Viaggio in Rajasthan 3
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Bisogna lasciarsi trasportare, non essere trasportati… ma per quel che ha riguardato il mio viaggio in Rajasthan, ho dovuto accettare le regole imposte sia dal poco tempo a disposizione che dal fatto che non ero solo.
15 settembre
Parto dall’aeroporto di Genova con un biglietto per Delhi, transito a Istanbul dove mi unisco al gruppo di amici: Franco, Maria Pia e Pietro più una coppia di Ferrara (ricordo il nome di lei, Giada), un ragazzo spagnolo e una coppia di francesi.
16 settembre
Arriviamo a Delhi alle 04,40, ora locale, un controllo documenti meno invasivo di quello del Nepal ma comunque abbastanza lungo. Ovunque poliziotti armati con giubbotto antiproiettile che sicuramente sono preposti per la nostra sicurezza, ma sono inquietanti. All’uscita tantissimi driver con i nomi dei turisti, individuiamo subito il nostro: Mahinder, piccolino, in divisa cachi, sorridente e premuroso. Attraversiamo Delhi e subito capiamo che è una città difficile, un traffico pazzesco e variegato, moltissime moto, Tuc-Tuc, risciò, macchine, autobus, camion e… vacche, cani, persone, perfino delle scimmie!
Arriviamo all’albergo, Park Inn, in un quartiere di negozi, officine e mercato di moto e pezzi di ricambi, ci riposiamo e dopo una doccia, con l’autista ci dirigiamo all’agenzia con cui avevamo prenotato dall’Italia: la Kalka Travels, gestita da Bobby Thakur, una persona gentilissima e professionalmente molto seria e preparata.
Dopo aver pregato per Shiva si mette a nostra disposizione per meglio illustrarci il viaggio facendoci anche vedere un dvd in lingua italiana per meglio istruirci sull’itinerario che andremo a fare.
Firmiamo il contratto, paghiamo e ci congediamo da lui iniziando con il nostro driver la visita della città.
Devo fare subito una precisazione sul modo di guidare in India, intanto la guida è a sinistra, la precedenza la ottiene solo chi passa per primo, i pedoni non hanno alcun diritto, i cani e le vacche sono sfiorati senza un minimo accenno alla frenata, la gestione delle marce è scarsa (spesso il nostro autista iniziava il sorpasso in quarta a 30 km l’ora costringendo la macchina in senso contrario a uscire dall’asfalto invadendo o il marciapiede o altre volte lo sterrato… e questo naturalmente accadeva anche a noi).
L’altra precisazione è che non esistono vacche sacre in India, ma solo animali che non producendo più latte vengono abbandonati nelle strade e così condannati a morte per intossicazione alimentare (mangiano carta, plastica e spazzatura marcia) o peggio abbattuti nella notte dai mezzi guidati da autisti incoscienti, spesso cibo per branchi di cani randagi.
In India non concepiscono che i turisti amino camminare a piedi ma noi abbiamo insistito e così abbiamo lasciato la macchina dando a Mahinder appuntamento nello stesso punto tre ore dopo.
Abbiamo così potuto visitare la più grande moschea dell’India, Jama Masjid, che domina il bazar della città vecchia. Tolte le scarpe visitiamo l’interno, molti in preghiera, soprattutto uomini, rivolti verso muri vuoti… Dalla torre dove saliamo si ammira il caos della domenica, o forse è così tutti i giorni. Mangiamo in locale sulla strada citato anche sulla guida Lonely Planet, non male, molti indiani mangiano lì.
Tutti ci guardano e ci chiamano per farci vedere le cose che vendono o per portarci in giro in cambio di qualche rupia. Torniamo distrutti in albergo, tento di fare la doccia in quella specie di bagno e mi riposo un poco. Poi cena al ristorante dell’Hotel Broadway, ottima, soprattutto il formaggio con salsa di spinaci aromatizzata con spezie.
Mahinder ci riporta in albergo e tento di dormire ma la differenza di fuso me lo impedisce.
17 settembre
Alle nove l’autista è puntuale e pronto a partire in direzione Mandawa, piccola città rinomata per le storiche haveli (case con pareti tutte intagliate e dipinti centenari) abitate anticamente dai ricchi mercanti carovanieri che trafficavano con il Kashmir, la Persia, il Pakistan ormai destinati al degrado ad accezione delle haveli restaurate e trasformate in lussuosi alberghi. Viaggio lunghissimo, strade dissestate e traffico nei paesi intermedi con ingorghi di tutti i generi, apparentemente non ci sono regole per la strada, per rallentare in prossimità dei paesi vengono messe delle pietre in strada oppure ci sono piccoli dossi, il nostro autista non si è accorto di un dosso e Maria Pia è sobbalzata battendo la testa sul tetto dell’auto proprio sui tasti per le luci posteriori interne, a distanza di sei giorni lamenta ancora dolore.
Hotel Shekawati, antica haveli, molto bello, non facciamo in tempo a scendere dall’auto che siamo attorniati da giovani che si offrono per farci da guida.
Visto il poco tempo prima del calar del sole e la modica cifra (150 rupie – poco più di due euro) “obbligo” gli altri ad accettare l’offerta di Tage (la guida) che sa anche parlare italiano (è diventato poliglotta parlando con i turisti e ogni nuova parola se la appunta). È musulmano, fidanzato e quando si sposerà sua moglie, dice con orgoglio, porterà il burka… Ha tutta la nostra disapprovazione ma non glielo diciamo…
All’entrata di ogni haveli c’è una rappresentazione di Ganesh, pancia tonda e testa di elefante, che è una delle divinità più amate dagli indiani.
Figlio primogenito di Shiva e Parvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull’altra, nella posizione dell’alitasana.
Dio della buona fortuna e della prosperità. Per cacciare la malasorte, all’ingresso di ogni abitazione oltre all’immagine di Ganesh vengono appesi, infilati in una bacchetta, sette peperoncini verdi e un limone, inoltre per ogni figlia femmina sposata, viene appesa una piastra di metallo. Se sulla parete viene riprodotto un elefante, si augura prosperità, un cavallo forza e …. amore. Tage ovviamente ha anche un negozio di stoffe, sari, pashmine e robe varie. Ci dice che sono prodotte dalla sua famiglia e, dopo lunga ed estenuante contrattazione, ne usciamo con qualche articolo da regalo. Cena in albergo con spettacolo di musica e danza… non male. Anche questa notte, nonostante le prime avvisaglie di stanchezza si presentino dormiamo tutti poco. Inizio a pensare che siano tutti i the che siamo costretti a bere!
