Viaggio low cost alle Canarie

Lanzarote con la sua architettura e Fuerteventura con i suoi paesaggi selvatici ci hanno rapito ben oltre le aspettative
Scritto da: Lara B
viaggio low cost alle canarie
Partenza il: 17/04/2016
Ritorno il: 28/04/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Lo ammettiamo: avevamo scelto questo viaggio per pure ragioni economiche. Completamente spennati dalla recente ristrutturazione della casa, avevamo bisogno di soddisfare il nostro perenne istinto viaggiereccio ma con pochissimi soldi a disposizione, così abbiamo valutato le Canarie in un periodo un po’ fuori stagione perché costava poco, pensando che sarebbe stata una meta che mai avremmo scelto in altri momenti della vita, nel nostro immaginario decisamente troppo banale e turistica. E invece ci sbagliavamo… Lanzarote e Fuerteventura sono state delle piacevolissime sorprese, che ora ci sentiamo di consigliare non solo a chi vuole fare un viaggio economico, ma a tutti, semplicemente perché… vanno viste!

DOMENICA 17 APRILE 2016: BOLOGNA-LANZAROTE

Ad una certa età certe cose non andrebbero più fatte. Dormire un’ora e poi partire per un viaggio è una di quelle cose che ti fa improvvisamente ricordare di non avere più 20 anni… Paso, mio marito, ieri ha lavorato fino a tardi, io mi sono attardata nei preparativi e poi l’ansia di sapere che sarei stata svegliata dal suo arrivo in nottata non mi ha fatto addormentare prima… e così la notte procede inesorabile e quando altrettanto inesorabilmente la sveglia suona alle 3, non c’è che dire, abbiamo la sensazione di dover ancora andare a letto e tra di noi parliamo ancora come se domenica fosse “domani”, invece è già oggi e questa lunga giornata è appena iniziata.

Ad ogni modo fino a Bologna ci arriviamo senza problemi, imbarchiamo i bagagli, facciamo colazione vicino al gate e saliamo verso le 6 sull’aereo Ryanair che ci porterà alle Canarie. Gli aerei Ryan, si sa, non sono fatti per dormire, piccoli, scomodi, e senza appoggiatesta, impossibile (almeno per me) chiudere un po’ gli occhi anche qui, Paso invece a tratti ce la fa.

Quattro ore e mezza più tardi, puntuali, atterriamo senza incertezze ad Arrecife, dove ci accoglie una aria estiva molto piacevole. Ritiriamo bagagli e la Seat Ibiza che sarà la nostra compagna di viaggio per i prossimi 10 giorni e ci dirigiamo verso Puerto del Carmen seguendo le indicazioni, molto chiare, su strade perfette, lisce come tavole da surf.

Grazie all’applicazione Sygic, un navigatore scaricabile gratuitamente (o meglio: scaricandola si utilizzare gratuitamente per i primi 7 giorni, poi o si paga o si blocca e noi non abbiamo assolutamente intenzione di pagare) con le mappe di tutti i continenti, troviamo subito il nostro alloggio, Plaza Azul, e prendiamo possesso di un delizioso miniappartamento all’interno di un complesso che si sviluppa attorno ad una grande piscina, impreziosita da aiuole con composizioni di piante grasse. Siamo al piano terra e il nostro cortiletto privato è contiguo allo spazio di bordo piscina dove sono gli ombrelloni: praticamente potremmo alzarci dal letto al mattino e buttarci direttamente in piscina senza alcuno sforzo!

Ci ripromettiamo di sfruttare al meglio questa situazione ma per il momento ad incombere è la fame, così dopo aver sistemato le nostre cose, ci spostiamo verso il lungomare, in macchina per stavolta, perché ancora non ci rendiamo conto delle distanze. In realtà capiamo subito che è una precauzione inutile, solo poche centinaia di metri separano il nostro alloggio dalle prime spiagge, ma dato che siamo motorizzati percorriamo tutto il lungomare, dove capiamo subito di essere approdati in un centro turistico vivo e pulsante, pieno di negozietti, ristorantini e beati villeggianti che passeggiano in tenuta da spiaggia. Finalmente! Ci aggiriamo un po’ anche per le stradine interne per assaporare le belle casette basse e bianche che sanno tanto di vacanza, poi troviamo un parcheggio (gratuito) vicino ad una scalinata da cui si arriva di nuovo al lungomare e così ci immergiamo nella vita da villeggianti.

Pranziamo in un ristorante a caso dove gustiamo una paella discreta in un tavolino all’aperto guardando la spiaggia (paella, sangria, acqua e caffè per due a 36 euro) e il dopo pranzo lo passiamo stesi al sole in una caldissima spiaggia davanti ad un gelido ma trasparente mare in cui solo dopo diversi tentativi riesco a tenere i piedi in acqua per qualche secondo.

Inutile dire che ci addormentiamo. Altrettanto inutile dire che ci ustioniamo rigorosamente a chiazze. Inutile anche la protezione (un po’ bassa a dire la verità, ma non era in programma un esposizione prolungata subito il primo giorno) e le lampade preventive: cotti a puntino rientriamo in appartamento e ci rinfreschiamo con un bagno in piscina, che ovviamente così accaldati, ci risulta freddissima! Siamo anche stanchi. Ma siamo in un bellissimo posto, non siamo schiavi di orari e incombenze e non avremo problemi a riprenderci. Intanto per cena abbiamo fatto la spesa e cucineremo un piatto di spaghetti che mangeremo a bordo piscina…..insomma, vale la pena di essere un po’ stanchi.

LUNEDÌ 18 APRILE 2016: TOUR SUD-OVEST E NON SOLO

Undici ore più tardi facciamo colazione con la stessa vista piscina ma con le ossa decisamente meno doloranti.

Lo specchio del bagno, dopo aver riflesso la nostra immagine questa mattina, ci ha suggerito di non fare altro mare per oggi, per cui partiamo alla scoperta della zona sud-ovest dell’isola, che è anche quella più vicina al nostro resort.

Usciamo da Puerto del Carmen e ci dirigiamo verso il Parco di Timanfaya, per raggiungerlo passiamo attraverso la zona di La Geria, per vedere da vicino le famose coltivazioni di vite così particolari: le piante sono adagiate una per una in buche a forma di cono riempite di lapilli e racchiuse all’interno di bassi muretti di mattoni di roccia lavica, in questo modo la poca umidità notturna rimane imprigionata e convogliata verso le radici e il vento non rovina i rami. Che fatica deve essere la vendemmia qui! Ma lo spettacolo dato da queste conformazioni scure punteggiate di verde, tutte uguali a vista d’occhio, è notevole. Lungo la strada ci sono diverse cantine dove si può acquistare vino e fare assaggi, ma di primo mattino non ci sembra il caso… vediamo che piega prenderà la giornata, magari ci fermeremo sulla strada del ritorno.

Raggiungiamo la biglietteria di Timanfaya poco dopo le 10.15, in teoria il parco ha appena aperto, ma già c’è una discreta fila e quando arriviamo al parcheggio in cui si concentrano i servizi è già tutto pieno, probabilmente apre prima dell’orario di cui avevamo trovato informazioni.

Ci accodiamo subito per salire sul bus che ci porterà all’interno, unico modo per visitare la zona dei vulcani, e per fortuna perché più tardi, i turisti aumenteranno e la fila sarà molto più lunga. Il percorso si snoda attraverso conformazioni rocciose formate dalla disastrosa eruzione del 1730 circa, e per forza che non si può venire con la propria auto, la strada anche se ad anello, è strettissima e priva di protezioni, e in alcuni punti a strapiombo solo un buon autista con l’aiuto di qualche preghiera può muoversi in maniera agevole senza rischiare un capitombolo.

Il giro dura una quarantina di minuti, durante i quali una voce registrata snocciola informazioni in spagnolo, inglese e tedesco. Il paesaggio è lunare, tutto nero, ma bellissimo, ogni curva una formazione diversa, gallerie si alternano a burroni, con sullo sfondo le colline create dalle eruzioni e il mare. Al punto di partenza assistiamo alle attrazioni preparate per noi turisti: alcuni tubi piantati a terra in cui l’addetto versa un secchio d’acqua e il terreno già caldissimo a poche spanne dal suolo, lo restituisce sotto forma di gayser con uno spettacolo che lascia sempre a bocca aperta, poco oltre, a dimostrazione del calore del terreno, ci mettono in mano un pugnetto di lapilli raccolti da terra e subito avvertiamo il calore (poi, con nonchalance, faccio sparire i miei in tasca…) . Nello stesso punto in una buca profonda un paio di metri al massimo, viene adagiata una fascina di erba secca e dopo pochi secondi questa prendere fuoco da sola. Poco lontano è stato creato nella roccia un vero e proprio barbecue naturale, con tanto di griglie, vuote ovviamente, già a distanza di un metro si viene investiti da un bel calore.

C’è anche un ristorante, progettato da Cesar Manrique, architetto locale morto nel 1992, autore di moltissime opere che vedremo durante il nostro soggiorno a Lanzarote, tondo con le vetrate che si affacciano sulla vallata del parco, e, sorpresa, sul retro, subito fuori dalla cucina, il calore del terreno viene sfruttato veramente per cucinare e un altra tappa obbligata per i turisti è vedere, un po’ distanti, le griglie piene di carne appoggiate sul buco di cui non si vede il fondo, abbrustolite a puntino, del resto ormai è ora di pranzo.

Noi però ci rimettiamo in auto e proseguiamo il nostro tour, facendo un giro in macchina ad Yaiza, più che sufficiente, perché a parte le caratteristiche casette bianche, non ha proprio nulla di più da offrire. Facciamo però una tappa al museo dell’aloe, pianta simbolo di Lanzarote, che in realtà è solo una raccolta di cartelloni e foto che comprende anche altre cose, tipo il sale e la cocciniglia, e un negozio molto rifornito di tantissimi prodotti. Ho apprezzato molto però la vetrata sul laboratorio in cui si può osservare per qualche minuto le donne al lavoro e il pezzettino di pianta che viene offerto all’ingresso che, essendo all’interno gelatinoso, si spalma sulla pelle e da una sensazione di freschezza molto piacevole.

