conoscenza di un gruppo di italiani, chi lavora, chi è alla ricerca di una occupazione, chi semplicemente si gode una lunga vacanza in nome degli sport acquatici che sfruttino la forza del vento. Lego in particolare con un ragazzo siciliano di 25 anni, di nome Tiziano che dopo aver abbassato le saracinesche del suo ristorante sul Mar Baltico, per la consueta chiusura invernale, è pronto a soggiornare qui in Australia fino al prossimo Marzo, all’insegna di qualche lavoretto, tanto sport d’acqua e molto molto divertimento. Era tempo che non conversavo cosi a lungo nel mio idioma, potendo esprimermi a pieno e senza dover prima pensare alla forma corretta, assaporo il momento che finirà presto, misteri delle lingue straniere.
Martedì. E’ finita anche la seconda parentesi australiana, dedicata a questa splendida costa. Alle cinque del pomeriggio la Virgin Blue mi porterà nella seconda più grande metropoli australiana, la Melburne del buon cibo e dello stile di vita occidentale mi aspetta. Avrei voluto vedere e fare molto di più da queste parti, ed ancora una volta mi rendo conto come una macchina renderebbe il soggiorno più ricco di emozioni. La linea costiera che scende verso Sud regala paesaggi davvero incantevoli e baie tutte da scoprire. Il West Australia è una metà che non sarà facile dimenticare, mi ha stregato con il colore chiaro del suo mare che varia i suoi colori allontanandosi dalla costa, e con il carattere della sua anima prettamente locale e di rara fattura al mondo. Lontana migliaia di chilometri dalla miracolo australiano chiamato Sydney, lontana dalla plurinominata Golden Cost, a due passi da Jacarta e Manila ma distante dal fulcro della politica australiana Camberra, Perth è una perla rara incastonata su questo continente.
Ha saputo procedere per la sua strada Perth, ha gestito il suo enorme patrimonio, il suo clima sempre mite, il suo entroterra ricco di vegetazione e di miracoli naturali e la sua costa che corre frastagliata verso Sud affacciandosi sull’immenso Oceano Indiano, che gli dona le bianchissime spiagge, una brezza leggera ed un patrimonio marino forse unico in Australia.
Seconda tappa dopo Sydney, e seconda conferma: ora sono in Australia, ora gli odori, i sapori, la gente ed i colori sono patrimonio unico di queste parti, senza simili al mondo, senza copie ben fatte, senza stupide corse all’oro del business capitalistico. Perth ha saputo crescere con pazienza, non ha avuto fretta come l’amica e rivale della costa opposta, ha generato una metropoli importante ma dove non si corre mai, dove i negozi chiudono presto, dove la gente ha tempo di parlare e di ascoltare, nonostante un grattacielo gli copra lo splendido sole. Ha riversato la pazienza e l’amore per le cose ben fatte nelle sue genti, e queste l’hanno ripagata con il lavoro delle braccia che gestiscono le immense vigne, ma anche delle menti, che dai palazzi a vetri del centro città mantengono Perth un importante riferimento australiano. E’ sorseggiando uno dei tantissimi vini prodotti da queste parti, e vero patrimonio del Western Australia, che si assaporano le sensazioni che Perth sa lasciare. Non incontrerete nessuno che vi dirà di preferire Sydney, non vi capiterà di conoscere nessuno che rimpiangerà di essersi trasferito qui, non conoscerete nessuno che vi consiglierà di vivere altrove.
Perth è come uno dei suo più celebri vini bianchi, lo “Chardonnay Margaret river”, frizzante e fresco, ma cresciuto in botti di rovere per anni ed anni, attendendo senza fretta di essere versato.
Non fatevi mancare una sosta od un intera permanenza da queste parti, il Western Australia è ricco di sensazioni pronte ad essere donate a chi le vuol ricevere, il Western Australia è un’altra importante arteria del cuore australiano, e vi ammalierà con il suo stile inconfondibile.
(Victoria- Melbourne, da Mart 12 a Lun 18 Dic.) Sbarco al “Melbourne Airport” quando la mezzanotte è gia passata da un pezzo e il fuso orario impone le due ore in più del Western Australia, Il viaggio non è rilassante come al solito, a causa della turbolenza e del cambio di compagnia (per la prima volta prendo la Virgin e non la Qantas, e non la consiglio). Melbourne mi ricorda che l’Australia non è sempre e comunque calda, il termometro infatti segna i 12 gradi rendendomi assolutamente inadeguato con le mie infradito e maglia smanicata.
