Viaggio di nozze in Australia 5
Sulla via del ritorno visitiamo la cattedrale, che ci era sfuggita all’andata, e ripassiamo per il Largo do Senato. Quando ripassiamo davanti al casino Lisboa ci chiediamo se non valga la pena tentare la sorte. Cavolo! E’ il casino più famoso d’Asia…Ce lo lasciamo sfuggire così? Entriamo senza aver ancora deciso e ci aggiriamo tra i tavoli per capire a che gioco stanno giocando. C’è parecchia gente pur essendo soltanto pomeriggio…Ma d’altra parte la Lonely Planet diceva chiaramente che la maggior parte dei visitatori di Macao sono frequentatori dei casino. La giocatrice Sara sta per perdere il controllo…Io mi limito a frenarla per non rischiare di dover lavare i piatti in qualche ristorante per poter continuare la vacanza. Però i dadi ci danno soddisfazione…Il capitale iniziale è quadruplicato! Bravissima Saretta! Ovviamente la vittoria va festeggiata…Quindi dopo una rapida contrattazione col guidatore di risciò parcheggiato davanti al casino, dopo un momento siamo già in strada, spaparanzati sul nostro risciò, con destinazione porto! Dopo un’altra ora siamo di nuovo a Hong Kong…È stata una giornata fantastica! Come concluderla al meglio se non con un bel Dim Sum…La tipica cena in un locale cinese dove servono il the e puoi scegliere le pietanza direttamente dal carrello che passa tra i tavoli? Ovviamente non capiamo cosa sia quello che ci propongono…Quindi ordiniamo da mangiare per un reggimento…Ma iniziamo ad apprezzare i dumplings, i ravioli cotti al vapore, e la cameriera ci spiega come usare le bacchette. Alla fine Saretta può testare il suo inglese nel chiedere il conto, ma sul risultato del test è meglio sorvolare! – 1 AGOSTO Usciamo dall’albergo con l’idea di “scalare” la torre della Bank of China: la nostra guida indica il panorama che si gode da lassù come uno dei più suggestivi della baia. Ci fa un pò “specie” fare la fila per gli ascensori mentre normali impiegati in giacca e cravatta vanno al lavoro (noi siamo in pantaloncini e sandali)…Ma una volta al 43° piano dimentichiamo i disagi e scattiamo foto a più non posso! La vetrata falsa un po’ il paesaggio, sarebbe meglio una terrazza, ma la vista è davvero bella.
Uscendo dalla torre passeggiamo verso Graham Street ed il suo famoso mercato: poiché pioviggina decidiamo di fare una sosta in un internet cafè, dove mangiamo un muffin e mandiamo qualche email a parenti ed amici. Quando usciamo è ormai l’ora di pranzo, ma la nostra meta non cambia: i wet market! Frutta, verdura, assi di legno, carne e pesce abbondano, così come la pioggia che ora cade a catinelle. Ci ripariamo sotto ai teloni delle bancarelle e ci guardiamo intorno scattando foto a tutto quello che vediamo.
Per pranzo ci dirigiamo verso il Lin Heung Tea House, un ristorante cantonese vecchio stile consigliato dalla Lonely Planet. Strada facendo compriamo altri 2 ombrelli…Visto che intanto diluvia e come al solito i nostri ombrelli sono “al sicuro” in albergo.
Il ristorante si rivela anche troppo “vecchio stile” per noi: tavolate rotonde da 10 posti dove siedono famiglie intere, colleghi di lavoro ed anche persone che non si conoscono, gente in piedi all’entrata che cerca di fermare un cameriere per entrare, una confusione pazzesca, pietanze in cesti di bambù impilati su carrelli che girano tra i tavoli…Il trionfo del Dim Sum. Io riesco a fermare un cameriere e trovare due posti in un tavolo già pieno…Ma l’espressione di Saretta mi fa capire che forse questa immersione tanto profonda nella cultura orientale è prematura! Usciamo e ripieghiamo su un molto più “occidentale” McDonald’s…Dove insieme al menù ci permettono di scegliere una bellissima Hello Kitty! Ci rimane un pomeriggio da trascorrere ad Hong Kong, visto che alle 21.10 abbiamo l’aereo per Sydney. Decidiamo di trascorrerlo al Peak, la collina che si erge alle spalle della stazione della metro di Central e dalla quale si può ammirare il panorama sulla baia. Non troviamo niente di meglio e quindi senza troppe aspettative decidiamo di andarci. Però Hong Kong è pienissima di autobus a due piani e noi non ci siamo ancora saliti: usciti dal McDonald’s saliamo allora sul primo che passa, senza nemmeno informarci sulla sua destinazione, saliamo al secondo piano e ci piazziamo proprio di fronte al vetro…Qualche foto e poi giù, prima di finire chissà dove. Non ci siamo allontanati poi molto dal nostro obiettivo, quindi a piedi saliamo le scale fino alla cattedrale di St. John e dopo un po’ arriviamo alla base della collina, proprio alla stazione del tram che ci porterà in cima. C’è parecchia gente e una discreta fila, e tra l’altro noi dobbiamo ritornare in albergo a recuperare i bagagli prima di dirigerci in aeroporto, quindi tralasciamo il museo e ci fiondiamo al tram. Il primo non riusciamo a prenderlo ma il secondo è nostro. Bello! Tutto in legno stile ‘800…E anche abbastanza rapido. In realtà è una funicolare più che un tram vero e proprio, ma questo è un dettaglio! Anche in cima andiamo di corsa, ma nonostante questo ci lasciamo irretire dai negozietti e dai loro proprietari: quadretti di legno, massaggiatori cervicali, elicotteri radiocomandati, thé…Tutti vogliono venderci qualcosa e non desistono nemmeno di fronte alle mie vergognose proposte di sconto! Sono simpaticissimi e alla fine riempiamo tre bustoni di oggetti (quasi) del tutto inutili! Ma è la ciliegina sulla torta di un pomeriggio sorprendente: la vista dal Peak si rivela infatti fantastica, al di là di ogni attesa. Diversamente dalla Bank of China qui siamo su una terrazza, quindi senza vetri, e la vista spazia dai palazzi dell’isola di Hong Kong al porto di Tsim Sha Tsui ed oltre, fino al confine dei territori. Inutile sottolineare che riempiamo buona parte della memoria flash della nostra fotocamera.
Però ora è davvero tardi: di corsa alla metro a Central, autobus fino in albergo, saldiamo il conto (non ci fanno pagare l’upgrade della colazione…Grandi!) e via in taxi fino in aeroporto. Avevamo promesso di chiamare a casa con la scheda telefonica internazionale ma non c’è abbastanza tempo…Il volo Quantas per Sydney ci aspetta! Per non far preoccupare nessuno inviamo un sms, sicuri che in Italia capiranno…Che ingenui! – 2 AGOSTO Altre 8 ore di volo, altri pasti a orari impensabili, ma alle 8.00 in punto atterriamo a Sydney. Le pratiche doganali si rivelano meticolose fino al paradosso. Per il visto è “un parto”, ma l’apice si raggiunge con il controllo dei bagagli! L’Australia infatti, essendo un’isola con un suo habitat ben preciso, non accetta prodotti “naturali” che arrivino da altre parti del mondo: quindi niente mele o cibi in generale…E su questo eravamo “preparati”…Ma nemmeno legno o scarpe da trekking!!! Per quanto riguarda le scarpe giuro e spergiuro che le nostre sono nuove, quindi non hanno mai visto nemmeno un granello di terra straniera, mentre per quanto riguarda i quadretti di Hong Kong, con la loro cornice di legno, le cose sono più difficili. Li esaminano con cura ma alla fine si convincono che il legno sembra essere già stato trattato…Niente quarantena. Siamo salvi!!! Intanto sono le 9.30 e nella zona degli arrivi dovrebbero esserci Linda, ex compagna di classe di Saretta, e suo marito Joseph che ci aspettano dalle 8! Poverini! Infatti li incontriamo lì e, dopo i saluti di rito ed i primi racconti sulle nozze ed Hong Kong, in men che non si dica siamo nella macchina di Joseph diretti al nostro albergo, il Russell, nella zona dei Rock’s. Forse siamo evidentemente stravolti, forse Linda e Joseph hanno un intuito particolare, fatto sta che ci lasciano un paio d’ore di tempo per riprenderci dal viaggio, per poi tornare a prenderci in albergo ed iniziare la visita della città. In albergo tante sorprese ci accolgono: la signora della reception, gentile oltre ogni aspettativa (in realtà, lo scopriremo poi, opportunamente “pretrattata” da Linda), le magiche scale di legno scricchiolanti, la stanza stile ‘800…E poi fiori, cioccolatini e champagne…Dono di Linda e Joseph per le nostre nozze! Ovviamente noi a riposare buoni buoni in stanza non ci riusciamo proprio…Così dopo un brindisi e una doccia, sfruttando la ‘location’ del nostro albergo, ci concediamo un assaggio e un po’ di foto dell’Opera House, praticamente di fronte al Russell! All’arrivo di Joseph e Linda si decide di iniziare dalle spiagge il nostro tour della città: Tamarama, poi Cogee dove Joseph e Linda prendono un gelato e noi un più prosaico panino, quindi Bondi, con Saretta che durante la passeggiata sulla spiaggia trova un dollaro, suggellando così il suo periodo fortunato, ed infine il Gap. Il tempo è splendido e, pur essendo Inverno, la temperatura si aggira sui 20°. Passeggiare è molto piacevole e c’è addirittura chi fa il bagno! Intanto in Italia è l’ora della sveglia, così scopriamo che il nostro sms di ieri sera è stato del tutto frainteso: ci credono ancora ad Hong Kong vittime di chissà quale disavventura! Meno male che non hanno avvertito l’ambasciata! Vabbè…Tutto chiarito! Nel pomeriggio puntiamo ad un locale molto carino che prepara e vende solo thé giapponese in tutte le sue varianti: lì conosciamo Maurizio e Federica, due amici di Joseph e Linda, italiani come noi ma ‘australiani’ d’adozione per motivi di lavoro. L’idea di trasferirsi inizia a sfiorare anche noi! Per la serata Linda ha organizzato a casa sua una “Hot Pot” o fonduta cinese, in pratica una cena a base di cibo cinese, cucinato nel pentolone disposto al centro della tavola. Ci tuffiamo con curiosità nel cibo cinese in compagnia di ragazzi simpaticissimi provenienti da tutto il mondo, ed in più la nostra abilità nell’uso delle bacchette fa enormi passi in avanti! Indimenticabile! – 3 AGOSTO La mattinata inizia presto…Ma non troppo! Joseph e Linda, i nostri ciceroni, all’arrivo al nostro albergo ci trovano ancora a tavola, alle prese con pane tostato e marmellate…Ma in un momento siamo pronti ad esplorare Sydney. La “Lonely” ci indica un mercatino aperto la Domenica proprio alla fine di George Street e, visto che è ad un passo, ci concediamo un giretto. Tutto un po’ turistico…Però compriamo un oggetto di Banksia con relativa essenza profumata. Niente boomerang per il momento, terre più selvagge ci aspettano! La giornata è bellissima, perfetta per un giro sul pilone dell’Harbour Bridge, dove la nostra fotocamera diventa incandescente a furia di foto alla baia ed all’Opera House. Saretta, Linda e Joseph si sottopongono pazientemente al supplizio di foto in ogni posa e con ogni sfondo! Finito il servizio fotografico lunga passeggiata fino all’Opera House, poi il Royal Botanic Garden, con il suo invito a “camminare sull’erba”(!!!), quindi ingresso al museo di arte contemporanea. La nostra “proverbiale” passione per l’arte contemporanea viene tuttavia oscurata dalla fame, visto che passeggiamo da molte ore ed è ormai l’ora di pranzo. Linda con entusiasmo irrefrenabile propone un ristorante taiwanese di recente apertura, il Din Tai Fung. Per noi sarà la conferma di un amore. Già le premesse sono buone: tutto pieno e c’è da aspettare. Nell’attesa però, oltre che osservare attraverso una vetrata i cuochi che preparano i famosi ravioli, si può ordinare su un menù prestampato che forniscono all’ingresso. Naturalmente ci adeguiamo alle scelte di Joseph e Linda e finalmente entriamo: uova dei cento anni, bacchette, tofu, pollo…Ma soprattutto loro…I ravioli al vapore anche qui serviti in cesti di legno impilati uno sull’altro. Meritano il bis! Nel bigliettino che prendiamo uscendo leggiamo che un Din Tai Fung c’è anche a Singapore…Ci facciamo un pensierino.