18 settembre
Si parte per Bikaner, sono “solo” 200 km ma non passano mai… Mahinder continua con la sua guida indiana gli dico che non vorremmo morire in India ma tornare a casa interi e dal quel momento per un po’ s’impegna a guidare con più cautela e tutte le volte che rischiamo “l’impatto” con un altro mezzo e/o un animale, alza lo sguardo sullo specchietto per vedere la mia faccia. Lungo la strada facciamo una sosta al tempio Karni Mata, a Deshnoke, il cortile è protetto da una rete metallica che deve proteggere il prezioso abitante di questo luogo, sacro agli Hindu. In effetti la rete non è stata stesa per prevenire intrusioni umane, quanto animali, almeno di quelli che predano quello sacro che qui viene venerato: il topo. Il tempio, nella sua struttura portante, risale al XV secolo, anche se le bellissime porte, scolpite in argento, e la facciata di marmo bianco, risalgono solo al XX secolo. Un giorno Karni Mata chiese al Dio della morte, Yama, di far resuscitare un bambino, figlio di un cantastorie. Il Dio le rispose che non poteva farlo, perché il bambino si era già reincarnato. Karni Mata s’infuriò e proclamò che ogni cantastorie, dopo la morte, avrebbe abitato temporaneamente in un topo prima di reincarnarsi, privando così il Dio della morte di molte anime umane. Secondo un’altra versione, invece, Karni Mata proclamò che le anime dei bambini avrebbero avuto questa sorte. I ratti sono venerati ancora oggi da centinaia di fedeli che li nutrono con latte, cerali e cocco, tutti speranzosi di incrociare il passo con un topo bianco, segno sicuro di buona sorte.
Si lascia il tempio con ancora nelle narici l’odore sgradevole dei topi confidando in una doccia bollente e profumata da fare subito in albergo.
Appena arrivati in albergo lasciamo libero l’autista e si parte a piedi, dopo la doccia, per lo Junagarh Fort che ovviamente si guarda solo da fuori perché a noi piace girare per le strade in mezzo alla gente… Anche qui caos da traffico e suono del clacson selvaggio. Per entrare nella città vecchia occorre oltrepassare la ferrovia, le sbarre sono giù ma una folla di pedoni, ciclisti e motociclisti lo attraversa audacemente passandovi sotto. Dopo alcuni minuti, considerando anche che sia a destra che a sinistra ci sono altre vie dalle quali tutti attraversano, decidiamo di passare anche noi. Tanto eventualmente il treno si stamperebbe prima su di loro. Appena passati, mi accorgo che un ragazzetto allunga la mano per palpare la nostra compagna di viaggio e sale su un Tuc-tuc, questo, come vede che corriamo verso di lui con fare minaccioso, scende dal mezzo e corre via in mezzo alla folla. Vallo a cercare…
Ci addentriamo nella città vecchia e scambiamo due chiacchiere (più o meno visto che loro conoscono poco l’inglese, e noi anche) con tre persone, due uomini e una donna fuori di un negozio all’angolo di una strada semi deserta. Uno degli uomini propone di scambiare la propria moglie ed il cognato con la nostra compagna di viaggio… accettiamo! Ma non se ne fa niente! Si ride tutti, e dopo averli salutati proseguiamo per il nostro giro. La nostra attenzione viene catturata da un muro rosa all’interno di una strada finiamo così nel mezzo dei preparativi per la festa di compleanno di Ganesh che sarà il giorno successivo. Ci accolgono a braccia aperte, togliamo le scarpe e ci infiliamo sul palco dove sono accesi alcuni bracieri. Davanti all’immagine di Ganesh ci “iniziano” all’induismo (anche perché io ne sono attratto e mi vorrei convertire) ci offrono da mangiare granelli di zucchero, una pallina dolce di miglio segnandoci la fronte con il colore arancione.
Ovviamente dobbiamo lasciare un obolo. Diciamo che ripasseremo la sera per ascoltare la musica ma alla fine non lo facciamo. Proseguiamo e troviamo sulla nostra strada un uomo fermo con la bicicletta che guarda mestamente la catena rotta. Mi metto subito all’opera e in pochi minuti riesco a sistemarla, naturalmente sotto lo sguardo compiaciuto di parecchie persone. L’uomo rimane interdetto ma visibilmente compiaciuto e quando proseguiamo, ringrazia, si gira e se ne va. Finiamo nella zona delle spezie e ci accingiamo a comprare della curcuma. Di fianco a noi un signore anziano sta comprando 300 gr di peperoncino per venti rupie, come sente che il venditore vuol farci pagare cinquanta rupie per 100 gr di curcuma, si mette a discutere con il venditore, che evidentemente voleva approfittarsene, e riesce a strappare per noi un prezzo onesto: venticinque rupie. A forza di girare a destra e sinistra, di salire e scendere, ci ritroviamo in un vicolo cieco, scatta la gara a chi indovina la strada che ci porterà fuori da quel labirinto e ovviamente, visto che giro con dei trekkers come me, senza discutere e senza tentennamenti l’hotel è raggiunto in brevissimo tempo.
Torniamo al Bhairon hotel, bello esternamente, con giardino ben curato, ma le stanze non sono un granché. Qui hanno l’abitudine di far andare al massimo ventole e condizionatori con disapprovazione della mia pancia che ne soffre terribilmente. Spengo la ventola ma non riesco a fare altrettanto con il condizionatore così gli metto sopra un telo con il risultato che mi sveglio con un sospetto ticchettio che si rivela essere acqua non scaricata e riversata in parte sul mio zaino…
19 settembre
Sono le otto del mattino ed è già un gran caldo, mentre faccio colazione lascio lo zaino al sole ad asciugare. Visto che non sono ancora andato in bagno, mangio due cucchiaiate di yogurt con i cereali. Non l’avessi mai fatto: sulla strada per khuri, il villaggio a ridosso del deserto, iniziano i dolori di pancia.
Questa tratta è lunghissima e rallentata da migliaia di persone in pellegrinaggio verso il tempio di Babar. È incredibile come si svolga questa cosa: gente di tutte le età che cammina per giorni sotto il sole cocente, fermandosi in punti di ristoro lungo il percorso organizzati con cisterne di acqua per bere e lavarsi nonché enormi tende dove mangiare e riposarsi. I cespugli sono usati per stendere i vestiti bagnati e tutto intorno rimane la sporcizia di bottiglie, bicchieri, piatti dove pascolano vacche e tori a cercare qualcosa da mangiare. Passate le zone invase dalla gente, mi rendo conto di non poter aspettare la destinazione e faccio fermare la macchina, scendo e dietro un cespuglio do libero sfogo alle mie esigenze fisiologiche. Mai scelta fu più azzeccata perché la tappa successiva prevedeva capanna vicino al deserto decisamente minimale…. Inoltre i bagni indiani, pur essendo dotati di cassetta di scarico acqua, non adempiono alle loro funzioni e occorre gestione manuale con riempimento di apposito secchio, di cui è dotato ogni bagno anche negli alberghi migliori, da vuotare nella tazza.
