Vietnam e Thailandia by any means

Due giovani 50enni alla scoperta dell'Asia più autentica
Scritto da: annalecce
vietnam e thailandia by any means
Partenza il: 06/06/2011
Ritorno il: 26/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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5-6 giugno

Questa volta voliamo Thai, senza scalo Roma-Bangkok, arriveremo meno stressati del solito. L’aereo è non nuovissimo ma ben tenuto, il vitto non all’altezza della fama di Thai Airways, niente schermo sul sedile davanti ma i sedili sono comodi e c’è spazio per le gambe. Il solito problema di quelli un po’ più alti… All’arrivo al Suvarnabhumi ci facciamo accompagnare in taxi all’ Orchid Resort, a 10 minuti dall’aeroporto, che ho prenotato in anticipo online per trascorrere una notte e smaltire il jet-lag prima di riprendere l’aereo per Hanoi. Dopo un pisolino andiamo a fare due passi. Siamo in periferia, l’unica attrazione è un mercato alimentare che apre la sera, almeno la cena è garantita! Il nostro piccolo resort è dotato di una micropiscina, è pulito e l’aria condizionata funziona bene. E’ l’ideale per un breve stop-over come il nostro. Maurizio approfitta di un pomeriggio piovigginoso per farsi fare un massaggio nella minuscola graziosa thai house annessa al resort e io per godermi la jacuzzi. Dopo un pisolino ristoratore andiamo a curiosare al mercatino. E’ ancora presto, così ci ritorniamo dopo un’altra breve sosta in albergo a recuperare un po’ di sonno. I mercatini asiatici non deludono mai le aspettative, anzi spesso sono piacevoli sorprese. Non ci saremmo mai aspettati da un mercatino di periferia un tale tripudio di profumi, colori, sapori e varietà di cibo. Si spazia dalle erbe fresche e profumate tipiche della cucina thai al pesce, fresco o cotto, ai curry, vongole, granchi, sacchettini di liquidi colorati, riso cucinato in tutti i modi, minicrepes ripiene, uova di quaglia, frutta profumata, dolcetti di riso che sembrano di gomma. Mangiamo come gli altri, seduti a tavoli comuni fra piatti di germogli di soia e basilico e coriandolo per smorzare il piccante dei piatti saporiti cucinati sul momento. Ci sono ragazze che lavorano all’aeroporto in divisa, ragazzi appena usciti da scuola che vengono a fare uno spuntino, casalinghe e anziani che fanno la spesa, venditori instancabili che richiamano la clientela, nessun turista in questo caos apparente tipico dei mercati orientali. Fatta la spesa di frutta per la notte, si torna in albergo a dormire.

7 giugno

Anche oggi fa caldo. Il nostro volo Air Asia per Hanoi parte la mattina presto. Arriviamo puntuali dopo un bellissimo volo sopra le verdissime montagne del Laos e del Vietnam del nord. L’aeroporto di Hanoi ci colpisce perché è assolutamente privo di fronzoli e vuoto. Un vero aeroporto comunista. Dopo un paio di file per ritirare i visti richiesti in anticipo dell’Italia via internet, recuperiamo velocemente i bagagli e prendiamo un taxi per la città. Qui è tutto diverso dalla Thailandia, a cominciare dal traffico. Circolano più motorini che auto, e sono tutti stracarichi di qualsiasi cosa, dai bambini ai polli, alle ceste, a sacchi di cemento e chi più ne ha più ne metta. Dopo circa 45 minuti arriviamo al Charming Hotel II, prenotato online dopo aver consultato un po’ di recensioni su Tripadvisor. La stanza che ci è stata riservata e silenziosa, come avevo chiesto, al 6° piano il rumore incessante del clacson dei motorini non arriva. Anche in Vietnam, come in India, usare il clacson è un gesto di cortesia nei confronti degli altri conducenti e dei pedoni… il risultato è un rumore infernale che smette solo per qualche ora durante la notte. Usciamo subito per familiarizzare con i dintorni. La receptionist ci fornisce di una mappa e ci spedisce al vicino lago Hoan Kiem, il vero must irrinunciabile di Hanoi. Visitiamo il piccolo tempi che sorge sull’isolotto collegato alla riva con un ponte rosso di legno. Narra la leggenda che in questo lago (Lago della Spada Restituita) vivano le tartarughe. Ne vediamo una enorme imbalsamata in una teca. Pare che ce ne siano anche adesso, ogni tanto ne viene avvistata una, porta molta fortuna. I Viet sono molto superstiziosi, come moltissimi orientali, d’altra parte. Si sospetta però che vengano portate qui da altre parti, solo per mantenere viva la leggenda. La strada che percorriamo appena usciti dall’hotel è la via dei rimedi della medicina cinese, l’aria calda è intrisa di profumi di erbe, che vengono lasciate essiccare al sole ovunque, anche sui marciapiedi. Sembra che il caos regni ovunque: mercanzie, pedoni, motorini parcheggiate ovunque, contadini che portano con un bilanciere la merce più svariata sulle spalle, ma per potersi muovere senza problemi basta rispetta poche fondamentali regole: mai guardarsi alle spalle e camminare lentamente senza fermarsi, anche quando si attraversa la strada più trafficata. I vietnamiti guidano piano e ti evitano se non fai mosse improvvise. E… occhio ai clacson! Solo Maurizio insiste per attraversare sulle strisce, ma dopo un po’ si rende conto che è assolutamente inutile. La segnaletica viene completamente ignorata da tutti. Torniamo facilmente all’hotel che si trova in una posizione strategica proprio al margine della Old Town. Ci facciamo consigliare da una receptionist un posto dove pranzare, ma sicuramente ci sbagliamo perché finiamo in un postaccio dove ci servono sgarbatamente una sbobba di noodles e carne di maiale che mangiamo solo per placare la fame. Siamo stanchi e frastornati, abbiamo bisogno di un pisolino e di una doccia. Il caldo è infernale. Mi aspettavo una città e una temperatura decisamente più fresche! Nel pomeriggio ci dedichiamo all’esplorazione delle altre stradine della Old Town. Ognuna è dedicata ad una tipologia merceologica: scarpe, corde, imballaggi, gioielli, serrature, sete, opere d’arte, oggetti di latta e ferro che vengono prodotti sul posto da instancabili fabbri. C’è da perdersi… Meno male che ci orientiamo col percorso suggerito dalla Lonely Planet e Maurizio mi guida seguendo fedelmente le indicazioni. Io mi distraggo guardando di qua e di là rapita dalla quantità di curiosità che vedo. Arriviamo alla via più elegante, P. Trang Tien, quella delle gallerie d’arte. Ammiriamo dipinti molto interessanti e belli di naif vietnamita, i prezzi purtroppo non sono per le nostre tasche e non si possono neanche fare foto. Nel frattempo il cielo si è fatto nero di nuvoloni e l’aria pesante. Il tempo di infilarci in un taxi (il tassista naturalmente approfitta dell’emergenza per farci pagare la breve corsa il doppio) al volo e si scatena la furia degli elementi. Valanghe di acqua si rovesciano su bancarelle e motorini, ma nessuno si scompone. Si infilano le mantelle di plastica, si coprono le mercanzie e la vita continua. In hotel ci riposiamo approfittando del temporale e decidiamo di festeggiare la nostra prima sera ad Hanoi concedendoci una cena in un ristorante di lusso. Decidiamo per il White Lotus a sud del lago Hoan Kiem, in un quartiere elegante. Indossiamo la mise migliore che il nostro spartanissimo bagaglio ci consente e facciamo chiamare un taxi. Ceniamo al secondo piano di un antico palazzo coloniale arredato con pezzi di antiquariato, luci soffuse, musica soft, cibo strepitoso: involtini primavera eterei, filetto di seabass a vapore con erbette profumate al lemongrass, insalata di mango acerbo con arachidi e lime freschissima, sorbetto di cocco e arancio amaro. Ci alziamo satolli, deliziati dopo aver speso 25 euro in due…