Nel pomeriggio è previsto un caffè a casa di Maurizio e Federica a Coogee. Saretta rischia la vita per raccogliere una moneta da terra quando il semaforo è ancora rosso…Ma è solo l’ennesima conferma del suo periodo d’oro! Passeggiata sulla spiaggia di Coogee, dove incontriamo Maurizio e Federica che ci conducono a casa loro. Il caffè “molto italico” che preparano è la degna conclusione nostrana ad un ottimo pranzo internazionale.
Li lasciamo nel tardo pomeriggio per una rapida sosta in albergo prima della cena tailandese. Nel ristorante fa un po’ freddo, ma le stufe e la buona compagnia riscaldano presto l’ambiente. Anche qui ci lasciamo guidare nelle scelte… Dopo cena ci spostiamo per qualcosa da bere in un locale dove proiettano un film, forse cinese, con un improbabile doppiaggio in inglese (indimenticabile il nome affibbiato alla protagonista: Political Label!). E’ ormai tardi e per molti dei presenti l’indomani sarà lavorativo, quindi è ora di tornare e casa. Joseph e Linda però ci regalano un giro in macchina nel quartiere a luci rosse prima di riaccompagnarci in albergo.
– 4 AGOSTO E Lunedì e Joseph è al lavoro. Linda invece ha un giorno di riposo quindi può continuare a farci da guida. Il “programma” di oggi prevede un’escursione a Manly, altro quartiere di Sydney, sede della famosissima spiaggia omonima.
Prima di dirigerci al Circular Quay prenotiamo, nell’ufficio di Linda, la navetta che il giorno dopo ci condurrà in aeroporto, e poi ci godiamo tutta la traversata della baia in traghetto: gabbiani, barche a vela e foto all’Harbour Bridge ed all’Opera House. Anche oggi c’è uno splendido sole e la baia scintillante è spettacolare.
Arrivati a Manly percorriamo il corso principale (si chiama proprio così, “the Corso”) fino alla spiaggia. Anche qui ci sono ragazze in pantaloncini e maglietta che fanno jogging ed altri che fanno addirittura il bagno. Noi, in cappotto, tocchiamo l’acqua increduli per verificarne la temperatura! Dopo una bella passeggiata ed un’esilarante disavventura per una foto con un anziano signore australiano non molto a suo agio con una fotocamera digitale ci fermiamo al Fish Cafè per un ricco piatto di calamari fritti.
Durante il percorso di ritorno verso il porto acquistiamo un borsone per i souvenir: acquisto benedetto! Non ricordo più quante volte in seguito rimpiangeremo di non averne comprati due! I primi dubbi sulle modalità di composizione del nostro bagaglio iniziano a serpeggiare: abbiamo troppi vestiti e poco spazio libero per gli acquisti ‘australiani’! Rientrati a Sydney prendiamo la metro in direzione dell’acquario. Passeggiando visitiamo il Queen Victoria Building, un centro commerciale costruito in un palazzo di epoca vittoriana, e facciamo qualche foto con lo sfondo del Darling Harbour, l’elegante porto pieno di barche a vela. L’acquario non ci colpisce molto: abbiamo visto quello di Genova (!) e stavolta i pesci vogliamo vederli nel mare!!! Si è fatto tardi e Linda deve rientrare. Fre però ha ancora un obiettivo, la Sydney Tower che troneggia in quasi tutte le foto della città scattate finora. Allora via in monorotaia (anche questa impedibile per un Frerroviere) fino alla torre, dove Linda ci saluta e noi ci mettiamo in fila per gli ascensori. Prima però c’è stato comunque il tempo per una fugace visita ad un negozio di articoli del sol levante, dove abbiamo acquistato una originale fontana giapponese che ora fa bella di mostra di sé nel nostro soggiorno.
La coda per la torre è snervante, uno dei tre ascensori è chiuso per riparazioni, e Saretta è stanca, ma io insisto. Siamo saliti su torri, tetti e campanili di mezza Europa, possiamo farci scappare la torre di Sydney? Intanto le cose vanno per le lunghe e quando saliamo è l’imbrunire. Le luci che si accendono danno forse più fascino al panorama ma, come già osservato in altre torri con vetrate, l’esperienza di un panorama “all’aperto” è più suggestiva.
Quando rientriamo in albergo è molto tardi e dobbiamo prepararci per l’ultima tappa del nostro itinerario gastronomico orientale: la cena indiana. Stavolta siamo più preparati…Ma scopriamo con piacere che in Australia le stesse pietanze indiane già mangiate in Italia sono molto più buone…Sarà che siamo più vicini all’India!?! La nostra “3 giorni” a Sydney si conclude così: domani partiremo per Adelaide. Quando arriviamo in albergo non sappiamo da dove cominciare per ringraziare Joseph e Linda: a Sydney ci hanno accolto un clima splendido, un trionfo di cucine orientali ed una città calda ed ospitale, ma tutto ci è sembrato più bello grazie alla loro amicizia ed alle loro premure. Grazie ancora! – 5 AGOSTO Sveglia alle 5:30, mentre l’albergo (ed il ristorante per la colazione!) dormono ancora! Vabbè…Navetta delle 6:25 per l’aeroporto non troppo puntuale ma, dopo un lungo giro tra gli alberghi per recuperare gli altri “partenti”, arriviamo in tempo per il nostro volo delle 8:20 con destinazione Adelaide.
Atterriamo in orario e preleviamo la nostra prima macchina, una scintillante Yunday Gets bianca, ovviamente con posto guida a destra! A Sydney intanto abbiamo avuto una spiacevole sorpresa: il nostro navigatore GPS non funziona in Australia: sarà l’emisfero australe, saranno satelliti diversi…Fatto sta che non ne vuole sapere di funzionare! Quindi oltre alla Gets noleggiamo anche un navigatore…Meglio andare sul sicuro! Entro le 18:00 dobbiamo essere a Cape Jervis per imbarcarci sul traghetto per Kangaroo Island, ma sono ancora le 11:00, quindi con calma, prendendo confidenza con la guida a destra (e meno male che ho insistito per il cambio manuale…Imparare contemporaneamente nuove direzioni e nuovo cambio sarebbe forse stato troppo!) ci dirigiamo verso Adelaide.
Parcheggiamo in un parcheggio custodito ed iniziamo a passeggiare per la King William Road, la strada principale. Purtroppo pioviggina e non abbiamo granché modo di apprezzare la città. Ci fermiamo a pranzare in un ristorante italiano indicato sulla Lonely Planet, la Trattoria, ed il simpaticissimo proprietario, di origini siciliane, ci intrattiene a lungo con il racconto della sua vita, comprese le amicizie con Prost, Mansell e tutti gli altri piloti di F1, abituali frequentatori del suo ristorante prima che il Gran Prix d’Australia fosse trasferito da Adelaide a Melbourne.
La sua cucina di “italiano” conserva solo una piacevole sfumatura, visto che nel sugo all’amatriciana delle mie penne c’è anche il pesce e sulla pizza Margherita di Sara c’è il gorgonzola, ma lui è davvero spassoso e comunque andiamo via più che soddisfatti.
Continua a piovere, quindi ci dirigiamo verso un punto informativo comunale che, secondo la Lonely Planet, consente la navigazione su internet gratis. Inutile ripetere che la mitica “Lonely” aveva come sempre ragione.
Recuperiamo non senza difficoltà, visto che sbagliamo parcheggio, la Gets e ci dirigiamo, attraverso le più famose terre dei vini australiane, verso Cape Jervis, dove arriviamo in perfetto orario proprio mentre un enorme sole rosso fuoco tramonta sull’oceano. Imbarchiamo l’auto e ci godiamo la traversata, anche se fa buio quasi subito e non si vede più nulla.
Alle 19:00 sbarchiamo a Penneshaw, ma il nostro albergo si trova a Kingscote, a circa 60 km. Li percorriamo con calma, visto che ormai è buio e gli animali selvatici potrebbero attraversare la strada attratti dalla luce dei fari, ma la strada è buona e non ci sono problemi. Quando arriviamo è ora di cena, quindi decidiamo di fermarci a mangiare prima di cercare il nostro alloggio. La scelta cade su Bella, un ristorante nei pressi dell’Ozone Seafront, l’hotel che credevamo fosse il nostro prima che l’agenzia ci comunicasse di avercelo cambiato. La proprietaria, Bella appunto, è molto cordiale e dopo la cena chiediamo a lei dove trovare il nostro “Stranraer Lodge”. Sorpresa! Non si trova affatto a Kingscote, come credevamo noi! L’indirizzo che ci ha ingannati, che credevamo essere l’indirizzo dell’albergo, era in realtà quello della CASELLA POSTALE dei proprietari! Non basta: dalle indicazioni di Bella capiamo che l’agognato Stranraer Lodge non è nemmeno tanto vicino! Vabbè…Telefoniamo per avvertire che faremo tardi (la signora…Carinissima…Mi chiede se dobbiamo ancora cenare) e partiamo alla ricerca! Le indicazioni di Bella all’inizio sono chiare: tornare indietro verso Penneshaw fino all’indicazione per D’Estrees Bay. Sembra facile…Ma dopo circa mezz’ora la strada diventa sterrata, piena di buche, senza illuminazione, senza indicazioni e circondata da una fittissima vegetazione. Sulla cartina un dedalo di vie è si indicato, ma capire quali di quegli stretti sentieri fangosi è stato considerato meritevole del rango di “via” non appare impresa facile.
Andiamo avanti ma il disagio diventa sempre più palpabile. Confesso che in quei momenti non abbiamo espresso giudizi lusinghieri sull’agenzia e sulla sua scelta di cambiarci l’albergo (*#$%!?!).
Dopo un periodo apparso interminabile, durante il quale il silenzio ha mascherato paure inconfessabili, siamo folgorati da un’illuminazione: se i proprietari del nostro lodge sono i signori Wheaton e sulla cartina esiste una Wheaton Road, probabilmente le vie prendono il nome da chi ci abita! Un po’ come dire che Rossi abita a via Rossi e Bianchi a piazza Bianchi…Ma potrebbe funzionare. Senza indugio puntiamo allora verso Wheaton Road (contando le vie incrocianti, vista l’assoluta mancanza di indicazioni) e come per magia lo troviamo: un’apparizione! Non ci sono altre definizioni. Un cottage illuminato praticamente in mezzo al niente! Ci accolgono i cani ed i loro due simpatici proprietari, più altre due coppie di italiani pure loro in viaggio di nozze: il giorno dopo ci chiederanno stupefatti come abbiamo fatto a trovare il Lodge a quell’ora della sera, confessando di essersi persi in pieno giorno! Il Lodge però è meraviglioso: sembra di essere tornati indietro ai tempi del “piccolo Lord”, di “Sara, lovely Sara”, dell’alta società di “Oliver Twist”. Nella nostra stanza, accanto al maestoso letto matrimoniale in legno, c’è uno splendido camino ottocentesco in mattoni rossi, mentre a terra soffici tappeti coprono quello che, dagli scricchiolii, sentiamo essere un pavimento in legno! Con una velocissima piroetta ci rimangiamo tutto quanto detto sull’agenzia…Un simile Paradiso è perfetto per il nostro viaggio di nozze.
