Viaggio nelle Highlands
Indice dei contenuti
Lunedì 21 maggio
In volo, lasciando l’aeroporto di Milano, la coltre di nubi sotto di noi è inguadabile per il riverbero del sole che ferisce gli occhi con la sua luce riflessa. A tratti si fa più scura e buia, poi di nuovo accecante. Finalmente dirada fino a trasformarsi in un gregge di nuvole bianche, soffici e strette le une alle atre proprio sopra le coste dell’Inghilterra. Quando cominciamo la discesa in arrivo all’aeroporto di Edimburgo il cielo si fa limpido, l’orizzonte terso e sotto di noi il verde chiaro dei campi e quello più scuro delle aree boscose si alternano allegri e luccicanti in una scacchiera asimmetrica come le figure di un ‘tartan’ drappeggiato ad arte.
Dall’aeroporto raggiungiamo il centro di Edimburgo in bus: una schiera di case piccole e scure orlate ognuna da un giardino ben curato, ci scorrono davanti introducendoci nella tipica atmosfera delle città inglesi. Il piccolo albergo che offre bed & breakfast dove pernotteremo è a poche centinaia di metri dalla stazione, con vista sul castello. L’accoglienza è buona, la stanza perfettamente attrezzata e pulita.
Ma non è facile trattenersi. Posiamo le valigie e usciamo: la serata limpida sarà chiara ancora per molte ore e noi vogliamo goderci Edimburgo. Le case, le strade, i ponti, tutto ha un suo fascino particolare.
Sognavo di vedere la Scozia da… forse da quando avevo 15 anni… non so neppure io il perché…
Niente delude, persino la cornamusa, suonata ad ogni angolo di strada a puro beneficio dei turisti, (un miagolio insistente che sarebbe insopportabile in qualsiasi altro luogo o momento) non stona e ci si accorge che è quasi ‘credibile’ qui, come gli uomini in kilt, qui… solo qui…
Davanti a noi ora c’è il castello e più in basso, scendendo lungo Royal Mile, si arriva alla Holyroodhouse, residenza scozzese ufficiale di Sua Maestà la Regina. A metà strada ci fermiamo ad ammirare la maestosa cattedrale e giù in Victoria Street il susseguirsi gioioso dei negozi dalle facciate colorate.
Pretendere di vedere Edimburgo in un solo pomeriggio sarebbe un insulto all’arte, alla storia, alle tradizioni…
Noi non lo faremo: torneremo ancora qui alla fine del nostro viaggio nelle Highlands, intanto ci godiamo quel che c’è da vedere strada facendo.
Come l’effigie di Bobby, cane di razza terrier diventato famoso nel diciannovesimo secolo per aver passato quattordici anni dalla sua vita a fare la guardia alla tomba del suo padrone dalla quale si allontanava solo in cerca di un po’ di cibo e di un alloggio caldo dove passare la notte nei mesi invernali. Adottato dall’intera cittadinanza di Edimburgo, alla sua morte è stata eretta una statua in bronzo in suo ricordo, poco lontano dalla tomba del suo padrone, ma fuori dal vecchio cimitero dove non poté essere seppellito perché terra consacrata.
A fianco della cancellata del cimitero un bar si ispira a questa storia e, oltrepassando i suoi cancelli, troviamo ancora una lapide in marmo con il nome del cane e la scritta ‘che la tua devozione e fedeltà siano di esempio a tutti noi’.
A questo punto ci fermiamo a visitare il vecchio cimitero.
Scelta insolita, direte voi…
Allora vorrei che poteste osservare insieme a me l’affascinante ambiguità di questo posto di pace che sotto il sole di questa sera ci appare di una serenità assoluta… Il leggero pendio morbido di erba ben rasata, il verde delle fronde fruscianti alla leggera brezza… il silenzio che non ha bisogno di essere imposto, ma al contrario, è fatto di frasi sussurrate quasi a timore di rompere un incantesimo.
Come non si può pensare di riposare in pace in un luogo del genere.