Arriviamo alla successiva tappa in poco più di 10 minuti: El Golfo e ci fermiamo a pranzo al ristorante La Lapa, dove un distinto cameriere italiano ci coccola dall’inizio alla fine. Al posto del mezzo litro di vino sfuso ci porta una bottiglia di semi-secco locale, fatto con l’uva delle famose viti, dicendoci che poi pagheremo solo quello che beviamo. Dire così a noi è controproducente (per noi) perché se il vino è buono, poi ce lo beviamo, e il distinto cameriere italiano deve averlo capito. Il vino era buono. Infatti a fine pasto nella bottiglia non ne rimane nemmeno una goccia…..questo incide molto sulla spesa finale di 52 euro in due – 17 solo di vino – con due secondi, uno di carne e uno di pesce, mezza d’acqua e un caffè, ma noi andiamo via felici e un po’ ubriachi e anche se nel frattempo è iniziato a sgocciolare ci incamminiamo lo stesso nel sentiero poco lontano che porta al Lago del Los Chicos, il famoso laghetto di colore verde grazie all’olivina, una famosa e semipregiata pietra locale. Ci vogliono appena un paio di minuti per arrivare al belvedere, nonostante le nuvole il verde è molto visibile e crea un bellissimo contrasto con la parete scura stratificata di fronte al mare. Rinunciamo a scendere verso la spiaggia, nera anch’essa, perché la pioggia inizia ad aumentare e proseguiamo per Los Hervideros.

Anche qui, purtroppo, la poca luce non fa rendere giustizia alla bellezza del posto, che in altri momenti deve essere molto più affascinante. Si tratta di una serie di grotte createsi dall’incontro della lava con il mare, visibili dall’alto attraverso dei sentieri a gradini e balconcini perfettamente mimetizzati nella roccia. Il rumore delle onde che si infrangono nelle grotte è maestoso.

Poco lontano raggiungiamo poi Salinas de Janubio che ci gustiamo dall’alto, sia perché credo sia il punto migliore in cui assaporare i colori e le conformazioni che possono dare le saline, sia perché comunque non troviamo alcun punto in cui si possa passare per una visita interna, c’è solo un sentiero deserto e piuttosto allagato a causa della pioggia, per cui desistiamo.

Ecco, a questo punto, nel tour che avevo pensato di fare, doveva esserci qualche ora da dedicare al mare, o verso Playa Blanca a sud, o a Playa Quemada, ma con la pioggia che si fa? Sono solo le 15.30.

Anche se torniamo in appartamento, non potremmo comunque andare in piscina, per cui pensiamo di fare la ‘traversata’ dell’isola e andare a Tahiche per vedere la Fondacion Manrique. In realtà, l’isola è talmente piccola, che quella che sulla cartina sembrava una ‘traversata’, si percorre in meno di mezz’ora….e così oggi visitiamo anche la meravigliosa ex dimora di quest’architetto che già gode di tutta la mia ammirazione, soprattutto dopo che appare nei filmati proiettati all’interno in tuta da lavoro e più che un architetto sembra un operaio qualunque. La Fondacion è qualcosa di veramente unico ed eccezionale: costruita attorno a cinque bolle di lava, arredate con pochi ed essenziali mobili ognuna con un colore diverso, si snoda attraverso percorsi interni ed esterni perfettamente in armonia tra loro, in cui la continuità è data dalla presenza degli elementi della natura ovunque: piante, alberi che attraversano i solai, pareti di roccia e un giardino con piscina semplice e sofisticato allo stesso tempo: sapientemente organizzato per ogni tipo di uso trasuda ancora del vociare allegro e della musica delle cene o festicciole con gli amici, ma perfetto anche per momenti di relax in totale solitudine.

Dato che è ancora presto e un filino di sole sta facendo capolino, ci dirigiamo verso Costa Teguise, pur sapendo che non ci sarà nulla da vedere, e infatti, nessuna sorpresa: un bel paese turistico, più moderno di Puerto del Carmen, pieno di hotel, centri commerciali e ristoranti, ottimo punto d’appoggio per il soggiorno, ma senza nulla da offrire per una visita di passaggio. Passeggiamo un po’ lungo la spiaggia, dove un temerario fa windsurf all’interno di una delle lagune create dalla posa di massi artificiali a forma di mezza luna, in questo modo sono state create delle zone calme in cui poter fare il bagno, temperatura permettendo. Purtroppo a causa del tempo la spiaggia è deserta.

Rientriamo a Puerto del Carmen e prima di tornare in appartamento visitiamo la zona del porto, la parte più vecchia, dove abbiamo lasciato la macchina in un comodo parcheggio e abbiamo poi passeggiato nei dintorni. La zona è piena di locali, curata, ma rispetto al lungomare è un pochino più retrò, a me è piaciuta molto, penso torneremo una sera di queste per una cenetta fuori.

Facciamo un po’ di spesa e rientriamo al Plaza Azul che sono quasi le 19, doccia, cena e voglia di uscire di nuovo…..zero. Rimandiamo a domani sera.

MARTEDÌ 19 APRILE 2016: MANRIQUE TOUR

La colazione casereccia a bordo piscina è già diventata una piacevole abitudine. I primi avventori hanno già marcato il territorio con i teli sui lettini, per essere sicuri di avere il posto migliore, ma il tempo è meschino e così dal nulla all’improvviso fa due gocce d’acqua, brevi ma intense, tanto per gradire.

Partiamo alle 9.45, qua i tempi sono molto lenti, soprattutto al mattino.

Oggi la dedicheremo interamente a scoprire le opere dello straordinario Manrique, di cui l’isola è piena, e ci dirigiamo verso la parte nord. Cominciamo con il meraviglioso Jardin de Cactus, che accoglie i visitatori dall’alto in un intreccio di sentieri, rami, fiori, spine, blocchi di lava, acqua, che a prima vista lo fanno sembrare piuttosto piccolo. In realtà scesa la scala subito dopo l’ingresso ci si immerge in un mondo di giganti al contrario: la maggior parte dei cactus ci sono perfettamente familiari, sono gli stessi che in Italia regalano alle pesche delle sagre di paese o che vediamo tristemente ammassate negli scaffali dei supermercati a 50cent, solo che sono in scala mille a uno, più o meno… è come se ci fossimo improvvisamente rimpiccioliti come folletti e improvvisamente vedessimo tutto più alto di noi. Ovviamente non tutte le piante sono così grandi, ce ne sono tante anche delle piccole a terra, ma l’effetto è quello del sottobosco di una favola. Un inciso: in tutte le guide e le informazioni che avevamo trovato prima di partire si citava una pianta a forma di cervello umano. Ora, non so quale intendessero, ne ho vista più di una che poteva ricordarlo, ma di sicuro non è l’unica meraviglia di questo posto, anzi, ne è decisamente pieno! Ci sono anche un mulino a vento accessibile all’interno, ma ovviamente costruito per i turisti, un bar e un negozietto talmente ben mimetizzato da passare quasi inosservato. Mi piace moltissimo e costringo mio marito a girare in lungo e largo per tutti gli anfratti possibili prima di decidermi ad uscire a malincuore, del resto, anche a casa, le piante grasse sono la mia passione, lui lo sa bene….

Facciamo un altro po’ di strada e approdiamo al Jameos de Agua, altra meraviglia manriquiana. Qui troviamo, per la prima volta, un po’ di fila all’ingresso, il minimo sindacale per le orde di auto e pullman che sono nel parcheggio. Facciamo un biglietto cumulativo da 20 euro per i tre siti che dobbiamo visitare oggi, volendo, pagando di più, si può fare anche con un numero maggiore di siti e si risparmia qualcosa. Il Jameos è un centro culturale regolarmente utilizzato nella quotidianità lanzarotiana, solo che è talmente bello da essere diventato anche un sito di interesse turistico. E’ ricavato in una parte del ‘tubo’ creato dalla lava durante le eruzioni che parte dal centro dell’isola e arriva in fondo al mare. La discesa della scaletta verso il primo piccolo jameos da proprio la sensazione di addentrarsi nel cuore della terra. Nel primo livello è stato creato un bar ristorante, anche questo scavato nella roccia e mimetizzato benissimo, nel senso che si vedono i tavolini, il bancone e le sedie, ma sono pensati in maniera talmente poco impattante da sembrare creati dalla natura anche loro, il tutto è poi condito da una musichetta raccolta che invita al relax. Un oasi di pace. Almeno finché non arriva una rumorosa scolaresca. Attendiamo che i ragazzetti proseguano e si smistino un po’ nel sito e quando il livello del volume cala, proseguiamo anche noi scendendo un altra scala fino al secondo livello del jameos, quello in cui vi è il laghetto con i granchi bianchi e albini, che pensavamo di non vedere, e invece sono ovunque, piccolissimi, ma così candidi spiccano nella roccia nera. Il laghetto si costeggia poi attraverso un sentiero laterale da cui si ammira la grotta lasciata al suo stato naturale, che in alcuni punti presenta dei crolli dai quali passano le gocce di pioggia, che nel frattempo ha ricominciato a cadere.