– 6 AGOSTO Piove…Ma perché curarsi del tempo quando si può fare colazione in una sala da pranzo dell’800, con mobili di legno, arredi d’epoca ed una tavola piena di ogni sorta di leccornia? Per pudore Fre rinuncia alla specialità della signora, che invece Saretta accetta: un indimenticabile uovo cotto sul pane tostato! Fre non ripeterà domani lo stesso errore… Incuranti della pioggia ed armati di k-way si parte per il Flinders Chase, il parco naturale che occupa più di metà dell’isola di Kangaroo. Certo la pioggia ha reso la strada un fiume di fango e la nostra Gets non è esattamente un SUV, ma dopo l’esperienza di ieri sera siamo pronti a tutto. Ci avventuriamo, su indicazione dei proprietari del Lodge, sulla strada sterrata e puntiamo su Seal Bay, la baia dove “abita” indisturbata una colonia di otarie, o leoni marini. Arriviamo giusto in tempo per unirci all’escursione delle 10:30 e vivere una delle esperienze più straordinarie della nostra vita. Al seguito di una guida del parco, passeggiamo sulla spiaggia a pochi metri da otarie che riposano, che strisciano a pancia in giù sulla sabbia, che guidano i loro piccoli a fare il bagno. Sono loro i veri “padroni di casa”: non solo ci osservano, ma non hanno alcuna paura ad avvicinarsi, tanto che più di una volta, sulla strada che conduce alla spiaggia, dobbiamo scostarci per lasciar passare qualcuno di questi splendidi animali.
E’ quasi mezzogiorno quando ritorniamo sulla South Coast Road verso il Flinders Chase, ma ci concediamo un’altra sosta in un’oasi naturale dove sono ospitati i koala. Passeggiamo tra gli alti alberi di eucalipto alla ricerca dei simpatici orsetti, ma ne scorgiamo solo uno appollaiato sul più alto ramo di un gigantesco albero. Stiamo ormai ritornando al punto di partenza, un po’ delusi, quando Saretta lancia un grido sommesso: davanti a noi c’è un piccolo wallaby! Ci guardiamo per un momento, poi lui si tuffa nella fitta vegetazione alla nostra sinistra. Lo seguiamo furtivi e ci accorgiamo che a pochissima distanza da noi si apre uno spiazzo nella vegetazione dove sono accucciati quattro simpaticissimi wallaby. Sono i primi che vediamo…Bellissimi! L’isola dei Canguri si rivela sempre di più per il Paradiso che è.
Sono ormai le 13:00 quando arriviamo all’ingresso del Flinders Chase. Registriamo la nostra presenza, come necessario, ed alle 13:30 siamo a quello che le indicazioni riportano essere l’Admiral’s Arch! Però ora diluvia e noi di archi naturali non ne vediamo: siamo su un promontorio sul mare alle spalle del quale si erge un caratteristico faro. E l’arco? Le indicazioni però puntano indiscutibilmente verso il percorso pedonale che inizia proprio da lì. Decidiamo di aspettare che passi il temporale, ma alle 14:00 siamo ancora in macchina. Saretta di scendere non ha la minima intenzione, ma Fre non demorde: non avremo mica fatto 16000km dall’Italia per arrenderci sotto un acquazzone?!? Pertanto imbardato di giacca, sciarpa e k-way si prepara ad affrontare il percorso verso l’Admiral’s Arch da solo sotto l’acqua…Quando il cielo si apre! Saretta si imbacucca veloce come un lampo, ed in un attimo siamo sulla passerella che scende dal promontorio verso il mare. Il vento, il cielo nuvoloso, gli sbuffi dell’oceano, le otarie dappertutto, i due isolotti (“i due fratelli”) di fronte al promontorio disegnano un paesaggio incredibile, ma ancora non vediamo questo famoso arco frutto dell’erosione dell’acqua del vento.
Poi, dietro una curva stretta della passerella, improvvisamente lo vediamo, e la sua bellezza ci colpisce violenta come un pugno. Stalattiti pendono dall’arcata superiore di questa roccia imponente sotto alla quale otarie si tuffano e fanno il bagno, incuranti del tempo o della bellezza del luogo.
Siamo veramente in pochi e questo accresce la suggestione, e quei pochi sono tutti italiani. Meglio…È più facile fotografarsi a vicenda e scambiare qualche commento…A bassa voce però, come in Chiesa, per non disturbare la sacralità del luogo.
Contenti come bambini lasciamo l’Admiral’s Arch e puntiamo ai Remarkable Rocks, particolarissime formazione rocciose rese lisce e levigate dall’azione del vento. Qui c’è più gente e meno magia, anche se non è di certo uno spettacolo che si può vedere ovunque.
Attraverso la Playford Hwy rientriamo a Kingscote, dove abbiamo appuntamento per la cena da Bella con i nostri simpatici “compagni di Lodge”. Dopo cena ci aspetta infatti la “camminata dei pinguini”, un’escursione con una guida locale alla ricerca dei pinguini più piccoli del mondo, che proprio a Kingscote, al tramonto, fanno ritorno a riva dopo una giornata passata in mare a cacciare. Per invogliarli sono state loro costruite tane che danno ad un piccolo tratto di costa l’aspetto tipico del paese…Solo che è “a dimensione di pinguino”! Straordinario! Senza le angosce della sera prima facciamo rientro al Lodge, giusto in tempo per un bicchiere di Porto sul divano del soggiorno davanti al camino.
– 7 AGOSTO Inizia il nostro ultimo giorno a Kangaroo Island. Oggi c’è il sole quindi, rimediato all’errore del giorno precedente a colazione, ringraziati i proprietari del Lodge per l’esperienza indimenticabile vissuta e salutata una delle altre due coppie di amici, in partenza prima di noi, usciamo per godere dell’isola il più possibile. Con la seconda coppia ci rivedremo sul traghetto che, alle 19:30, ci riporterà da Penneshaw a Cape Jervis.
Abbiamo letto che a Kangaroo Island è presente l’ultima colonia di api liguri esistente al mondo, quindi ci dirigiamo verso la fattoria di Clifford dove producono il famoso miele. Ci concediamo qualche acquisto e facciamo rotta su Parndana. Al lodge ci hanno detto che in questo parco naturale è possibile dar da mangiare ai canguri, e questa notizia ha sconvolto Saretta. Impossibile sperare che il nostro appena celebrato matrimonio possa durare a lungo senza una visita in tale luogo.
All’ingresso acquistiamo il mangime, osserviamo distrattamente le voliere con i pappagalli e gli altri coloratissimi volatili, fotografiamo da lontano un koala addormentato su un albero ma non possiamo nascondere il vero obiettivo della visita, l’enorme recinto dove saltellano decine di canguri.
Entriamo timorosi ma “San Francesco Saretta” riuscirebbe a conquistare anche gli animali più feroci…Figurarsi dei mansueti marsupiali. In pochi minuti l’intero branco saltella dietro di lei ansioso di nutrirsi dalla sua mano, mentre Fre riprende tutta la scena. Anche il papà di un’altra famiglia presente, vista l’evidente preferenza accordata dai canguri a Saretta piuttosto che ai suoi due figli, si rassegna a fotografare Saretta anziché i suoi cari. Per Sara si può dire che finalmente “siamo in Australia”! Terminato il sacchetto col cibo usciamo dal recinto e continuiamo ad esplorare il parco. Torniamo agli alberi dei koala e notiamo che lo stesso capofamiglia di prima ha aperto il cancelletto ed è entrato nell’area chiusa dove gli orsetti dormono beatamente. Ci dice che è stato autorizzato quindi lo seguiamo. Un koala è sveglio quindi lo accarezziamo e scattiamo altre foto straordinarie, come al solito avvantaggiati dal “fluido” di Saretta che, anche stavolta, riesce a monopolizzare l’attenzione dell’orsetto! Non dimenticheremo mai l’oasi di Parndana: siamo consci del suo status di parco naturale, dove quindi gli animali selvatici sono abituati al contatto con l’uomo, ma di poter essere “così a contatto” con canguri e koala davvero non l’avremmo mai sperato.
Intanto non siamo ancora che a metà mattina. Quindi abbandoniamo la Playford Highway e ci dirigiamo verso le spiagge della costa nord: prima Stokes Bay, con i suoi sassi colorati che Saretta prima raccoglie ma poi si convince ad abbandonare, poi Emu Bay, con le sue casette basse, la spiaggia bianca ed il lunghissimo pontile. Qui conosciamo un’altra signora italiana emigrata da quarant’anni, con il figlio ed una pettinatura da antologia! Emu Bay non è poi così lontana dal paese, quindi anziché rientrare sulla strada principale decidiamo di continuare lungo le fangose strade costiere fino a Kingscote…Ma non è una scelta felice! La strada è un fiume di fango e più che guidare sembra di pattinare! A “rincuorarci” c’è anche il fatto che, a parte un enorme gregge di pecore, non si vede anima viva! Fortunatamente, tranne un paio di slittate, non succede niente ed arriviamo a Kingscote esattamente per pranzo.
Due veloci panini al supermercato (più biscotti con gocce di cioccolato…Buoni!), bucato nella lavanderia self service (con Saretta che infila la biancheria sporca nella lavatrice sbagliata!), qualche cartolina, un po’ di Internet dalla postazione dell’Ozone Seafront ed è già l’ora di partire alla volta di Penneshaw e del traghetto delle 19:30 che ci riporterà ad Adelaide.
Siamo ormai al tramonto e, strada facendo, rimaniamo incantati dai canguri che, invogliati dalla frescura della sera ad uscire dalle loro tane, si fermano a brucare l’erba sul ciglio della strada. E’ incredibile pensare che c’è gente che vive quotidianamente spettacoli del genere.
Il viaggio in traghetto scorre via veloce, così come il tratto in auto da Cape Jervis ad Adelaide. All’ingresso della città ci separiamo dalla coppia di amici che ha alloggiato nel nostro stesso Lodge a Kangaroo Island e ci fiondiamo alla ricerca del nostro albergo, nella parte nord della città. Anche stavolta facciamo un paio di giri a vuoto, la zona è residenziale e di alberghi nemmeno l’ombra, eppure il navigatore dice che l’indirizzo è proprio questo! Ci fermiamo e bussiamo in quella che ha tutta l’aria di essere una villetta privata…Ed invece è proprio il nostro alloggio! Anche stavolta la mitica agenzia “Australia Alternativa” ha preferito la classe di un’elegante resort alla banalità di un normale hotel. Letto in ferro battuto con baldacchino, mobili in legno scuro, tappeti e cuscini: senza parole!!! – 8 AGOSTO La signora del resort, che la sera prima aveva promesso di prepararci la colazione nonostante dovessimo uscire alle 6:25 ci fa il bidone e non si fa vedere. Vabbè…Rimediamo con una colazione in aeroporto a base di bacon, uova e salsicce (sono le 7:30!). Il volo Quantas delle 8:40 scorre via liscio come l’olio ed alle 12:20 siamo finalmente al caldo di Darwin. Allo sportello della Thrifty assistiamo allo show di un combattivo ungherese, che riesce ad ottenere il suo 4×4 nonostante abbia la classica patente plastificata rosa al posto di quella internazionale. Ripete così tante volte che la sua patente rosa è comunque “international” che gli addetti allo sportello alla fine si arrendono! Noi invece, forti della patente internazionale di Fre, senza problemi ritiriamo la nuova macchina, un maestoso Mitsubishi Pajero 4×4, e, dopo qualche disavventura col cambio, stavolta automatico, nel parcheggio dell’aeroporto, partiamo alla volta del nostro albergo, il Darwin Central Hotel. Avremmo voluto anche qui noleggiare un navigatore GPS, ma la signora dell’autonoleggio, informatasi sulle nostre mete, ce lo nega con un imperioso “You don’t need it”. Alla resa dei conti scopriremo che aveva ragione lei.
Finalmente fa caldo quindi, dopo una doccia veloce, indossiamo magliette, pantaloncini e cappello e ci fiondiamo a scoprire la città. Primi contatti con i didgeridoo, gli strumenti a fiato aborigeni ricavati dai rami di eucalipto scavati dalle termiti, nel negozio sotto l’albergo, l’Aboriginal Fine Arts Gallery raccomandata anche dalla “Lonely”: ci facciamo spiegare come suonarlo…Ma non è facile. Però sono davvero belli! Dopo un rapido panino al McDonald’s torniamo a comprarne uno. Decidiamo di portarlo con noi anziché farcelo spedire, ma dimentichiamo di comprare la base per sorreggerlo. Rimedierà in Italia un onesto falegname romano! La scelta dell’acquisto a Darwin, tuttavia, si rivelerà corretta…In quanto i prezzi dei prodotti aborigeni crescono spostandosi verso Alice Springs, come scopriremo strada facendo.