Mentre proseguiamo il viaggio in macchina, mi accorgo che abbiamo lasciato i passaporti in albergo a Bikaner… lo sapevo… la sera prima avevo detto di prenderli ma gli altri hanno preferito aspettare la mattina seguente al check-out con questo risultato… Ormai non si può certo tornare indietro (cinque ore di macchina fatte). Lo diciamo a Mahinder che con fare tranquillo ci dice: tutto si può fare! Dopo un paio di telefonate, ci dice che i nostri passaporti arriveranno il giorno dopo a Jaisalmer tramite un altro autista che accompagna altri turisti. Del resto ne passano in continuazione…
Arrivati al Khuri Village, sono già pronti i cammelli per giro sulle dune del deserto del Thar per vedere il tramonto. Peccato che ci sia foschia e non renda un granché. Cena modesta con spettacolo e balli tipici nei quali veniamo coinvolti tutti. Spettacolo pietoso vista la nostra incapacità di movimento ma divertente. Per la notte, ci propongono di dormire o sulla terrazza o sulle dune. Visto lo stato del mio stomaco e il caldo/puzza della capanna, optiamo tutti per la terrazza… Ci sono pochissime luci e il cielo è pieno di stelle. Grazie al servizio Wi-fi posso usare l’applicazione della mappa stellare ed imparo a localizzare Pegaso, Giove, Venere, Sirio e il Cigno.
Nonostante la stanchezza il sonno arriva tardi, anche gli amici di Ferrara hanno il letto sulla terrazza ed il loro continuo parlare ci coinvolge, la coppia di francesi, invece, si chiude in camera e la mattina infatti sono gli ultimi a ripartire.
E’ stato bellissimo anche svegliarsi al canto di stranissimi uccelli e fare colazione in una corte sotto lo sguardo attento e gentile del personale di questa semplice ma pulita e accogliente struttura.
Il ricordo del giro sui cammelli, tuttavia, ce lo siamo portato per diversi giorni nella memoria del nostro sensibilissimo “osso sacro”!
20 settembre
Alle 5.30 veniamo svegliati dal muezzin che chiama alla preghiera e poi alle 6.30 siamo tutti seduti sui nostri letti per vedere l’alba. A colazione sappiamo di più dei due ragazzi di Ferrara che hanno mollato tutto per prendersi un anno sabbatico. India, Vietnam e Cambogia per poi approdare in Australia alla ricerca di un lavoro… L’elemento scatenante questa decisione è stata l’insoddisfazione di lei nel lavoro che ad un tratto si è resa conto che non poteva svolgerlo come avrebbe voluto e che alcune cose non sarebbero mai cambiate… Del tipo mi sveglio e vado avanti aspettando il fine settimana. E quanta invidia e ammirazione abbiamo provato per questa possibilità di cambiare la propria vita. Ripartiamo augurando a quei ragazzi tutto il bene possibile. Questa volta il tratto è breve (50 km). Anche entrando a Jaisalmer i rumori e il traffico s’intensificano. Il nostro albergo rimane proprio a ridosso del forte che raggiungiamo a piedi. Si tratta di una città fortificata dove si trovano vari templi ma soprattutto negozi di tutti i tipi per spennare i turisti. Siamo assaliti da gente che saluta e che vuole che entriamo nel loro negozio ma noi riusciamo ad ignorarli. Ci fermiamo in un negozio di dipinti su tela di tutte le misure, il pittore in questione si chiama Ramswroup Rao, è molto bravo e ce ne da una dimostrazione in pochi attimi riproducendo un volto. Dopo estenuante contrattazione, usciamo con dipinti su stoffa, uno su pietra che raffigura Ganesh. Ora di pranzo: si decide per un “ristorante” tibetano (vista l’adorazione della maggioranza per il Nepal e dintorni) ma la scelta si rivela sbagliata. Tempi biblici e qualità scarsa. Io del resto non mangio niente visto lo stato in subbuglio del mio stomaco… Sto andando a pillole: Dissenten e fermenti lattici. Stanchi di girare decidiamo per un bel massaggio ayurvedico: uomo per massaggio a uomo, donna per massaggio a donna per 300 rupie a testa. Dopo un po’ d’imbarazzo iniziale mi lascio trasportare e allento la tensione godendomi questa pausa di relax. Trovata l’uscita dal forte ci incamminiamo verso un laghetto poco distante dall’albergo la cui particolarità sono branchi di pesci gatto che si accalcano davanti ai visitatori per qualche pezzo di pane: una scena decisamente disgustosa!
Il ritorno all’albergo risulta più impegnativo del previsto. Ci perdiamo e solo Maria Pia riesce a riportarci all’albergo grazie alla sua cartina!
Cena sul tetto con veduta sulla città fortificata, allietati dalla musica folk e poi tutti nelle proprie stanze a cercare un sonno ristoratore.