Eppure, allo stesso tempo non è difficile immaginare quanto diverso tutto questo ci possa apparire in una notte di luna piena o in una serata uggiosa dove la luce si trasforma stendendo tutto attorno un’inquietante velo di mistero ed evocando immagini cupe e spettrali…
E non bisogna neppure essere necessariamente appassionati di racconti dell’orrore per lasciarsi suggestionare dalle macabre figure incise sulla pietra e da testimonianze storiche, come la grata di acciaio posta su una tomba al fine (come recita la targa) di prevenire il furto del cadavere da parte dei profanatori che lo avrebbero venduto alla classe di anatomia della facoltà di medicina… Wow!
Martedì 22 maggio
Il nostro secondo giorno in Scozia si sveglia avvolto da una nebbia leggera che sfoca appena i contorni di case e strade. Noi usciamo presto, prendiamo un caffè e un muffin da Starbucks come nei telefilm americani e ci fermiamo nel parco a consumare la nostra colazione in compagnia di uno scoiattolo.
Poi, carichi come muli, raggiungiamo la stazione. Oggi, la nostra scelta di usare i mezzi di trasporto pubblici si rivelerà particolarmente azzeccata poiché, mentre le principali arterie stradali seguono la costa, solo la ferrovia attraversa la regione montuosa.
Il costo del treno (piuttosto alto) è in parte giustificato dalla precisione delle corse, dalla minuziosa informazione in stazione e durante il viaggio, dalla comodità e dalla pulizia delle vetture, complice una buona educazione che qui viene data per scontata. Dopo un prima tratta facciamo una breve sosta a Glasgow e ne approfittiamo per un giretto per le strade della città in attesa del treno per Fort William.
Ripartiamo alle 9.05, ci lasciamo alle spalle un paio di paesoni dell’interland di Glasgow, poi ecco la tipica campagna inglese. Quindi il panorama cambia rapidamente. Gli arbusti di ginestre lasciano il posto a piante ad alto fusto, l’orizzonte si fa movimentato, di un verde brillante a ridosso della ferrovia e più scuro in lontananza. In breve il paesaggio si fa montuoso: ampi pascoli che a tratti cedono il passo a pinete fitte fin sulle cime, poi ancora pascoli costellati qua e là da piccole macchie di abeti. Il nostro tour prevede una tappa a Rannoch intorno all’ora di pranzo.
Ora, lasciatemi spiegare come la scelta di Rannoch quale meta intermedia del nostro secondo giorno di gita sia stata frutto di un’oculata strategia turistica: il fatto è che uno dei membri della spedizione ha puntato un dito a caso sulla cartina e ha detto ‘ci fremiamo qui: mi piace il nome!’ Ma cosa c’è da vedere a Rannoch? Beh, appena scesi dal treno ci accorgiamo che a Rannoch c’è la stazione con una bella balconata di viole sotto la finestra e una graziosa tea room che, ci dicono, ‘aprirà dopodomani’. Saliamo sull’attraversamento pedonale dei binari e ci incamminiamo sull’unica strada che parte da lì e si snoda in mezzo alle colline. A poche centinaia di metri incontriamo una bellissima ‘guest house’ davanti alla quale due nonnine sedute su una panchina in legno sorseggiano un the e leggono un libro condividendo lo stesso plaid sulle ginocchia. Ancora pochi passi e ci ritroviamo davanti al cartello ‘Rannoch station’. Per vedere se esiste anche una ‘Rannoch city’ saliamo su una cresta e ci guardiamo attorno. Davanti a noi il nulla… se di nulla vogliamo parlare! Non fraintendetemi: il silenzio è totale, ma ovunque volgiamo gli occhi, lo sguardo è appagato ad un paesaggio quasi irreale. Sotto i nostri piedi il pendio degrada dolcemente fino a un immenso lago, a destra e a sinistra ancora prati ondulati, interrotti qua e là dal luccicare di piccoli corsi d’acqua che affiorano dal tappeto paludoso, più in là ancora il contorno di un lago; alle nostre spalle le colline che si alzano fino a raggiungere cime dal contorno mai troppo aspro e ricoperte da fitti boschi di sempreverdi; in lontananza il viadotto della ferrovia che si slancia su di un ponte di ferro verde come il panorama alle sue spalle. Il cielo è limpido come raramente accade da queste parti e la luce del sole inonda uniforme la campagna riflessa nei molti specchi d’acqua. Decidiamo di raggiungere la riva di un lago per fermarci a mangiare, ma con calma: la pace che regna tutto attorno detta il ritmo dei nostri passi… infondo non dobbiamo mica prendere un treno… almeno fino alle tre del pomeriggio. Improvvisamente da dietro una piccola macchia di arbusti più alti, un branco di capre selvatiche ci attraversa davanti scomparendo a grandi balzi oltre le collinette nella direzione del lago a cui siamo diretti. A questo punto lasciamo la strada e procediamo seguendo gli animali. In verità noi siamo molto meno agili… (solo perché loro non hanno gli zaini!!) e il verde più intenso dei parati si rivela intriso di acqua. Io sprofondo con gli scarponi nel terreno paludoso e mi lamento: ma dovevamo proprio lasciare il sentiero!