8 giugno

Oggi il nostro programma prevede un’escursione al villaggio di Bat Trang per le ceramiche e a Van Phuc per le sete. Abbiamo un autista che per 70 $ ci scarrozzerà per mezza giornata in questo traffico impossibile. Arriva puntualissimo alle 7, si chiama Xan, ha 25 anni, viene da un villaggio povero del nord, ha 7 fratelli e lavora da quando era bambino, vive ad Hanoi da 4 anni e condivide una stanza con altre 9 persone, parla un inglese discreto ed è simpatico. Quando arriviamo a Bat Trang è ancora tutto chiuso, così ci fermiamo a bere un the con i semi di fiore di loto nel bar improvvisato di una signora fuori dal mercato delle ceramiche. Buoni, hanno un sapore simile alle fave fresche. Nel frattempo qualche negozio apre e andiamo a curiosare fra le montagne di manufatti di ceramica accatastati alla rinfusa. Compriamo qualche coppetta e una teiera (costo circa 5 euro in tutto), certo qui gli oggetti non sono adeguatamente valorizzati, ma si vede subito che la porcellana è di ottima qualità e ci sono alcuni pezzi raffinati e belli. Ci tratteniamo solo perché siamo all’inizio del viaggio e la ceramica è pesante, oltre che fragile. Si riparte per la seconda tappa, il Silk Village di Van Phuc che praticamente è un quartiere di Hanoi, che raggiungiamo dopo un viaggio allucinante nel traffico che documentiamo con un video perché altro è dire, altro è vedere e ascoltare! Ci arriviamo che è già ora di pranzo, così Xan ci porta in un posto molto Viet a mangiare un riso fritto e ci impartisce una lezione su come si maneggiano le bacchette. E’ dura, ma la fame è fame e alla fine impariamo. La visita al Silk Village ci delude un po’. A parte una piccola fabbrica dove vediamo gli antichi e rumorosissimi telai di legno usati per tessere sete coloratissime che penso vengano tenuti in vita soprattutto per i turisti e delle belle sete da acquistare al metro, per il resto l’abbigliamento è scadente come qualità e improponibile come modelli. E non tutto è di seta pura. I prezzi non sono convenienti come ci aspettavamo, così acquistiamo qualcosa per avere un souvenir e, visto che il caldo è diventato insopportabile, ci facciamo riaccompagnare in albergo. Dopo un pisolino usciamo a piedi per andare a visitare il Tempio della Letteratura ma quando arriviamo lì ha appena chiuso, che amara sorpresa! Me la prendo con Maurizio che ha temporeggiato per arrivare lì con il ”fresco” ma in effetti è anche colpa mia che non ho controllato gli orari di apertura sulla guida. Per consolarci della delusione e non rifarci a piedi la strada fino all’albergo prendiamo il mototaxi. Dopo una lunga trattativa sul prezzo, per 25,000 dong a testa veniamo forniti di casco (chiamiamolo casco) e l’avventura comincia. Il mio driver si fa contromano una via lunghissima scansando decine e decine di motorini che ci vengono di fronte. “No problem” dice lui. Il segreto per cui non succedono incidenti pazzeschi è che vanno tutti piano, e davanti ad un ostacolo che si muove rallentano, ma non si fermano mai. E soprattutto Suonano il clacson! Arriviamo interi all’hotel ci sistemiamo per la cena e andiamo al “Restaurant 69” in via Ma Mae perché è vicino e lo raccomanda la LP. E’ un’antica casa col soffitto e le travi di legno, e noi ci accomodiamo sul balconcino che dà sulla strada trafficatissima di turisti. Mangiamo bene, in particolare il mio pollo arrosto con le foglie di lemongrass era buonissimo. I nostri vicini di tavolo sono francesi, vivono all’ Ile de la Réunion e sono venuti in Vietnam per incontrarsi a Saigon con la figlia che è in giro per l’Asia in bicicletta col suo ragazzo. Quanta gente insolita si incontra viaggiando, che bello! Il nostro hotel dispone di un ottimo collegamento internet in camera, grazie al quale prenotiamo il volo Hanoi-Danang e l’hotel a Sa Pa. Per tutto il resto si dimostra preziosa la disponibilità delle receptionists che sono sveltissime e simpatiche. Una in particolare ci ha mostrato come in quattro e quattr’otto si aggira il blocco che il governo ha messo a siti come face book, qui tutti i ragazzi lo sanno fare, così riesco finalmente a connettermi con “le persone della mia vita”.

9 giugno

Oggi si parte per l’isola di Cat Ba, nella baia di Halong. Di buon’ora un taxi ci accompagna alla popolarissima stazione degli autobus di Gia Lam dove prendiamo il bus per Haiphong della compagnia Hoang Long. Dopo un viaggio di circa 3 ore abbastanza confortevole (a parte il clacson del conducente) arriviamo a destinazione, scendiamo, aspettiamo una mezz’ora e cambiamo autobus e dopo un’altra mezzora di viaggio su una strada orribile tutta scassata fra depositi di container e capannoni sbilenchi arriviamo a un desolatissimo imbarco dove ci aspetta la “speedy boat” che sicuramente si ricorda tempi migliori. Siamo gli unici occidentali e ci sentiamo un po’ osservati. Forse questo mezzo di trasporto non è molto usato dai turisti occidentali, e immaginiamo il perché, ma in fondo dovevamo aspettarcelo, il biglietto per tutto il tragitto costa solo 9 $… dopo 35 minuti di navigazione arriviamo a Cat Ba. Scendiamo dalla barca per salire su un altro autobus che ci porterà a Cat Ba City, così abbiamo modo di dare una prima occhiata all’isola. Ci ricorda molto Krabi, sia per la conformazione delle rocce che per la vegetazione. Abbiamo l’impressione che qui stia cambiando tutto molto velocemente e abbiamo il dubbio che non sarà in meglio. Ci sono cantieri enormi, dove per creare la terra su cui costruire i megaresorts raffigurati nei cartelloni si costruiscono terrapieni artificiali con terra riportata. Le spiagge sono piene di plastica. I Vietnamiti non sanno ancora gestire la raccolta differenziata e il mare si sta riempiendo di plastica. Se lo Stato non interverrà insegnando un po’ di educazione ambientale a questa gente la bellezza di questi posti durerà poco.

Dopo 5 ore totali di viaggio si arriva a Cat Ba City. Stendo un velo pietoso sull’odissea per trovare un albergo decente. Noi non siamo molto schizzinosi, ma dopo aver visitato 5 o 6 hotel tutti con materassi di cemento, puzza di muffa, tende crollate e cadaveri di mosche in giro finiamo al Cat Ba Sunrise Resort che si trova dopo la baia del porto in un’insenatura con la piaggia di sabbia. Per arrivarci prendiamo il mototaxi, Maurizio con zaino e valigione dietro a una ragazza che non si scompone per niente e gli fa cenno di salire come se fosse la cosa più normale del mondo portare tutto quel peso in precario equilibrio su due ruote. Questo hotel è un lussuoso 5 stelle con tanto di piscina, jacuzzi, giardino tropicale e accompagnamento musicale di grilli e uccelli. Costa la modica cifra di $ 155,00 (quanto qui guadagna in un mese un professore universitario), una follia, ma siamo troppo stanchi per cercare ancora. La stanza è grande e dotata di tutti i comfort, il letto, subito battezzato “il lettone di Putin” è un super king size, ci si può dormire in 5… Pisolo, doccia e poi si va sulla spiaggia. L’acqua del mare è torbida, ma l’acqua è calda e la sabbia fine, la spiaggia è attrezzata con ombrelloni e sdraio, c’è il beach bar. Che upgrade! Facciamo finalmente il nostro primo bagno nel Mar Cinese Meridionale e poi ci rinfreschiamo nella jacuzzi. Conclusione: i soldi non fanno la felicità, per tutto il resto c’è mastercard. Dietro all’hotel c’è una parete di roccia verticale ricoperta da giungla, ci sono farfalle coloratissime, aquile di mare, veramente un paradiso tropicale. La sera arriviamo a piedi fino in città per cena. La città sono due strade in tutto sul lungomare, dove si affacciano i palazzi degli hotel uno più orrendo dell’altro. C’è movimento, ma dopo il traffico di Hanoi ci sembra tutto molto tranquillo. Ci sediamo in uno dei ristoranti sul lungomare dove, cercando in tutti i modi di farci capire, riusciamo a farci portare dai ragazzi imbranatissimi ma simpatici dei tranci di cernia molto buoni che divoriamo in tre secondi. Per fortuna il riso ci riempie un po’ la pancia…meno male che in hotel ci aspetta il nostro bel lettone, siamo distrutti.

10 giugno

Per oggi abbiamo prenotato all’agenzia Thanh Minh Tourist, proprio sul lungomare, un tour in barca nella baia di Halong. Partiamo alle 8 con una barca grande di legno dal molo dove ci hanno accompagnati in minibus con gli altri partecipanti. La barca sembra abbastanza ben tenuta e comoda. Si parte quasi subito, noi ci sistemiamo sul ponte superiore che è dotato di sdraio e qui comincia una meravigliosa giornata di mare. Ci sfilano sotto gli occhi i villaggi galleggianti dei pescatori, che su queste acque tranquille e silenziose vivono e lavorano. C’è perfino un piccolo supermercato galleggiante che vende le cose di prima necessità. Per fare la spesa naturalmente di prende la barca! Vediamo bambini, cani, donne che cucinano, scene semplici di vita quotidiana. L’atmosfera è veramente rilassante, anche il sole velato è piacevole. L’aria è meno afosa che in città, ci credo che tanti preferiscano venire a vivere sull’acqua! Siamo in compagnia di due americani del Kansas, due ragazze londinesi, un’australiana e un’altra inglese. Si fa tappa in un’ampia baia dove echeggia solo il suono di uno stereo che manda a tutto volume le note di canzoni romantiche vietnamite. Facciamo un giro in kayak fra le coltivazioni di ostriche e frutti di mare, l’acqua è pulita e fresca e ci facciamo il bagno in una minuscola spiaggia di sabbia sotto un picco di roccia. Lasciato il kayak, continuiamo a girovagare con la barca fra questi enormi picchi di roccia calcarea ricoperti di vegetazione fino a fermarci nei pressi di una lingua di sabbia corallina bianca. Qui la nuotata è d’obbligo, un’esperienza fantastica. Nel frattempo abbiamo rotto il ghiaccio con gli altri. Le due inglesine ci raccontano di essere alla fine di un lungo viaggio durato mesi che è cominciato dall’Australia, a Sydney, per poi risalire fino in Queensland, poi Indonesia, Borneo, Malesia, Cambogia, Thailandia e infine Vietnam. Niente male, mi domando quante altre ragazze italiane possano raccontare di aver fatto un viaggio simile. Noi mamme italiane dovremmo stimolare di più i nostri figli a viaggiare, è una tappa formativa e un’esperienza di vita di cui nessuno dovrebbe fare a meno. La prossima tappa del tour, adesso che il sole è implacabile, è fortunatamente alle grotte. Dentro c’è un fresco meraviglioso. Sono enormi, con volte ampie e altissime. Ci raccontano che la gente dei dintorni sia venuta a rifugiarsi proprio qui nel periodo della guerra. Rispetto ai tunnel di Cu Chi qui si sta comodi. C’è aria, acqua, fresco e pesce. Certo è un po’ umido…all’uscita ci sono i soliti negozietti di souvenir, l’atmosfera è tranquilla e abbiamo il tempo di acquistare gioielli fatti con le perle coltivate qui, i prezzi sono buoni e ci fa piacere acquista da queste persone laboriose e gentili. Si torna sulla barca e si prende la rotta del rientro, facciamo una tappa a Monkey Island che ha una bella spiaggia con troppa plastica per i miei gusti. Qui avvistiamo le scimmie autoctone che sono protette perché a rischio di estinzione. Si rientra in città, ben cotti, alle 17,30. Recuperiamo i bagagli dal resort e prendiamo possesso della nuova stanza, modesta ma pulita, proprio sul lungomare. Ceniamo al Green Mango con le ragazze conosciute in barca, sono simpatiche, carine e la serata trascorre in maniera piacevole, nonostante il pad-thai peggiore che abbia mai mangiato in vita mia. Dopo una nottata termicamente movimentata e un’alba sulla baia splendida, si riparte per Hanoi.