21 settembre
Si parte presto per Jodhpur e si arriva nel primo pomeriggio al Mehrangarh, un bellissimo forte tutto intagliato nella roccia che domina la città blu. Dopo aver visitato gli interni, andiamo verso la zona dei cannoni da dove il panorama sulla città blu è veramente grandioso. Ad un certo punto un ragazzo indiano chiede di poter fare una foto con noi. Subito non capiamo il perché ci sembra molto strano: di solito sono i turisti che chiedono di poter fotografare i locali… Accettiamo e poi, mentre usciamo, incontriamo nuovamente il ragazzo con tutta la famiglia, grandi e piccini, che chiedono altre foto con noi. Poi scopriremo che tendono a farsi fotografare con gli stranieri per poi “vantarsi” con amici ed appendere le foto in casa come fanno i nostri commercianti quando gli si presenta nel locale qualche personaggio famoso. Torniamo al parcheggio dove il driver che pazientemente aspettava il nostro ritorno ci riporta in albergo, un’ennesima doccia e poi di nuovo per la strada ma questa volta con Mahinder al seguito che ci vuole portare nella via delle spezie. Più che un negozio, ci sembra di essere nella boutique delle spezie e così lo molliamo per andare al mercato nella piazza della torre dell’orologio. Ci facciamo catturare da un venditore di pantaloni, quelli tipici indiani con il cavallo basso, li acquistiamo ben sapendo che probabilmente solo la nostra compagna di viaggio avrà il coraggio di metterli in Italia. Con la scusa di offrirci il the, finiamo nel negozio delle spezie di qualche amico o parente dove, dopo lunga ed estenuante contrattazione e aver bevuto ottima bevanda con cardamomo, cannella e zafferano (di cui ovviamente compriamo tutti una busta) usciamo con vari sacchetti pieni di spezie. Ci viene chiesto di non dire niente all’autista che altrimenti andrebbe sicuramente richiesto una percentuale… Torniamo all’albergo esausti, (si suda veramente senza fare niente, figuriamoci a camminare…) Vengo catturato dal padrone dell’albergo che m’intrattiene per un’ora sulla sua attività, sulla bellezza dell’albergo e sulla fontana di marmo di Carrara al centro del cortile di cui va molto fiero. La fontana sarebbe anche carina se non fosse che i pezzi rotti sono stati riattaccati con colla gialla… Altro elemento di vanto il suo libro degli ospiti dove chi passa lascia un commento. Visto il passaggio di molti italiani, chiede la traduzione in inglese di quanto scritto. Un ragazzo di Forlì ha scritto tante belle cose descrivendo il proprietario come “spacca maroni” che nessuno ha avuto il coraggio di tradurgli… e tantomeno io. Anche l’indomani, prima di partire, ci attacca il bottone esibendosi con le parole in italiano che ha imparato: buongiorno, molto bella, grazie mille, tu felice io felice ecc.
Mi chiede di mettere un mio commento, quale capo gruppo… e così, in italiano scrivo che il proprietario è gentile, l’albergo bellissimo, la fontana di marmo di Carrara stupenda e che lui è uno Spacca Maroni! Quando mi chiede di tradurgliela in inglese, ovviamente, tralascio la traduzione della frase “Spacca Maroni” non sapendo come tradurla: Breack Bales?
22 settembre
Si parte presto per Udaipur, ci attende un viaggio interminabile, villaggi affollati, ampie praterie coltivate a riso dove i colori sgargianti dei sari sembrano ancora più vivi, passiamo un guado a livello dell’acqua di cui dubito la riuscita dell’attraversamento vista la quantità di acqua che lo invade. Poi arriviamo in paesino dove veniamo fermati dalla polizia per non intralciare una manifestazione religiosa, tutte le macchine dei turisti sono ferme nella piazza, ci dicono che ci vorrà una mezz’oretta ma visti i tempi indiani non ci credo molto. Ci fermiamo e intravediamo il ragazzo spagnolo, viaggia solo con il suo autista che sembra, ma poi risulta anche esserlo, più sgamato del nostro e di tutti gli altri autisti fermi ad aspettare. Infatti recupera un signore del luogo che conosce una strada alternativa e lo fa salire in macchina, noi lo seguiamo. Passiamo in una stradina sterrata in mezzo alla vegetazione e sbuchiamo subito fuori dal paese. Attraversiamo un ponte dal quale notiamo gente del posto con le auto nell’acqua bassa che le stanno lavando (altro che i nostri autolavaggi…). Lungo il cammino, ci fermiamo a Ranakpur dove si trova il più grande tempio giainista. Ci fermiamo e prima di visitarlo cerchiamo di comprare una Coca-Cola. Entriamo in un posto che ci sembra di più una mensa ma ci dicono che danno anche da bere. Paghiamo quaranta rupie a testa (60 centesimi di euro) e ci accomodiamo a dei tavoli dove c’è altra gente, cominciano a portarci il thai (tipico vassoio dove è servito l’omonimo pasto) e passano con la pentola a versarci il cibo (lenticchie, verdura, salsa, peperoncini e chapati) e l’acqua che gentilmente rifiutiamo. E così usciamo, oltre a non aver bevuto, con la bocca in fiamme per le spezie presenti nel cibo… Come in tutti i templi, ci togliamo le scarpe ed entriamo. Visione spettacolare: tempio fatto tutto di marmo intagliato e pieno di colonne, statue di elefanti e l’immagine del dio giainista in una trinità che prevede sempre lo stesso volto. L’imponenza di questo tempio è incredibile così come l’effetto che fa su tutti noi, ne restiamo veramente affascinati e catturati dalla ricchezza delle lavorazioni fatte su ogni parte con sculture in rilievo di ottima fattura Usciamo felici di esserci fermati e proseguiamo per Udaipur dove arriviamo verso le 17. Doccia, bucato e si parte per giro ispettivo visto che qui rimarremo anche domani. Troviamo da comprare qualche piccolo oggetto d’argento e poi chiediamo ad un sarto di strada di poter cucire un paio di pantaloni comprati il giorno prima con un difetto nelle cuciture. Il sarto ci accoglie calorosamente e provvede a riparare il pezzo senza volere niente!! Ringraziamo e mentre ci apprestavamo a cercare un posto dove andare a mangiare ci ritroviamo di fronte i ragazzi ferraresi che stavano andando a ritirare la biancheria portata a lavare. Che coincidenza! Decidiamo di andare a mangiare qualcosa insieme e finiamo in piccolo locale consigliatogli da altri italiani e presente anche sulla mia guida Lonely Planet, il Queen Cafè. Il posto è praticamente la casa di due signori anziani che ci abitano con la figlia e i due nipoti (del suo marito neanche l’ombra e non abbiamo chiesto) composta da una stanza con un tavolo (probabilmente quello dove mangiano anche loro) e un soppalco animato da quattro bimbi (che poi scopriamo essere la loro “camera da letto”). Siccome la parte sotto è occupata da altri turisti, decidiamo di andare di sopra chiedendo ai proprietari di non far scendere i bimbi. Scatta così una partita a carte chiamata “uno” di cui non tutti gli adulti conoscono le regole e così finisce in tante risate!! Mangiato bene e speso poco ma soprattutto passata una meravigliosa serata in allegria. Salutiamo i ragazzi di Ferrara che domani partiranno per un’altra destinazione e che probabilmente rivedremo a Jaipur scambiandoci i numeri di telefono e ripromettendoci di incontrarci, se possibile, fra due giorni.