Mi cambio, ritiro i soldi al bancomat, salto sul primo bus shuttle e in 20 minuti scendo alla stazione centrale. Il tempo di cercare e trovare il mio ostello ed approntare le solite pratiche da check-in e si è fatta l’una e mezza passata. Crollo in attesa del primo giorno nella capitale del Victoria.
Da Melbourne mi aspettavo una città tecnologica sullo stile della compagna e rivale Sydney, ma dovrò presto ricredermi. Parto dal “Bourke street”, il quartiere cinese che si caratterizza per i forti odori ed i tanti colori tipici. Decine e decine di ristoranti sfilano su questa stretta via centrale. Arrivo ai “Parliament gardens”, una visita alla enorme “St. Peter’s church” in stile gotico, che ben ricorda la Notre Dam di Parigi. Spunto su “Collins street”, via di vitale importanza per il commercio ed il business. Mille piccole vie si inerpicano tra e sotto gli alti palazzi. Il “Collins place”, il “Grand Hyatt”, la “city square”. Centri commerciali su centri commerciali, piani e piani di business d’ogni livello. Gucci, Prada, Luis Vitton, Armani, Versace, è il trionfo del brand made in Europe. La tecnologia e la modernità di questi posti si alterna con enorme armonia ad edifici storici, chiese in stile tardo-vittoriano che invitano i visitatori ad entrare. Faccio visita ad ognuna di esse, ed ogni volta rimango ammaliato dalle enormi arcate, le finestre colorate, e la calma che regna sovrana. Ho tempo di chiacchierare con un parroco della “St. Paul’s Cathedral”, mi racconta di gruppi di riunione per non so bene quale scopo, forse tenta una mia miracolosa conversione, un impresa impossibile.
La parte finale del tragitto di circa 3km è assolutamente la più affascinante. Prima mi inoltro per una serie di strettissime viottoli, chiuse al traffico, dove una miriade di piccoli caffè in stile europeo emanano un fascino simile alla Roma trasteverina, ed è un romano che parla. La gente siede, beve il suo cappuccino o mangia piatti giapponesi, il mix è perfetto e la vista ne guadagna. Arrivo sulle rive dello Yarra river, che scorre lentissimo tra la città. Il fremito ed i mille rumori di poco prima svaniscono lasciando posto ad artisti di strada e ad una temporanea mostra di foto che ritraggono diversi luoghi della terra, importanti come risorsa naturale o culturale. Dell’Italia appaiono la vista volante delle colline toscane e degli splendidi canali di Venezia. Mi chiedo chi sia l’organizzatore di tale rassegna fotografica che dedica 8 o 9 immagini soltanto alla Francia, non amo particolarmente i cugini doltr’Alpi è vero, ma mi sembra obiettivamente un esagerazione destinare cosi tanto interessa ad un sola nazione, qualunque essa sia. E’ inutile fare polemica, lascio la mostra alle mie spalle e continuo a passeggiare lungo il fiume. Giungo nella zona dedita allo sport, vera passione di Melbourne assieme alla sua fantastica cucina. Quattro stadi coprono un area di svariati km quadrati, in particolare svetta il “Melbourne cricket ground” tempio di passione per ogni abitante della city che si rispetti, e tra gli stadi più grandi al mondo con la sua capienza di quasi 90’000 spettatori.
C’è anche il “Vodafone Arena” adibito agli ormai imminenti “Australian open” di tennis, ma per stasera disponibile per il mega concerto di Kylie Minogue. Sono le 18, rientro stanchissimo in ostello, trovo una connessione wireless nella living room e trascorro parte della serata con msn e surfando sul web, finché vengo coinvolto da un gruppo di ragazzi e ragazze dediti al blackjack. Alle tre di notte sono sotto di 3 dollari, e abbandono il tavolo verde. La seconda giornata nella capitale del Victoria la dedico ad una lunga passeggiata attraverso i quartieri nel Nord della city. Fitzroy e Carlton, il primo caratterizzato da mille locali ed una frenetica vita notturna, il secondo ospita Lygon street, una lunga arteria nella quale la comunità italiana più grande d’Australia ha trovato rifugio, e dove ogni giorno vive, lavora e rende unica quest’area. Mi si dice che in occasione del 9 Luglio, che per i pochi che non lo sapessero, è la data del nostro quarto trionfo calcistico sul mondo intero, questa via era ricoperta completamente di bandiere tricolori e del bellissimo colore azzurro cielo della nostra maglia. Un maxi schermo troneggiava nella piazza principale e qualche centinaia di migliaia di italiani soffrivano proprio come noi, per poi esplodere in una notte di bagordi ed una gioia infinita. Di quella festa rimangono ancora tante bandiere attaccate un po’ ovunque, e qualche poster dei nostri eroi. I ristoranti e locali italiani si susseguono senza tregua, e la via pullula di persone alla ricerca del miglior cucina al mondo.