11 giugno

Durante il trasferimento in speed-boat ci imbattiamo in un autentico tifone tropicale. Nel giro di pochi minuti il cielo diventa nero finché ci ritroviamo in mezzo a fulmini, pioggia a secchiate e un vento fortissimo che ci obbliga a rallentare perché non si vede niente. Dopo una mezzora di vera paura finalmente veniamo sbarcati al molo di Haiphong, smette di piovere e tutto ritorna come prima. Rientriamo in bus ad Hanoi e siccome abbiamo alcune ore di “buco” prima del treno per Sa Pa, andiamo a farci un massaggio in una spa consigliataci dal ragazzo americano conosciuto ieri in barca, che ci ha scritto in viet su un pezzo di carta cosa chiedere al tassista. Il centro è ben tenuto e i massaggiatori sembrano professionali, così decidiamo per un massaggio thai. Per un’ora e mezza veniamo tirati, allungati, calpestati e massaggiati molto energicamente con mani, gomiti, ginocchia, piedi e pietre calde da due ragazzi che continuano a chiacchierare fra loro come se nulla fosse. Ne usciamo, con nostra sorpresa, ancora interi e, devo ammettere, rilassati, pronti a caricarci il bagaglio e muoverci a pieni fino alla stazione. Lungo la strada facciamo sosta in un parco molto grande e brulicante di gente, visto che oggi è sabato e non si lavora. Si tratta del Lenin Park, dove la gente di Hanoi viene a fare un po’ di attività fisica durante il tempo libero. Ci godiamo le donne che fanno aerobica con la musica a tutto volume, i ragazzi che giocano a calcio o a volano o fanno jogging. Ci sono bambini dappertutto. Questo è un paese giovanissimo. Sono i ragazzi che mandano avanti l’economia del Vietnam. Finora non abbiamo incontrato nessuno, receptionist, tassista, cuoco, cameriera, meccanico o altro che avesse più di 30 anni. E sono svegli ed efficienti, con tanta voglia di costruirsi un futuro. Dopo questa piacevole pausa, riprendiamo il bagaglio e andiamo in stazione per prendere il treno della compagnia Livitrans che ci porterà a Sa Pa, nel nord. Ci sono delle strane formalità da sbrigare e un tipo all’apparenza gentile ci dà una mano e ci scorta al treno, vorremmo dargli una mancia ma lui insiste perché vuole essere pagato 5$. Peggio per lui, ci indispettiamo e gli lasciamo una mancia modesta, così se ne va tutto arrabbiato lanciandoci chissà quali maledizioni vietnamite. Capisco che questa gente è povera e si arrabatta per campare, ma certe volte ti fanno sentire un pollo da spennare! Arriva il treno e raggiungiamo il nostro scompartimento. Sembra che non ci siano altri occupanti oltre a noi, e il cuccestista ci fa intendere che può fare in modo che non ci venga nessun altro, in cambio di una mancia generosa. Ci risiamo! A un certo punto entra un tipo che sembra cinese il quale, senza dire né buongiorno né buonasera, si accomoda sulla cuccetta dove Maurizio aveva già sistemato le sue cose, si tira su la maglietta scoprendosi la pancia e di stende. Maurizio, che sta fumando sulla banchina, lo vede dal finestrino e intercetta il mio sguardo interdetto. Passa qualche minuto e arriva il cuccettista solerte che dice qualcosa al tipo e quello se ne va con la sua 24 ore così come era venuto. Gli allunghiamo riconoscenti 10$ e chiudiamo la porta dello scompartimento dopo che ci rassicura che non verrà più nessuno. Non sapremo mai con certezza se i due fossero d’accordo, ma il sospetto c’è e non è piacevole. Meglio non farsi troppe di queste domande in Vietnam. Il treno Livitrans è la maniera più “comoda” per raggiungere Sa Pa, ci è costato 70$ a/r per due persone, è abbastanza pulito, i bagni sono dignitosi, le cuccette quasi comode con lenzuola di cotone e coperta imbottita perché l’aria condizionata è polare. C’è la possibilità di mangiare un buon pho nella carrozza ristorante senza molte pretese. Ci culla, o meglio, ci sballotta, per 9 ore di viaggio fino a Lao Cai.

12 giugno

All’arrivo in stazione veniamo letteralmente assaliti dai tassisti e conducenti di minibus che cercano clienti. Qui perdo veramente la pazienza. Sei sveglio da tre minuti, non ti sei neanche vestito che ti vedi sulla porta dello scompartimento un viet che ti urla nelle orecchie “quick, quick!” “minibus, minibus”! “five dollars, five dollars!” Agguanto la mia valigia e il mio frastornato Maurizio digrignando i denti e dicendo: “Ci sono gli autobus qui fuori, costano solo 60.000 dong, se uno di questi musi gialli mi dice ancora quick quick lo strangolo!” Appena usciti dalla stazione vedo un omino con un foglio bene in vista dove c’era scritto il nostro nome. L’hotel Fansipan Mountain View che avevamo prenotato online ci ha mandato l’autista! Avrei voglia di abbracciarlo. Felici e contenti prendiamo posto sul nostro minibus e aspettiamo gli altri occupanti, e quando siamo al completo e partiamo per Sa Pa. Durante il tragitto, che dura mezz’ora circa, attraversiamo luoghi di una bellezza surreale, colline ricoperte di banani, bambù e risaie a terrazza fra la nebbiolina del mattino. Arriviamo all’hotel, che si chiama Fansipan Mountain View perché ha una magnifica veduta sul monte più alto del Vietnam che però fa solo rarissime apparizioni perché e sempre coperto delle nuvole. La stanza è spaziosa, la doccia enorme, è pulito e i ragazzi della reception sono molto cordiali e parlano un buon inglese. In giro per il paese ci sono donnine vestite con i tradizionali abiti coloratissimi delle tribù di montagna che portano bambini appesi dietro alla schiena con foulard, si fanno fotografare volentieri e chiacchierano senza interruzione fra loro a bassa voce. Siamo curiosi di vedere cosa succede in giro, e usciamo subito per fare una prima ricognizione. Le donnine colorate sono dappertutto, cariche di gerle con le loro mercanzie. Nella piazza del paese c’è un piccolo mercato, scendiamo a dare un’occhiata e veniamo subito accolti dal mantra che ci seguirà per i prossimi giorni: “buy something from me, buy something from me!” E’ strano sentire donne Hmong e Red Dzao dei villaggi di montagna vietnamiti parlare inglese, mentre ad Hanoi non lo parlava quasi nessuno. Compriamo qual cosina e proseguiamo curiosando qua e là. Rimaniamo piacevolmente colpiti dalla raffinatezza dei manufatti di lacca, seta, dai ricami tipici di questa zona e facciamo un po’ di shopping. La camicetta di seta “tira” un po’? no problem, per domani, puntuali, me ne faranno trovare in negozio un’altra che mi calza a pennello (12 euro). Ci fermiamo a pranzo in un piccolo ristorante frequentato da viet dove fanno dei favolosi spiedini al barbecue sulla strada. Assaggiamo anche uno stranissimo pollo con la pelle nera che ribattezziamo subito “pollo Obama”, che il caro Barack non ce ne voglia… tra l’altro è proprio buonissimo! Visitiamo il food market, che è un tripudio di frutta ed erba di tutti i tipi, molti dei quali vediamo per la prima volta, poi la zona della carne e del pesce, non ci stanchiamo di fare foto alle mercanzie, molte delle quali sembrano uscite da un documentario “orrori da gustare”. La giornata di oggi vola in questo nuovo mondo pieno di sorprese, l’aria fresca ci aiuta a recuperare le forze dopo lo stress termico di Hanoi, la sera prenotiamo in hotel due escursioni per i prossimi giorni e ce ne andiamo a nanna presto.