23 settembre
Lo sapevo che non dovevo bere il the ieri sera… Anche stanotte ho dormito a spizzichi e bocconi. In più è andata via la corrente ed è stato un caldo pazzesco. Questa mattina abbiamo fatto felice Mahinder facendoci portare in giro con l’auto nei dintorni di Udaipur. Ma solo per un paio d’ore perché poi ci siamo stancati delle sue proposte noiose quello che interessa a lui non fa per noi, noi non siamo turisti, non ci interessa vedere l’esterno della vita, vogliamo esserne parte integrante, viverla nella maniera più emozionale possibile. Il resto della mattina l’abbiamo passata in giro per le strade. Siamo tornati nel negozio di argento di ieri per cambiare qualche euro a un prezzo accettabile. Non c’era il tipo di ieri ma un suo commesso, un ragazzo niente male che ha iniziato a fare un sacco di domande fra lo scambio di moneta e la contrattazione di altri braccialetti. Usciamo e proseguiamo il nostro giro poi ci fermiamo a mangiare un boccone all’Edelweiss Bar un locale dove si respira aria occidentale. Panino al tonno e Coca-Cola… Poi passiamo dall’altra parte del lago e lo costeggiamo attirati da uomini che fanno il bagno lavandosi e donne che fanno il bucato. Sembra di tornare indietro nel tempo quando i nostri fiumi erano anche luogo d’incontro e di sano e felice divertimento. L’unica differenza è che noi vedevamo dove mettevamo i piedi, qui l’acqua è torbida e sicuramente l’inquinamento è altissimo. Poi ci addentriamo nei vicoli e troviamo un negozietto dove due di noi si fanno fare un tatuaggio all’henne per solo 100 rupie (non stiamo neanche a contrattare). Usciti proseguiamo in questa zona decisamente poco turistica e, attirati dai colori delle stoffe, ci fermiamo in un negozietto. Ci facciamo mostrare come s’indossa il sari mentre gli altri attaccano bottone con il marito della “sarta” che si trova a cavallo della sua moto con due bambini e il cognato. Di fronte al negozio hanno una bancarella di frutta e verdura. Le chiacchiere si concludono con l’invito a cena, in casa loro, a base di pollo e verdura… Un conto è il localino tipico poco turistico, un conto è andare a casa di gente del posto che sicuramente ci farà gustare il cibo nella maniera tipica. Accettiamo entusiasti. Prima di rientrare in albergo facciamo sosta al caffè Edelweiss e qui troviamo quattro ragazze – due Austriache e due italiane, si fanno sei mesi in un’università indiana, facoltà di economia e commercio. Una delle due italiane non è particolarmente entusiasta soprattutto per il livello d’igiene visto che si tratta di università privata che ai locali costa oltre 10.000 euro l’anno. Durante i fine settimana ne approfittano per visitare le zone circostanti. E’ comunque un’esperienza di vita che tutti dovrebbero fare. Fatta la merenda ce ne torniamo in albergo per la doccia di rito e riposino in attesa della cena. All’ora convenuta ci incamminiamo fermandoci a prendere delle patatine e della Coca-Cola per i bimbi. Quando arriviamo ci accolgono con allegria e ogni tanto qualche passante incuriosito si ferma per vedere chi stanno ospitando e così davanti a casa è pieno di curiosi. Mentre le donne cucinano il pollo e le verdure, ci vengono fatte mille domande su di noi, sulle nostre famiglie, sul lavoro che facciamo, vogliono sapere tutto, sono veramente interessati, i bambini poi sono fantastici, specialmente Vanshita, nove anni, che parla un inglese perfetto è molto interessata e si vede che è molto aperta e intelligente. Quando tutto è pronto ci invitano a entrare nella “sala da pranzo” dove viene stesa una stuoia sulla quale ci accomodiamo a gambe incrociate. Si inizia col “party” (l’equivalente del nostro aperitivo) al quale sono esclusi bambini e mogli; ovviamente la nostra compagna si sento di troppo ma dicono che deve restare. Sono molto cortesi e ci riempiono continuamente il bicchierino con la birra che abbiamo portato. Quando arriva “in tavola” il pollo (una ciotola per volta) anche gli altri componenti della famiglia ci raggiungono nella stanza ma l’onore di iniziare è il nostro e finché noi non diciamo che siamo a posto, nessun altro mangia. E’ decisamente imbarazzante ma denota l’importanza e il rispetto che viene dato agli ospiti. Si finisce col cantare e con il ballare allegramente. Spero che venga mantenuta la promessa di chi si è fatto dare l’indirizzo per spedire foto e gadget per la scuola ai bambini. Prima di lasciarci andar via i nostri ospiti insistono per portarci in un tempio di Hanuman anche noto come Anjaneya, è una delle figure più importanti del poema epico indiano Ramayana, è un vanara (spirito dall’aspetto di scimmia) che aiutò il Signore Rama (avatar di Vishnu) a liberare la sua consorte, Sita, dal re rakshasa Ravana, accettiamo volentieri raccogliendoci di fronte all’altare della divinità. Torniamo all’albergo riattraversando il fiume ormai deserto mentre continua incessante in lontananza la preghiera da un tempio musulmano, il lago riflette le luci delle case, l’aria è calda e gli odori speziati ci avvolgono teneramente fino alla camera dove, esausti, ci abbandoniamo a un sonno, speriamo, ristoratore.