‘Se lo fanno le capre possiamo farlo anche noi!’ sentenzia la guida (nonché ideatore/organizzatore/fotografo ufficiale) del nostro tour.
Ancora qualche passo e mi ritrovo ginocchioni nella melma (ma vaf.. un po’ anche a lui e alle capre! fortuna che non era pronto con la macchina foto!).
Ritroviamo un sentiero, poco dopo una strada di terra battuta e, qualche centinaio di metri più avanti lo spettacolo ‘paga’. Davanti a noi ecco il lago con la vegetazione che declina dolce sul greto sabbioso. La superficie, dorata dal sole, è appena increspata dalla leggera brezza che fa frusciare i pini alle nostre spalle e tutto attorno ancora quel magnifico orizzonte appena ondulato che lascia correre lo sguardo all’infinito… da togliere il fiato.
A questo punto sono in pace col mondo… e per un attimo non esiste altro che questa sensazione…
Poi prevale la fame: apriamo gli zaini e diamo fondo alle provviste!
Solo un’ultima considerazione: ma nel pacchetto turistico non era compreso anche un meraviglioso Highlander che mi doveva togliere d’impiccio e portare nel suo cottage offrendomi un the mentre calze, scarpe e… pantaloni asciugavano davanti al camino? Mi dicono di no!
Mercoledì 23 maggio
Il mattino del nostro terzo giorno di viaggio ci svegliamo in un albergo così caratteristico da farci sentire in un film d’altri tempi e questa è una sensazione che ci accompagnerà per tutta la giornata, oggi…
Siamo arrivati a Fort William ieri sera, in treno e siamo stati accolti da una ridente cittadina adagiata in fondo alla valle di Great Glen a pochi chilometri da Ben Nevis, la montagna più alta di tutta la Gran Bretagna.
Originariamente cresciuto intorno al villaggio di Inverlochy il paese ci è subito apparso quasi fiabesco con le sue piccole case dai tetti scuri, “dipinte” sullo sfondo verde della collina che accompagna dolcemente lo sguardo fino al placido specchio d’acqua nel quale si riflette.
Dell’antica tradizione di villaggio di pescatori Fort William conserva certo molte caratteristiche non ultima una cucina a base di pesce che ci delizia nel bel ristorantino dal tetto rosso aggrappato al piccolo molo che si sporge sull’acqua.
Dalla stazione di Fort William, che oggi vive per lo più di turismo, ogni mattina alle 10.00, in questa stagione, parte una corsa davvero speciale.
Sto parlando del treno a vapore, The Jacobite Steam Train che raggiunge Mallaig con un percorso assai suggestivo e che, per gli appassionati del genere, è precisamente il treno che porta Herry Potter a Hogwards! (quello usato per le riprese del film)
Questa mattina noi, alle dieci in punto, siamo sul binario… 9 e 3/4!
Eccolo! L’odore acre del carbone riempie l’aria e subito mi accorgo che quella di oggi sarà una giornata adatta a nostalgici ai romantici e a chi ama lasciare correre la fantasia.