13 giugno

Oggi si va a fare trekking nelle risaie, per conoscere le tribù locali degli Hmong e i Red Dzao. Si parte in auto alle 9 con la guida e gli altri 4 partecipanti, una coppia di israeliani nostri coetanei e due ragazza canadesi di 19 anni al loro primo viaggio fuori dal nido (coraggiose loro, ma ancor di più i loro genitori!). Sul posto ci aspettano un gruppetto delle minuscole donne del posto con i loro vestiti dai colori sgargianti. Non ci molleranno un attimo per tutta l’escursione. Parlano sottovoce fra di loro e ci ripetono quello che per noi è oramai diventa un mantra. “What’s your name, where are you from? Buy something from me! Io vengo adottata da una bambina di 8-9 anni così ne approfitto per farmi raccontare qualcosa su come vivono queste popolazioni. Mi dice che le minoranze etniche come la sua, lei è Hmong, sono tutelate dallo Stato, che provvede gratuitamente a fargli studiare le lingue (per gli altri vietnamiti non è così) per permettere loro di comunicare con i turisti. Così possono mantenersi, oltre che con i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame, anche con la vendita dei loro manufatti che sono molto belli. Come faccio a non comprare niente da questa bimba che mi racconta di avere 5 fratelli? Visitiamo un primo villaggio, etnia Hmong. Qui ci mostrano un laboratorio di tessitura della canapa ed un mulino ad acqua utilizzato per mondare il riso, molto ingegnoso ed ecocompatibile. Anche i tubi per l’irrigazione delle risaie qui sono di bambù! Poi il trekking si fa più impegnativo perché la guida ci porta fra le risaie, camminiamo sui bordi delle terrazze in mezzo a un panorama veramente incantevole. Ci fermiamo a mangiare in una casa privata in un villaggio dei Red Dzao, così familiarizziamo con i nostri compagni di gita. Dopo un semplice pranzo a base di uova, riso e frutta proseguiamo per la foresta di bambù che attraversiamo stupefatti fra canne di bambù altissime e rigogliose e nuvole di farfalle gialle. Sembra di essere dentro “Avatar”… Maurizio, che scatta foto a tutto spiano, a un certo punto viene punto da un insetto alla caviglia (perché non si mette mai i pantaloni lunghi per le escursioni!) La gita finisce presso una piccola cascata dove riprendiamo fiato prima di tornare alla macchina che ci riaccompagnerà all’ hotel. Dopo una doccia ristoratrice ci rimangono le forze solo per raggiungere un ristorante consigliato dalla LP (buono anche se un po’ da turisti) e visitare qualche negozietto di artigianato.

14 giugno

Si esce a comprare un bel pannello ricamato che avevamo adocchiato ieri sera, si compra un po’ di frutta al mercato prima della gita di oggi. Andiamo a vedere le Silver Waterfalls in jeep e ci fermeremo in un posto panoramico da dove si ha una splendida veduta su tutta la valle di Sa Pa. Purtroppo non siamo fortunati come ieri. La jeep è un residuato bellico (e non a parole), ci piove dentro ed è tutta arrugginita, arriviamo alle cascate che Dio la manda e solo io sono così intrepida da salirci per scattare qualche foto, Maurizio rimane giù a mangiare polletti arrostiti sotto una tenda con una signora viet e suo figlio. Quando arriviamo al viewpoint tutto quello che vediamo è un muro d’acqua e dobbiamo tornare indietro. Al rientro in hotel facciamo le nostre rimostranze alla receptionist perché avrebbero dovuto avvertirci prima di farci uscire che la jeep era così malandata e le previsioni meteo pessime. La receptionist, che poi è una ragazzina è mortificatissima, tanto che ci restituisce la mancia che le avevamo lasciato e il titolare dell’hotel ci rimborsa la provvigione dell’agenzia, inoltre ci viene messa a disposizione una stanza dove asciugarci e riposare, dal momento che prima di uscire avevamo fatto il check-out. Mi è dispiaciuto per la ragazzina, aveva i lacrimoni agli occhi. I vietnamiti prendono molto sul serio i reclami e forse potevamo essere meno duri con lei. In fondo aveva pensato di far bene facendoci risparmiare sulla jeep che era abbastanza economica in fondo… Ci sentiamo in colpa e passiamo un pessimo pomeriggio. La serie nera continua col viaggio di ritorno in treno. Mi si scatena una gastroenterite memorabile e, nonostante la piacevolissima compagnia di Tina, una grey nomad australiana che alla tenera età di 67 anni è in giro da sola per il Vietnam da 6 mesi, passo una nottata da dimenticare. Al nostro arrivo ad Hanoi, però, succede un miracolo. Alle 4 e mezza di mattina troviamo ad aspettarci alla banchina del treno, con tanto di cartello col mio nome, ben due fattorini del Charming Hotel II che ci accompagnano in hotel dove ci è stata riservata una stanza per riposare e recuperare le forze. Era un servizio che non avevamo richiesto noi, ma forse la mia entusiastica recensione su Tripadvisor li ha colpiti e hanno voluto ricambiare. Splendido, riposo per un’oretta, faccio una doccia e mi cambio perché sono impresentabile e così riusciamo a prendere il volo delle 9,55 per Danang sani e salvi. Mi sono imbottita di antiemetici e altri farmaci vari per non stare male in viaggio, e quasi in coma farmacologico non mi rendo quasi conto della confusione che regna nell’aereo della Jet Star Pacific che ci porta a sua. A Danang prendiamo un taxi con una coppia che viene dall’Australia (lui inglese, lei italiana) che ci porta a Hoian all’hotel che ho scelto con cura consultando vari siti internet per il nostro soggiorno, il Villa Hoa Su Frangipani Resort. Già sulla strada che porta dall’aeroporto a Hoian ci rendiamo conto di trovarci in un posto di vacanza molto rinomato. E’ tutto un susseguirsi di resort e hotel di lusso, molti dei quali ancora in costruzione. Arriviamo al resort dopo aver percorso un dedalo di viuzze in campagna, fuori città, dalla strada non si vede la costruzione, entriamo da un piccolo cancello e… meraviglia delle meraviglie, ci ritroviamo in un curatissimo giardino di orchidee giganti, frangipani e altre piante tropicali, davanti ad uno stagno con ninfee e fiori di loto, nel quale è immersa una piccola ma bellissima piscina di marmo grigio. Nel giardino ci sono tre pagode di legno scuro sorrette da colonne di legno con bellissime basi di marmo bianco scolpito. Quella centrale, in mezzo allo stagno e collegata da lastroni di marmo grigio al giardino è un delizioso lounge con divani con cuscini comodissimi, tavoli sedie di legno scuro e angolo internet. Una è la reception, con un grande tavolo per la colazione. Nell’altra sono state ricavate 4 stanze, la nostra è la n.2. L’arredamento è semplice e raffinatissimo: pavimenti di marmo grigio, letto in legno con materassone in lattice, doccia all’interno e all’esterno, e nel raffinatissimo bagno all’esterno c’è anche una bella vasca di marmo bianco scolpita. Sarà che io sono reduce da 24 ore molto faticose, ma arrivare qui mi sembra come arrivare in un piccolo paradiso. Purtroppo nel pomeriggio mi sale la febbre, così incarico Maurizio di andare a comprare qualche medicina in paese. Dal momento che la città è un po’ distante, noleggia uno scooter che il responsabile, Mr Bond (come James) mette a disposizione degli ospiti del resort e dopo un’oretta torna con una piccola spesa di farmaci. Alla farmacia dell’ospedale di Hoian c’era tutto, a prezzi economicissimi, anche l’antibiotico che in Italia era introvabile perché costa troppo poco, ed era proprio quello che faceva al caso mio. Comincio la mia terapia e mi butto in piscina, l’acqua è così calda che, anche con la febbre, non sento freddo. Dopo andiamo a riposare perché siamo stanchissimi. Quando ci svegliamo decidiamo di andare in città, che dista pochi minuti dal resort, con lo scooter. Stasera c’è la luna piena e nella Old Town per tradizione si spengono tutte le lampadine e si lasciano accese solo le lampade di seta colorate lungo le vie e fori dalle case e dai negozi si accendono bacchette di incenso e si lasciano offerte per gli antenati. Per uno spettacolo del genere uscirei anche con 40 di febbre. Le strade brulicano di gente, i negozietti coloratissimi sono tutti aperti ma non c’è confusione perché tutto il centro è chiuso ad auto e motorini. Ci fermiamo a cenare in un ristorante dove i camerieri hanno tutti una maglietta con l’immagine del Che. I tavoli sono al primo piano, e ci sediamo sul balcone che dà sulla strada, così possiamo goderci il passeggio incessante ma tranquillo della gente che come noi si gode questa serata magica. La cena è ottima, ma la stanchezza è tanta, così facciamo solo due passi e poi ce ne torniamo al resort.