Il resto del pomeriggio lo trascorriamo a passeggio per Darwin lungo il percorso detto Historical Walk: visitiamo i resti del municipio spazzato via dall’uragano del 1974, il Parlamento, le basse case con le pietre vive in bella mostra sulle pareti, la Chiesa di Cristo ed il Survivors Lookout, con la sua bella vista sull’area portuale. Ci troviamo a passare davanti ad una villa con giardino, che scopriamo essere la residenza del governatore, dove è in corso una festa. Chiediamo se l’accesso è consentito a tutti e ci accolgono con calore. Abbiamo così la possibilità di ristorarci sulle sedie di vimini all’ombra del portico, di osservare le stanze della villa ed il bel giardino giapponese.
Proseguiamo la passeggiata fino al Parco Bicentenario, dove fotografiamo un bellissimo tramonto sull’oceano. Tra l’altro proprio oggi Fre ha rispolverato la maglia azzurra di Euro2008, così tutti individuano con una semplice occhiata la nostra nazionalità e si sentono autorizzati a socializzare. Conosciamo così un altro italiano emigrato quarant’anni fa che ci racconta di tutti i posti dove ha lavorato, della sua amicizia con un riccone locale e dei soldi che ha fatto. Li tira addirittura fuori per mostrarsi più convincente…Ma è solo un rotolo di euro fac-simili! Che simpatico! L’idea era quella di proseguire fino alla fine del parco, all’Acquascene, dove ogni sera al tramonto distribuiscono cibo ai pesci e si ha così l’occasione di vedere un gran numero di specie acquatiche venire in superficie, ma siamo un po’ stanchi quindi ci fermiamo per una birra, la locale XXXX, in uno dei molti locali che si stanno affollando. Ci serve una cameriera con cappellone da cow-boy e mentre ci godiamo il locale attacca bottone con noi un aborigeno, abbastanza brillo, che ci racconta l’inverosimile storia della sua scoperta in mare in una perla del valore di 5 milioni, e di come lui l’abbia poi venduta per 3000$. Gli diamo corda e lui per trattenerci ancora, visto che il mio bicchiere è ormai vuoto, lo riempie con parte del contenuto della sua caraffa (!) di birra. Ma ormai è ora di cena quindi lo salutiamo e puntiamo al Ten Litchfield ed alle sue portate di pesce! E’ dall’Italia che Fre pregusta il tanto decantato Barramundi, una specie di spigola locale, e non si lascia scappare l’occasione. Ottimo davvero! – 9 AGOSTO Si parte per la “tre giorni” al Kakadu National Park! Da lì poi proseguiremo attraverso l’outback fino ad Alice Springs ed Uluru. Di buon mattino imbocchiamo la Stuart Highway e poi, anziché affrontare i 1500 km fino ad Alice Springs (impressionanti i cartelli stradali con le distanze!) deviamo sulla Arnhem Higway per il Kakadu, il parco naturale grande più o meno come il Piemonte e famoso per i suoi fiumi, per le sue cascate, per la sua fauna e per l’arte rupestre aborigena. C’è un sole bellissimo! All’altezza dell’Adelaide River giriamo a sinistra dove un cartello pubblicizza una crociera “Jumping Crocodile”. Abbiamo cercato su internet e sappiamo che c’è una crociera alle 11:00; all’agenzia ci hanno confermato che, pur essendo molto turistica, è un’esperienza divertente.
Ritroviamo la famiglia ungherese che tanto ha faticato per ottenere il suo 4×4 e, dopo un po’, ci si imbarca sul catamarano. Un coccodrillo enorme ci si affianca subito, ma non è ancora niente. Non appena Keith, la guida che ci accompagna, inizia a far penzolare fuori dalla barca enormi pezzi di carne cruda fissati ad un bastone lo spettacolo comincia! I coccodrilli saltano fuori dall’acqua per afferrarli, sbattendo le loro enormi fauci. A volte ricadendo in acqua urtano la fiancata del catamarano…Impressionante! Navigando lungo il fiume ne incontriamo tanti e, durante la navigazione, Keith ci spiega l’età di ciascuno in base alla sua dimensione e quanto possono vivere al massimo. Per finire solletica l’appetito delle aquile appollaiate sugli alberi lungo il fiume lasciando galleggiare sull’acqua il tagliere con i pezzi di carne rimasta. Abbiamo così l’occasione di vedere anche le picchiate di questi rapaci verso la carne che galleggia sul fiume.
Alle 13:00, ancora in preda all’eccitazione, siamo di nuovo sul nostro Pajero in marcia verso il Kakadu. La ricca colazione a base di uova e pancetta che ci siamo concessi in hotel ci permette di saltare il pranzo…Sgranocchiamo solo qualche biscotto sopravvissuto da Kangaroo. Sosta di rito per fotografare i cartelli che indicano l’inizio del parco e continuiamo alla ricerca del punto informativo dove pagare il biglietto d’ingresso. Quando ci fermiamo al Kakadu Aurora Resort sono convinto che sia proprio il punto informativo che stiamo cercando. Chiedo dunque alla ragazza della reception informazioni sul parco e sulle possibili escursioni, mi spiega che non c’è alcun biglietto da pagare (primo ed unico errore della “Lonely”)…E solo a questo punto capisco che quello è un resort, in particolare il nostro resort! Vabbè…Ci sistemiamo nella nostra stanza e ci assale un dubbio: piscina o Jabiru? Naturalmente dopo un attimo siamo in 4×4 verso il cuore del parco! Prima facciamo il pieno al distributore del resort (però…Che prezzi!Conseguenze del monopolio…) e poi via. A Jabiru non c’è…Niente! E’ sabato quindi anche i negozi di quello che sembra essere una specie di “centro commerciale” (!) sono chiusi. In più sotto al nostro Pajero parcheggiato vediamo allargarsi una preoccupante macchia scura: acqua o olio? Momenti di terrore…Ma ci convinciamo che “deve” essere il liquido dell’impianto refrigerante! Preleviamo al bancomat e ci rimettiamo in macchina. C’è un bel lago dove due signore prendono il sole mentre il loro cane scorazza sulla riva. Si complimentano per il nostro matrimonio (effetto “fedi scintillanti”) e ci suggeriscono di andare a vedere il tramonto a Ubirr, la località aborigena famosa per le sue incisioni rupestri. Noi avevamo in programma di vederla l’indomani, ma effettivamente l’esperienza del tramonto ce la saremmo persa. Ci resta giusto un’ultima ora di luce, sufficiente a percorrere i 40 km che ci separano dal sito, parcheggiare e percorrere velocemente, tralasciando le incisioni rupestri…Ma torneremo domani, la scalata fino alla cima della roccia di Ubirr. In cima ci si para davanti uno spettacolo di savana erbosa e billabong, termitai giganti e colline rocciose rese incandescenti dal tramonto.
Nella stagione delle piogge tutta la pianura sotto di noi viene ricoperta dall’acqua: con l’arrivo della stagione secca poi, l’acqua si ritira lasciando dietro di sé erba e piccole pozze, i billabong appunto. Il sole sta tramontando proprio di fronte a noi, immerso nella foschia dell’orizzonte…Incredibile! Quando torniamo al resort è ormai buio…Proviamo a cenare al ristorante ma è pieno. Ci sarebbe da aspettare troppo, allora ripieghiamo sul più informale bar che comunque, col suo filetto di barramundi fritto ed il suo seafood basket, ci dà ampia soddisfazione.
– 10 AGOSTO La sveglia di Saretta non suona!!! Ci svegliamo alle 7:15 ed alle 9:00 abbiamo la crociera sull’East Alligator River regalataci dall’agenzia su “discreta” sollecitazione di Fre! Colazione comunque sostanziosa, anche se veloce, e via come fulmini. Alle 8:50 siamo lì…Niente male questo Pajero! Speriamo non usino autovelox nel parco! La crociera si rivela molto interessante, con le guide che ci spiegano le usanze aborigene e ci mostrano armi e lance utilizzate per combattere e cacciare. Ovviamente anche sulle rive dell’Alligator River sono appostati decine di coccodrilli. E, ci spiega la guida, non si tratta di piccoli alligatori, come il nome del fiume farebbe pensare, ma di cattivissimi coccodrilli “saltwater”. Facciamo la conoscenza di un simpatico gruppo di tre coppie italiane di mezza età le quali, sempre a causa dell’effetto “fedi scintillanti”, ci riconoscono come sposini e si lasciano andare a ironici confronti tra il nostro fresco matrimonio ed i loro “meno freschi”! Ci consigliano anche la crociera a Cooinda che noi abbiamo comunque in programma domani.
Al termine della crociera torniamo al sito di Ubirr per visitare le incisioni rupestri che abbiamo sorvolato ieri sera. Impariamo che per gli aborigeni l’arcobaleno è “il serpente arcobaleno” e che non è troppo amichevole con i bambini…Ma nel pomeriggio abbiamo in mente di “infrangere la legge”, quindi non possiamo trattenerci troppo.
Al momento del noleggio del Pajero, infatti, la signora dell’autonoleggio ci ha fatto firmare una dichiarazione nella quale assicuravamo che non avremmo affrontato alcuni dei percorsi più pericolosi…Quali le piste che conducono alle Twin Falls ed alle Jim Jim Falls! Eppure tutti, dalla Lonely alle guide locali, ci hanno assicurato che nella stagione secca tali piste sono tranquillamente percorribili con un buon 4×4…E cavolo se il nostro lo è! Un po’ col cuore in gola ci avventuriamo dunque sui 60km di pista che ci porteranno alle cascate. Dopo 50km, passati saltellando sulla strada sterrata, circondati da erba secca, termitai alti due metri e alberi verdi con la parte bassa carbonizzata (le guide appiccano dei fuochi controllati per prevenire gli incendi), alle 14:00 incontriamo un posto di blocco dove un ranger ispeziona il nostro mezzo e, dopo una rapida occhiata, lo giudica idoneo a percorrere gli ultimi 10 km, i più “tosti” della pista.
Infatti fino a quel punto la strada era solo sterrata…Da qui in poi ci aspettano torrenti da guadare e strade strettissime interamente ricoperte di sabbia. Chiudiamo gli specchietti per non urtare la vegetazione che praticamente invade la pista e seguiamo le orme nella sabbia tracciate dalle auto passate prima di noi! Una volta ci insabbiamo…Ma basta infilare qualche ramo sotto il ramo e siamo pronti a ripartire! Ah…La “wildlife”! Purtroppo fraintendiamo le indicazioni del ranger: alle 16:00 l’accesso alle JimJim Falls chiude, quindi dovremmo andare prima alle JimJim e poi tornare indietro alle Twin Falls, invece le confondiamo e andiamo direttamente alle Twin Falls. Beh…Direttamente non è proprio l’avverbio giusto.
Dal parcheggio dove lasciamo il Pajero, infatti, fino alle cascate manca più di un chilometro di trekking, inizialmente affiancando il fiume e poi direttamente sul fondale sassoso del letto del fiume prosciugato dalla stagione secca! Il rischio di diventare vedovo subito è concreto…Ma Saretta tiene duro! Una coppia francese che percorre a ritroso lo stesso nostro percorso ci esorta a continuare:”Siete vicini e ne vale la pena!” Dopo più di un’ora arriviamo…È il Paradiso terrestre! Siamo nella stagione secca e la cascata è ridotta ad un rigagnolo, ma il fiume, ritirandosi, ha lasciato dietro di sé un laghetto circondato su tre lati da ripide pareti rocciose. Pochi altri stanno già spaparanzati al sole o a fare il bagno…E noi siamo senza costume!!! Rapido consulto, poi la fatica fatta impone un premio. I boxer di Fre diventano un attillato costume, l’intimo di Saretta un raffinato bikini…E via nella calda acqua cristallina, tra branchi di minuscoli pesciolini colorati e pescioni lunghi quanto un braccio! Non ci sembra vero…
Al ritorno non sentiamo nemmeno le difficoltà del percorso, siamo troppo euforici. Capiamo l’equivoco delle JimJim Falls perché incrociamo un altro fuoristrada con una coppia che ci avvisa che ormai l’accesso è chiuso, ma niente può ormai rovinarci la giornata. L’esperienza alle Twin Falls basterebbe da sola a dare un senso a tutto il viaggio.