Abbiamo saputo integrarci bene nella società australiana ma senza perdere i nostri tratti caratteristici, buoni e cattivi. Il tutto ben si manifesta in questa strada dove una tendenza al trasandato, che è bel lungi dall’essere australiana, si mescola ad un insieme di colori, musiche e profumi che mi trascinano a casa, semplicemente chiudendo gli occhi. Siamo italiani e volenti o nolenti, ovunque nel mondo saremo sempre in bella mostra, per la gioia di molti ed il fastidio di tanti. Sulla strada del ritorno faccio sosta in quello che pare essere uno dei più grandi mercati australiani. Il “Queens Victoria Market” si rivela in effetti un enorme agglomerato di banchi che vedono assolutamente tutto. Dalla carne alle felpe taroccate, dai giocattoli ed i fuochi d’artificio al pesce e la bigiotteria, è possibile trovare praticamente ogni oggetto ed utensile, il tutto a prezzi particolarmente convenienti. Chi ha visitato la famosa Portaportese capitolina, troverà più di un elemento in comune.
Venerdì. Per la giornata ho in serbo un paio di giri, il primo mi porta in un sobborgo a Sud di Melbourne. San Kilda è il più popolare ritrovo di mare della comunità locale, cresciuto inizialmente come luogo per pochi privilegiati, sviluppatosi per la massa, e tornato oggi ad essere costoso oltre ogni controllo. Il mix di periodi differenti caratterizzano lo skyline, che non è certamente dei più belli. La vista infatti, è piuttosto deprimente a causa di grossi casermoni industriali e di una generale costruzione edilizia sviluppatasi male, ed il mare non splende certo per la pulizia. L’attrazione centrale sembra essere un parco giochi, troppo piccolo per entusiasmarmi. Insomma, se ci si trova da queste parti e non si dispone di molto tempo, evitare questo posto non provocherà ne rimorsi, ne rimpianti.
La seconda tappa della giornata è al più antico zoo dell’Australia, uno dei più antichi al mondo. Il posto è effettivamente ben fatto, con ambienti naturali ricreati con attenzione e spazio in genere sufficiente per i “residenti”. L’attrazione centrale è l’area dedicata agli animali locali, spazi a cielo aperto nei quali camminare senza paura ha contatto con canguri, koala, emù ed altri animali del bush, ovviamente non quelli pericolosi ed aggressivi.
Non riesco però ad entusiasmarmi particolarmente. Nonostante l’uomo conosca bene la tristezza dei luoghi di reclusione d’ogni genere e fattura, e finché non considererà questi animali come esseri viventi, bisognosi del loro spazio e di esprimere la loro anima selvaggia, avremo sempre questi Lager dove bambini sorridenti sbatteranno le mani contro i vetri e le gabbie, senza rendersi conto che i loro abitanti darebbero la vita per non trovarsi li. Che si contribuisca invece ha proteggere sempre più aree al mondo, creando nuovi parchi nazionali o ampliando quelli già esistenti, luoghi dove studiare la vita selvaggia, dove apprendere sempre meglio il grande miracolo della natura, dove si possa rimanere delusi di non vedere proprio nulla, perché non esistono reti e recinti, dove esseri viventi con i nostri stessi diritti possano dare sfogo al loro istinto, senza essere imboccati ogni mattina, e senza subire le urla di turisti armati di flash, e del tintinnare di recinti sollecitati delle manine dei loro figli. Che siano aboliti tutti questi campi di concentramento dove la principale sensazione ricevuta è la tristezza che traspare dagli occhi di poveri reclusi rassegnati ad un esistenza cosi misera.