Tempo di arrivare dall’altra parte e ha già smesso. Qui troviamo un altro bar e altri tavolini, poi salendo altre scale si esce all’aperto in un livello in cui è collocata una splendida piscina con il fondo bianco che degrada naturalmente dal livello del passaggio e non, come per le piscine classiche, scavata in un buco con le pareti verticali. Costeggiando la piscina verso sinistra si arriva quindi all’auditorium, un altro spettacolo della natura (e di Manrique): il ‘soffitto’ è quello naturale della grotta, nero, e le poltroncine, enormi, comodissime e bianche, seguono perfettamente il digradare del soffitto fino al fondo dove c’è il palco incastonato anch’esso nella roccia. In questo momento deve esserci qualcosa perché è pieno di persone, sembra un corso o qualcosa del genere, e a metà c’è una cordella che impedisce di avvicinarsi, ma è talmente lontano che tutto è silenzioso. Usciamo e costeggiamo la piscina dall’altro lato, ci avviciniamo all’uscita ma prima visitiamo anche la casa del Los Volcanos, un interessante museo in cui vengono illustrate le attività dei vulcani e in particolari di quelli delle Canarie.

Usciamo soddisfatti e ci dirigiamo verso Cueva de Los Verdes che è poco distante. Qui Manrique non è arrivato e in effetti la visita è un po’ più deludente. Cioè, è interessante, ma dopo aver avuto negli occhi le cose straordinarie di prima, è un po’ meno entusiasmante. Si tratta di un altro tratto dello stesso ‘tubo’ del Jameo, ma lasciato allo stato naturale. Non si può visitare liberamente ma dopo aver passato la biglietteria occorre aspettare di comporre un gruppo e si accede alla grotta con una guida, il che è ragionevole dato che alcuni punti sono un po’ pericolosi e il tratto visitabile è un po’ articolato per cui il rischio è che qualcuno si perda o si faccia male. La nostra guida è un po’ hitleriana, nel senso che non tollera che qualcuno non presti la massima attenzione mentre lui spiega, il che è giusto, ma se avviene in due lingue che non sono le tue è anche difficile… ripete fino allo sfinimento di fare attenzione alla testa ed essendo un gruppo molto folto, i tempi morti per aspettare tutti piuttosto lunghi. Infatti la visita dura circa 50 minuti, ma il tratto da visitare è molto breve, un chilometro, forse meno. Si tratta comunque di grotte sotterranee in cui non essendoci umidità, non si sono formate stalattiti e stalagmiti. I percorsi si snodano attorno alle conformazioni rocciose e terminano in un… auditorium! Si anche qui nella parte finale c’è un punto in cui l’acustica sembra sia eccezionale per cui è stato allestito un palco con delle sedie disposte a semicerchio e in determinate occasioni vi si tengono concerti di musica classica. La guida non trova nessun volontario che voglia dare dimostrazione di tale proprietà. Si esce tornando in parte indietro dallo stesso percorso, ma subito prima di uscire una sorpresa: si arriva in un punto in cui sembra ci sia un enorme buco che guarda in basso verso un’altra galleria a livello inferiore. La guida fa un po’ di scena, dice di fare attenzione perché è pericoloso, non ci sono protezioni, poi da un sasso in mano ad un signora e quando siamo tutti attenti glielo fa lanciare e ops…sorpresa! Si tratta in realtà di uno stagno d’acqua che perfettamente immobile riflette la volta di sopra e la fa sembrare un profondo burrone! Rimaniamo tutti affascinati da questa cosa, ma la visita è veramente finita. Torniamo in superficie accecati dalla luce del sole e riprendiamo la macchina.

Sono le 14 e ancora non abbiamo pranzato, così ci dirigiamo verso Orzola, che la nostra guida decanta come paese pieno di ottimi ristoranti sul mare. In effetti è così e ne scegliamo uno a caso dove mangiamo un antipasto di cozze e una paella, buona ma un po’ brodosa, solo che ci fanno perdere un bel po’ di tempo. 56 euro, non troppo economico. Ma tutti quelli che declamano i prezzi bassi per mangiare qua si saranno nutriti di tapas e basta? No perché noi finora ‘ste bazze non le abbiamo ancora trovate.

Ci rimettiamo in strada alle 16 passate e ci dirigiamo verso Mirador del Rio, dove ci accoglie un vento esagerato. Qui la visita è molto breve: si entra, bello da morire, ma tutto lì il complesso. Poi c’è il panorama sulla vicina isola brulla di La Graciosa, visibile sia da dentro attraverso le enormi vetrate che uscendo dal balcone. Bello, ma pur sempre un panorama, che una volta visto, è quello. E comunque a dirla tutta, ho visto panorami migliori, anche in Italia.

Ce la sbrighiamo velocemente e ripartiamo verso Haria. Paese carino, simile a quelli visti finora, ma corredato da tante palme che lo rendono meno arido. Anche qui troviamo tracce di Manrique, ovvero la sua casa-museo dove visse nei suoi ultimi anni di vita. Non ce la facciamo scappare. Che poi sono io che ho più passione per l’architettura, Paso mi segue a volte più per inerzia. Entriamo che è quasi in chiusura e scopriamo di avere uno sconto di 3 euro perché abbiamo visitato già la Fondacion, servirebbe il biglietto per dimostrarlo (e chi lo sapeva) ma la tipa molto gentile si accontenta delle foto del mio cellulare. La visita è veloce perché la casa, anche se una villa, comunque non è una reggia, ma per me è spettacolare! La dislocazione degli ambienti, gli arredi, lo studio accurato dei particolari da un idea di… casa! È accogliente, bella, invitante, vivibile, rustica e faccio fatica ad uscirne, rimarrei qui ad assaporarla tutta la sera. Fuori l’immancabile piscina e gli spazi conviviali addolciti da pergolati in legno e palme e nel fondo del giardino una dependance in cui Manrique aveva il suo studio e lì tutto trasuda ancora di lui, le sue cose, i suoi pennelli, le sue scarpe, le sue tute. Quest’uomo è un genio, e io prima di venire qui non lo conoscevo. Essendo geometra, questo non mi fa onore, ma ritengo comunque che nel resto del mondo le sue opere siano decisamente sottovalutate.

La giornata volge al termine, nel cercare la via di casa girelliamo un po’ per Haria e dalla macchina vediamo la bella piazza ombreggiata da alte palme, ma siamo stanchi e non abbiamo voglia di fermarci. Per arrivare a Puerto del Carmen passiamo da San Bartolomè e ne approfittiamo per fare una toccata e fuga a vedere il monumento al Campesino, altra opera del nostro eroe odierno. E’ tardi ed è già tutto chiuso, ma lasciamo lo stesso un attimo l’auto in un parcheggio molto approssimativo e andiamo fare due foto da vicino a questo monumento che commemora la vita di tanti contadini invisibili che sono stati il motore di Lanzarote prima dell’avvento del turismo, come in tutto il mondo.

Arriviamo alle 19 passate, in tempo per prendere due cose al supermercato. Dopo la doccia e la cena, anche stasera mi sa che il divano tirerà più della passeggiata sul lungomare.

MERCOLEDÌ 20 APRILE 2016: SPIAGGE DEL SUD

Anche stamattina colazione sulla piscina (che vitaccia), senza scroscio d’acqua però, e partenza verso le 9.30 per le belle spiagge della zona sud dell’isola.

C’è un bel sole, anche se la temperatura è calata, e andiamo diretti nella zona protetta per accedere alla quale occorre pagare un biglietto da 3 euro, la strada è completamente sterrata e a quest’ora c’è ancora poca gente. Puntiamo verso la spiaggia del Papagayo, parcheggiamo nel parcheggio ancora semideserto e ci fermiamo un attimo ad ammirare il paesaggio dall’alto: la spiaggia è protetta da muri di roccia alle quali in qualche modo sopravvive abbarbicata una ricca vegetazione, è dorata e l’acqua è blu trasparente e invitante, se non fosse che considerata la temperatura dell’aria, immaginiamo che quella dell’acqua sia decisamente inaffrontabile. Scendiamo la scala, il bar è ancora chiuso, ma qualcuno in spiaggia già è steso a prendere il sole, non so con che coraggio, dato che io non ho nessuna intenzione di togliere la felpa! Addirittura una famiglia lascia che i bimbi si bagnino in mare, mi vengono i brividi solo a guardarli. La spiaggia è piccola e si fa presto a percorrerla da una parte all’altra, con molta calma raggiungiamo un punto che ci sembra un po’ più riparato e sistemiamo le nostre cose, ci stendiamo e tutti imbacuccati aspettiamo… ma nonostante ci sia il sole, noi mediterranei, al contrario dei nordeuropei, non riusciamo a riscaldarci e rimaniamo vestiti anche se stesi vicino al mare. Più che altro tira vento gelido, se si fermasse un po’… ma non si ferma, e dopo un ora, a malincuore, salutiamo la spiaggia del Papagayo, se dobbiamo stare qui così tanto vale farsi un giro a vedere anche le altre.

Ne approfittiamo quindi per camminare un po’ e raggiungere le vicine playa del Pozo e playa delle Mujeres, ma le guardiamo solo dall’alto, che sono comunque un bello spettacolo, anzi, bellissimo, ma non scendiamo anche perché il fatto che siano semideserte ci fa dedurre che a vento gelido non saranno messe tanto meglio di Papagayo. In macchina raggiungiamo l’ultimo punto della zona protetta, che nelle informazioni che avevo letto prima di partire, ha spiagge che non sono quasi mai considerate. Peccato, perché invece meritano anche queste, a parte il fatto che stanno costruendo un complesso di non so cosa (speriamo non rovinino il posto, purtroppo Manrique adesso non lo possiamo chiamare!) e al momento ci sono dei lavori in corso nella zona subito retrostante, anche queste spiagge non hanno nulla da invidiare alle altre, anzi, qui finalmente troviamo un po’ di pace con il vento, e riusciamo a sistemarci in un angolino dove possiamo poltrire un po’ prendendo il sole. Peccato che, memore delle due ore precedenti, stavolta ho lasciato il telo in macchina… ma è lo stesso, ci appoggiamo alla roccia e ci scaldiamo le ossa così. All’acqua, neanche avvicinarsi. Ho provato a mettere la punta di un piede tra una roccia e l’altra ma ho temuto un distacco dell’alluce.