Al resort ci aspetta una cena al ristorante. Memori dell’esperienza di ieri stavolta abbiamo prenotato. Alla fine però restiamo delusi…Meglio il bar di ieri sera.
– 11 AGOSTO Si lascia l’Aurora Kakadu Resort con destinazione Nourlangie Rock, la sacra rocca aborigena. Non ci rammarica il fatto che in tre giorni non abbiamo fatto nemmeno un bagno in piscina! Lungo la strada facciamo una prima sosta al lookout, con la sua bella scarpinata fino in cima da dove possiamo apprezzare tutta la pianura erbosa tagliata da questa imponente roccia rossa e scattare delle foto, poi proseguiamo fino alla roccia.
Nawurlandja, questo il nome dell’area in lingua aborigena, è costituita da una formazione rocciosa che si staglia su una pianura erbosa del tutto piatta. Nel corso dei secoli gli aborigeni hanno dipinto sulla sua base molte rappresentazioni di vita quotidiana, di caccia, e dei loro dei.
Seguendo il percorso lungo la base ed aiutandoci con la guida ed i cartelli scopriamo allora la creazione del mondo secondo gli aborigeni: leggiamo di Nabulwinjbulwinj, del lampo e del suo ruolo centrale nella creazione, dell’incesto consumato ed annunciato al popolo da un punto preciso della roccia tuttora visibile. E’ un percorso lungo, nello spazio ma soprattutto nel tempo. Infine ci concediamo una breve sosta nell’area dei billabong.
E’ il momento di muoversi verso Cooinda e verso “l’uscita” del Kakadu National Park. Imbocchiamo la Kakadu Highway verso sud ed arriviamo in perfetto orario a Cooinda per la crociera sullo Yellow River delle 13:15. I colori soprattutto, ma anche le aquile, le anatre selvatiche e le ninfee che tappezzano larghissimi tratti del fiume, rendono questa crociera diversa dalle altre. Meno movimentata e forse anche un po’ lunga. L’unico imprevisto è il volo dei miei occhiali nello Yellow River quando decido di togliermi il cappello. Vabbè…Ora li starà indossando un coccodrillo.
La Lonely suggerisce una visita alle cascate di Waterfall Creek. Non è una deviazione lunga e ci facciamo un salto. La pista finisce in uno spiazzo adibito a parcheggio praticamente vuoto, guardato da una baracca in lamiera che, avvicinandoci, scopriamo essere un bar gestito da aborigeni. Ad un tavolino è seduta una coppia che, dai colori, sembra tedesca. Chiediamo al barista se abbiamo sbagliato strada, ma lui ci rassicura: basta tornare indietro nel parcheggio ed infilarsi nella vegetazione per arrivare alle cascate. E’ proprio così. Dalla vegetazione alle spalle del parcheggio partono un sentiero che porta alla sommità della cascata ed un percorso più breve che la raggiunge dal basso. Poiché il percorso da compiere in giornata è ancora lungo scegliamo quest’ultimo tragitto, e poi abbiamo voglia di fare il bagno, stavolta regolarmente in costume! Anche questa cascata è poco più do un rigagnolo, ma anche qui lo spettacolo è indimenticabile. Il salto delle cascate adesso è più basso, ma ai piedi della parete rocciose è rimasto un laghetto più ampio e profondo di quello di ieri. Alcune persone stanno già facendo il bagno ed in un attimo le raggiungiamo. Qualcuno ha lasciato sulla riva due ciambelloni gonfiabili, quelli degli acqua park nei quali puoi sederti per lasciarti portare dalla corrente.
Ce ne impadroniamo e con quelli ci spingiamo fin sotto la cascata. E’ quasi asciutta e non c’è alcun pericolo, anche se nella fitta vegetazione che circonda le rive sentiamo fruscii e movimenti di animali che un po’ ci inquietano. Peccato solo che il sole stia tramontando e la cascata stia rimanendo in ombra. Comincia a fare un po’ freddo, e vorremmo arrivare a Pine Creek prima che faccia buio. Cediamo allora magnanimamente i ciambelloni a due ragazzini e ritorniamo in macchina verso la Kakadu Highway. Sul sentiero un dingo attraversa la pista proprio davanti a noi e, giunto dall’altra parte della strada, si volta per guardarci. Ovviamente anche noi ci fermiamo e rimaniamo per un attimo così, lui a fissarci incuriosito e noi incantati. E’ solo perché ci stavamo riprendendo durante il tragitto che abbiamo a portata di mano la fotocamera e riusciamo così a scattargli una foto.
Purtroppo la Kakadu Highway diventa tortuosa, e quando arriviamo a Pine Creek è già buio. E mancano ancora 100 km per arrivare fino a Katherine, la “porta” per il Centro Rosso e nostra meta per passare la notte! Ci fermiamo ad un distributore con spaccio e facciamo il pieno non solo di gasolio, ma di tutto quello che la Lonely ci consiglia per la traversata dell’outback: un bidone d’acqua da 15 litri, rivelatosi poi inutile, più biscotti e patatine, per assecondare il nostro nuovo stile alimentare: colazione “full” al mattino, , cena alle 18…E spuntino, con biscotti e patatine appunto, verso le 13. Crediamo giustamente che per travasare l’acqua dal bidone alle bottiglie ci servirebbe un imbuto, ma come si dice in inglese? Spieghiamo alla cassiera cosa cerchiamo ed a cosa ci serve, e lei capisce! “You need a funnel!”. Fantastico! Anche il nostro inglese ha fatto passi da gigante! Siamo pronti ad affrontare la Stuart Highway, “the track”, l’autostrada che da Darwin arriva fino al centro dell’Australia. Il suo fascino ci intimorisce, ed avremmo voluto imboccarla di giorno, ma ormai ci siamo. Ben presto ci accodiamo ad un Road Train, uno dei camion con rimorchi dei quali tanto abbiamo letto. Procede a 100 km/h, che per noi è un’andatura lenta, ma non si capisce quanto è lungo quindi, pur non essendoci molto traffico, non me la sento di superarlo. Lo faccio solo quando appare la corsia per i veicoli lenti dove lui si sposta per lasciarmi via libera. Cambio marcia e lo affianco, sperando che la terza corsia sia lunga abbastanza da lasciarmi il tempo di passare. Confesso di essere rimasto in apnea. Ne supereremo molti altri nei giorni seguenti, e con molta più disinvoltura, ma il primo sorpasso ad un Road Train non lo scorderò mai! Quando arriviamo a Katherine sono le 20 passate. Il paese è abbastanza grande, ma abbiamo la Lonely ed il nostro fiuto ormai affinato. In breve arriviamo al Pine Tree Hotel. In verità più che un hotel è un residence, con la reception all’ingresso del ristorante ed un ampio parcheggio centrale sul quale affacciano le stanze, tutte al piano terra. Quando entriamo vediamo che il ristorante è già tutto pieno, ormai conosciamo le abitudini australiane, quindi chiediamo se è ancora possibile cenare. La bionda signora della reception, anche cameriera del ristorante, nicchia ma prova a chiedere al cuoco. Ritorna sorridendo: il cuoco ha detto di si! Ci sistemiamo allora velocemente nella stanza che ci hanno assegnato, un monolocale con bagno, spartano ma perfettamente in stile “far west”, e torniamo al ristorante. Sarà la fame, a quell’ora notevole, sarà la distanza percorsa, sarà l’atmosfera confidenziale che si è creata…Fatto sta che il filetto di barramundi ed il pollo che ordiniamo, direttamente dal menu scritto col gesso sulla lavagnetta esposta, ci sembrano “da leggenda”. Per verificare se anche il dolce è buono come le pietanze ordiniamo pure una porzione di foresta nera. Sublime.
Ci rechiamo alla reception per il conto, ma la stessa signora di prima ci chiede se dobbiamo dormire lì. Ovviamente si, quindi per il conto ne possiamo parlare direttamente l’indomani. Approfitto di quel momento per chiedere una cosa che ormai chiediamo in tutti gli hotel, l’upgrade della colazione. Quasi dappertutto l’agenzia ci ha prenotato la colazione “continental”, con latte, biscotti e cornetti, ma noi, da viaggiatori che vogliono vivere il viaggio completamente, ci siamo ormai assuefatti agli orari ed ai modi di vivere locali. Quindi la mattina preferiamo una sostanziosa colazione “all’inglese”, a pranzo uno spuntino per poi cenare alla stessa ora degli australiani, verso le 18.
Chiedo dunque se la nostra colazione “continental” può diventare “full”. Una signora mora dietro al bancone si intromette e mi chiede se siamo “honeymooners”, sposi in viaggio di nozze. Già capisco dove vuole andare a parare, ma fingo ingenuità e rispondo di si. “Capisco perché abbiate bisogno di mangiare di più!”, ribatte. “Sei maliziosa…”, le rispondo con un sorriso, al che lei chiude il siparietto con un indimenticabile: “Macché maliziosa…Sono proprio invidiosa!”. Simpaticissima! – 12 AGOSTO L’upgrade della colazione non ce lo fanno nemmeno pagare. Grandissimi! Gli albergatori più simpatici d’Australia sono al Pine Tree di Katherine. La mattinata la passiamo in giro per il paese a fare shopping: finalmente posso accantonare il cappellino di Decathlon e sostituirlo con un bel cappellone di pelle da cow boy. Ora si che siamo pronti per l’outback! A Katherine ci sono anche un sacco di aborigeni, sui quali abbiamo letto cose non troppo lusinghiere, del tipo che non hanno niente da fare e sono sempre ubriachi. A noi sembrano tutti sobri, li vediamo muoversi in grandi gruppi e molti sono scalzi, tanto che sulla soglia di alcuni negozi c’è proprio un divieto ad entrare senza scarpe. Effettivamente alcuni gruppi fanno capannello senza mostrarsi troppo affaccendati, ma altri si muovono con la frenesia delle nostre città. Mica staranno correndo a prendere la metropolitana?!? Non è molto tardi quando risaliamo in macchina e ci immettiamo sulla Stuart Highway. Il primo cartello ci ammonisce: 1166 km fino ad Alice Springs, la meta finale, e 661 fino a Tennant Creek, dove contiamo di arrivare in serata.
Dopo 100 km prima sosta, Mataranka, dove la Lonely ci suggerisce le famose terme naturali. Ormai abbiamo imparato: nei paesi mai aspettarsi di più del benzinaio, dello spaccio, della Chiesa, della scuola e di qualche casa, tutto ovviamente sui due lati della strada principale. Dal benzinaio cui chiediamo indicazioni per le terme tutto ricorda Footloose, proprio il film nel quale Kevin Bacon si trasferiva dalla città in un piccolo paese di provincia. Gli stessi pickup, le stesse persone con jeans e camicione a quadri, gli stessi cappelli. Noi siamo abbastanza in tema, a parte la maglietta al posto della camicia ed il Pajero al posto del pickup.
Le terme poi sono l’ennesimo angolo di Paradiso. Una laguna di calde acque termali circondate da alberi, palme, cespugli, ninfee, dove facendo il bagno puoi aggrapparti al ramo di un albero che si abbassa verso l’acqua, o dove, se non si tocca il fondo, ci si può appoggiare al tronco cavo di un albero chissà quanto vecchio caduto in acqua. Ce le godiamo tutte il più possibile, perché ci si sta davvero divinamente.