Voglio essere comunque onesto, se capitate da queste parti, questo zoo merita certamente una visita, quanto meno sosterrete la causa del mantenimento di tante bocche da sfamare. E se non vi è di troppo peso, regalate gli spicci che avete in tasca alla raccolta fondi per la salvaguardia e lo studio di queste creature, che hanno la sola colpa di non camminare su due zampe e di credere di possedere una cervello “superiore”.
Oggi è anche Venerdì sera, a due passi dal mio ostello, non so se per mia fortuna o iella (come diremmo a Roma), c’è il più grande Casinò dell’emisfero meridionale, il terzo al mondo, l’attrazione è forte e decido di trascorrere li la mia serata. Parto in tardo orario a causa di una lunga chiacchierata con un francese di nome Louis, con il quale condivido la passione per la cucina ed una grande costernazione dinnanzi alle abitudini culinarie dei popoli anglosassoni. E’ ormai mezzanotte quando metto piede nel “Crown Royal Casino”, illuminato all’esterno da enormi fiaccole che spruzzano getti di fuoco nell’aria, regalando un suggestivo spettacolo. L’interno dell’impianto è davvero enorme, nulla a che vedere con quello che ho visitato a Darwin. Due piani, sale per i soli membri, tavoli per tutti i gusti e tutte le tasche, roulette, dadi, poker caraibico, poker a tre carte, poker americano, blackjack, baccarà, ed altri giochi di cui non ricordo il nome e tantomeno le regole. Passo la prima ora ad osservare come il vizio possa annientare la volontà umana. I clienti, spendono, bevono e perdono, perdono, perdono. Ai tavoli da puntate minimo di 100 dollari osservo le scene più emblematiche. C’è chi barcolla e cambia le fiches azzurre da 1000 dollari, per liquidarle nel giro di pochi minuti. Centinaia di asiatici gridano, sbraitano e festeggiano intorno ai tavoli verdi. Le roulette, soprattutto quelle elettroniche sono a pieno regime, cosi come le slot machines che tintinnano in continuazione. Colori a centinaia, rumori oltre ogni concezione, spettacoli da non farsi mancare per nulla al mondo. E’ quasi l’una quando finisco di girare e di guardare, è giunto il momento di tentare la mia sorte. Quattro anni passati a lavorare a contatto con folli giocatori di centri scommesse, mi hanno regalato una infinita sfilza di aneddoti, storie e sistemi pare infallibili. Ero rimasto colpito da uno in particolare da mettere in atto alla roulette, cambio 100 dollari e sono pronto.
Il sistema in effetti funziona anche se particolarmente lento con le mie poche finanze e con puntate fisse da 5 dollari l’una. Verso le 2 e mezzo sono sopra soltanto di una ventina di dollari. Cambio tecnica e sistema, puntate su un solo numero da 5 dollari. Al quinto tentativo avviene il miracolo, il tanto atteso “2” mi illumina in pieno come se fossi sotto ad un riflettore, mi piovono addosso fiches per circa 200 dollari, è la mia serata. Con un gruzzolo di tale portata dovrei fuggire, ed invece come solito ad ogni stupido giocatore, decido che i soldi guadagnati facile, vanno spesi facilmente. Mi rimetto in tasca i 100 di partenza, non ho perso nulla in fondo. Comincio a trottare tra i diversi tavoli, provo il blackjack a 10 dollari di minimo, il poker americano con le stesse puntate di base. Bevo qualche drink servito ai tavoli, e mi diverto oltre ogni immaginazione. Quando sono quasi le 4 ho liquidato tutto, fantastico!!! Forse non era proprio la mia serata come credevo, ma a conti fatti ho bevuto gratis senza perdere nulla, e ho passato qualche davvero a pieni giri. Resisterò alla tentazione di tornarci all’indomani? Sabato scorre veloce ed in pieno relax, la sera rimango in ostello ha chiacchierare sino a tardi con un gruppo di ragazzi provenienti un po’ da tutto il mondo. Per l’indomani prevedo un frenetico shopping finale.