Alle 12.30 leviamo le tende e usciamo dalla zona protetta, la playa del Papagayo nel frattempo si è sovraffollata, spero per loro sia calato un po’ il vento…di sicuro adesso ci sarà mooooolto meno posto per stendersi e stare tranquilli considerando la quantità di auto parcheggiate. Ormai penso che questa spiaggia si sia fatta più che altro il nome, è certamente la più bella, ma non è che le altre facciano poi schifo, secondo me.

Ci dirigiamo a Playa Blanca, troviamo un parcheggio gratuito a due passi dal lungomare e ci buttiamo subito nella mischia. Il lungomare è lungo ma molto bello, fare tutta la passeggiata non pesa, anche se ci vuole un po’. Noi siamo circa a metà ma lo percorriamo tutto girando prima a sinistra, poi torniamo indietro e andiamo anche dall’altra parte. L’atmosfera è allegra e vacanziera, i negozi straripano di merce invitante, la strada è curata e il corrimano verso il mare è una grossa catena da barca, molto particolare. Verso metà c’è anche una piccola e carina spiaggia cittadina, dove si può prendere il sole osservati a stretto raggio dagli avventori dei locali. I bar e ristoranti si susseguono uno dopo l’altro senza dare al turista un attimo di tregua. Ne scegliamo uno a caso e ci accomodiamo in un tavolino da dove possiamo vedere il mare per mangiare un po’ di tapas scelte dal menù e un ottima sangria (non ricordo il nome del ristorante, anzi non ci ho proprio fatto caso, siamo in vacanza!).

Dopo pranzo finiamo il giro sul lungomare, che arriva al porto, ovvero proprio dove volevamo andare per informarci sui traghetti per andare a Fuerteventura e acquistiamo così già il biglietto per dopodomani e il ritorno ‘aperto’. Ci piacerebbe pensare che ‘aperto’ possa essere anche tra… un anno? Ma, ahimè, è solo perché non abbiamo ancora deciso se tornare a Lanzarote lo stesso giorno del volo o la sera prima.

Ora vorremmo fare un po’ di mare serio, ma non nella spiaggia cittadina, pensiamo che nei dintorni ci sia di meglio. Pensiamo male però. Ripresa la macchina, proseguiamo oltre il paese, ma non troviamo (o forse siamo un po’ rinco noi) alcun accesso decente, perché fino alla punta opposta rispetto a Papagayo è tutto costruito in modo anche piuttosto invasivo. Ad un certo punto poi la strada è interrotta e siamo costretti a tornare indietro.

Decidiamo allora di tornare verso Puerto del Carmen e fermarci lungo la strada a Playa Quemara, la famosa spiaggia nera, ma anche qui, quando arriviamo ci aspetta una brutta sorpresa: la spiaggia è accessibile solo superando un monte con una passeggiata di 15 minuti, ma questo lo scopriremo solo dopo…dopo aver seguito il consiglio di un tizio che era li dove avevamo parcheggiato che invece ci aveva detto di attraversare la spiaggia cittadina di ciottoli, sempre neri, e andarci dal mare, che l’acqua non era profonda. Dopo esserci accoppati a camminare sui ciottoli per un bel tratto, nel punto in cui avremmo dovuto aggirare il monte nell’acqua, non ci siamo azzardati perché il mare era mosso, a causa delle correnti non si percepiva la profondità, ma era chiaro che il fondo era tutto a ciottoli come la zona che avevamo appena faticosamente attraversato e quindi difficile rimanere in piedi e il tratto da fare piuttosto lungo. E se tanto mi da tanto, l’acqua doveva pure essere gelida. Insomma, perché andare a cercare disgrazie? Un po’ delusi ci siamo accontentati di guardarla da lontano, è proprio nera nera! Chissà che calura quando il sole picchia! Non c’è quasi nessuno e non mi vien difficile capirne il motivo. Torniamo sui nostri passi e riattraversiamo la spiaggia di ciottoli per tornare alla macchina. E’ a questo punto che troviamo un altro signore che ci da l’indicazione giusta ma ci è passata la voglia… quindi torniamo a Puerto del Carmen, parcheggiamo vicino all’appartamento e andiamo a stenderci un po’ nella spiaggia tanto carina del nostro lungomare dove finalmente facciamo un paio di meritate ore di sole e di relax stesi su sabbia chiara, morbida e in mezzo alle palme!

Finalmente usciamo anche alla sera, dal nostro appartamento servono solo pochi minuti per arrivare nel lungomare, ne percorriamo un bel pezzettino guardando tutti i negozi e i ristorantini e ne scegliamo uno la cantina Don Rafael dove mangiamo due antipasti e una paella per uno a 33,70 euro.

Dopo cena torniamo indietro, i negozi iniziano già a chiudere, qualche locale offre un po’ di musica, ma in generale la movida è molto blanda, per cui torniamo subito a casa.

GIOVEDÌ 21 APRILE 2016: UN GIORNO DI MARE

Oggi vogliamo stare un po’ al mare, ma siccome non siamo riusciti ad andare l’altro giorno, al mattino andiamo a Caleta de Famara, la famosa spiaggia dei surfisti. Da Puerto del Carmen servono 35 minuti, ma la strada è ottima e facile da trovare, e il paesaggio sempre più arido. Man mano che ci avviciniamo aumentano le dune ai lati e un cartello avvisa di possibile sabbia in carreggiata e infatti la troviamo poco dopo. Il contesto è molto particolare, da un lato un montagna alta e nerissima, modellata dal vento, sembra debba scivolare in mare da un momento all’altro, dall’altro una pianura sconfinata punteggiata dal bianco delle casette basse del paesino di Famara, in mezzo dune di sabbia con qualche filo d’erba, spiaggia punteggiata di sassi neri e mare dalle alte onde.

Sono le 10 e 30 e la gente inizia ad arrivare adesso. Troviamo subito parcheggio e andiamo in spiaggia armati di felpe e giubbotti, in realtà non tira un gran vento e poco dopo che ci siamo accomodati iniziamo a spogliarci.

Qui è la patria dei surfisti! Qualcuno è già in acqua a cavalcare le onde con la tavola, molti invece sono sulla spiaggia dove le varie scuole del posto danno lezioni: per i principianti è previsto prima una parte sulla spiaggia con gli insegnanti che spiegano la teoria e fanno fare alcune prove di equilibrio sulla sabbia, poi il riscaldamento con corsette ed esercizi ginnici, ed infine in acqua. Deve essere bello provare, ma come si fa con un acqua così fredda?

Ci godiamo un paio d’ore a guardare il movimento intorno a noi: le prove dei ragazzi, le istruzioni degli insegnanti e gli esperti in acqua, con il sottofondo del mare che si infrange, è tutto molto bello e dal sapore un po’ alternativo: qui non esistono tacchi alti, costumini frappettati o occhiali da sole fighi, ma solo capelli accordellati, mute insabbiate, fatica e tanta allegria giovane.

Alle 12.30 andiamo verso il paese per cercare un posticino per il pranzo, ma ci dicono che prima delle 13 non servono nulla, di tornare più tardi. Il paese è spoglio è deserto, chi viene qui lo fa solo per il surf, non esiste null’altro.

Pensiamo quindi di impiegare questa mezzora per risalire verso Puerto del Carmen e per l’ultima mezza giornata a Lanzarote di goderci il paesino in cui abbiamo alloggiato e che praticamente non abbiamo quasi visto! Detto fatto, torniamo indietro, parcheggiamo vicino al lungomare e percorriamo il pezzo che non avevamo raggiunto ieri sera, ma che in parte avevamo visto il primo giorno, senza sapere bene come ci eravamo arrivati allora. Anche stavolta entriamo in un ristorante a caso e cerchiamo di stare un po’ leggeri, ci accontentiamo di tre antipasti, uno da dividere.

Poi nel pomeriggio andiamo in spiaggia, a metà strada tra quella del primo giorno e quella di ieri, giusto per dire che l’abbiamo vissuta tutta. Il sole è caldissimo, la spiaggia scotta, l’acqua è gelata. Ci accomodiamo per terra di fianco ad uno stabilimento che inizialmente avevamo adocchiato, ma che poi ad un occhiata più vicina ci è sembrato un po’ troppo ‘fitto’ e ce ne stiamo tutto il pomeriggio a rilassarci e a leggere finché verso le 17.30 inizia ad annuvolarsi. Facciamo due passi per vedere da vicino il parco giochi gonfiabile in mezzo al mare, raggiungibile, sembra, solo a nuoto, ma c’è gente sopra, poi torniamo sul lungo mare, dove facciamo alcuni acquisti e pian piano torniamo alla macchina.

Dopo la doccia usciamo di nuovo, è l’ultima sera e andiamo nella zona del porto, dove ceniamo in un locale all’aperto con una bella vista sul mare e su Puerto del Carmen, che per la nostra ultima sera ci regala un bel tramonto dai mille colori. Prendiamo una pizza e ci scoliamo un intera bottiglia di Malvasia di quella buona del primo giorno, ma sì… siamo in vacanza.

VENERDÌ 22 APRILE 2016: FUERTEVENTURA

Più o meno alla solita ci alziamo, ma oggi, dopo l’ultima colazione a bordo piscina, chiudiamo le valigie, salutiamo Lanzarote e partiamo alla volta di Fuerteventura. Arriviamo a Playa Blanca in largo anticipo, abbiamo il traghetto alle 11, ma pochi minuti dopo le 10 siamo lì, lasciamo l’auto nella prima postazione per l’imbarco e andiamo a piedi a prendere un caffè e guardare il via vai delle barche, da qui infatti partono le escursioni per gli isolotti o i tour guidati per chi va a Fuerteventura in giornata. C’è un bel sole ed è caldo, peccato non ci fosse la stessa temperatura l’altro giorno quando eravamo a Papagayo! Da qui si vede tutta la costa, in lontananza spiaggia del Papagayo, appunto, poi via via le altre e infine il lungomare di Playa Blanca, già animato e la spiaggetta cittadina circa a metà. Raggiungiamo poi a piedi anche il faro e da qui rimiriamo un po’ le dune di Fuerteventura che già si vedono bene. Quando si fa ora risaliamo in auto, saliamo sul traghetto e ci facciamo i 30 minuti di traversata comodamente assestati sui divanetti davanti al bar.