Intanto il paesaggio comincia a cambiare. La striscia d’asfalto dinanzi a noi non è più circondata dal verde del Kakadu National Park, ma progressivamente sempre più dal rosso del deserto e dal giallo oro dell’erba bruciata dal sole. Il clima è ancora piacevole, ma inizia a fare più freddo. Dopo altri 300 km, passati a cantare ed a sgranocchiare biscotti con pepite di cioccolato (buonissimi!) mentre sfrecciamo a velocità folli sulla Stuart Highway, diritta come una riga, sostiamo ad Elliot per fare benzina. Il Pajero è super anche nei consumi! Lungo la strada vediamo spesso le famose mucche selvatiche australiane, discendenti, secondo la leggenda, della mandria persa dai primi coloni e dispersasi sull’intero territorio australiano. Spesso la carcassa di uno questi animali giace sul ciglio della strada, a disposizione di rapaci ed altri predatori. Proprio un’aquile intenta a banchettare con una di queste carcasse non si accorge di noi che piombiamo su di lei a 170 km/h. Strombazzo col clacson per invitarla a spostarsi, quindi inchiodo per non investirla. Solo allora avverte il pericolo e spalanca le ali per sollevarsi in volo. Non so esprimere la meraviglia di essere fermi in macchina e di vedere a quattro metri un’aquila aprire le ali, sbatterle forte ma con calma per darsi la prima spinta, e poi librarsi in aria leggera come se nulla fosse.
Quando arriviamo a Tennant Creek è ancora giorno. Il paese, come al solito, si è sviluppato ai due lati della Stuart Highway per non più di un chilometro e mezzo e, per trovare il nostro motel, il Bluestone Motor Inn, la percorriamo due volte, avanti e indietro. Prendiamo la stanza, anche qui in stile residence, con il parcheggio centrale e le stanze, tutte al piano terra, che ci si affacciano, e ci fiondiamo al ristorante.
Sono le 19:00, un po’ tardi rispetto ai nostri orari “australiani”, ma occupiamo uno dei due tavoli liberi ed ordiniamo. Purtroppo la cameriera ci informa che ci sarà da aspettare un po’, e che questo “ po’ “ si aggirerà intorno ad un’ora. Siamo affamati e quindi non la prendiamo benissimo, ma un altro posto dove andare non c’è e probabilmente non darebbe risultati migliori, quindi restiamo.
Capiamo però che in Australia non solo gli spazi sono dilatati, ma anche il tempo. Il ristorante è si quasi pieno, ma non avrà più di 15 tavoli. In Italia avremmo mangiato subito, ma nelle cucine dei ristoranti australiani le pietanze si preparano una alla volta, una dopo l’altra, al momento. D’altra parte…Perché affrettarsi? Dopo un’ora veniamo effettivamente serviti, ma la qualità non è quella di ieri a Katherine, e nemmeno la simpatia dei gestori. Vabbè… – 13 AGOSTO Quasi per ripicca la colazione la facciamo in stanza, con gli ormai famosi biscotti ed il Nescafè. Usciamo per scoprire Tennant Creek, ma è tutto chiuso. Navighiamo mezz’ora su Internet, visitiamo il centro culturale aborigeno e via verso i 500 km che ci separano da Alice Springs. Scopriamo che non è più tempo di pantaloncini e sandali. Adesso fa freddo, ci vuole il pile! Piccola deviazione dalla Stuart Hwy per visitare la zona dei devil’s marbles, le famose “palle del diavolo” che gli aborigeni ritengono essere le uova del serpente arcobaleno, ossia caratteristiche formazioni rocciose a forma di uova.
Per pranzo solita sosta allo spaccio del benzinaio di Ti Tree. Questo ha addirittura una sala con dei tavoli dove consumare le ordinazioni e degli scaffali con peluche e souvenir…In pratica un autogrill dell’outback. Ordiniamo bocconcini di pollo e patatine fritte, ma, ahimè, le chiamo “french fries”! Non l’avessi mai fatto! La cassiera mi riprende al volo: Si dice Chips! Non French Fries! “Come on! You’re in Australia!!!”…Come se non lo sapessi! Facciamo ancora il pieno e spendiamo un capitale in souvenir al Red Sand, il negozio locale di prodotti aborigeni, consigliatissimo dalla Lonely! Però la commessa (da non credere…Di Taiwan!!!) è simpatica: ci racconta di lei e di come è finita in mezzo al deserto, deride le decorazioni aborigene su alcuni prodotti e, quando il “capo” non guarda, ci esorta a prendere qualche magnete come “risarcimento” per il mancato sconto. Noi, rispettosamente, ne agguantiamo uno, ma lei insiste: “More! More!”. Alla fine ne portiamo via 3…Ma non chiedeteci se li abbiamo regalati! Decidiamo di tirare diritto fino ad Alice Springs ma, all’altezza di Aileron, scorgiamo su una collina alla nostra destra un’enorme statua che sembra rappresentare un aborigeno. Ci voltiamo e puntiamo nella sua direzione. Ci troviamo in quella che sembra una via di mezzo tra un negozio ed un centro culturale. Ci accoglie una signora che ci spiega la storia dell’uomo della pioggia aborigeno sepolto ai piedi della collina ed al quale la statua è dedicata. Ci mostra anche le opere che sta dipingendo e ci spiega come interpretare i motivi aborigeni. E’ grazie a lei che ora sappiamo quali sono i simboli della donna, della vanga, del cesto e della frutta. Ci spiega anche che tutte le opere aborigene raccontano una storia, è sufficiente conoscere il significato dei simboli per comprenderle.
Visitiamo la statua scalando la collina e continuiamo verso Sud. Superiamo il tropico del Capricorno, col suo monumento a forma di globo terrestre, ed arriviamo ad Alice Springs che è ancora giorno.
Il nostro resort, neanche a dirlo, è molto bello. Lo troviamo dopo un paio di giri a vuoto, visto che siamo ormai disabituati a paesi che abbiano più di due incroci, ed Alice Springs è un paesino di tutto rispetto. Stanza con vista sulla fontana centrale, niente male.
Usciamo con l’intenzione di cenare da Hungry Jack’s, il Burger King locale, per fare finalmente un po’ di economia ma, durante i giri pomeridiani alla ricerca del resort, abbiamo avuto la disavventura di passare davanti a Casa Nostra, il ristorante italiano citato anche dalla LP. Saretta è assalita da un’incontenibile nostalgia della cucina italica…L’economica cena è rimandata. Pizza per lei e penne con melanzane per me. Buone…Ma morivamo di fame! – 14 AGOSTO Niente sveglia…Ci alziamo alle 8:15! Solita colazione full, ormai un’abitudine, e shopping per Alice Springs. Oggi il freddo è più intenso ed il pile non basta, ma abbiamo le giacche! Quindi passeggiamo per “The Mall”, con i suoi negozi di souvenir, tra foulard fatti a mano e ceneriere di sabbia, fotografiamo il cartello che indica le distanze da tutte le principali città del mondo ed otteniamo, al Centro Visitatori, il permesso per percorrere la Merenie Loop. In programma, infatti, c’è di viaggiare fino al Kings Canyon non sulla Stuart Hwy ma sulla vecchia pista sterrata, attraversando il parco dei West MacDonnell Ranges per poi imboccare la Merenie Loop appunto, attraversando per un tratto il territorio aborigeno per il quale è necessario un permesso speciale.
E’ ormai mezzogiorno quando salutiamo Alice Springs ed imbocchiamo la Larapinta Drive. Notiamo però l’indicazione per la stazione e Fre sa bene che per Alice Springs passa il famoso Ghan, il treno che attraversa l’Australia, da Darwin ad Adelaide. Una sosta è d’obbligo, e la fortuna ci assiste. In sosta c’è proprio lui, il Ghan, con le sue carrozze argentate, col suo inconfondibile simbolo del cammelliere bianco su sfondo rosso, con la sua locomotiva a 6 assi tutta rossa, con i gradini posticci sistemati accanto alle porte per la salita e la discesa dei passeggeri. Che fascino…Il treno è sempre il treno! Si torna in macchina e finalmente si parte. Prima sosta a Standley Chasm, con il suo canyon stretto ed assolato. Arriviamo proprio quando il sole, alto nel cielo, arrossa tutte le rocce circostanti. Entriamo nella gola e ci sembra di essere in un western di Sergio Leone. Abbiamo anche il cappello…Ci mancano solo le pistole.
Poi, abbandonata la Larapinta Drive, continuiamo sulla Namatjira Drive, la strada che prende il nome dal pittore che è diventato famoso proprio per aver dipinto i suggestivi paesaggi di questa zona. Ci stupisce il fatto che la strada si adegui perfettamente alla conformazione del territorio. Se attraversa un tratto ondulato, con due o tre saliscendi consecutivi, dobbiamo superare due o tre saliscendi consecutivi, come sulle montagne russe. Da noi avrebbero sbancato e reso tutto piatto, ma forse è questo l’equilibrio con l’ambiente che da noi non si riesce a trovare, adattarsi a quello che c’è senza volerlo per forza modificare.
Fino a Glenn Helen Gorge la strada è asfaltata ed il viaggio non presenta problemi. Ci fermiamo al “resort”, praticamente una costruzione in legno in mezzo al niente, e seguiamo il percorso verso la “window on the rock”, la finestra nella roccia. Qui infatti il Finke River attraversa la catena montuosa dei MacDonnell Ranges in uno stretto passaggio tra le rocce molto suggestivo. La stagione secca ci permette di avvicinarci camminando direttamente nel letto del fiume asciutto. Torniamo al resort (!) per un gelato e ci prepariamo ad affrontare lo sterrato ma…Sorpresa! La strada è asfaltata fin dopo il Tyler Pass, il belvedere dove ci fermiamo per le foto, ed anche quando diventa sterrata si rivela molto migliore delle nostre previsioni.
Decidiamo allora di allungarci fino ad Hermannsburg, uno dei pochi paesi aborigeni visitabili senza permessi speciali. La missione luterana consigliata dalla guida ha chiuso però da un’ora quando arriviamo, alle 17:00, quindi facciamo benzina accodandoci alle macchine degli aborigeni ed entriamo a fare un giro nel supermarket. Che strano essere guardati come quelli “strani” dai locali, ovviamente tutti aborigeni! La visita non dura molto ed in breve siamo di nuovo in macchina verso il Kings Canyon. Purtroppo la Merenie Loop peggiora parecchio e, muovendoci verso Est, abbiamo il sole che tramonta negli occhi. E’ stato l’unico tratto ostico di tutto il viaggio nell’outback. Arriviamo alle 19:00 passate, ma il resort è uno spettacolo. Nella nostra stanza un’enorme vetrata, alta dal pavimento al soffitto, si affaccia sull’outback…E subito sotto c’è la vasca idromassaggio!!! Ceniamo all’Outback Barbecue, dove scegliamo la carne da farci grigliare e c’è musica dal vivo. I prezzi sono proibitivi ma l’ambiente è molto divertente! – 15 AGOSTO Solita colazione FULL, con upgrade a base di uova e pancetta, in una bella sala con vetrata. Ci accompagnano ad un tavolino per due proprio attaccato alla vetrata da dov, guardando il sole ancora basso all’orizzonte, possiamo pianificare la giornata.
Oggi ci aspetta il Kings Canyon e poi l’ultimo tratto del viaggio nell’outback fino ad Ayers Rock, con i suoi siti sacri, primo tra tutti Uluru. In particolare è prevista per stasera la cena “Sound of Silence”, che è stato necessario prenotare dall’Italia e che ci hanno promesso essere veramente suggestiva.
Quindi è ancora molto presto quando partiamo in Pajero verso Kings Canyon. Ci accoglie un enorme cartello, con appeso un altrettanto enorme cappello da ranger, che ci informa che la temperatura oggi è ottimale per affrontare i due percorsi di trekking presenti. Pur avendo fatto presto non c’è lo stesso il tempo per affrontare il percorso di 4 ore fino alla sommità del canyon, perché alle 17:00 c’è l’appuntamento ad Ayers Rock per “Sound of Silence”.