E’ proprio all’insegna della ricerca ed acquisto dei regali di Natale che passa gran parte della Domenica. Girare per il Queens Victoria Market, oggi particolarmente “busy”, è divertente. Ci si perde tra le bancarelle ed i colori locali, ed al termine di qualche ora posso ritenermi soddisfatto, la gran parte del “lavoro” è ultimata senza spese folli, ed a Sydney completerò l’opera definitivamente. Seconda città per estensione, popolazione ed importanza locale ed all’estero. Melbourne, tempio del fashion, dello sport, dell’alta cucina, e dello spirito made in Europe.
I paragoni con Sydney in questo caso sono quasi un obbligo, non tanto per la semplice distanza, soltanto 900km (qui non sono assolutamente nulla), ma soprattutto perché le due città si contendono il prestigio l’una sull’altra che, come ad esempio per la Roma-Milano italiana, non credo avrà mai fine. Quella che si respira a Melbourne è un aria prettamente europea, i caffè dislocati su piccoli vie lastricate e caratteristiche, rimandano immediatamente il pensiero alla Roma trasteverina, o ai bistrot parigini. La vita notturna si delinea sulla falsa riga del divertimento all’occidentale, con musica dal vivo, pub irlandesi, e locali di grandi capienza. Se Sydney sfoggia un anima prettamente americana, che si riscontra nel cibo, nella moda, negli usi e costumi, e nel divertimento, Melbourne è l’altra faccia dell’influenza estera.
Nessun abitante di Melbourne gli preferirà Sydney, nessun abitante di Sydney gli preferirà Melbourne. Scegliere di vivere in una o nell’altra città rispecchia in assoluto il proprio modo di vivere la vita. Nella capitale del Victoria si rimane ammaliati dalla moda che precede i tempi, dagli stili stravaganti delle sue boutique, dall’animo colorato dei menu nei ristoranti, dalla sopraffazione del take-away in nome del pasto a portate complete, dal tempio del fashion italiano e francese che sfila in bella mostra, ricreando quell’ambiente caratteristico di via Condotti o di via Montenapoleone nella Milano bene. Qui ci si immerge nella passione per lo sport, vera icona della città, e sottolineato da ben 5 stadi tutti modernissimi e tutti ampiamente utilizzati. Non è un caso se nel calcio il Melbourne club vince campionati su campionati, non è un caso se la nazionale australiana di Cricket trova casa qui, sostenuta costantemente da settantamila tifosi, non è un caso se gli “Australian Open” che aprono il circuito tennistico del “Grande Slam” vengono disputati qui, e non è infine un caso se la “Melbourne cup”, la corsa di cavalli che ferma letteralmente il paese è ancora una volta residente in questa città. Melbourne è assolutamente ammaliante per il visitatore, e se non dispone di una spiaggia famosa e bella come Bondai, o non può vantare una perfezione cosi estrema in ogni suo angolo, risponde prontamente con un carattere che riesce a far scordare le pecche ed esaltarne il meglio.
Come tutte le grandi città ha ovviamente perso l’anima australiana, ed è per questo che se rimane una tappa da non farsi assolutamente mancare, è pursì vero che non mi ha colpito a pieno. E’ lo stesso discorso che affrontai per Sydney. Venire qui è ancora una volta ritrovare una serie di elementi che sono stati presi, copiati ed adattati dall’Europa. Essere maggiormente affascinati da Melbourne significa essere più attratti dallo stile europeo, in contrapposizione con l’americanismo che si respira nella capitale del New South Wales. Non mancano certo elementi di somiglianza, nelle due città si corre per rimanere al passo con i tempi, nelle due città si scalpita in nome del capitalismo e della crescita costante, nelle due città l’interesse maggiore è internazionalizzarsi, perché il provincialismo è soprattutto un limite.
Non ho modo di dire se Melbourne sia meglio o peggio di Sydney, dal canto mio la ritengo certamente più adatta al mio carattere, ma so che la preferenza dipende dalla persona, perché rispecchia l’anima e il modo di vedere la quotidianità.
(Australia, il punto) E’ giunto alla fine questo momento, dopo tre mesi di Australia è tempo di rientrare nel bel paese. Ho bisogno di una sosta per ricaricare le pile, un “pit-stop” per ricominciare alla grande con il nuovo anno.
E’ certo che dopo tanta esperienza, centinaia di nuove conoscenze e nuovi visi che affollano la mia memoria tracciare un punto dell’intero viaggio è tutt’altro che semplice.