Beh, io sono tutte e tre le cose… e tanto altro ancora…
Camminando all’interno della carrozza non posso non farmi catturare dall’atmosfera: è un viaggio nel tempo oltre che nello spazio… I corridoi ricoperti di legno… il vagone dove servono la colazione… Mi sento come nelle riprese di un film, ma il vero ‘sogno’ comincia in prima classe. I sedili rivestiti di broccato, i tavolini blu, dello stesso colore della moquette che copre il pavimento, perfettamente apparecchiati per la colazione, una caratteristica lampada con paralume bianco orlato di passamaneria dorata giusto davanti al finestrino e, per gli ospiti del primo scompartimento che evidentemente festeggiano un’occasione speciale, una bottiglia di champagne…
Il viaggio ha inizio…
Il percorso di questo treno senza dubbio non è stato scelto a caso: il panorama della campagna scozzese, già molto bello con le sue verdeggianti colline, si fa davvero spettacolare quando il treno imbocca il lunghissimo viadotto di Glenfinnan nei pressi della stazione omonima. Qui la ferrovia si slancia da una sponda all’altra di una gola curvando dolcemente su di un viadotto risalente alla fine del 1800 sorretto da ben 21 archi di pietra che arrivano fino ad un’altezza di 30 metri.
La cosa incredibile è che a un certo punto, dalle ultime carrozze del convoglio si riesce a vedere la locomotiva sbuffante che ha già superato la metà della curva.
Ora, io non ho testimonianze fotografiche di ciò che ho appena descritto (non era alla mia portata), ma ho visto il nostro fotografo ufficiale (nonché guida/ideatore/organizzatore del tour) sporgersi fuori dal finestrino per immortalare in ogni istante il pittoresco panorama, incurante della fuliggine che gli ha tinto il viso (eh, eh… era nero come il macchinista!) e rischiando il soffocamento alla prima galleria che lo ha sorpreso col finestrino aperto! (ah, ah, ah!)
Man mano che ci avviciniamo alla costa la vegetazione comincia a cambiare, il verde si fa più intenso e nell’ultimo tratto della corsa l’oceano ci accompagna all’orizzonte.
Neppure Mallaig delude: un piccolo porto con tante case bianche che dalla riva si specchiano nel mare dorato dal sole e, ad accoglierci, una stazioncina che ci appare come un modellino sullo sfondo di un diorama.
È l’ora di pranzo, prendiamo fish and chips al take away della stazione a andiamo a mangiarcelo al porto in compagnia di un gabbiano che disdegna le patatine, apprezza molto il pesce ma (ve lo giuro!) sputa la pastella!
Rientriamo a Fort William che sono le quattro e mezza del pomeriggio.
Il resto della serata lo passiamo a goderci la cittadina e scopriamo i resti di un vecchio forte.
Le pietre secolari che dovevano difendere il paese corrono lungo la costa creando una piccola baia protetta dal vento. Un piccolo arco attraversato da un sentiero di ghiaia accompagna paziente i passi dei visitatori fin sul tappeto erboso ben rasato che invita alla sosta.
C’è calma, c’è pace e tranquillità nell’aria, e io cedo volentieri all’invito: mi siedo e lascio correre lo sguardo lontano…
Credetemi, potrei stare così fino a domattina…
Ma la luce è ancora troppo bella: i riflessi sull’acqua, il colore delle nuvole oltre il contorno del monte, il profilo delle piccole imbarcazioni… Beh, non è compito mio… Io, quello che ho potuto fare per ‘mostrarvi’ le meraviglie di un’altra giornata di gita, l’ho fatto…
Ora lascio che lavorino i professionisti: il nostro instancabile fotografo ufficiale e la sua insostituibile assistente che si cimentano in alcuni scatti davvero straordinari.
Giovedì 24 maggio
Il mostro di Lochness è come babbo Batale, a un certo punto decidi di crederci perché, se no lo fai più, senti di perdere qualcosa del fascino del natale… o del fascino della Scozia.
Il fatto che i regali compaiano magicamente sotto il tuo albero o la reale possibilità di vedere il mostro più famoso al mondo durante una piccola crociera sul lago è irrilevante.
Oggi noi andiamo a cercare Nessie.
Dobbiamo partire da Fort William alle 9.00, ma sotto la pensilina della stazione dei pullman aspettiamo più di venti minuti oltre l’orario previsto. Chiediamo ad uno degli altri potenziali passeggeri se di norma i pullman partono in ritardo lì in Scozia (non per fare i polemici… sapete ben come vanno ste cose in Italia) e ci rispondono che è la prima volta…
Va beh, noi siamo pronti… con armi e bagagli… prima o poi vedrete che partiamo!