24 settembre
Si parte presto con destinazione Jaipur e sosta durante il tragitto a Pukmar, la città dove si trova uno dei pochi templi dedicati a Brahma una delle manifestazioni della triade di Brahman (lo spirito supremo) e pertanto importante meta di pellegrinaggio hindu. Appena arrivati la guida ci chiede se vogliamo essere assistiti da una guida… rifiutiamo. Mentre ci dirigiamo verso il centro della città alcune persone ci mettono in mano dei fiori dicendo che occorre gettarli nel lago che circonda il paese in segno di buona sorte. Durante il tragitto notiamo delle persone che come sapessero che abbiamo i fiori ci indicano il percorso da fare (poi capiremo il perché), arriviamo al lago e ci fanno scendere nella zona “sacra” e inizia il rituale… Tutto sommato poteva avere il suo fascino se non fosse stato che volevano una donazione di 500 rupie per ogni componente della famiglia per il quale si era pregato… Faccio presente al commediante di turno che una donazione deve essere libera altrimenti non è più una donazione! Gli caccio qualche rupia e me ne vado. I finti bramini sono contrariati, noto fra i loro sostenitori volti noti: quelli che ci avevano messo in mano i fiori, quelli che per strada ci avevano dirottato in quella parte del lago. Non è che un’organizzazione che per spillare soldi ai turisti, con la scusa della cerimonia, del simbolo da mettere in fronte, della sacralità del luogo e del momento ti cerca di coinvolgere emotivamente per farti sborsare a volte, poi ci hanno detto, somme enormi per il loro standard di vita. A questo punto la nostra giornata, considerato che avevamo fatto già circa sei ore di viaggio (fra strade a tratti terremotate e ingorghi da ora di punta) e che a seguire ce ne sarebbero state almeno altre due, ha preso una piega decisamente negativa. Questo posto sarà sicuramente ricordato come una tappa da evitare… Mi arrabbio con l’autista perché avrebbe dovuto avvisarci di questa cosa ma lui con la sua calma indiana non dice nulla e procede (ma secondo me ha percepito bene la mia alterazione). Poi al rientro a Delhi veniamo a sapere che l’autista non ci ha detto niente per paura di questa organizzazione a delinquere, guai se noi avessimo detto ai finti bramini che il nostro autista ci aveva messo in guardia verso di loro! Cerchiamo di sdrammatizzare mentre ripartiamo per Jaipur raccontandoci barzellette e cantando suscitando l’ilarità anche in Mahinder. Arriviamo che è già buio, l’albergo è molto bello e segna il ritorno alla civiltà: il bagno è dotato di scarico acqua efficiente, la dotazione di articoli per la pulizia personale è ampia e c’è addirittura lo asciuga capelli!! Telefoniamo ai ragazzi ferraresi ma ci dicono di essersi preso febbre e dissenteria e perciò resteranno in hotel. Cena soddisfacente al ristorante sulla terrazza dell’albergo (il pranzo durante il viaggio è stato di un pacchetto di Ritz e una bottiglia di Coca-Cola) e poi tentativo di fare due passi per la città finito clamorosamente in perdita di tempo nel cercare di tornare in albergo dopo aver tentato inutilmente di trovare una zona senza traffico. Le strade sembrano tutte uguali e apparentemente senza nome…
25 settembre
Alle nove si parte puntuali con guida che parla italiano. Oggi ci concediamo visita ad Amber Fort (una volta residenza del maharaja) e all’osservatorio astronomico. Il forte lo raggiungiamo a “bordo” di un elefante come un altro centinaio di turisti da tutto il mondo. Per tutto il tragitto ridiamo come matti a guardare i compagni di viaggio che imprecano per quanto si sentono ridicoli e perché ogni tanto l’elefante starnutisce facendoci la doccia. Il maharaja si trattava proprio bene, ampi saloni con troni di marmo, stanze dove riposare, stanze dove ricevere i potenti, altre dove governare il popolo e poi la zona delle donne dove vivevano le mogli, le concubine… noi occidentali ci accontentiamo di una moglie e magari a volte ci sembra anche troppo una!
Bello anche l’osservatorio con meridiane rudimentali ma molto precise per il calcolo dell’orario, addirittura ce ne sono dodici, una per ogni segno zodiacale, che indicano la posizione delle costellazioni e vengono utilizzate per gli oroscopi e per i matrimoni. Si va a mangiare con la guida che mangia rigorosamente vegetariano (è giainista) utilizzando solo la mano destra in quanto la sinistra, che tiene sotto al tavolo, è la mano impura. Prima di farci lasciare nella zona dei bazar, finiamo un negozio di gioielli e pietre preziose perché uno di noi ha scelto Ganesh come divinità da adorare e vuole un ciondolo in argento. Ovviamente la nostra guida ci ha portati dove sa di poter ricavare una buona percentuale sui nostri acquisti che si fanno molto interessanti anche per lui. Questa guida almeno una volta l’anno viene in Italia e il tipo del negozio fa affari con l’Italia: lavora pietre e le assembla per Pomellato, Cartier e altre case. Lasciamo guida e autista nella zona dei bazar e iniziamo a camminare assillati dai venditori che ci invitano nei loro negozi. Ignoriamo tutti, ormai abbiamo acquistato tutto ciò che volevamo, osserviamo la gente, la vita che si svolge intorno a noi ma c’è sempre qualcuno che gentilmente ti si affianca per chiederti da dove provieni… poi alla fine ti dirotta verso un negozio e allora io divento sgarbato, insofferente. Ad uno che non mi mollava un attimo gli ho detto:
“you see me? I am old, I know more than you! Leave me alone!”
Per far prima, passiamo da stradine interne dove non si vede un turista, la sporcizia incombe e l’odore di urina è più forte che mai visto che l’indiano piscia selvaggiamente ovunque anche a un solo metro dai passanti. Dopo un po’ che camminiamo decidiamo di provare l’emozione di un mezzo di trasporto locale: il risciò.
Dopo pochi metri mi rendo conto di che fatica deve essere far andare avanti pedalando quell’affare col traffico e le buche, è costretto spesso a fermarsi e ripartire, mi sento un po’ un verme: per fare otto km ci ha chiesto 100 rupie, neanche 1,50 euro. Ci diciamo che sicuramente il suo sogno sarà quello di comparsi un Tuc-Tuc. Arriviamo a destinazione e gli diamo il doppio di quello che ci aveva chiesto, pochissima cosa per noi ma lo vediamo felicissimo e in parte ci raggiustiamo la coscienza di fronte ai tantissimi no che abbiamo dovuto dire a donne, vecchi e bambini questuanti. 26 settembre 2012.
Alle nove si parte per Agra, la strada, paragonabile alle nostre autostrade è abbastanza buona e si va più veloci del solito. Anche oggi rischiamo il frontale con una macchina clamorosamente contromano ma poi notiamo che sono parecchie le macchine e i camion che scelgono di andare contromano… e il nostro autista al nostro disappunto sorride come per farci capire che non è una cosa grave. È sempre più forte la voglia di far sedere l’autista nel sedile di fianco e fargli vedere come si guida una macchina! Nonostante sia una strada principale a pagamento, ai lati non ci sono protezioni e si sviluppano villaggi con conseguente traffico di persone, mezzi di tutti i tipi e animali. Entrati in città, noto un corteo di persone con a capo quattro di loro che portano in spalla una lettiga con qualcosa coperta da un telo e fermata con una corda. Mi rendo conto che si tratta di un morto che viene portato alla cremazione. Arriviamo in albergo, Hotel Siris 18, niente male, mangiamo qualcosa, doccia, riposino e si parte con guida verso il forte dove fu recluso, dal figlio, il maharaja che fece costruire il Taj Mahal. Visita noiosa, facciamo parlare la guida in spagnolo per vedere se capiamo qualcosa di più… Mentre sto fotografando una statua sento delle voci note: i ragazzi ferraresi! Non ci posso credere! È proprio una strana coincidenza. Ci salutiamo calorosamente e ci diamo appuntamento per la sera al Maya Restaurant che viene citato dalla nostra edizione della Lonely Planet. Questa cosa mi ha proprio allietato la giornata. Finita la visita, la guida ci porta nel solito negozio dove poi, se acquistiamo qualcosa, prende una percentuale. Sinceramente non ne posso più e faccio scena muta con braccia incrociate e usciamo senza aver comprato niente. Poi cerchiamo di fargli capire che vogliamo andare a girare per le strade per poi andare in albergo e alle venti farci portare al ristorante. Dopo averglielo ripetuto quattro volte sia in inglese che in spagnolo ci ritroviamo davanti al ristorante! A questo punto dico un secco NO e gli indico il depliant dell’Hotel serio. Gli indiani non concepiscono il girare a piedi e soprattutto non credono che in turista voglia girare in posti non turistici. Appena arrivati in albergo liquidiamo l’autista, che parcheggia per aspettare di portarci a cena, e ci incamminiamo lungo la strada alla ricerca di qualche foto da fare. Nei pressi di un tendone in allestimento per il solito rituale del mercoledì a Ganesh, ci assale un’orda di bambini che vengono allontanati da ragazzi più grandi. Come sempre, il popolo della strada è prettamente maschile. Ci sediamo alla fermata dell’autobus a guardare i passanti. Torniamo in albergo e troviamo Mahinder in attesa e ci facciamo portare al ristorante. Passiamo una bella serata, i ragazzi ferraresi mangiano veramente il minimo essendo ancora sofferenti per l’acqua bevuta imprudentemente per strada, parliamo di tutto, del loro viaggio verso l’Australia, del coraggio nelle decisioni, nella forza di lasciare gli agi per l’avventura. Sono giovani e belli, innamorati e complici, che la strada sia facile per voi! Buona fortuna Amici! Ci scambiamo anche la mail così possiamo sentirci ancora e chissà che il prossimo anno non si vada a trovarli in Australia.