15 giugno

La mattina mi sveglio di buon’ora (e che lo dico a fare) mentre Maurizio si sollazza in piscina rischiando l’insolazione, io rimango all’ombra nel lounge e sbrigo un po’ di email, prenoto il b&b a Saigon e contatto il Fansipan a SaPa per cercare di recuperare le chiavi di casa che sono rimaste lì appese al computer insieme alla mia chavetta usb. Sono favolosi. Me le spediscono a Saigon. Questo paese sembra un gran casino, ma invece in realtà sono tutti molto precisi ed affidabili. Dopo colazione andiamo in città a cercare un hotel perché a Villa Hoa Su possiamo fermarci solo un’altra notte. Facciamo tappa in una piccola agenzia per prenotare un’escursione per dopodomani, in farmacia a fare un altro po’ di spesa perché il caldo ha fatto male anche al pancino di Maurizio, vediamo un po’ di stanze di vario livello, la scelta è enorme, e alla fine decidiamo per il Long Life Hotel, sull’isola sul fiume, che si soddisfa sia come posizione che come pulizia, arredamento, servizi e prezzo. Tornando indietro per recuperare lo scooter incontriamo, anzi veniamo acchiappati al volo da una ragazza davanti a un negozietto di abbigliamento. Si chiama Lyn e fa la sarta da 17 anni (ora ne ha 27), ha 2 figli piccoli e cerca disperatamente clienti. Mi sembra una brava ragazza e decido di farmi fare qualcosa da lei. Mi prende le misure e rimaniamo d’accordo per domani per la consegna si un tailleur di lino e una camicetta e un paio di pantaloni di seta. Andiamo insieme a scegliere la seta da un grossista e lì perdo un sacco di tempo perché le stoffe che mi fa vedere sono tutte splendide e non riesco a decidermi. Pattuiamo il prezzo, 1.000.000 dong (circa 35 euro in tutto). Torniamo al resort e pranziamo a base di frutta, che sapore! Potrei vivere solo di frutta tropicale… Dopo il pisolino indispensabile e imprescindibile vista la temperatura del primo pomeriggio, andiamo a vedere la spiaggia in scooter. I 2-3 km. che ci separano dalla costa sono un susseguirsi di risaie. Al nostro arrivo, sulla spiaggia bordata di palme come da copione, troviamo tanti vietnamiti che si godono il tramonto in relax. Naturalmente c’è roba da mangiare da tutte le parti, ma preferiamo dissetarci solo con un cocco fresco perché abbiamo adocchiato un bel posticino dove andare a cena lungo la strada. La spiaggia è bella e lunghissima, da lontano si vede Danang e vediamo il sole tramontare dietro le Marble Mountains. Il posto dove andiamo a cena, dopo essere tornati a Hoa Su a cambiarci, si chiama Son. Si trova su un pontile sul fiume: bella musica, gamberoni strepitosi, atmosfera molto romantica. Quando ci spostiamo nell’area lounge coi divanetti non riusciamo a staccare gli occhi dall’immagine surreale delle palme che si specchiano nel fiume immobile, dove l’unica cosa animata sono le canoe dei pescatori che scivolano sull’acqua senza fare alcun rumore. Che sogno! Si torna al resort a dormire ma purtroppo la nottata è molto calda, il condizionatore molto freddo, io sono raffreddatissima e dormo pochissimo. Ma siccome sono una che non si piange addosso e cerca di cogliere sempre il lato positivo delle cose, alle prime luci dell’alba (magnifica) esco in giardino e raccolgo una bella quantità di fiori di frangipani. Cosa c’è di meglio per riprendersi da una nottataccia di un bagno tiepido in una splendida vasca da bagno di marmo colma di fiori profumati?

16 giugno

Si fa colazione con gli astri ospiti del resort, due coppie di australiani, tutti uomini, evidentemente questo posto è gay-friendly, e dopo si va al mare con il nostro motorino. Seguiamo la strada litoranea per qualche chilometro e ci fermiamo in un parcheggio per scooter. Ci scrivono un numero col gessetto sul motorino e ci danno un bigliettino per ritrovarlo. Ingegnoso. Sulla spiaggia ci sono una serie di chioschetti dove, manco a dirlo, si cucina. Ognuno di questi ha i suoi bravi lettini e ombrelloni di foglie di palma e bambù vicino al mare per i clienti. La spiaggia di sabbia gialla è fantastica e l’acqua del mare è inaspettatamente fresca e tonificante. Ci sono pescatori che pescano tranquillamente in curiose barchette rotonde di vimini intrecciato che sembrano ciotole per il riso. Il sole è cocente, impossibile starci più di qualche minuto. I lettini sono comodi e ci portano anche da bere. Facciamo qualche acquisto da una ragazza che vende collane di madreperla e perle e, nonostante sia al sesto mese di gravidanza e faccia un caldo bestiale, va in giro tutta vestita e con la felpa per non abbronzarsi. Cerco di portare la trattativa alle lunghe, così spero di risparmiare a lei e il suo bambino un po’ di caldo e sole implacabile. Quando la fame comincia a farsi sentire saliamo a mangiare. Il ristorante all’aperto è molto semplice, ma vedo che gli avventori sono tutti vietnamiti, quindi suppongo che si mangi bene. I gustosissimi noodles che mi vengono serviti confermano le mie previsioni. Peccato che stavolta sia Maurizio ad avere mal di pancia e non possa assaggiarli. Oggi si cambia hotel, al Long Life Riverside Hotel (circa 50 euro a notte) troviamo ad accoglierci una stanza spaziosa e comodissima con bagno a vista e una bella vasca dove approfitto per fare un po’ di bucato. Dopo usciamo e vado a prendere le cose che Lyn mi ha finito di cucire, mi calza tutto a pennello, le faccio i miei complimenti, pago e lascio anche una mancia perché ha lavorato per due giorni solo per me e mi sento quasi in colpa a pagarla quello che per noi è così poco per tutto quel lavoro. Passeggiare per Hoi An riserva sempre piacevoli sorprese. Sul lungofiume la gente si incontra per le più svariate attività. La sera ci sono le donne anziane che fanno una danza con i ventagli rossi, perfettamente sincronizzate, aggraziate e solenni. La sera si accendono le luci e il fiume si riempie di forme coloratissime di seta a forma di pesci, dragoni, tartarughe. Dal ponte i turisti, quasi tutti orientali, scattano foto ricordo. Naturalmente neanche noi ci sottraiamo a questo must. Stasera si cena da Bup, ristorantino dall’aria un po’ consumata a causa delle esondazioni del fiume che lo allagano ogni anno nella stagione delle piogge e sono arrivate fino mt. 1,80 di altezza. Il cuoco, Bup appunto, è bravo e simpatico. Tiene anche lezioni di cucina. Ci prepara una cenetta deliziosa in stile Viet e ci fa spendere pochissimo. Quando usciamo ci attardiamo a fare shopping e looking. E’ tutto così di buon gusto e nuovo per noi che è difficile resistere alla tentazione di ficcare un sacco di roba in valigia, ma resistiamo e compriamo solo qualche ricordino per gli amici e i parenti. Anche questa notte per me è lunga e travagliata, purtroppo io e i condizionatori non abbiamo un ottimo rapporto, così verso le 5 mi ritrovo fuori dall’hotel sulla riva del fiume, armata di macchina fotografica per cogliere qualche bello scatto con le prime luci dell’alba. In giro c’è già qualcuno, una musichetta esce da un altoparlante da qualche parte. Mi accorgo che un po’ di persone, vestite completamente di bianco, col cappellino in testa, si stanno radunando in un piazzale. Si dispongono per file ordinate e a un certo punto…cominciano a fare ginnastica! Pian piano la banchina si riempie di gente: c’è chi corre, chistretching, chi gioca a volano. Il tutto nel massimo silenzio. E io mi ritrovo allibita, in vestaglia, a scattare foto a destra e sinistra mentre intanto si fa giorno.

17 giugno

La giornata di oggi è dedicata alla gita all’isola di Cham. Alle 7,30 ci raccoglie un pulmino che ci porta all’imbarco della speedy-boat con gli altri partecipanti, quasi tutti vietnamiti. Dopo una mezz’oretta di traversata, sbarchiamo sul molo dell’isola che sembra un posto molto tranquillo. Dopo un’interessante visita ad un piccolo tempio buddista in mezzo alle risaie dell’isola e una poco interessante sosta al paese dove i 5 scooter di tutta l’isola riescono a creare lo stesso un caos incredibile, si riprende finalmente la barca alla volta della spiaggia. Il programma prevede lo snorkeling per vedere i coralli, ma noi preferiamo staccarci dal gruppo e rimanere sulla spiaggia a goderci un po’ di pace in solitudine. I vietnamiti in vacanza sono un po’ troppo rumorosi per i nostri gusti, e questa spiaggia tropicale coi cocchi e gli uccellini è troppo bella per non godersela in santa pace, e dedicarle un bel pisolino. In effetti, al loro rientro, due spagnoli del gruppo ci dicono che non ci siamo persi granché. C’erano pesci e coralli colorati, ma anche una gran confusione perché, a parte il fatto che i giubbotti di salvataggio che tutti hanno dovuto indossare obbligatoriamente non permettevano di muoversi liberamente sott’acqua, c’era anche una gran confusione perché i Vietnamiti, così tranquilli di solito, a contatto con l’acqua si galvanizzano e non fanno che ridere, vociare e così fanno scappare i pesci. Oggi il tempo non è splendido, ma non piove e l’aria è tiepida. La spiaggia è molto bella, di sabbia fine e ombreggiata da una vegetazione tropicale rigogliosa. Peccato per le plastiche. Lo facciamo notare alla nostra guida che, mortificato, ammette che è vero, queste bellezze naturali andrebbero tutelate e rispettate, sono una ricchezza importantissima per un paese così povero. Dopo il pranzetto vorremmo fare una siesta, ma la nostra attenzione viene attirata dai nostri allegri compagni di gita. La loro tenuta da spiaggia è molto insolita per noi occidentali. I bambini fanno il bagno equipaggiati di: costumone ascellare, cuffia, giubbotto salvagente, non si allontanano più di 2 metri dalla riva e di 50 cm. Dalle mamme, che invece si immergono vestite o tutt’al più (le più audaci) con il costume intero con gonnellino annesso. Sulla spiaggia non si muovono da sotto l’ombrellone e qualcuna più attenta si ripara anche con l’ombrellino, e meno male che il cielo è coperto!… Tornati all’hotel ci prepariamo per l’ultima sera a Hoi An. Abbiamo prenotato per cena dall’amico Bup, il quale ci prepara dei gamberoni come richiesto, che non sono enormi come da Son ma sono ugualmente ottimi. Domani si parte alla volta dell’isola di Phu Quoc.