E, infatti, ecco il pullman che arriva, il conducente è così in ansia di recuperare il tempo perduto che ci fa salire tutti in fretta e furia, senza neppure perdere tempo a farci caricare gli zaini nel vano portabagagli, tanto di spazio sopra ce n’è, e via!
Più veloci della luce… neanche fossimo ad Indianapolis… La strada che si snoda nella valle, segue il corso del fiume che ogni tanto si adagia stanco a riposare nell’alveo di un lago, poi si stinge di nuovo… appena un po’… fino al prossimo lago… La nostra meta è il castello di Urquhart. Perché proprio questo castello? Perché Urquhart Castle sorge su un promontorio roccioso che si protende nelle profondissime e gelide acque del Loch Ness, perché dall’estremità settentrionale di questo promontorio si gode una magnifica vista del lago e del superbo scenario della vallata del Great Glen. e perché le sue rovine, intrise di storia, ci accompagneranno in un viaggio, ancora una volta, nello spazio e nel tempo.
Eccoci qua, ed ecco come ci appare il castello di Urquhalrt in questa splendida giornata di sole. Raggiungiamo il promontorio seguendo la strada che scende dolcemente verso il lago. Il castello, come ogni castello che si rispetti, è difeso da terra dal vuoto di un fossato che in alcuni punti raggiunge i cinque metri anche se, così come ci appare oggi, rivestito di un morbido tappeto smeraldo, non sembra affatto minaccioso. Proprio davanti a noi un terrapieno in pietra accorcia la distanza delle due sponde e un solido ponte fisso colma il vuoto dove un tempo si trovava un ponte levatoio.
Attraversiamo l’arco d’ingresso munito, in principio, di due alte torri di difesa delle quale oggi rimane solo il piano terreno e davanti a noi si apre una finestra su un mondo fantastico.
Lo sguardo corre verso l’orizzonte spostandosi ammirato dal blu più intenso del lago al verde delle coste occhieggianti di gialle ginestre, dalle cime più brulle dei monti alla valle che si chiude discreta e silenziosa in lontananza.
Poi viene catturato dal perimetro delle pietre secolari che ci conducono all’antica quotidianità di un focolare e di un grezzo forno, ci accompagnano negli angusti sotterranei intrisi di mistero, ci intrappolano nelle fantastiche storie racchiuse dietro grate inaccessibili e… Ed ecco che oltre le finestra aperta sull’imponente muro, è protagonista ancora il lago.
È mezzogiorno, l’area attrezzata di accoglienza al castello è fornita, come c’era da aspettarselo, di un piccolo ristorate-bar dove ci sediamo e consumiamo una degnissima tomato-soup. Facciamo un giro nel negozio di souvenir traboccante di monili della tradizione celtica, poi di nuovo in riva al lago a scrutare l’orizzonte. I traghetti carichi di turisti solcano le acque avanti e indietro, sfregiando col loro rimescolio la superficie dello specchio d’acqua mentre il vento soffia costante portando alle narici un molle odore di muschio e di resina. Tra le vecchie mura un uomo con un panciotto scozzese vigila attento, pronto a riprendere chi lascia i tanti sentieri di ghiaia finendo col calpestare il manto erboso. Rispetto e pulizia, bisogna dirlo, onorano la bellezza di questo posto. Sarebbe bello restare ancora a lungo, ma alle 15.00 passa il pullman che ci porterà a Inverness, ultima meta del nostro viaggio. È giunto quindi il momento di tornare al pensiero di partenza: io, per dovere di cronaca, il lago l’ho guardato proprio bene… in lungo e in largo… e ne ho fotografato ogni angolo… anche il più nascosto, ma di Nessie nessuna traccia. Naturalmente tutto questo non significa affatto che il mostro non esista! Solo che dovremmo tornare ancora a cercarlo! Sì!
Venerdì 25 maggio
Il nostro ultimo giorno di spedizione nelle Highlands comincia a Inverness in una mattinata chiara ancor prima dell’alba.
Siamo arrivati ieri nel tardo pomeriggio. La città, che è sede del centro amministrativo delle Highlands, sorge sulla foce del fiume Ness e ci appare subito come un piccolo gioiello inatteso.