27 settembre
Non prendetemi in giro, vi prego! Sto per dirvi come sono e questo non è sicuramente apprezzabile. Tempo fa sono stato ad Agrigento, ho visto i templi… cioè quelle colonne puntate verso il cielo in un sito deserto e vuoto, beh da quella volta ovunque mi portassero se vedevo delle colonne non entravo, che fossero al Foro Italico, a Pompei o ad Atene. Ho fatto questa premessa perché a me dell’architettura, del passato m’interessa veramente pochissimo, io amo la vita, gli sguardi, i movimenti, le parole, amo emozionarmi, piangere, sorridere, soffrire e gioire.
Il Taj Mahal è sicuramente bellissimo, a me è bastato vederlo da lontano, accarezzare il marmo cesellato ed essere in quel posto per cinque minuti, poi sarei scappato via per tornare nella vita, invece… sveglia alle 5.30 per andare a vedere il Taj Mahal una delle meraviglie del mondo. E’ una maestosa e sontuosa tomba fatta costruire dal maharaja per la moglie morta durante il parto. Tutto marmo intarsiato. Veramente imponente e degna di essere ammirata. All’uscita la guida ci vuole portare in un altro negozio ma questa volta ci rifiutiamo! Ci facciamo portare in albergo e la guida inizia con la manfrina del “siete stati contenti delle mie spiegazioni, se siete contenti voi sono contento io….” ovvero datemi una mancia… Gli diamo 100 rupie ma dice che non sono abbastanza… allora gliene diamo altre 100 e lo mandiamo a quel paese. Doccia e si parte per Delhi. Per questi ultimi due giorni ci siano concessi un albergo niente male (alla cifra di ben 25 euro a testa) nella parte nuova che non ha niente a che vedere con il resto della città: pulita, ordinata, niente mucche e niente cani in mezzo alla strada. Depositati i bagagli approfittiamo dell’ultimo giorno a nostro servizio di Mahinder, camminare a Delhi è come voler raggiungere il centro di Roma a piedi partendo dal grande raccordo anulare… Andiamo nel sito dove è stato ucciso Gahndi, non ci sono turisti stranieri, solo una scolaresca locale. Peccato perché è un posto che trasmette delle emozioni. Poi andiamo al Lodi Park: un’oasi di pace tipo Central Park a N.Y. Dopo una mezz’oretta usciamo e troviamo Mahinder che ci aspetta pazientemente. Sorge tuttavia un problema: la macchina è circondata da altre macchine e non può uscire. Dell’autista di quella incriminata, neanche l’ombra. Siccome gli indiani sono molto solidali, altri tre autisti si mettono a guardarsi intorno e a dire la loro su come risolvere il problema. Alla fine optano per sollevare e spostare manualmente l’auto (fortunatamente è di piccola cilindrata) anche se di poco perché poi c’è un albero. Ad occhio sembrerebbe proprio che non possa passare dal varco fatto ma, grazie alle direttive dei connazionali, Mahinder riesce nell’impresa. Applausi generali, si sale in macchina e, come si chiudono gli sportelli, appare l’imbecille del proprietario dell’auto incriminata che, se aspettava un po’ e non si faceva vedere, avrebbe fatto più bella figura. Per andare sul sicuro, a cena torniamo al Broadway Hotel, dove siamo andati la prima sera su suggerimento dell’agenzia.
28 settembre
Andiamo da Mr. Bobby Thakur della Kalka Travels un incontro informale, tra amici, vuol sapere se abbiamo delle lamentele, gli riferiamo che il primo hotel a Delhi non era all’altezza del pacchetto proposto, ci assicura che verrà sostituito con albergo più confortevole, poi gli parliamo dell’inconveniente a Pushkar… (sostiene che l’autista non ci ha detto niente per paura di ritorsioni da parte dei truffatori nel caso in cui i turisti dicessero che è stato l’autista a dire di non accettare i fiori). Per compensare il “danno” subito, ci lascia a disposizione Mahinder anche l’ultimo giorno e per il tragitto dall’albergo all’aeroporto della mattina successiva. Come ultima cosa andiamo al Connought Plaza, una sorta di centro della città che si sviluppa con due costruzioni circolari piene di negozi moderni con al centro un’area verde. Non mancano comunque i poveri che chiedono l’elemosina. Ti si stringe il cuore a vederli ma sono talmente tanti… Si cena presto e si va a dormire perché la sveglia suonerà alle 2.30… Mahinder puntuale alle tre è sotto l’albergo, per strada non c’è praticamente nessuno e si arriva facilmente in aeroporto. L’aereo parte puntuale, si torna a casa, è stata una bella avventura ricca di emozioni anche se un po’ troppo turistica nonostante la nostra tendenza ad uscirne.
