Viaggio sui generis in Sicilia

VIAGGIO SUI GENERIS IN SICILIA di Salvino Messina Non si può con semplici parole di circostanza offrire una immagine approfondita della realtà dell’Isola, per di più ignorando i risvolti intellettualoidi di cui sono venuti a conoscenza i viaggiatori più curiosi ed intriganti. Abbiamo visitato in lungo e in largo, per un mese, ogni...
Scritto da: salvino.messina
viaggio sui generis in sicilia
Partenza il: 03/09/2009
Ritorno il: 29/09/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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VIAGGIO SUI GENERIS IN SICILIA di Salvino Messina Non si può con semplici parole di circostanza offrire una immagine approfondita della realtà dell’Isola, per di più ignorando i risvolti intellettualoidi di cui sono venuti a conoscenza i viaggiatori più curiosi ed intriganti.

Abbiamo visitato in lungo e in largo, per un mese, ogni anfratto dell’Isola del sole, come Omero chiamava la Sicilia, o “terra di ciclopi”, che ne furono i primi abitanti. I greci la chiamavano Trinacria per la forma del triangolo ed Ovidio scrisse “terra che tre scogli al mar si stende e che prende il nome dalla forma”. Oppure anche Trinacride, Trivertice, Tricuspide, Tricefala e Tricolle.

Qualcuno fa derivare la voce Sicilia dal fico e dall’olio, di cui l’isola abbonda, poiché in grèco i nomi dei suddetti alberi sono ztr(fico) e ellia (olio).

L’isola ha conservato il nome anche quando lo usò il regno di Napoli e sotto il pontificato di Clemente IV nel 1265. Alfonso con i due regni si proclamò re delle Due Sicilie. Terminiamo queste “dotte” citazioni riferendo che nell’Odissea l’autore dice che la Sicilia era così ubertosa che nei campi non arati né tanto meno seminati, si producevano biade, orzo e viti.

Abbiamo imparato tante cose che concernono l’arte, sperimentando quanto sia vero il detto del poeta: l’arte rinnova i popoli e ne rivela vita. Al riguardo perché non ammettere, forse per pudicizia, che l’intera isola è uno scrigno ricolmo di arte, di opere, di monumenti. E non parliamo dei panorami che ad ogni piè sospinto ti ammaliano e ti mozzano il fiato! Al riguardo si può affermare che l’Artefice del mondo ha realizzato un portento della natura dotando l’Isola dell’immensa forza del vulcano.

Quando stava terminando il giro turistico, non sapevamo che pesci prendere: se prolungare il soggiorno o tornare alle nostre quotidianità. Una cosa è certamente emersa: per visitare l’isola ci si deve liberare dei pregiudizi stereotipati ed essere coscienti, al di là della delinquenza organizzata, che, come ha scritto Guy de Maupassant sul finire del diciannovesimo secolo, ci sono più delitti a Londra che in tutta la Sicilia.

Bagheria e Monreale: due città emblematiche, per un verso o per l’altro, della realtà siciliana, che presentiamo all’attenzione di quanti hanno la ventura di leggere questi brevi appunti riducendo il rapporto a poche ed essenziali note Bagheria In dialetto Baaria, ha una estesissima ed amena campagna, ad oriente del territorio di Palermo ove sono disseminate le ville (e che ville) dei Signori.

Citiamo per prima quella del Principe di Butera e conte di Raccuglia; la villa Cattolica,Valguarnera, villa Naselli di Aragona, S. Cataldo, villa S.Isidoro, Roccaforte Villarosa, dei Filangeri, villa Palagonia la più famosa.

Varie opinioni si agitano sulla voce Bagheria, in latino Bayaria. Chi la nomina bahcaria in omaggio a Bacco a cui in passato avevano dedicato un tempio in nome dell’abbondanza (allora) di eccellenti vini.

Un altro studioso afferma essere un nome saraceno significante terreno renoso e soggetto a frane. C’è chi l’interpreta come terra marittima per il sito bagnato dal mare (Bahar fra gli arabi vale mare).

Infine, la voce presso i Punici significava gran mosca, che presagisce calma di mare.

Monreale! Adagiata alle pendici del monte Caputo su uno sperone, che domina la valle dell’Oreto e della ex Conca d’Oro. Ex, perché nella grande vallata i giardini sono stati ingoiati dal cemento e da una infinità di costruzioni, con l’aggravante che i proprietari non sono stati lungimiranti, lasciando pochissimo spazio per le stradine di accesso.

Né tanto meno le autorità hanno redatto un pur minimo piano regolatore. In compenso, se si ha la ventura la sera di affacciarsi dal terrazzo del Belvedere ricco di secolari magnolie, si può godere di un panorama davvero eccezionale, avendo sotto la veduta di una valle che dalla località di Giacalone si stende fino alla metropoli palermitana (20 km circa) in un caleidoscopio fantasmagorico di luci.

È famosa per la Cattedrale S. Maria la Nuova, ch’è un capolavoro architettonico dell’età normanna, in cui risplendono le più genuine manifestazioni delle culture islamiche e bizantine, oltre i notevoli apporti dell’arte siciliana nelle varie sfaccettature in cui si esprime.

Monreale è uno scrigno, contenuto nel più grande forziere isolano.

Nella città normanna circola questo aforisma: chi va a Palermo e non viene a Monreale, asino arriva e asino se ne torna.

*** E perché non fare una capatina al Castellaccio, in cima al Monte Caputo, tra Monreale e S. Martino delle Scale, (le due località collegate da una ottima strada panoramica che scavalca il monte) di cui ancora dopo 800 anni circa non si è arrivati con unitarietà ad inquadrarlo come castello arabo o monastero normanno.

*** Un tempo l’isola fu divisa in Sicania (dai popoli sicani) e Sicilia (dai Sicoli); i primi abitavano l’intera isola sino a quando non si sono mossi, spinti dalla paura del fuoco del vulcano che in vari punti prese a divampare e, abbandonate le parti orientali, trasmigrarono nelle occidentali”. Dopo alcuni secoli i Sicoli occupavano le terre abbandonate dai Sicani.

Nulla osta a credere che la Sicilia un tempo è stata unita all’Italia.

Ci credono alcuni illustri personaggi la cui fonte è una poesia di Eschilo.

Diodoro scrive: ”gli antichi scrittori di favole attestano essere stata la Sicilia penisola un tempo”.

Esiodo ed Omero precedettero di quattro secoli Eschilo e descrissero per isola la Sicilia.

*** Per quanto concerne la superstizione, si può dire che in un lontano passato si è assistito alla venerazione di Numi barbari. Il culto di Cerere e di Proserpina, di antichissima tradizione, e a cui era attribuita la cultura della terra, la semina del grano, delle biade e di quanto è necessario per la vita, fu assorbito e fatto proprio da Cartagine, emula di Roma.

Ma perché rinvangare gli oracoli e/o i sacrifici e altre diverse circostanze in omaggio alle varie idolatrie che allignavano nei secoli bui, e non descrivere più opportunamente i culto del vero Dio e del suo Figliolo, che hanno propiziato una raccolta di ricchi frutti? Ci fermiamo qui non senza avere ricordato al colto e all’inclita che la lingua italiana ebbe culla in Sicilia alla corte dell’Imperatore Federico.

Ora, se il lettore di questi appunti sente lo stimolo ad approfondirle, ben vengano questi interessi.



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