Quando arriviamo a Corralejo siamo tra i primi anche a scendere, ci avviamo ad uscire dal paese e per raggiungere Caleta de Fuste, dove abbiamo il resort, attraversiamo tutta la zona delle dune di sabbia, molto suggestiva. Ci ripromettiamo di tornare uno dei prossimi giorni per vederla meglio, ora proseguiamo oltre, attraverso un paesaggio desolato e desertico.

In circa 40 minuti siamo a Caleta de Fuste e troviamo subito il Fuertesol, dove ci danno il nostro bungalow anche se siamo in anticipo rispetto all’orario del check in. Anche in questo caso il complesso si sviluppa tutt’attorno ad una bella piscina dalle forme curvilinee irregolari, ma rispetto al Plaza Azul è un po’ più datato e si vede: i serramenti e gli arredi sono piuttosto vecchi, gli interruttori un po’ scassati e, ahimè, siamo proprio sulla strada, addirittura con il fronte rivolto verso l’asfalto…addio colazioni e cene tranquille e temo anche addio al riposo vacanziero, oltre al fatto che gli infissi non tengono per nulla il rumore delle auto, abbiamo l’aeroporto vicino e in un quarto d’ora sono già passati tre aerei a bassissima quota in fase di atterraggio… mmmmh. Plaza Azul batte Fuertesol 1 a 0, per il momento. Nel volantino che ci hanno dato all’ingresso, c’è scritto che un cambio bungalow ci costerebbe 25 euro. Deve essere un problema ricorrente. E per finire, ci accorgiamo che, anche se ci hanno giustamente dato le chiavi, è perfettamente inutile chiudere tanto le finestre si aprono benissimo da fuori. Ecco, benissimo. Penso che sia una mossa sleale: i bungalow sulla strada sono più a rischio di quelli interni, mi metti qui, senza la possibilità di chiudermi dentro e se ti chiedo di spostarmi mi fai pagare? Bella forza. Per fortuna la roba costosa sarà sempre con noi, però insomma, rimane il fatto che di notte siamo qui. Ok Plaza Azul batte Fuertesol 2 a 0. Va bè, comunque è tutto pulito e curato e sono solo cinque giorni.

Ci sistemiamo un attimo e ripartiamo per andare in centro. Facciamo un veloce sopralluogo con la macchina e ci rendiamo conto di essere vicinissimi, parcheggiamo e ci avviamo per il passaggio pedonale che costeggia un enorme centro commerciale che abbraccia quasi tutta la spiaggia che trabocca di bar e ristoranti. Capiamo subito che qui è tutto molto più fighetto e anche piuttosto finto, ma ci sono tutte le comodità, a dispetto del paesaggio desertico che abbiamo trovato per arrivarci. Ci fermiamo per pranzo in un Wild West dove per una volta saltiamo il pesce e andiamo poi a stenderci un po’ di spiaggia, che non è nulla di che, a parte essere molto lunga. Il mare è trasparente e l’acqua un po’ meno fredda, ma comunque non da bagno per noi. Rimaniamo un oretta e mezza, il sole scotta veramente tanto. Torniamo su per evitare di bruciarci di nuovo, facciamo un po’ di spesa nell’affollato supermarket del centro commerciale e rientriamo al resort, dove proseguiamo la siesta in piscina, e ci facciamo pure l’happyhour con birra e pistacchi. Approfittiamo anche della lavanderia self service per fare il bucato e ceniamo con un insalata.

Ma minchia, sti aerei!

Domani è un altro giorno….e visto che è anche il mio compleanno speriamo vada un po’ meglio.

SABATO 23 APRILE 2016: TOUR DEL NORD DI FUERTEVENTURA

Oggi è il compleanno della mia Moglie. Auguriiiiiiii topa. Per fortuna stanotte abbiamo avuto un po’ di tregua dagli aerei….molto strano però che nessuna recensione su tripadvisor avesse evidenziato questa cosa. Ma alle 7 si ricomincia e dopo poco ci alziamo e… tanti auguri a me!

Il tempo non promette bene, è nuvoloso. Durante la colazione leggo velocemente le tappe dell’itinerario di oggi e con l’aiuto dei depliant trovati alla reception, mi rendo conto che di sabato, come di lunedì, è quasi tutto chiuso. Ma come può un posto turistico avere due giorni di chiusura di quasi tutti i monumenti e musei così ravvicinati? Questo mette un po’ in crisi i nostri programmi che quindi a questo punto devono cambiare e anche se il tempo non è un gran che, è meglio se andiamo verso nord in giro per spiagge anzichè all’interno.

Resettiamo l’appartamento (per la cronaca: i lenzuoli non sono abbastanza grandi da coprire completamente tutto il materasso, così devo completamente rifare il letto che stanotte ho scalzato del tutto, in quest’occasione mi accorgo di un asse di legno tra il materasso e la rete, stesso accorgimento che circa trent’anni fa mia madre adottò per il mio letto da bambina, che, essendo alla terza generazione di pargoli di famiglia, iniziava a cedere un po’. Inoltre due delle tre prese a cui avevamo attaccato cellulari e pc non hanno caricato le batterie. 3 a 0 per il Plaza Azul) e partiamo in direzione Puerto del Rosario dove il marito intende cercare un mercato di cui ha letto in una rivista. Peccato non abbiamo altre indicazioni e infatti girovaghiamo un po’ a vuoto (cosa che succederà ripetutamente nell’arco della giornata) prima di fermarci in un bar a chiedere. Capito di cosa si tratta, arriviamo lì e… chiuso. Ok, dice il marito che non era quello che si aspettava, in effetti si tratta di un moderno mercato coperto, nulla di caratteristico. Ne approfittiamo per fermarci dieci minuti nei pressi di una bella Chiesa lungo la strada pedonale dello shopping in centro e fare un po’ di foto alle statue collocate li davanti.

Ripartiamo verso Corralejo e ci fermiamo lungo la strada per passeggiare un po’ tra le famose dune, sembra proprio di essere nel deserto, salvo che è un gran freddo e teniamo la felpa! Troviamo un punto dove c’è anche una squadra che sta facendo delle riprese con una bandiera italiana ma non capiamo di cosa si tratta. Non c’è che dire, il paesaggio è molto bello, ma il parco vero e proprio delle dune non è grandissimo e anche facendo diverse tappe si visita in fretta.

Raggiungiamo quindi Corralejo e con l’aiuto del navigatore arriviamo vicino al porto, dove parcheggiamo e ci muoviamo un po’ a piedi lungo il mare, poi rientriamo per vedere la Chiesa di stampo moderno che è nella Plaza della Iglesia, ma solo da fuori perché anche questa è chiusa e infine ci muoviamo verso il lungomare cittadino in cerca della spiaggia dove vengono fatte le sculture di sabbia che le nostre guide declamano. Non le troviamo, ma facciamo volentieri una passeggiata lungo la spiaggia cittadina davanti a un bel mare cristallino. Visto il tempo non ha senso muoversi a cercare altre spiagge, anche se mi dispiace molto, quindi ripartiamo alla volta di El Cotillo.

Troviamo le indicazioni per il faro del Toston e le seguiamo, ma quando arriviamo capiamo che non si tratta della fortezza indicata nella guida, nei locali del faro infatti c’è un museo della pesca, che per fortuna non ci interessava perché è chiuso. Già che siamo qui facciamo comunque un giro attorno alla costruzione e nella spiaggetta di lato, dove i visitatori nel tempo si sono divertiti a creare sculture con i sassi, chi delle semplici ‘torrette’, chi dei romantici cuori con le iniziali all’interno, chi delle scritte, chi addirittura degli scacciapensieri. E’ piuttosto suggestivo e meriterebbe un po’ di attenzione in più, se non fosse che siamo sferzati da un vento gelido che ci fa tornare velocemente all’auto. Tornando verso il paese troviamo le indicazioni per l’omonima fortezza e stavolta arriviamo nel punto giusto, al centro del paese, dove c’è il porto con il suo massiccio di roccia nera di guardia, i ristoranti affacciati sul mare e la piccola torre circolare accessibile dal ponte levatoio che andiamo a visitare pagando un piccolo biglietto da 1,50 euro (i residenti pagano meno tutti gli ingressi), ma che non ha molto da offrire se non una mostra di opere realizzate con la roccia lavica ceramizzata (credo si traduca così), belle, ma troppo costose per i miei gusti.

Ci fermiamo a pranzo in un ristorante davanti al porto dove ci gustiamo un ottimo ma inquietante fritto di pesce. Inquietante perché nel piatto vengono serviti anche quattro pescioni interni completi di testa, occhi e bocca aperta con… i denti intatti! Fanno un po’ impressione. Finiamo il pasto con un ottimo liquore alle erbe che proverò a riprodurre a casa. Poi, anche se un timidissimo sole è uscito, il vento e la temperatura non ci convincono ad andare a cercare delle spiagge, oltretutto, quelle che vediamo da qui sono deserte.