Conclusione
Mi verrebbe da dare un giudizio generale all’India, al suo sistema di caste, alle Vacche Sacre che in realtà sono solo animali abbandonati perché non producono più latte, ai branchi di cani randagi, ai bambini nudi sporchi e spesso deformi a causa di un osso rotto e non ben saldato, ai Baba, quei personaggi, generalmente uomini anziani, coloratissimi in volto vestiti in maniera stravagante che ti osservano e ti chiedono una rupia, alle migliaia di persone che la notte dormono sui marciapiedi… io non sono riuscito a memorizzare un solo monumento, niente di bello in India solo fame, povertà, degrado, puzza, sporcizia, inquinamento e… molta ma veramente molta tristezza nel mio cuore. E chiaro che questo mio giudizio è solo personale, chi vorrà andare in India può farlo e magari trovare in questa terra cose bellissime, dipende spesso dal nostro umore, da come si è fatti dentro. Probabilmente a causa dell’età, al fatto che sono nonno, al mio amore per la natura e per gli animali sono diventato molto fragile nell’osservare la vita. Durante tutto il viaggio vedevo solo ciò che mi faceva soffrire e non ho potuto apprezzare ciò che di veramente bello mi si è presentato. Ma come si fa a tirare dritto davanti a due occhi imploranti e una mano tesa? Proprio a causa dei miei rifiuti e all’impossibilità di aiutare tutti sono stato sempre amareggiato e distratto. Il mio prossimo viaggio sarà in Nepal, verso le alte cime che conducono nel Tibet, verso quella gente che, nella pia scorsa esperienza, ho definito: “Zingari Felici”. Sarò sempre a contatto con il popolo Hindu, con la triade o trimurti che in sanscrito significa “tre forme”, lo spirito Supremo, Impersonale, Eterno, il Brahaman o l’Anima del Mondo nei suoi tre aspetti di:
Creatore – Brahma
Il dio creatore, non va confuso con Brahaman, di cui si è detto innanzi, lo Spirito Assoluto del Mondo, né tantomeno con i Bramini, i membri della più elevata casta degli Hindu. Nato da un loto nell’ombelico di Vishnu, Brahma viene spesso ritratto come un dio dalle quattro facce seduto su di un fior di loto. Con la sua mano, su foglie d’oro, si dice che abbia scritto il “Rig-Veda”, una raccolta di 1028 inni agli dei in antico sanscrito. L’adorazione di Brahma è andata scemando perché una volta che ebbe ultimato il suo lavoro di costruzione dell’universo, la palla passò nelle mani di Vishnu e di Shiva. Forse sarebbe meglio dire l’uovo, poiché alcune scritture Hindu sostengono che Brahma fece l’uovo dell’universo e lo covò. La tradizione hindu afferma anche che un giorno nella vita di Brama dura un “kalpa”, vale a dire 4.320,000,000 anni. Dopo ogni “giorno di Brahma” tutto ciò che esiste viene distrutto soltanto per farlo rinascere nel ciclo eterno della morte e della creazione.
Conservatore – Vishnu
Il dio che conserva, ha avuto nove avatar o incarnazioni, e la decima e l’ultima sarà “Kalki, il cavaliere sul cavallo bianco che con una spada rilucente in mano metterà fine a tutti i peccati e i peccatori. Tra gli avatar di Vishnu c’era il settimo, Rama, ottavo come Krishna e nono come Buddha. Rama è l’eroe dell’epica sanscrita, il Ramayana in cui il giovane protagonista riconquista il suo regno e la sua sposa in soli cinquanta mila versi! Più tardi quando un tirannico re demone stava provocando disordini in India, Krishna discese sulla terra dopo che Vishnu gli aveva strappato un capello nero e divenne Krishna, “nero” così come viene spesso rappresentato in nero, blu scuro. Krishna appare come un potente guerriero in un altro poema epico sanscrito, il “Mahabharata” il quale, con oltre duecentomila versi è senza dubbio il campione mondiale del mondo poetico. Vishnu è forse la divinità hindu più popolare, il dio che si incarna volentieri per salvare il mondo e l’umanità da vari giganti, demoni, tiranni e altre calamità. “Quando l’ordine, la giustizia e i mortali sono in pericolo, dive Vishnu, vengo sulla terra.” Molti Hindu lo adorano come la massima divinità. Nel 12 secolo i Cristiani Indiani temevano che Cristo sarebbe stato assimilato nella figura di Vishnu ed essere considerato solo uno dei suoi avatar. Vishnu è una divinità di amore continuo. Il suo maggiore avatar, Krishna viene spesso mostrato nell’atto di suonare un flauto per attirare le “gopis”, le baccanti che lui ha sedotto, a ballare con lui al chiaro di luna.
Distruttore – Shiva
Il dio distruttore, è una figura complessa. La sua ferocia è compensata da qualità più gentili e delicate che ne fanno una divinità preferita da parte di asceti e patroni delle arti, musica e danza. Le sue rappresentazioni più famose lo mostrano come una figura con quattro braccia mentre si manifesta in una danza cosmica a dorso di un piccolo demone cattivo del quale lui ha rotto la spina dorsale. La danza di Shiva simboleggia l’eterno alternarsi della distruzione e creazione nell’universo poiché, nel pensiero Hindu, la distruzione implica sempre la successiva ricostruzione. Questa idea è responsabile di un altro aspetto importante di Shiva, vale dire la sua sovranità sulle forze della fertilità e della riproduzione. In quanto tale il suo simbolo è l’“lingam” o fallo, alla stessa maniera di come il simbolo della sua consorte è la “yoni” cioè la vulva. Il fallo di Shiva si dice che sia enorme e di una lunghezza di cui non si conosce né il principio né la fine. Shiva è senza dubbio la divinità delle contraddizioni: beve pozioni di narcotici ma pratica anche yoga; protegge il bestiame ma conserva il fuoco che distrugge l’universo; ha un terzo occhio demoniaco in fronte che di solito tiene chiuso perché lo usa come lancia fiamme. Diversamente da Vishnu, Shiva è più amato per le sue consorti che i suoi avatar. La sua principale moglie è la dea Kali (la “nera”) assetata di sangue. Il termine THUGS si riferiva all’origine ai suoi adoratori nell’India del nord i quali strangolavano le vittime umane per propiziarsela. Kali viene di solito rappresentata nelle forme di una donna nera nuda con quattro braccia, una lingua che gocciola sangue, denti a fauci e occhi rossi. Indossa orecchini fatti da cadaveri e collane di teschi con serpenti. Il suo volto e i suoi seni sono macchiati di sangue. Eppure Kali è anche la divinità della maternità. La Trimurti che di solito viene rappresentata nell’arte come divinità maschile ha tre teste ed è teoricamente ancora un aspetto dell’Hinduismo contemporaneo anche se l’adorazione della seconda e della terza divinità della triade, unitamente ai suoi avatar e consorti, hanno oscurato il culto di Brama.