Quando tre anni fa intrapresi, quasi per caso, certamente per gioco, la mia prima lunga esperienza nel Sud-Est Asiatico, in particolare nella strepitosa Thailandia, mai avrei creduto che il fuoco della passione per il viaggio sarebbe cresciuto in me a tal punto da desiderare di essere altrove in ogni istante. Sei alla fine di una esperienza e rimani incantato dinnanzi alla cartina del mondo, sognando la tua prossima meta, il tuo prossimo incontro, il tuo prossimo paesaggio. Viaggiare forse è proprio questa sensazione, lo è per me almeno. Pensarmi con uno zaino in spalla lontano da casa e dalle certezze di ogni giorno, ma immerso nel cuore di una cultura fatta di colori, odori e sensazioni sempre nuove, sempre affascinanti, sempre energiche ed elettrizzanti. L’Australia non è stata soltanto una scelta presa a tavolino, l’Australia è venuta dal cuore. Il sogno di vedere quei territori incontaminati ed infiniti dove l’orizzonte scompare alla vista e la natura regna ancora incontrastata. Il desiderio di rendere concretezza il tanto raccontare di amici e conoscenti: “vai in Australia è incredibile!”, “non crederai ai tuoi occhi, l’Australia è certamente il massimo”. Quante frasi come queste ho sentito, quanta gente con gli occhi increduli ed ammirati ho visto mentre raccontato il mio progetto. E poi è arrivato il giorno di provare sulla mia pelle, è arrivato il tempo di affrontare questo paese e cercare di capire se tanto amore fosse giustificato.
Trovare dei difetti a questa splendida nazione è davvero un compito arduo. Potrei soffermarmi ancora a discutere del popolo e della sua scarsa ambizione, potrei premere sul tasto della scarsa consapevolezza storico-politica, potrei difendere i diritti degli aborigeni spazzati via al principio ed oggi in fase di reintegrazione, ma ormai fuori dagli schemi capitalistici che il paese si è posto. Potrei inventarne di argomenti per attaccare questo luogo, ma sarebbe come cercare quel famoso ago nel pagliaio, ed apparirebbe ridicolo e superfluo. La verità è che l’Australia è bella, bella davvero. La realtà è che noi europei, ed in particolare noi italiani non possiamo che rimanere assolutamente sbalorditi dal vedere come reali banalità rendono la vita cosi semplice, cosi rilassata, cosi vita. Capire chi è fuggito qui riesce talmente semplice da apparire ovvio, invidiare chi vive questa vita è la prima sensazione che si prova già dopo i primi approcci, desiderare di trascorrere del tempo qui è la scelta più scontata che si possa fare.
Posso solo confermare tutto il bello che ho detto e scritto al mio primo punto della situazione, quando ero a Sydney da circa un mese. Da aggiungere non c’è poi molto, al massimo mi viene da sottolineare e risottolienare ancora.
Reputo l’Australia una nazione modello, da imitare e da seguire. Considero l’Australia un esempio di perfetta fusione del concreto e del bello, ammiro il suo governo e il popolo che l’ha eletto, ammiro la voglia di fare ma non di strafare, desidero la loro reale libertà, mi inchino a chi non ha replicato gli errori dell’occidente e dell’oriente, ed arrivo a capire e giustificare persino quel loro enorme gap mentale presente nel suo popolo, perché infondo la nostra storia, la nostra cultura, la nostra arte e la nostra bellissima terra, non ci darà mai da mangiare, rimarrà incantevole per il turista e tremenda per chi la soffre giorno dopo giorno.
Tra 10 ore ho il mio volo per l’Italia. Il pensiero è di rientrare nel paese di Berlusconi e di Prodi, delle marionette che ci governano, dei buffoni che reggono i fili dell’economia, degli ospedali che non funziono, delle scuole che si allagano, delle città soffocate dal loro traffico, delle bollette da pagare a fine mese, delle tasse che ci affliggono, della chiesa che influenza il nostro progresso, delle auto blu, dei privilegi dei potenti, di Costantino e di Maria De Filippi, di Costanzo e di Buona Domenica, del mandolino e della Mafia, del popolo che si piange addosso, del gossip becero e superfluo, degli scioperi e delle proteste, dei tarocchi e di Vanna Marchi ed ancora di tante e tante altre cose. E poi ci si domanda perché si fugge qui…