18 giugno

Il concierge si dimentica di svegliarci, anzi è Maurizio che va a svegliare lui per farci preparare la colazione e lo vedo apparire tutto spettinato e mortificato alla reception. La colazione è al solito buonissima e abbondante, così lo perdoniamo, anche perché ci ha trovato un taxi per Danang ad un prezzo onesto (12$). Il volo è tranquillo, l’aereo Vietnam Airlines nuovo e il servizio impeccabile, riusciamo anche a schiacciare un pisolino prima di atterrare a Saigon. Il volo successivo per Phu Quoc purtroppo viene rimandato di 2 ore perché l’aeroporto di Phu Quoc è stato temporaneamente chiuso a causa di una tempesta tropicale. Alla fine si parte con un piccolo bimotore nuovissimo, abbiamo tutti il cuore un po’ in gola, ma alla fine tutto fila liscio come l’olio. L’attesa non è stata inutile. All’arrivo troviamo un addetto del Mango Bay che ci aspetta per farci accompagnare da un taxi al resort. La piccola cittadina è letteralmente sommersa da un fango rosso come la terra dei campi da tennis, e il nostro taxi sguazza nello sterrato. Noi siamo un po’ perplessi, e speriamo che il tempo sia più clemente per i prossimi 3 giorni. Per fortuna abbiamo scelto un bel resort così, male che vada, ci potremo godere un po’ di relax. Arriviamo all’ora di pranzo. Il ristorante del resort è la prima bella sorpresa: si mangia benissimo! La nostra capanna modello “plantation” è una capanna ecologica, come tutto il complesso del resto, tutta fatta di teak e paglia. Ad un primo sguardo sembra un po’ spoglia, ma piano piano ci accorgiamo che non manca nulla: zanzariera, 3 ventilatori (bandita l’aria condizionata, per fortuna!), zampironi, fiammiferi, torcia, acqua fredda e thermos con acqua calda per il the, anche un ecologico frigo da riempire di ghiaccio se necesario. Sopra il “bagno” all’aperto con giardino c’è un pannello solare per l’acqua calda. Colori neutri, profumo di legno e di sandalo. Mi piace! Anche se il tempo non sarà bello avremo modo di rilassarci in mezzo alla natura. Il resort è pieno di ospiti australiani, oggi qui si è celebrato un matrimonio e gli invitati, in bermuda e ciabatte, sembrano molto a loro agio, chiacchierano fra loro sui divanetti di fronte al mare e si godono il tramonto. Dappertutto ci sono composizioni di orchidee e fiori di loto. Siamo stati fortunati, oltre agli australiani noi siamo gli unici ospiti del resort. Dopo il solito temporale tropicale, la sera ceniamo con la hot-pot, una specialità vietnamita: a tavola viene portata una pentola di metallo riscaldata dalla brace contenente del brodo di verdure, tu poi ci butti dentro fettine di carne, pesce, gamberi, altre verdurine (la mia preferita si chiama morning glory) e mangi il tutto a temperatura da ustione. Favoloso e sembra anche molto salutare. 20/6 La colazione qui al Mango Bay non smentisce le aspettative: un trionfo di fiori, frutta e marmellate (produzione biologica della casa) e vari tipi di pane e brioches. Siamo i primi a presentarci all’appello e praticamente gli ultimi ad alzarci da tavola. Pian piano arrivano gli australiani e gli sposi, oggi molti ripartono dopo la festa, ma qualcuno rimane per qualche altro giorno di vacanza. Fantastico un po’ con Maurizio su come sarebbe bello organizzare anche il nostro matrimonio così. Se fossimo un po’ più ricchi… Vado a fare un giro sulla lunghissima spiaggia. Il mare è torbido, sia per la buriana di stanotte, sia perché siamo nella zona del delta del Mekong. Strana questa spiaggia, diversa dalle solite spiagge tropicali. Ci sono ogni tanto ombrelloni di foglie di palma e comodi lettini di legno, palme da cocco, conchiglie e coralli, ma non c’è nessuno, ogni tanto si intravede una capanna di legno, in fondo c’è un torrente impetuoso che si getta nel mare, alberi di mango, mucche, galline, uccelli strani… l’aria è fresca e la passeggiata molto piacevole. Nel pomeriggio, visto che la giornata di oggi è dedicata al relax per motivi meteorologici, ci facciamo un bel massaggio nel wellness center che è una grande capanna di legno e paglia vicino al mare. Farsi fare un massaggio fra le tende bianche, gli oli profumati e con la colonna sonora delle onde non ha prezzo… quando esco di lì mi sento più giovane di 10 anni, ho le unghie laccate e mi sento finalmente riposata. La sera si conclude la giornata con una bella cenetta a base di pesce.

21 giugno

Oggi inizia l’estate e, visto che il tempo sembra più stabile anche se non c’è il sole, decidiamo di uscire dal resort per visitare l’isola. Quale mezzo migliore di un motorino? Così comincia l’avventura. Le strade si sono un po’ asciugate, ma i tratti non asfaltati sono dei percorsi di guerra di terra rossa scivolosissima pieni di insidiose pozzanghere. Meno male che Maurizio se la cava bene, anzi sembra che si diverta anche. Dopo essere arrivati ad An Thoi, la piccola cittadina dove si trova l’aeroporto che non ha nulla di interessante a parte un porticciolo fluviale pieno di pescherecci, prendiamo la direzione sud per andare a vedere le Tranh Creek Falls. Dopo una ventina di minuti di strada arriviamo davanti ad un ingresso monumentale (e noi che avevamo paura di non trovarle!) ed entriamo in un giardino curatissimo dove scorre acqua da tutte le parti. Lasciamo il motorino al parcheggio, paghiamo l’ingresso (8.000 dong), ci mettiamo i costumi da bagno in uno spogliatoio e ci incamminiamo su per un comodo sentiero che costeggia un torrente limpido. Saliamo, saliamo, saliamo, e proprio quando Maurizio, sudatissimo, sta per dire che se ne vuole tornare indietro, ci appare un cascata meravigliosa, non molto alta ma arredatissima di piante tropicali e rocce e dall’acqua limpidissima. Il bagno è un sogno, con l’idromassaggio naturale di acqua fresca, e io, seduta su una roccia in mezzo all’acqua che mi scorre tutt’intorno, col sole che filtra fra le foglie e il rumore della cascata, mi mtto da parte 5 minuti di goduria che tirerò fuori per confortarmi d’inverno nelle giornate fredde. Torniamo giù giusto in tempo prima che arrivino le allegre comitive di gente del posto che, come noi, sono venuti a godere di un po’ di fresco in mezzo alla natura, stracarichi di vettovaglie e bottiglie di birra. Noi abbiamo avuto il nostro splendido momento privato, ora tocca ai Viet, in fondo è casa loro, no? Riprendiamo il nostro fido motorino e ci dirigiamo verso sud. Per una decina di km. la strada è tutta un cantiere. Ci sono in corso lavori di proporzioni ciclopiche. C’è bisogno di strade più sicure su quest’isola, adesso la carreggiata è larga si e no 4 metri, non è illuminata e non è neanche tutta asfaltata, ma ho paura che in un futuro molto vicino qui ci saranno le autostrade. Sarebbe un peccato che un’isola così selvaggia diventasse da un giorno all’altro la Phuket del Vietnam. Arriviamo a Bai Sao, e a Sao Beach rimaniamo abbacinati dal riflesso della sabbia bianchissima. La spiaggia è bellissima, veramente da cartolina. Facciamo il bagno e ci ripariamo subito all’ombra perché il sole tropicale, quando c’è, è veramente insopportabile. Non ci sono praticamente strutture turistiche se non qualche ristorante con pochi ombrelloni, qui ancora di turismo occidentale se ne è visto molto poco. Maurizio passa scrupolosamente in rassegna i ristoranti e ne sceglie uno dove si arrostisce il pesce al barbecue. Ci scegliamo un tavolo sotto a un ombrellone di paglia e ordiniamo un pranzetto memorabile: calamari fritti, gamberoni arrostiti e tranci di pesce alla brace (500.000 dong, circa 18 euro in due). Quando ci alziamo da tavola siamo pieni oltre ogni limite. Riprendiamo il motorino e prendiamo la strada del rientro, ma quando siamo nei paraggi del Mango Bay ci rendiamo conto che è ancora abbastanza presto, le buche della strada ci hanno agevolato la digestione, così preferiamo proseguire in direzione del Parco Naturale per andare a vedere la punta Nord dell’isola e la costa della Cambogia. Attraversiamo gruppetti di case di pescatori sperduti fra le mangrovie e la costa, attirando l’attenzione di frotte di bambini che fanno a gara per farsi fotografare. Io mi cimento nella guida e attraverso anche uno scassatissimo ponte di legno col cuore in gola suscitando l’ilarità di tutti. La strada, dopo, è uno spettacolo: una striscia di terra rossa che attraversa la foresta fitta e incontaminata, a sinistra c’è il mare agitato con le onde di spuma bianca e la spiaggia dorata infinita. Ci fermiamo a prendere un caffè in una capanna nel nulla dove vive una donna con la figlia adolescente. Sulla spiaggia c’è qualche ombrellone di paglia, forse la domenica ci viene qualcuno, ma oggi non c’è anima viva. Ci godiamo il riflesso del sole che sta calando, il vento del mare, la sabbia che scricchiola sotto i piedi. E vediamo la costa della Cambogia. Si è fatto un po’ tardi e la benzina scarseggia, così non ci avventuriamo fino al faro che sorge all’estremità nord dell’isola. Basta così. Bellissimo.