Scegliamo quindi obbligatoriamente il percorso di un’ora che si inoltra nella gola e che purtroppo si rivela un’esperienza deludente. Il canyon è davvero imponente e ricchissimo di vegetazione, ma il percorso termina proprio all’ingresso della faglia tra le rocce, tra l’altro molto larga, quindi il tutto, visto dal basso, non è molto diverso da una passeggiata in un bosco tra le montagne! Dal nostro punto di osservazione possiamo solo invidiare le persone che, superato il maestoso dislivello iniziale, un’erta davvero impressionante, si muovono sulla cresta del canyon. Beati loro! Ci ripromettiamo di tornare… Quindi di nuovo in 4×4 verso Ayers Rock, su una comoda strada tutta asfaltata, concedendoci anche il lusso di una pausa per qualche foto al desertico paesaggio alla “Tex Willer” che ci si para dinanzi, ed alle 13:00 siamo all’ingresso del Parco Nazionale di Uluru – Kata Tjuta. Scopriamo che i biglietti d’ingresso hanno 3 giorni di validità e che esistono anche le mappe del parco in italiano! Ottimo! Ma ancora il “bestione” non si vede! Poi…Dietro una curva…Eccolo…ULURU! Impressionante! Un rosso pachiderma addormentato, un panettone di sabbia, una montagna marziana piovuta sulla Terra, qualcosa di vivo che sembra potersi sollevare da un momento all’altro dal sonno in cui è piombato. Accostiamo subito per scattare qualche foto, poi realizziamo che avvicinandoci il panorama non potrà che migliorare. Arriviamo alla base di Uluru e notiamo subito la fila indiana di turisti impegnati nella scalata. Noi abbiamo scelto di non farlo, nel rispetto della volontà degli aborigeni che ritengono quello essere un luogo sacro. Percorriamo invece il percorso alla base. La giornata è splendida, perfetta per passeggiare intorno alla roccia ed osservarne le forme, le crepe ed i ripari naturali con le incisioni rupestri. I cartelli ci informano che i locali non gradiscono neppure che si fotografi la roccia, quindi ci tratteniamo…Ma non troppo! Incontriamo nuovamente il gruppo di italiani conosciuti al Kakadu National Park. Loro però sono arrivati in aereo…Peccato! Non sanno cosa si sono persi! Dopo la passeggiata entriamo al centro culturale. E’ molto spartano ma incredibilmente dettagliato. Su enormi cartelli sono raccontate, purtroppo solo in inglese, le storie che gli Anangu (questo il nome che la popolazione della zona dà a se stessa) si tramandano sulla creazione del mondo. Impariamo così i motivi per i quali l’area è per loro così importante: leggiamo dell’ascesa e dei riti degli uomini Mala sulla sommità della roccia, del varano ingannatore e del furto dell’emù ucciso, della lotta del serpente arcobaleno e dei segni ancora visibili sulla pietra. Molto più complicato di quanto ci aspettassimo… Il nostro resort è a Yulara, il “paese” sorto proprio per ospitare i turisti alle porte del parco. E’ grande ma non eguaglia in bellezza quello di Kings Canyon. Alle 17:10 siamo pronti. Stasera trascorreremo il ferragosto sotto le stelle dell’emisfero australe, cenando con vista su Uluru.
E’ tutto organizzato quindi niente Pajero ma trasferimento in pullman. Dopo essere scesi, un breve percorso a piedi ci conduce ad una terrazza naturale dove, sorseggiando champagne e spiluccando tartine a base di canguro e coccodrillo, possiamo ammirare il sole che tramonta su Uluru e sui monti Olgas, cambiandone i colori dal rosso fuoco al bronzo. Davvero molto romantico.
E’ quasi buio quando prendiamo posto ai tavoli già apparecchiati dove verrà servita la cena. Al nostro tavolo ci sono una famiglia gallese con un bambino, una coppia australiana e due ragazze di Hong Kong. La famiglia gallese è già stata a Cairns e proprio nell’albergo dove pernotteremo anche noi, il Bay Village! Ci assicurano che è “first class”. Non avevamo dubbi! La coppia australiana è invece ancora euforica per la scalata di stamattina su Uluru. Lei ci chiede se l’abbiamo fatta anche noi e, quando le spiego che abbiamo preferito evitarla per rispetto agli aborigeni, lei mi liquida con uno sbuffo ed un cenno della mano. Le considera “stupidaggini”! Vabbè… Durante la cena, tra tradizionali portate di agnello e pollo e meno tradizionali portate di salsicce di emù, bistecche di canguro e bocconcini di coccodrillo, ci vengono anche illustrati i nomi delle scintillanti stelle del cielo australiano, dalla Croce del Sud alla costellazione dello Scorpione. Il tutto ovviamente accompagnato dal suono di un didgeridoo. Al momento di rientrare siamo praticamente congelati…Ma è stata davvero una serata indimenticabile! – 16 AGOSTO Nella reception del resort un orologio a parete indica quotidianamente gli orari di alba e tramonto, per invogliare gli ospiti a non perdersi il duplice spettacolo dei raggi del sole su Uluru. L’alba di oggi è prevista alle 7:13. Noi il tramonto l’abbiamo visto…Quindi mica possiamo perderci l’alba?!? La sveglia suona alle 5:45! Rinunciamo alla colazione ed alle 6:30 siamo al belvedere, parcheggiati “con vista su Uluru”. Aspettiamo qualche minuto in macchina, ma capiamo subito che in piedi sul ciglio della strada potremo avere una visuale migliore. Fa freddissimo ma nonostante tutto c’è già molta gente. Uluru nell’ombra mette davvero in soggezione. Sembra una creatura addormentata. Nell’aria se ne percepisce il respiro. Nessuno stupore se gli Anangu lo consideravano carico di significati misteriosi. Costeggiandolo con la macchina siamo rimasti in silenzio tutto il tempo. Forse era il sonno…Ma forse no. I raggi del sole nascente alle nostre spalle aumentano la magia. Piano piano la roccia si accende, fino a passare da un colore bruno ad un acceso rosso fuoco. E’ un trionfo di scatti, di richieste di fotografie fatte e ricevute. Bellissimo ed indimenticabile.
Intanto sono appena le 7:30. Ritorniamo al resort e, finalmente, ci concediamo una colazione “continental”, a base di latte, yogurt e frutta. Poi, senza fretta, ritorniamo al parco per visitare i monti Kata – Tjuta, o “Monti Olgas” per i non-aborigeni. “Tanto sono vicini” – ci diciamo. Poi realizziamo che si trovano a 60 Km da Uluru…Ma il concetto di distanza si è ormai dilatato anche per noi come per gli australiani! Sostiamo al primo belvedere per qualche foto d’insieme a queste caratteristiche montagne, arrotondate come cupole e disposte l’una dopo l’altra a formare un dolce “skyline” nell’assolato outback australiano, poi proseguiamo fino al campo base dei monti. Percorriamo il primo tratto del percorso di trekking tra le cupole di rocce, fino al lookout, ma è un cammino abbastanza difficile. Tra l’altro tira molto vento pur essendoci un bel sole. Decidiamo allora di non proseguire ma di rientrare.
Ci resta però un’ultima cosa da fare prima di lasciare il centro rosso, la foto al cartello che avvisa gli automobilisti a prestare attenzione ai canguri che attraversano la strada! Ce ne sono due sulla strada che da Uluru porta a Kata – Tjuta, e li “battezziamo” entrambi! Perfetto! E’ proprio giunto il momento di abbandonare l’outback. L’aereo che ci porterà a Cairns parte alle 15:30. Noi però alle 12:30 siamo già all’aeroporto di Ayers Rock. Riconsegnamo il Pajero infilando le chiavi nella cassetta del banco Thrifty, non essendoci nessun impiegato. Speriamo bene. Di certo è stato il miglior compagno di viaggio possibile. E’ vero che l’abbiamo preso bianco e lo riconsegnamo rosso di sabbia, è vero che beve benzina come un cammello beve l’acqua in un’oasi…Ma i 3000 e passa km che abbiamo fatto con lui sono stati i più “veri” di tutto il viaggio.
L’attesa per il volo intanto è lunga ed il piccolo aeroporto non offre molti svaghi. Come al solito cediamo alle lusinghe dello shopping: compriamo un piattino con decorazione aborigena…Ma resistiamo al sottopentola di foglie…Peccato! Me lo ricordo carino! Durante il volo ci servono la pasta alle 17 (!), tanto per infliggere l’ennesimo colpo al nostro ormai temprato orologio biologico, ed alle 18:30 in punto siamo a Cairns, pronti a vivere l’ultima settimana del nostro viaggio di nozze, prima nella foresta pluviale, poi sulla barriera corallina ed infine a Singapore.
Dall’aeroporto telefoniamo all’hotel Bay Village e dopo 10 minuti ecco arrivare la navetta. L’albergo è carino, con la piccola piscina all’aperto, l’atmosfera naturalmente tropicale ed il ristorante che si affaccia sulla strada. E’ ancora giorno quindi ci concediamo subito una passeggiata esplorativa della città. Dimentichiamo però la guida in stanza, e ce ne ricordiamo solo dopo aver percorso qualche centinaio di metri. Vabbè…Le nostre mete sono il lungomare ed i mercatini serali…Non sembra tanto difficile. Invece sbagliamo completamente direzione e puntiamo verso l’interno, iniziando a girare in tondo! Che umiliazione…Perdersi in città dopo aver attraversato il deserto! Alla fine però il mare lo troviamo ed anche i mercatini serali: una struttura coperta con dentro negozi e bancarelle di oggetti di ogni tipo, soprattutto souvenir ma anche vestiti e cibo. Ci fermiamo a cenare a base di fish&chips, pollo e patatine e poi torniamo in albergo. La giornata è stata lunghissima. Prima della fine ci regala però ancora un’altra sorpresa: entrando in hotel dal ristorante incontriamo Gianluca e Laura, la coppia milanese conosciuta a Kangaroo Island. Anche loro hanno pernottato lì, come “base” per la foresta pluviale e la barriera corallina. Purtroppo la loro vacanza è finita e stanno per rientrare in Italia. Noi scacciamo questi pensieri…Abbiamo ancora una settimana!!! – 17 AGOSTO Sveglia con calma, colazione “continental” al ristorante balinese dell’albergo e, mentre Saretta finisce di prepararsi, io non riesco ad aspettare: mi concedo quindi un primo assaggio di lungomare con la luce del sole. La giornata è bellissima ed il lungomare di Cairns, che ieri sera abbiamo raggiunto solo quando ormai era buio, è pieno di vita. Su una sottile striscia di cemento in tanti corrono, da soli o in compagnia del loro cane, o vanno in bici, mentre nelle strutture sportive all’aperto costruite tra il mare e la strada moltissimi ragazzi giocano a pallavolo, basket o provano evoluzioni con lo skateboard. Sul mare intanto pellicani, anatre e jabirù si crogiolano al sole del mattino. Bellissimo davvero! Ritorno in albergo e Saretta è pronta. Ritiriamo la macchina, di nuovo una Yundai Gets bianca, torniamo in albergo a caricare i bagagli e siamo pronti a partire per la foresta pluviale. La prima meta è Port Douglas, la piccola cittadina famosa per la sua “Four Mile Beach”, la spiaggia di sabbia bianca lunga 4 miglia. Durante i 70 km di viaggio Saretta può esercitare la sua massima abilità, “picchiettare” con insistenza sempre sullo stesso punto fino ad ottenere quanto desidera. E’ da un paio di giorni, infatti, che ha adocchiato un depliant del “Rainforest Habitat”, un parco naturale di Port Douglas, sulla cui copertina una bambina sorridente stringeva fiera al petto un piccolo koala, e da un paio di giorni propone “disinteressatamente” di visitarlo. Inutile dire che la prima cosa fatta a Port Douglas è stata proprio cercare questo Rainforest Habitat. In realtà il parco si rivela davvero carino. Ci sono uccelli di ogni tipo che volano liberi attraverso l’intera struttura, ci sono canguri ai quali dare da mangiare e coccodrilli. Ma la vera attrazione sono i koala. Una guida ci conduce in prossimità degli alberi dove dormono appollaiati e ci spiega che dormono quasi 23 ore al giorno in quanto la loro dieta, a base esclusivamente di foglie di eucalipto, non fornisce loro l’apporto nutritivo necessario ad una vita più dinamica. Tra l’altro l’eucalipto è per gli uomini una pianta velenosa! Al termine della spiegazione un piccolo koala viene, seppur con molto tatto da parte della guida, svegliato e sottoposto al supplizio delle foto coi turisti. C’è la nonna che vuole la foto del nipote col koala, ci sono famiglie che fotografano l’orsetto coi loro figli, ci sono ragazze provenienti chissà da dove ansiose di toccare un koala e poi ci sono io…Con Saretta! Quando la guida ci ha chiesto se anche noi fossimo intenzionati, ad un prezzo esorbitante, a farci fotografare col koala mi sono voltato verso di lei, sicuro di quello che sarebbe successo ma ansioso di tenerla un po’ sulla corda. Lei ha sfoderato il suo sguardo più intenso, quello con gli occhioni tristi che dicono “mi rendo conto che non posso chiederlo ma mi farebbe immensamente felice” e dopo un momento stringeva con sicurezza al petto l’orsetto peloso, sfoderando il suo sorriso più raggiante nella foto che, opportunamente incorniciata, è stata eletta a simbolo assoluto del nostro viaggio di nozze.