Tante case ordinate lungo il viale alberato sulle sponde del fiume; l’acqua che scorre stanca alla fine del suo viaggio e accarezza dolcemente l’argine erboso ben curato e pulito; il fremito dei pioppi alla brezza della sera e, su tutto, la sagoma imponente del castello che domina e vigila.
Ci sarà luce ancora per diverse ore, cerchiamo l’alloggio che abbamo prenotato in una strada di casette piccole, tutte in fila come bambini, ognuna col suo giardino verde orlato di minuscoli fiori a ridosso di muretti bassi e cancellate di ferro battuto. Quasi su ognuna di esse spicca il cartello ‘Guest House – no vacancy’. La nostra ha la tipica veranda a base esagonale che sporge all’esterno ed è ‘rifinita’ da grondaie e cancelletto rossi. Una simpatica coppia ci accoglie in casa propria, si informa su com’è andato il viaggio, felice del fatto che abbiamo trovato bel tempo, mentre solo la settimana prima da quelle parti c’erano temperature invernali e ci accompagna al piano di sopra. La stanza è piccola ma pulita e il bagno attrezzato di doccia con acqua immediatamente calda. Ci consegnano le chiavi, ci indicano un paio di locali dove poter cenare in modo tipico e siamo di nuovo in cammino. Raggiungiamo il centro attraversando il ponte pedonale sospeso che dondola ad ogni passo procurando un vago senso di nausea. Poi ci gustiamo una rilassante passeggiata lungo il fiume respirando l’aria fresca della sera, senza fretta, incantati dalla luce sull’acqua che tarda ad affievolirsi ritardando la notte come per incanto.
Quattro chiacchiere con uno dei tanti personaggi del luogo, rigorosamente in kilt e, per finire, una cenetta a base di pesce in un ristorantino al primo piano di un edificio ad angolo sul viale dove regna un brulichio sommesso come le luci, tanto che basta sussurrare per capirsi…
Venerdì
La mattina il viaggio di ritorno in pullman da Inverness ad Edimburgo è piuttosto lungo ma confortevole, raggiungiamo l’hotel nel quale abbiamo prenotato per la nostra ultima notte in Scozia che è ormai mezzogiorno.
È questa forse la meno pittoresca tra tutte le residenze nelle quali abbiamo soggiornato, ma anche questa ha il suo fascino: siamo al quarto pianto, un’occhiata ai tetti sotto la nostra finestra e non si può non immaginare Mary Poppins che saltella insieme ai suoi spazzacamini.
Il programma di oggi prevede la visita ad Holyroodhause, la dimora di sua maestà, che abbiamo trascurato durante il nostro primo giorno a Edimburgo perché ci avrebbe portato via troppo tempo.
Andiamo, dunque, che aspettiamo! Alle due siamo davanti alla maestosa residenza reale e…
Lì ci attende una piccola sorpresa: Holyroodhouse è chiusa al pubblico a causa della visita di personalità importanti. Va bhe, che volete che vi dica: cose che succedono… Ma intanto che facciamo? Non possiamo certo sprecare il nostro ultimo pomeriggio di tour! Niente affatto! Proprio davanti al parco di Holyrood si alza la verdeggiante collina che domina la città e noi decidiamo di… Di arrampicarci fin lassù?! Per vedere come appare Edimburgo dall’alto?! Decidiamo? Un momento: ho detto decidiamo?! La verità è che le decisioni non si prendono proprio all’unanimità nel nostro gruppo… Insomma, tanto per capirci, io seguo gli altri con lo stesso entusiasmo con cui, martedì scorso, ho seguito le capre! Ma ancora una volta, devo ammetterlo, lo spettacolo paga ampiamente lo sforzo! La dimora reale, vista da quassù ci appare in tutto il suo splendore col suo giardino rasato con precisione, le chiome degli alberi che lo contornano a valle e la città che si stringe alle sue spalle fedele e si arrampica paziente fino alla sagoma del castello stagliata sull’orizzonte intenso di foschia. Uno spettacolo indimenticabile.
Ed è con questa immagine di Edimburgo tutta insieme ‘conquistata’ dall’alto della sua verdeggiante collina che voglio lasciarvi, senza indugiare sulla malinconia della partenza che ci accompagnerà domattina in aeroporto per il rientro a Milano previsto nel primo pomeriggio.