Ci rimettiamo in strada quindi e ci dirigiamo verso La Oliva, attraverso un paesaggio brullo e spettrale. Come prima cosa incontriamo la Iglesia de Nuestra Senora de la Candelaria, per caso, senza averla dovuta cercare, particolare il contrasto tra il bianco delle pareti e il nero del campanile. Raggiungiamo quindi la Casa de los Coroneles, residenza dei governatori del 1700, un po’ spoglia e arida, senza spiegazioni, ma pare sia il sito di maggior interesse della città. E’ carina, ma noi ci divertiamo di più a giocare con gli scoiattoli una volta usciti. Al che iniziamo a girare a vuoto per cercare il Museo del Grano, ci fosse un indicazione. Finiamo fuori zona, ma almeno troviamo due mulini carini dove fare un po’ di foto. Due indicazioni e vari giri più tardi troviamo finalmente anche il Museo ma… indovinate un po’? Chiuso! Il sabato chiude alle 14. Eh bè, cosa devono stare aperti per i turisti? Mi ha un po’ avuto la pressapochezza di quest’isola che più che selvaggia mi sembra semplicemente lasciata al caso laddove non c’è del business da fare, tipo cementificare la bellissima costa.

Alla sera faccio un giro per il resort, attirata da una musica allegra, che però viene da fuori, è molto grande e mi sembra anche piuttosto vuoto. Sul tardi, per festeggiare andiamo a bere un mojito al bar della piscina dove attacchiamo bottone con una coppia di mezza età della Val Pusteria che ci racconta di aver comprato una casa qua e che in futuro avranno intenzione di trasferirsi. Decantano tutte le bellezze e le lodi di Fuerteventura e ci fanno vedere alcune foto di Corralejo niente male….solo che noi con il tempo che abbiamo preso non avremmo mai potuto vedere dei colori così, ma magari l’ultimo giorno si può pensare di fare un altra puntatina.

24 APRILE 2016: LA ZONA CENTRALE

Anche questa mattina il cielo è parecchio nuvoloso e fa piuttosto freddo. Questo non migliora certo il mio umore dopo una notte di rigiramenti nel letto con l’asse di legno, che sembra di esserci direttamente sopra con i piedi più in alto della testa.

Colazione casalinga e partenza verso le 9.30, ci addentriamo all’interno dell’isola in direzione Antigua e subito si alza un vento freddo che ci accompagnerà per buona parte della giornata. Facciamo alcune soste per fotografare questo paesaggio bellissimo e desolato. La strada poi inizia a salire e la temperatura a calare ulteriormente. Giunti ad Antigua,che è piccolissimo e senza nulla da offrire, facciamo una sosta in un bar per un caffè (che costa solo 60 cent!) e chiediamo informazioni per il centro de Artesania Molino de Antigua. Lo raggiungiamo immediatamente e lo troviamo… chiuso. L’ho già sentita questa.

Non ci resta che ripartire per Betancuria e lungo la strada troviamo il mirador di Morro Velosa che, guarda un po’, è chiuso! Ma poco dopo troviamo una piazzola di sosta sferzata da un vento gelido e abbiamo buone ragioni di pensare che il paesaggio sconfinato che si ammira da lì non sia poi tanto diverso da quello del Mirador, anche se fa talmente freddo che lo guardiamo molto in fretta. Arriviamo quindi a Betancuria, e fai diverso. Parcheggiamo in un parcheggio deserto e qualcosa mi dice… ma non demordiamo, ci incamminiamo verso la villa antica ed è comunque uno spettacolo: si tratta proprio di un antica villa la cui parte centrale è diventata ora la piazza con la chiesa e tutt’attorno si snodano le viuzze pedonali con casette basse e bianche, balconi fioriti, negozietti tipici e piante ornamentali. Peccato sia tutto chiuso.

Qualcuno potrebbe gentilmente avvisare gli abitanti di Fuerteventura che sono diventati ormai da tempo un isola turistica, esattamente come la vicina Lanzarote, che invece l’ha capito?

Girelliamo un po’ e facciamo tante foto, poi troviamo una porta aperta! Quella laterale della Chiesa, meglio di niente, così ci infiliamo, ma nascosta dietro la porta c’è una signora che ci chiede il pagamento di un ticket e solo dopo, davanti ai nostri occhi, tira fuori un cartello che avvisa del prezzo per entrare, una scena da film comico! Eh no, però, sono due giorni che giriamo a vuoto e l’unica cosa aperta si deve pagare….per dispetto passiamo oltre. Simpatico l’unico barettino aperto che per evidenziarlo ha messo un cartello fuori con scritto “SEMOS ABIERTI” in maiuscolo, vuoi mai che possa sembrare uno scherzo.

Però il posto è veramente molto bello e ora la giornata sta prendendo una piega decisamente migliore. Torniamo alla macchina attraverso una bella passeggiata in mezzo ai cactus e ripartiamo in direzione sud attraverso una strada panoramica mozzafiato. Penso i 15 chilometri più belli della vacanza, in una strada che vista da fuori sembra appesa alle montagne, e una vallata sotto alle montagne brulla degna di un presepe: palme, casette basse, mulini a vento (moderni) funzionanti, da un momento all’altro sembra di dover incontrare i re magi, in un corredo di colori che variano dal giallo al marrone, al verde delle poche piante.

Arriviamo pieni di meraviglia a Pajara, un piccolissimo paesello che merita una sosta, per girare senza meta nelle poche vie del centro, estremamente curate e rigogliose di alberi e fiori. Tutto accentrato attorno alla piazzetta centrale ci sono il Comune, la Chiesa e l’area sportiva e l’asilo, collegati l’un l’altro da sentieri pedonali costeggiati da piante fiorite e alte e ombrose piante, poco lontano anche un palmeto. Dalla parte opposta Paso è attirato da alcune voci che cantano in maniera molto stonata e infatti trova anche due arzilli e sdentati vecchietti che ubriachi fradici trincano rhum e birra seduti sui gradini di un abitazione. Fatto questo passaggio folkloristico ci rimettiamo in macchina e facciamo un po’ di strada in più per raggiungere Las Playtas sulla costa orientale.

Qui troviamo un bel paesino di pescatori, oasi di pace e serenità, poco vento, un bel sole caldo, una bella passeggiata lungo il mare azzurro, alcuni ristoranti e un signore che porta a spasso un dolcissimo agnellino che lo segue e gli salta intorno come fosse un cagnolino. Ovvio che ci fermiamo a fargli le carezze e il piccolo le accetta volentieri, anzi inizia anche a succhiare avidamente un dito di Paso. Il suo padrone ci avvisa che è affamato e appena lo apostrofa lui gli corre incontro e vanno via insieme.

Servono pochi minuti per percorrere tutta la passeggiata che finisce con un ristorante e poi si va alla spiaggia nera. Ci fermiamo quindi li per il pranzo, seduti all’ombra in un tavolino proprio sul molo, a due passi dall’acqua, mangiamo delle ottime tapas miste, sangria e caffè per 34 euro, finora il posto più economico di tutti. Che pace! Per chi cerca tranquillità e silenzio consiglierei di soggiornare qui, dove non c’è assolutamente nulla da fare, nè di giorno, nè di sera. Trascorriamo la successiva ora a prendere il sole sulla spiaggia nera, che essendo tale è particolarmente bollente sotto i piedi. Come sempre l’acqua è trasparente e gelida ma mi sembra un po’ meno rispetto a quelle sentite finora. Leviamo le tende quando torna, imperioso, il vento che alza la sabbia e raffresca la pelle accaldata.

Ci muoviamo allora verso Pozo Negro, che la coppia di ieri sera ha declamato come di così rara bellezza. Bè insomma. Carino si, ma si sono visti spettacoli migliori. È un agglomerato di case con davanti una spiaggia lunga e stretta di ciottoli e sabbia nera con un bel mare blu, che però, a causa del vento è molto increspato e non rende i suoi colori migliori in questo momento. C’è poca gente e passeggiamo un po’ avanti e indietro prima di proseguire per Caleta de Fuste, ma passando attraverso una strada sterrata che costeggia la costa, che dal navigatore sembrava una strada normale, in realtà è una strada quasi da 4×4. In certi tratti abbiamo fatto un po’ fatica con la nostra Ibiza, soprattutto in discesa, ma in qualche modo ce l’abbiamo fatta. Abbiamo incontrato un paio di calette carine, incastonate nella roccia, con sabbia nera, ma il forte vento e le grandi onde non ci hanno permesso di fare più di quattro passi per ammirare il paesaggio.

Come reduci da un rally sbuchiamo nella zona di Las Salinas, proprio sotto a Caleta e anche qui ci fermiamo un po’ per fare un giretto su una stradina pedonale che da una parte ha una piccola spiaggetta scura con un bel mare turchese e dall’altra i quadrati delle saline che dal bianco sfumano al rosa, molto particolare.

Ci sarebbe anche un museo del sale ma, che lo dico a fare, è chiuso! Ci daranno un premio di consolazione alla fine. Incontriamo qualche difficoltà ad uscire da qui, sembra che tutte le strade siano a senso unico per arrivarci e nessuna permette di uscire, ci tocca di percorrerne una contromano per tornare sulla strada principale e tornare nella civiltà.

Facciamo un po’ di spesa al centro commerciale Atlantico, consiglio della coppia di ieri sera, che in effetti ha dei prezzi più bassi dei tanti SuperDino che sono più diffusi nei centri turistici e torniamo al resort dove ci concediamo la solita oretta stravaccati sui lettini della piscina.

Dopo cena facciamo un salto al bar della piscina a bare un mojito, i nostri amici non ci sono e assistiamo ad un paio di partite di biliardo tra ubriachi frequentatori del bar prima di tornarcene nel bungalow a riposare.

LUNEDÌ 25 APRILE 2016: TOUR DEL SUD

La sveglia ce la danno puntuale gli aerei alle 7.20, ma stamattina decidiamo di andare a fare colazione al bar della piscina, un’ottima e gustosa colazione inglese a base di uova e bacon, fagioli, tortino di patate, salsiccia, pane, burro e marmellata… adoriamo la colazione inglese! Il tutto, compreso anche due bicchieri di succo d’arancia e tre caffè (a Paso è servito doppio) solo 10.10 euro, questa settimana c’è l’offerta sulla colazione inglese e ne approfitteremo sicuramente anche domani.