22 giugno

Oggi ci svegliamo con un acquazzone, ma non disperiamo perché ormai abbiamo imparato che il tempo dei tropici è mutevolissimo. Infatti, dopo la solita pantagruelica colazione, esce un bel sole e ci godiamo un paio d’ore sulla spiaggia a destra del ristorante, c’è anche un beach bar dove preparano cocktail di frutta deliziosi. Faccio una delle mie buone azioni ecologiche raccogliendo una busta piena di plastica portata dal mare agitato. Che peccato vedere tanta plastica in un posto così selvaggio… Il bagno con le onde è divertente e rinfrescante, il vento non ci fa avvertire il caldo e prendere il sole sui lettini di legno col materassino superimbottito è proprio una libidine. Purtroppo è ora di partire e, dopo aver preparato i bagagli e fatto un riposino e un’ultima doccia nel nostro giardino privato alle 2 un taxi gentilmente offertoci dal resort ci accompagna all’aeroporto, destinazione Saigon. Dopo un’oretta di volo ci ritroviamo catapultati nel caos del traffico della metropoli asiatica. Saigon ci piace più di Hanoi. Qui non c’è nessuno che cucina per la strada, le case sono ben tenute, la gente sembra più cordiale e riusciamo a comunicare in inglese. Il taxi ci accompagna alla guest-house di Diep Anh, che ho scelto su internet da Hoian, proprio nel District 1, il quartiere dei backpackers. E’ gestita da marito e moglie, sulla cinquantina, cordiali e disponibili. Si trova in un “soi” che sbuca su Pham Ngu Lao, una delle strade più trafficate e centrali della città. Appena lo imbocchiamo ci ritroviamo in un ambiente surreale. La gente vive in minuscole stanze dove c’è si e no lo spazio per un letto, un frigorifero e un altarino degli antenati. Ci sono bancarelle di street-food e innumerevoli guest-house. Nonostante la strada principale sia rumorosissima, la nostra stanza al 4° piano (ahi, i bagagli!) è silenziosa, pulita, c’è il ventilatore, l’aria condizionata e il frigorifero. Il letto è comodo, insomma c’è tutto il necessario per un viaggiatore no-frills stanco. Anh ci spiega come raggiungere il negozio XQ dove vogliamo acquistare dei ricami in seta. Non è distante e ci arriviamo a piedi attraversando un parco dove la gente si incontra la sera per giocare e fare sport. Diamo uno sguardo veloce al famoso Central Market, ma solo qualche minuto quanto basta per renderci conto che è l’apoteosi del tarocco. Non c’è nulla che sia taroccabile che in questo posto non si trovi a prezzi stracciati. Dato che l’articolo non ci interessa e i vicoli del mercato sono veramente claustrofobici e il tempo che abbiamo a disposizione è poco, usciamo e dopo pochi metri troviamo il nostro negozio. I lavori delle ricamatrici di XQ sono favolosi, gli arazzi di seta sulla trama trasparente del bisso sono vere e proprie opere d’arte. I più belli purtroppo non sono per le nostre tasche, ci vogliono anni di lavoro per realizzarli, ma riusciamo comunque a comprare a un prezzo più che accettabile un paio di quadretti da regalare e un bellissimo ricamo di fiori di loto da appendere a casa come ricordo di questo viaggio. Pare che avere in casa uno di questi quadri porti pace e prosperità. Le elegantissime commesse in ao-dai di seta ci lasciano gironzolare liberamente per il negozio e scattare foto affascinati dai ricami e dalle ricamatrici all’opera, ci offrono un buonissimo the e zenzero candito e ci osservano incuriosite e un po’ divertite. Loro sono così eteree, sembrano delle vestali, noi siamo rumorosi e goffi. Torniamo coi nostri acquisti alla guest-house, cerchiamo di compattare i bagagli sempre più pesanti, e siamo di nuovo fuori nel caos di Saigon. La signora Anh ci ha consigliato di andare a mangiare un “pho” (zuppa di noodles con verdura, carne e erbette fresche) in un posto molto viet qui vicino, che si rivela il migliore pho che abbiamo mangiato da quando siano in Vietnam. Quando ci alziamo da tavola ci sentiamo improvvisamente piombare addosso tutta la stanchezza della giornata. Neanche il tempo di dirlo, che veniamo placcati da una signorina in minigonna che ci propone un bel massaggio. C’è da fidarsi? Decidiamo di rischiare, anche se questa viuzza è piena di localini con le ragazze in bella mostra davanti ai negozi… Entriamo nel minuscolo centro estetico dove fanno manicure e messinpieghe, saliamo alla sala massaggi al primo piano e ci spogliamo. Ci stendiamo sui lettini e comincia il massaggio. Queste minuscole ragazze sono molto energiche e sento che i muscoli cominciano a rilassarsi. Quando la mia massaggiatrice apre la tenda che separa il mio lettino da quello di Maurizio capisco come fanno a esercitare pressioni così energiche e mi viene un accidente. Le ragazze si appendono a un’asta di acciaio sopra al lettino e letteralmente “camminano” sopra di te. Maurizio se ne sta lì beato e non si scompone neanche quando gli ricordo che la massaggiatrice sta camminando sulle costole che si è rotto l’anno scorso… Per farla breve, usciamo dopo un’ora completamente rimessi a nuovo dopo avere speso solo 4 euro a testa per il massaggio e Maurizio è tutto contento e ancora intero. Gironzoliamo ancora un po’ in questa zona che è piena zeppa di bar, agenzie di viaggio, di cambio, negozietti, guest-house, localini e prostitute in una confusione tutta orientale. Non ci attardiamo, perché domani ci dobbiamo alzare presto per il volo per Bangkok.

23 giugno

Dopo un sonno più o meno ristoratore, il taxi viene a prenderci alle 6 in punto. Tutto liscio col volo Air Asia (caretto, circa € 70 a testa) e atterriamo a Bangkok alle 11,30 circa. Per evitare lo stress dei tassisti voglio provare ad arrivare in città con i mezzi pubblici. Al piano interrato del favoloso Suvarnabhumi Airport c’è la stazione del treno. Dopo mezz’ora siamo al capolinea. Da qui prendiamo lo skytrain per Mochit, la fermata più vicina al mercato di Chatuchak, vicino al quale si trova il Serene Bangkok, il b&b che ho prenotato da casa su internet. Da Mochit arriviamo al b&b in taxi dopo circa tre quarti d’ora di viaggio dall’aeroporto e una spesa di quasi 200 baht. Alla fine non ne è valsa tanto la pena perché al Serene Bangkok ci dicono che in taxi avremmo speso sui 300 baht… ma vuoi mettere come ti senti viaggiatore usando i mezzi collettivi insieme a tutti gli altri thai invece che comodo comodo in taxi nel traffico come i turisti? Magari però senza valigie sarebbe meglio. Le stanze del b&b sono decorate con disegni naif coloratissimi, c’è quella con i delfini, quella con le rose, etc. etc., la nostra è quella con l’albero di frangipani con gli uccellini e il gatto. Tutte le pareti sono coloratissime e abbellite da disegni fatti dal fratello della proprietaria. Nel piccolo ma delizioso giardino con una piccola piscina circondata da orchidee e frangipani ci sono dappertutto statuine di bambini e uccellini di legno appesi agli alberi, sembra un asilo! L’atmosfera è tranquilla, contrariamente a quello che lascerebbe supporre il traffico incessante della strada principale. La nostra stanza è molto spaziosa, ha un lettone altissimo e comodo con baldacchino, aria condizionata efficiente ma non devastante, bagno con doccia e una enorme giara piena d’acqua che non capisco a cosa serva se non a rovesciarsi addosso litri di acqua fresca, cosa che col caldo che fa risulta assai piacevole. Dopo un pisolino ristoratore, nel pomeriggio andiamo in centro con lo skytrain. La nostra meta è il negozio di Jim Thompson, il famoso americano che ha dato nuova vita alla tradizione della meravigliosa seta thai promuovendone il commercio con l’Occidente, e facendoci anche tanti bei soldini. Il negozio è molto elegante e molto caro, e la merce è davvero della migliore qualità e di gusto anche per palati difficili come quelli italiani. Quando usciamo col nostro pacchetto veniamo bloccati dal solito procacciatore che ci vuole portare in un negozio vicino che, a suo dire, vende gli stessi articoli in seta di Jim Thompson alla metà del prezzo. Lo dribbliamo senza troppi complimenti. Welcome back to Bangkok! Dato che siamo nelle vicinanze del Paragon non riusciamo a trattenerci dal farci un giretto. Il tempio del consumismo thai è sempre una festa di luci, colori e lusso. Ci facciamo un po’ gli occhi al padiglione dell’artigianato thai ma non facciamo acquisti (basta!). La sera ceniamo dalle parti del b&b in un raffinato ristorante “etnico” che quindi propone anche piatti italiani. Ma noi insistiamo con spring rolls e pad-thai! La pastasciutta si mangia a casa. Torniamo di corsa al b&b perché siamo in ritardo per il massaggio prenotato stamani alla piccola ma curatissima, pulitissima e profumatissima spa. Il programma prevede un percorso relax: foot massage e thai massage per ritemprarci e prepararci a lungo sonno ristoratore. Dopo due ore in tutto di carezze e pressioni di due bravissime e simpatiche massaggiatrici che ridevano come matte delle dimensioni dei piedi di Maurizio arranchiamo fino alla nostra stanza e stramazziamo a letto.