Anche oggi il cielo si presenta completamente coperto e l’aria è fresca. Sulle 9.45 partiamo e facciamo una prima sosta al distributore qui vicino per fare il pieno e controllare una gomma che è da ieri che ci da qualche problema, poi con calma ci muoviamo verso sud, oggi visiteremo la penisola di Jandia.

Abbiamo intenzione di percorrere tutta la strada fino a Cofete, studiare un po’ il posto e risalire decidendo dove fermarci dopo aver supervisionato un po’ tutto. Per arrivare a destinazione ci vogliono quasi due ore, i primi 60 km fino a Morro Jable trascorrono lisci su autostrade ben tenute. Passiamo per il centro della città che è bella e curata ma piena di centri commerciali e hotel, stona un po’ con il paesaggio desertico attraversato fino ad ora. Non ci fermiamo e imbocchiamo lo sterrato che ci porterà sulla costa opposta. Si tratta di una ventina di chilometri di sentiero dal fondo battuto che però si percorre bene anche con un auto normale, sicuramente migliore di quello percorso ieri da Pozo Negro a Caleta. Il paesaggio è ancora più arido e desertico di quello visto finora, non ci sono delle tappe da fare lungo il percorso che principalmente si snoda lontano dal mare, ma comunque non ci è sembrato ci fossero nemmeno delle calette visitabili. Qualcuno lo percorre in bicicletta… il fondo è battuto bene e non si alza molta polvere ma un po’ si e in bici penso se ne mangi parecchia. Lungo il percorso incontriamo parecchie capre selvatiche e diversi casottini in legno con dentro i bidoni della raccolta differenziata! Quando si dice preservare l’ambiente…in effetti non c’è l’ombra di una cartaccia in giro.

Dopo una decina di chilometri troviamo un bivio e proseguiamo verso destra, alcuni metri dopo c’è un mirador in cui ci fermiamo ma rischiamo di farci portare via dal vento gelido e facciamo prestissimo a fare un paio di foto e rientrare in macchina. A questo punto il sentiero diventa leggermente più arduo ma rimane ben percorribile per i successivi 8 km che separano da Cofete. In paese, se così si può chiamare un minuscolo agglomerato di poco più che baracche, ci sono pochissime persone e pochissime case, un unico ristorante, già pieno, e una specie di piazza con un monumento. Non ci sono strade asfaltate e tutto è buttato alla rinfusa, noi lo superiamo per scendere verso la playa la cui vista già dall’alto è parecchio suggestiva e sconfinata. Parcheggiamo e anche se il tempo non tende a migliorare, ma anzi i nuvoloni neri si sono perfettamente incastrati nelle montagne retrostanti e non accennano a muoversi da lì, scendiamo e facciamo due passi a piedi sulla lunghissima spiaggia schiaffeggiata da cavalloni di oceano che schiumano infrangendosi sul bagnasciuga. Qui la sabbia è sia nera che dorata, a tratti perfettamente mescolata e in altri tratti quasi a strisce, ma è freddo e si sta bene vestiti. Sembra di essere alla fine del mondo. Visitiamo un vecchio cimitero accanto al parcheggio, la cui porta non si apre più a causa dell’accumulo della sabbia, ma è facilmente scavalcabile dal muretto. Rimangono solo poche croci in legno tutte uguali disposte in ordine sparso, l’unica lapide sopravvissuta è della tomba di una donna morta nel 1952, ricordo del marito e dei figli, chissà quali storie custodiscono queste tombe dove riposano persone che realmente hanno vissuto in un posto come questo, lontano da tutto e da tutti.

Dopo qualche momento di riflessione ci rimettiamo in marcia e ripercorriamo a ritroso la strada fino al bivio dove decidiamo di andare a vedere anche la punta più a sud dell’isola a Puerto de la Cruz, che poi in realtà scopriamo essere un paesotto spoglio con qualcosa di simile ad un nostro campeggio, ma senza recinzioni di delimitazione, piena di roulotte fisse apparentemente vuote. Visitiamo il faro e, finalmente, qualche raggio di sole renda giustizia ai colori di questo mare stupendo che dall’alto della piattaforma del faro assume le gradazioni di verde e di blu degne di un mare caraibico. Facciamo alcune tappe per le foto sulla strada del ritorno, ripercorriamo lo sterrato fino a Morro Jable, ripassiamo attraverso la città moderna senza fermarci per pranzare (sono già le 14, ma dopo la colazione inglese di questa mattina ci sta) pensando di trovare qualcosa di più tranquillo più avanti e ci dirigiamo verso la Playa di Sotavento.

Facciamo una prima tappa al Risco El Paso e troviamo immediatamente il paradiso, dei windsurfisti ma non solo. Anche due pivelli come noi che non capiscono niente di windsurf, sono attirati dai meravigliosi colori della spiaggia e del mare con la sua lingua di sabbia che lo taglia a metà e divide una zona lagunare bassa e trasparentissima da una zona profonda che degrada verso il blu intenso. Avevamo timore di non trovare la zona ritratta in tutte le foto di Fuerteventura in cui si vedono vele di ogni tipo volteggiare su una striscia di sabbia dorata e invece eccola qui davanti ai nostri occhi al primo tentativo. Anche se lo stomaco inizia a brontolare e qui, a parte la scuola di surf, non c’è nient’altro, la tentazione è troppo forte per andare via e, tolte le scarpe, ci immergiamo con i piedi nell’acqua e attraversiamo la prima zona d’acqua per raggiungere la sabbia dorata al centro facendo attenzione a non essere d’intralcio agli sportivi e passeggiamo tra il vento ammirando i colori, le onde, le vele, respiriamo l’aria di mare e assaporiamo quest’atmosfera paradisiaca per un po’. Rimaniamo una buona mezz’ora, forse anche di più, poi, spinti più dalla fame che dal resto, ripartiamo con la macchina e ritentiamo un’altra discesa alla successiva spiaggia di Los Verdes, ma anche qui a parte un mega hotel e un grande punto di noleggio e scuola di wind surf e kite surf, per i comuni mortali non c’è nulla, a parte una meravigliosa laguna che ci ripromettiamo di tornare ad esplorare dopo aver messo qualcosa sotto i denti. Ma cosa mangiano questi surfisti? Tutti con il pranzo al sacco? Nel dubbio proseguiamo quindi ancora qualche minuto fino a Costa Calma e ci fermiamo nel primo bistrot che troviamo alle porte del paese e così, finalmente alle 15.45 riusciamo ad addentare qualcosa di commestibile.

Nel più breve tempo possibile torniamo quindi a Los Verdes, e stavolta andiamo diretti nella zona della laguna, ovvero in direzione di Risco El Paso e ci troviamo immediatamente davanti ad un altro spettacolo della natura: praticamente è l’inizio della lingua di sabbia di cui avevamo visto la fine dall’altra parte che in questo punto crea una laguna più ampia e più ricca di vegetazione e anche leggermente più azzurra, pur rimanendo trasparentissima. Qui il vento è ancora più forte e nell’aria ci sono decine e decine di vele da kite surf che ruotano e volano velocissime. Dal parcheggio improvvisato scendiamo una ripidissima discesa e dopo aver valutato bene la piccola spiaggetta concludiamo che non esiste un posticino un po’ più riparato dal vento e ci sistemiamo alla bell’e meglio. Io ovviamente parto in esplorazione della laguna e pian piano la attraverso fino alla lingua di sabbia dorata, stavolta i kyte mi passano vicino, ma sono perfettamente padroni del vento (loro) e non rischio incidenti. Io invece sono un po’ più in balia di queste sferzate, soprattutto quando arrivo dall’altra parte e mi ritrovo a camminare controvento con la sabbia che mi taglia le gambe nude. Però questo posto è estremamente bello, e anche se c’è un vento esagerato non mi stancherei mai di girare e riempirmi gli occhi. Torno indietro, il vento si è alzato ancora, e riattraversare la laguna con anche l’acqua increspata è più difficoltoso, ma comunque bellissimo. Man mano che mi avvicino alla spiaggia non vedo più il marito dove l’avevo lasciato, dopo un po’ scrutando bene, lo individuo al riparo di alcune rocce, al contrario di me il mare e il vento non sono il suo habitat naturale. Si sono fatte quasi le 17.30 e comunque l’aria è cambiata, ci attardiamo ancora un po’ riparandoci come capita ma poi si fa ora di rientrare per cui risaliamo faticosamente la salita da cui siamo scesi affondando i piedi nella sabbia e troviamo ad attenderci l’ultima sorpresa di questa giornata: la gomma che ci aveva dato problemi ora è gloriosamente e misericordiosamente a terra. D’altra parte era talmente liscia quando ce l’hanno data che c’è da chiedersi come abbia fatto a fare tutto lo sterrato di ieri e oggi e morire da eroina solo ora. Con gesti esperti il marito la sostituisce in pochi minuti con quella di scorta, e il pensiero corre a tanti anni fa quando la stessa cosa mi successe in vacanza con un amica e questa apparentemente semplice operazione a noi costò ben più tempo senza peraltro riuscirci se non fosse stato per l’aiuto di un passante impietosito dai nostri maldestri tentativi… ahahah… eppure sembra semplice fatto da qualcun altro!

Risolto il problema gomma ci rimettiamo sulla via di casa, un oretta dopo siamo di nuovo a Caletta Fuste, facciamo tappa al supermarket dove non troviamo la solita insalata confezionata, ma le crocchette per i mici del resort si! Torniamo quindi al Fuertesol e dopo la doccia andiamo a mangiare un toast al bar della piscina, dove ci scoliamo anche una bottiglia di vino, ahimè non buono come la Malvasia di Lanzarote, e due vodka al caramello, squisita. Quattro chiacchiere sulle bellezze viste oggi con i nostri amici alto atesini, che abbiamo scoperto questa mattina chiamarsi Stefano e Giovanna e poi a nanna. Domani è l’ultimo giorno, ora che inizia a piacerci anche Fuerteventura!