24 giugno

Ci alziamo presto, come al solito, e decidiamo che la giornata di oggi sarà dedicata a vizi e sollazzi. E’ una bella giornata, così facciamo colazione a bordo piscina e poi, fra un bagno e l’altro, prendiamo il sole. Mi faccio fare la prima manicure professionale della mia vita da una manicurista filippina bravissima e mi faccio fare le unghie di un bellissimo rosso lacca. Ci vestiamo e usciamo per andare in centro. Facciamo una breve sosta all’MBK dove cerchiamo un iphone taroccato che troviamo a un buon prezzo ma non mi fido a comprarlo (se mi si rompe in Italia chi me lo ripara?). Comunque i cloni che si vendono qui sono veramente perfetti, non c’è alcuna differenza con gli originali. Riprendiamo lo skytrain e attraversiamo il Chao Praya. Scendiamo a quella che per ora è il capolinea, ma presto saranno ultimate altre due fermate oltre il fiume. Questa zona è abbastanza tranquilla, assolutamente non frequentata da turisti. Vorrei arrivare a piedi al Wat Arun, ma ho fatto male i conti con le distanze di Bkk e, dopo aver fatto un po’ di strada sotto un sole cocente su un vialone senza alcuna attrattiva dove non vediamo anima viva ma solo auto, quando abbiamo ormai deciso di fermare un taxi, intravediamo le bancarelle di un mercato alimentare coperto. Naturalmente ci infiliamo e ci ritroviamo in un vivace mercato autenticamente thai, dove ci sediamo a mangiare un fantastico pad-thai (45 baht a testa), coca.cola (10 baht) e una dolcissima papaia (20 baht) sotto gli occhi divertiti dei locali che stavano seduti a guardare un incontro di muai-thai trasmesso da un megatelevisore in mezzo ai tavolini. Questa città può riservare piacevoli sorprese se solo si esce dai circuiti più battuti dai turisti. Usciamo soddisfatti dal mercatino e prendiamo un taxi che ci accompagna al complesso dei templi buddisti del Wat Arun. Questo “chedi” è molto più antico di quelli dei templi vicino al Royal Palace e nella nostra precedente visita a Bkk non avevamo fatto in tempo a vederlo. Siamo contenti di esserci riusciti questa volta perché mi è piaciuto più di tutti, sarà perché non è stato restaurato come gli altri templi e mostra ancora i segni del tempo sulle meravigliose decorazioni di maioliche colorate, sia perché salendo su ripidissimi gradini da infarto si arriva in alto da dove si ha una veduta mozzafiato sul fiume e la città. Il traghetto ci riporta sull’altra sponda del fiume dove, col Chao Praya Express scendiamo alla “nostra” fermata di Phra Artit dove ritroviamo l’albergo Navalai dove abbiamo soggiornato l’altra volta con il delizioso ristorante-bar sul fiume “Acquatini” dove facciamo una sosta per riprenderci dal caldo mentre il sole tramonta sul fiume. La passeggiata a Kao San Road è d’obbligo, ma non prima di una bella pulizia del viso nel “mio” centro estetico (200 baht). A Kao San è tutto un film già visto: farang, backpackers, venditori di mercanzie più o meno interessanti e di street-food, centri tatoo e locali dove l’alcool e sicuramente altro scorre a fiumi. Sempre divertente, comunque, e non caotico come me lo ricordavo. E’ low season anche qui. Torniamo al b&b in taxi, il tassista è onesto e preciso, così lo prenotiamo per domani alle 20 in punto per accompagnarci all’aeroporto (sigh!)

25 giugno

Dopo una dormita quasi normale e una nutriente colazione ci prepariamo per una giornata molto impegnativa. Oggi si va al Chatuchak Weekend Market che si dice sia il più grande mercato dell’Indocina. Arriviamo all’orario di apertura, alle 9, così possiamo approfittare del “fresco” e gironzolare liberamente senza doverci fare largo nella ressa. Scendiamo davanti al settore dell’arredamento e dell’antiquariato con l’idea di acquistare una credenza per casa. Ci innamoriamo a prima vista di un mobile tibetano dai colori meravigliosi spacciato dalla negoziante cinese per antico, ma che sicuramente è solo vecchio. Cartina alla mano (indispensabile, ne distribuiscono a tutti gli ingressi del mercato) cominciamo a gironzolare per gli innumerevoli “soi” che sbucano nelle “main road”. C’è merce in quantità inimmaginabili di ogni genere, il mercato è più o meno diviso per settori, solo il cibo si trova più o meno ovunque: abbigliamento, complementi d’arredo, arte, artigianato, animali etc. etc. I prezzi sono convenienti, e spesso la merce in vendita è di buona qualità. Troviamo molto interessante il settore dell’arte, con opere originali di autori locali che non avremmo mai pensato di vedere in vendita in un mercato. Ritroviamo qui in quantità e assortimento enormi gli stessi articoli che ci è capitato di acquistare nei mercatini in giro per la Thailandia, e la stessa merce che si trova nei negozi etnici europei, anche di buon livello, a prezzi veramente convenienti. Per l’abbigliamento c’è veramente da perdere la testa: magliette e scarpe decorate a richiesta, foulards e sciarpe di seta, vestitini coloratissimi, ciabattine per tutti i gusti e accessori molto belli e originali. Naturalmente facciamo qualche acquisto, ma non tanti quanti vorremmo sia perché il nostro bagaglio è già strapieno, sia perché non vogliamo sforare di troppo il budget lasciandoci prendere dall’ansia del consumismo. I bancomat, come i servizi igienici (pulitissimi, ci sono anche le docce) sono vicino a tutti gli ingressi. Dopo qualche ora il mercato si affolla, e nei “soi” si fa fatica a farsi largo, così usciamo dal mercato e andiamo, come fanno anche tanti altri, a riposarci sull’erba del parco accanto al mercato. Meno male che in questa città così caotica si trova sempre un posto dove rilassarsi e recuperare le forze. Poi andiamo a mangiare un ottimo pad-thai in una delle tante bancarelle di street-food lungo la strada. Recuperate un po’ e forze, torniamo nel negozio della cinese. Ci aspetta una trattativa sfiancante per l’acquisto del mobile tibetano, ma la signora non scende sotto i 32.000 baht e, fatti quattro conti, ci rendiamo conto che le spese di trasporto sono troppo alte e il gioco non vale la candela. Peccato! Così ci rituffiamo nel mercato, nella zona degli animali. I bellissimi pesci e coralli in vendita non possono non farci pensare che tutte quelle meraviglie sono state sottratte al loro ambiente nel mare per essere vendute, così non riusciamo a entusiasmarci per un mercato che presenta risvolti ai limiti, se non oltre, della legge e del buon senso. Lo stesso dicasi per cani, uccelli tropicali e altri animali rari e magari in via di estinzione che qui vengono tenuti in gabbie piccolissime e venduti liberamente. In questa zona del mercato è quasi ovunque tassativamente vietato scattare fotografie. Quando decidiamo di uscire dal mercato la gente ormai arriva a frotte, e si cominciano a vedere ceffi poco raccomandabili, così alle tre e mezza preferiamo saltare sul primo taxi e tornare al Serene Bangkok a rilassarci con un bagnetto in piscina e il solito fantastico foot massage. Si cena velocemente con un tom yum, pollo fritto e papaya salad al golf club accanto al b&b. Strano hobby passare tutto quel tempo a colpire palline, strano ambiente, sono tutti uomini. De gustibus… Alle 20 in punto troviamo il taxi per l’aeroporto ad aspettarci, si torna a casa sazi dopo un viaggio veramente intenso. E’ stato un po’ faticoso a volte, consiglio un viaggio così solo a persone in buona forma fisica. Il clima del Vietnam mette a dura prova anche i fisici più allenati, ma io ripeterei domani stesso tutto quanto. Il popolo vietnamita ci ha colpiti per il senso della comunità, dell’ identità nazionale, per la laboriosità e la tenacia. Le differenze fra nord e sud sono ancora molto evidenti. Il nord è ancora la parte più povera del paese, ed è anche quella dove ancora si sente l’orgoglio dell’indipendenza riconquistata a caro prezzo, a volte anche sotto forma di diffidenza e anche di sufficienza nei confronti della gente occidentale, atteggiamento che comprendiamo benissimo. Qui i manifesti di propaganda troneggiano ovunque, mentre a Saigon ci sono, ma sono semisommersi dai cartelloni pubblicitari. Al sud la gente è meno prevenuta nei confronti degli occidentali e li accoglie con più naturalezza. Ci vorranno ancora anni prima che l’atteggiamento del popolo vietnamita nei confronti degli occidentali sia più sereno. Mi domando se in questo paese, ancora prevalentemente agricolo, si riuscirà a trovare un modello di sviluppo diverso dal capitalismo occidentale, e se le campagne continueranno ad essere coltivate a riso e frutta. Me lo auguro sinceramente. Mi chiedo se i vietnamiti riusciranno a preservare valorizzare la enorme ricchezza rappresentata da un ambiente che, pur ferito profondamente dalla recente guerra, è ancora in gran parte bellissimo e poco contaminato. Mi auguro che i giovani, che sono il 70% della popolazione, non si lascino sedurre dalle mode e dallo stile di vita di stampo occidentale, altrimenti quello che credo sia rimasto il più autenticamente “asiatico” dei paesi dell’Asia perderebbe il suo fascino e diventerebbe una copia della Thailandia, e probabilmente sarebbe una brutta copia. Spero che il governo capisca il potenziale di sviluppo che il turismo, se fatto in maniera compatibile, rappresenta per il Vietnam e incentivi lo studio delle lingue straniere. La chiusura orgogliosa di fronte al resto del mondo non può che impoverire un paese. Mostrare il proprio paese bello e felice al resto del mondo sarebbe la più bella rivincita per un popolo che ha sofferto tanto. E’ con questo augurio che ripenso a questo bellissimo viaggio in un paese d’acqua: fiumi, cascate, laghi, spiagge e montagne verdi, e con la sottile e malinconica sensazione di avere avuto la fortuna di visitarlo un attimo prima che tutto cambi.

Maurizio e Anna maurizio77@virgilio.it asiviero1962@libero.it

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