Nel dopo serata, durante la scrittura del diario, sono affiancata da due gatti che da quando siamo arrivati ci ronzano intorno, entrambi hanno avuto la loro razione di crocchette e se la dormono beatamente sul divano, evidentemente gli stiamo simpatici e hanno deciso di tenerci.

MARTEDÌ 26 APRILE 2016: ULTIMO GIORNO

Nel nostro ultimo giorno di vacanza Fuerteventura ci regala un’alba bellissima e cielo sereno. Dopo la colazione al bar partiamo in direzione Corralejo, abbiamo intenzione di goderci un po’ di mare in zona e le premesse ci permettono di sperare che il tempo stavolta ci sia favorevole.

Arriviamo nella zona delle dune verso le 10.30 e il sole è caldo, ma purtroppo il vento spegne, per il momento, le nostre voglie di prendere il sole in costume. Parcheggiamo in una zona con alte dune un po’ distante dall’acqua e ci avviamo a piedi nudi per attraversarle salendo e scendendo sulla sabbia fresca e immacolata, lavorata sapientemente dal vento. Se non fosse per i due mostri di cemento poco lontano sembrerebbe davvero di essere in mezzo ad un deserto sconfinato. Fotografiamo e rifotografiamo ancora mentre camminiamo a tratti faticosamente in questo paradiso, in lontananza altre persone fanno come noi, ma le distanze sono tali da vederle piccole piccole e non ci diamo alcun fastidio. Arriviamo in prossimità dell’acqua in una zona dove la sabbia diventa roccia nera e la bassa marea ne lascia scoperta una parte, il mare è molto agitato ma di un bel colore turchese che diventa verde in prossimità della parte rocciosa. Passeggiamo un po’ sferzati dal vento gelido, qualche coraggioso, non so come, sta in costume.

Dopo esserci riempiti gli occhi di questo splendore torniamo sui nostri passi e ci rimettiamo in auto per avvicinarci un altro po’ a Corralejo. Facciamo tappa in un punto informazioni sull’aloe per fare altri acquisti e anche qui, come in altri posti, troviamo una colonia felina regolarmente segnalata e accudita, più o meno come avviene in Italia. Per altri animali non abbiamo visto molto rispetto, ma per i gatti sembra che la vita sia un po’ più facile. Poco oltre il negozio imbocchiamo la stradina che porta ai due ecomostri che vedevamo in lontananza, che altro non sono che due mega hotel di una famosa catena presumo, anche se io non l’ho mai sentita, la Riu Oliva, che come in tutto il mondo sono affacciati su una lunga e bella spiaggia bianca attrezzata ma non troppo, adatta per famiglie e soggiorni tranquilli. Anche qui però il vento non da tregua, essendo così lineare non troviamo punti riparati, ma ci stendiamo lo stesso sperando che il sole riesca a riscaldarci un po’. Un po’ si ma non abbastanza da rilassarci, per cui mangiamo un po’ di frutta, leggiamo un po’ ma sempre vestiti, attorno a noi c’è molta gente, ma quasi nessuno osa il costume, pur essendoci un bel sole. Ancora meno persone osano avvicinarsi al mare, che è solcato da bei cavalloni azzurri e schiumosi.

Tre quarti d’ora dopo siamo pieni di sabbia fin dentro alle orecchie e ce la cogliamo.

Arriviamo a Corralejo e siccome non sono ancora le 13 ci dirigiamo al porto per verificare che sia tutto a posto per il traghetto di domani, dato che abbiamo il famoso biglietto aperto senza data: alla biglietteria ci dicono che possiamo anche presentarci così 40 minuti prima della partenza, ma per sicurezza ci facciamo cambiare il biglietto con quello con la prenotazione completa, poi, per caso, accanto alla biglietteria notiamo un punto di noleggio auto della Cicar, la nostra compagnia, e più che altro per formalità ci fermiamo a chiedere se dobbiamo comunicare qualcosa per il problema che abbiamo avuto alla gomma, al che si mette in moto un meccanismo immediato ed efficientissimo: la ragazza che ci ha accolto ci manda a prendere l’auto, quando arriviamo ci sono già due tecnici che ci aspettano e ci fanno parcheggiare in un posto riservato davanti al punto informazioni, visionano la gomma, il ruotino, parlottano un attimo tra di loro e in men che non si dica si materializza un terzo ragazzo che preleva la gomma e ci dice di aspettare 10 minuti. Tempo totale 18 minuti circa e abbiamo la nostra gomma riparata e pulita pronta per essere riutilizzata senza alcuna spesa aggiuntiva. Peccato però che anche il ragazzo che ha effettuato la riparazione ci sconsiglia di rimetterla su perché è talmente liscia che è più prudente restare con il ruotino, che poi tanto ruotino non è, solo leggermente più piccolo di una gomma normale. Ci dice che sicuramente quando consegneremo l’auto le gomme saranno sostituite tutte perché ormai inutilizzabili. Si, ce ne siamo accorti…..magari sarebbe stato meglio farlo prima….almeno abbiamo un qualcosa di simile ad una ruota di scorta nel malaugurato caso in cui dovessimo forare di nuovo, ipotesi neppure tanto remota, viste le condizioni!

Soddisfatti dal velocissimo servizio ci dirigiamo verso il centro di Corralejo, parcheggiamo un po’ distanti e facciamo una bella camminata sulla passeggiata dello shopping per poi avvicinarci al mare e cercare un ristorantino tranquillo per il pranzo. Ne scegliamo uno in una zona un po’ alternativa, dove una serie di barettini con i tavolini all’esterno servono solo panini e tortillas e offrono un sottofondo di allegra musica dal vivo, il nostro duo, sessant’anni a testa come minimo, suona la chitarra ed è molto piacevole. A fianco ragazzi tatuati e dagli improbabili tagli di capelli, se la svangano a suon di birra e in compagnia dei loro amati cani. Corralejo è la zona dei giovani e della vita notturna e ce n’è più di uno che deve aver fatto la nottata!

Mangiamo un panino e beviamo una sangria in questo piacevole posticino alla buona con bella musica poi proseguiamo la passeggiata verso il porto, dove troviamo tanti altri localini simili, affacciati su piccole spiagge bianche dal mare pulitissimo, pur essendo vicino al porto. Con un sottofondo sempre di bella musica dal vivo troviamo così anche la famosa spiaggia dove fanno le sculture di sabbia e ci fermiamo ad ammirare un po’ un Homer Simpson fatto molto bene, oltre ad una tartaruga e un pesce.

Torniamo indietro passando dal centro, risaliamo verso la macchina facendo qualche altro acquisto da portare a casa, prendiamo su i teli e torniamo verso la spiaggia dall’altro lato per fare un po’ di mare visto che qui il vento è meno forte. Purtroppo le indicazioni messe a caso, come capitato spesso qui a Fuerteventura) ci portano fuori strada e camminiamo molto parallelamente al mare prima di renderci conto che in realtà eravamo vicinissimi, solo dovevamo girare a sinistra…va bè. Alla fine ci arriviamo lo stesso e finalmente riusciamo a stenderci un po’. Non è che il vento non c’è, è solo che più leggero. La spiaggia è bella, pur essendo una spiaggia cittadina e c’è parecchia gente, visto che è piena di localini che vi si affacciano. Riusiamo a resistere per oltre un’ora e mezza prima di riempirci di nuovo di sabbia e levare le tende. In tutto questo un bagno è decisamente fuori discussione: anche se l’acqua è un po’ meno freddo di quella sentita finora, venire su bagnati in questo vento farebbe prendere una polmonite a chiunque, non so come facciamo quei pochi coraggiosi che lo fanno.

Sulle 16.45 riprendiamo la macchina e torniamo alle dune per fare le ultime foto con la luce calda del pomeriggio, ci fermiamo ad una spiaggia corta vicina alla strada così il marito può andare a fare un giro mentre io me ne sto comodamente stesa un altro po’, solo che il vento è ancora peggio di questa mattina e trovo un po’ di riparo solo in mezzo agli arbusti. Restiamo lì fino alle 18.15, quando si fa ora di rientrare: dobbiamo anche preparare le valigie e salutare i gatti. Per l’occasione abbiamo acquistato per loro delle buone bustine di Whiskas che si lappano senza troppi complimenti.

Usciamo a cena e torniamo al Wild West dove abbiamo pranzato il primo giorno, perché c’è un menu speciale con paella, che prendiamo ed è ottima, assieme all’immancabile litro di sangria. Ormai non prendiamo neanche più l’acqua! Il centro di Caleta non offre tantissimo la sera, giusto in un paio di locali c’è musica dal vivo, ma siccome è pieno di inglesi, si tratta principalmente di musiche popolari a noi sconosciute, anche se dal bel ritmo. Ci fermiamo qualche minuto ad ascoltare un duo di ragazzi carichi a palla e rientriamo al resort, dove andiamo a prenderci un ultima squisita vodka al caramello e a salutare i nostri amici alto atesini, Stefano e Giovanna, con cui alla fine rimaniamo a chiacchierare fino oltre mezzanotte, poi i saluti e nanna, domattina la sveglia suona alle 6 e si torna a casa.

MERCOLEDÌ 27 APRILE 2016

Traghettiamo verso Lanzarote al mattino molto presto. Abbiamo davanti ancora 3 ore circa prima della partenza dell’aereo da Arrecife e lungo la strada verso l’aeroporto decidiamo di fare una tappa a Los Hervideros, dove eravamo già stati appena arrivati ma oggi il tempo è decisamente migliore.

E così saliamo sull’aereo di ritorno con negli occhi un ultimo regalo di Lanzarote, le rocce nere a strapiombo e il mare urlante di Lanzarote baciate da uno splendido sole (ma con il vento!).

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