Per pranzo rimaniamo nel parco e scegliamo la formula “Lunch with the lorikeets”, in pratica un pranzo self service con uccelli tropicali di ogni specie e dimensione che ti volano sulla testa. Uno particolarmente intraprendente insegue una bimba di pochi anni che si spaventa da morire ed inizia a piangere disperata. Gli agenti del parco provano a tenerli a freno, ma gli uccelli sono i padroni incontrastati della situazione. Ed è inutile dire che Saretta ancora una volta veste i panni di S.Francesco: non c’è uccello che non possa raccontare di essersi cibato dalla sua mano; alcuni, capito che con lei si mangia tanto, prendono confidenza e provano addirittura a mangiarsi il pupazzetto di “Hello Kitty” preso ad Hong Kong! Quando andiamo via ci sono così tanti uccelli intorno al nostro tavolo che, senza problemi, ci si arrampicano ed iniziano a mangiare i resti dei nostri piatti. Meglio allontanarsi in fretta… Ma Port Douglas è anche la Four Mile Beach e la giornata è proprio perfetta per visitarla. Ci facciamo un salto ma non abbiamo addosso il costume, e comunque dobbiamo arrivare a Cape Tribulation. Ci rimettiamo quindi in macchina ed in un attimo siamo sul Daintree River. Arriviamo proprio quando il traghetto è appena partito, così ci tocca aspettare il prossimo. In realtà il traghetto non fa altro che la spola tra le due rive del fiume, quindi nel giro di un quarto d’ora lo vediamo attraccare dall’altra parte, far scendere le macchine e ritornare a prenderci.
Una volta a bordo paghiamo il biglietto andata e ritorno (19$) e finalmente siamo dall’altra parte, ai bordi della foresta pluviale. Ci dirigiamo verso nord, inoltrandoci sempre più nella foresta, sempre con il mare alla nostra destra, appena oltre gli alberi. A volte la strada sale fino ad un promontorio dal quale osservare il panorama, come il belvedere Alexandra Range dove ci fermiamo per qualche foto, ma molto presto riscende fino al livello del mare e costeggia il litorale da presso, anche se sempre immersa in una vegetazione fittissima. Facciamo un’altra sosta alla spiaggia di Cow Bay e ci sembra di essere Robinson Crusoe, o Guybrush Treepwood del videogioco Monkey’s Island. La baia ci si presenta come una lingua di sabbia circondata su tre lati da colline interamente ricoperte da piante tropicali. Noi sappiamo bene che appena dietro quell’impenetrabile giungla c’è la nostra macchina parcheggiata, ma lo stesso la sensazione di essere completamente soli in balia della natura si insinua nella nostra testa. Per gli esploratori del capitano Cook, che alla fine del 16esimo secolo batterono per primi queste coste, la sensazione non dev’essere stata molto diversa. Quando arriviamo al Ferntree River, il nostro resort, è ormai buio. Però la stanza ha un’intera vetrata con vista sulla foresta ed un balconcino con affaccio sulla piscina. Spettacolare! Ceniamo con Caesar’s Salad e pizza ed in men che non si dica siamo a nanna.
– 18 AGOSTO Ieri la giornata era splendida, mentre oggi purtroppo è nuvoloso. Senza perderci d’animo facciamo colazione ed alle 9 siamo alla spiaggia di Cape Tribulation. Notiamo, come già ieri, che la spiaggia è piena di minuscole palline di sabbia le quali, portate dal vento, disegnano strane forme sulla battigia. Indaghiamo e scopriamo che a crearle sono i granchi che, scavando le loro tane, rimuovono la sabbia formando queste palline. Che simpatici! Continuando la passeggiata ci inoltriamo all’interno, fino al belvedere dove combattiamo un po’ con l’autoscatto finché una coppia non ci viene in aiuto scattandoci un paio di foto. Ricambiamo volentieri e proseguiamo addentrandoci ancora nella foresta. Seguiamo un sentiero battuto, sperando di non avere sorprese. Intanto tra le nuvole fa capolino qualche raggio di sole che filtra anche attraverso la spessa tettoia di rami e foglie che abbiamo sopra la testa. E’ un trionfo di liane, rami attorcigliati intorno a tronchi secolari, tappeti di foglie, uccelli e felci. Sembra di essere nella giungla di Sandokan.
Decidiamo di tornare in macchina e di continuare l’esplorazione verso sud. Arriviamo alla Myall Beach quando le nuvole si sono ormai assottigliate e nel cielo brilla un bel sole estivo. La Myall Beach è molto più larga delle altre spiagge esplorate finora…Quindi…Armato di rametto…Decido di scrivere sulla sabbia la mia dichiarazione d’amore per Saretta. Lei prova a ricambiare…Ma con minore successo.
Intanto la mattinata è trascorsa ed è ora di pranzo. Rientriamo al Ferntree ma il ristorante è chiuso ed il bar della reception ha dei panini che, dall’aspetto, non sembrano molto invitanti. Nonostante i morsi della fame decidiamo allora di cercare qualcos’altro. Ci fermiamo al Whet Restaurant, che avevamo incrociato già ieri, e ordiniamo due pitas. Buone…Ma ci fanno aspettare 40 minuti! Nell’attesa, seduti sulla terrazza del ristorante, osserviamo le due biondissime bimbe della famiglia seduta accanto a noi sedersi a terra e giocare con una cesta piena di giochi portati da chissà dove.
Nel pomeriggio facciamo una sosta esplorativa alla spiaggia del resort di fronte al nostro, il Coconut, ma è più che altro una scusa per confrontare le due strutture. Poi, sempre guidati dalla Lonely Planet, percorriamo il Mardja Botanical Walk, un sentiero nella foresta pluviale. Arriviamo alla Thornton Beach, un’altra spiaggia con un piccolo isolotto proprio di fronte, dove incontriamo due coppie di anziani tedeschi ai quali chiediamo di scattarci una foto. Si passano la fotocamera impacciati, cercando l’un l’altro di sgravarsi da cotanta responsabilità. Infine uno di loro ce la scatta e, contrariamente ad ogni nostra aspettativa, è anche venuta bene! Per chiudere la giornata decidiamo di concederci un gelato alla Daintree Icecream Company, la fabbrica artigianale che abbiamo incontrato ieri sulla strada per Daintree. Si può scegliere tra soli tre gusti, ciascuno legato ad un tipico prodotto della foresta. Ovviamente chiedo lumi sui frutti che hanno generato quel capolavoro e, pur non ottenendo spiegazioni soddisfacenti, devo confessare che il gelato era davvero buono. Per cena al ristorante del Ferntree, un po’ per sgravarci la coscienza ma soprattutto perché sono settimane che mangiamo come maialini, decidiamo di dividere una pizza in due.
– 19 AGOSTO Ultimo giorno nella foresta. Stasera bisogna rientrare a Cairns! Partiamo dal Ferntree alle 9 e puntiamo al Jindalba Boardwalk, un’area attrezzata con passerelle di legno dove è possibile avvistare i casuari, una specie di struzzi australiani. Purtroppo di casuari non se ne vedono, ma nell’area è presente una torre di legno alta 40 metri, con più piani intermedi, che permette di osservare la foresta da differenti altezze.
Risalendo i suoi piani scopriamo che nella foresta ci sono anche farfalle e, soprattutto, i fiori, solo che crescono sui rami più alti degli alberi e non sono visibili da terra.
Alla fine del tour è ormai ora di pranzo. Fortunatamente c’è un bar dove consumare un bel muffin prima di rimettersi in macchina. Riattraversiamo col traghetto il fiume Daintree, e con noi si imbarca uno dei tanti camper “wicked” che più volte abbiamo incrociato per le strade australiane. Rispetto agli altri questo ha per decorazione una frase emblematica, che abbiamo fotografato per non dimenticarla più: ‘ Three words a woman wants to hear.”I was wrong”.’ Saggezza popolare! La nostra meta al di qua del fiume è il villaggio di Daintree. Scopriamo però che è molto piccolo e completamente ad uso turistico: ci sono solo ristoranti ed agenzie di viaggi che vendono escursioni in zona. Ci limitiamo allora a fare solo un giretto e partiamo quasi subito per Mossman. Sono infatti due giorni che Saretta “picchietta” per tagliarsi i capelli in uno dei parrucchieri che abbiamo intravisto a Mossman quando l’abbiamo attraversato all’andata. Io ho provato a spiegarle che Mossman non è esattamente la capitale dell’alta moda e che, pertanto, affidarsi ai suoi coiffeur avrebbe potuto rivelarsi pericoloso per il suo look…Ma lei non sente ragioni.
Entriamo nel primo parrucchiere ma, incredibilmente, c’è da aspettare quasi un’ora. Nel secondo i tempi sono più brevi e Saretta si lascia convincere. Ne esce che è una donna nuova…Con un “australianissima” capigliatura liscia. Non male…Ma di certo non è il parrucchiere dove andare settimanalmente! Ripartiamo per Cairns, arriviamo al solito hotel, ci sistemiamo rapidamente in una stanza diversa dall’altra volta ed usciamo per la cena. Riconsegnamo la macchina all’autonoleggio infilando le chiavi nell’apposita buca, visto che lo troviamo chiuso, e per cena non andiamo oltre un panino da McDonald’s. – 20 AGOSTO Oggi è il giorno della partenza per Green Island e per la parte del nostro viaggio da trascorrere sulla barriera corallina. Alle 9:15, con ben un quarto d’ora di anticipo, l’addetto dell’agenzia Great Adventures passa a prenderci in albergo. Noi stiamo tranquillamente navigando su internet e, dunque, perdiamo parte della connessione! Vabbè… Con lui facciamo il giro dei vari alberghi a recuperare gli altri ed alle 10:30, imbarcati i bagagli sul traghetto, partiamo. Il mare è terribile. Arriviamo alle 11:20 più morti che vivi. Tra l’altro fa freddo e tira un forte vento. Le hostess del resort che ci aspettano sulla banchina indossano le calze. Iniziamo a sospettare che la stagione non sia esattamente quella giusta.
Comunque sono molto gentili e ci conducono al resort, ma purtroppo il check in è alle 14:00, quindi possiamo solo lasciare le valigie alla reception ed aspettare. Per ingannare il tempo facciamo un giretto, navighiamo un po’ in internet dalla postazione free e conosciamo altre coppie di italiani. Una coppia che è già lì da qualche giorno ci spiega in due parole quello di cui ci siamo già accorti. L’isola è minuscola, appena un chilometro di lunghezza di cui 500 metri sono occupati dal resort. Quindi se il tempo non consente di andare in spiaggia non ci sono molti altri divertimenti e, a lungo andare, ci si sente un po’ in prigione. Loro due, a conferma di quanto detto, iniziano a guardare il dvd di Rain Man.
Noi ritiriamo l’attrezzatura da snorkeling al negozio di articoli sportivi e ci informiamo sul tempo e sulla possibilità di effettuare immersioni con le bombole. Ci spiegano che è in arrivo una tempesta tropicale e che quindi il tempo resterà nuvoloso ancora per qualche giorno, con l’eccezione, forse, di domani. La famosa “quiete prima della tempesta”.
Dopo un po’ però mi stufo di aspettare ed insisto per la stanza. Mi accontentano…È pronta! Neanche a dirlo, è bellissima! Parquet, finestre a scorrimento con scuri di legno, terrazza con tavolino e sedie, angolo bar… Ovviamente con l’attrezzatura appena presa io e Saretta ci fiondiamo in spiaggia. Io mi imbardo con la tuta, la maschera ed il boccaglio e, nonostante le nuvole, mi immergo a fare snorkeling. Saretta ha freddo e rimane sotto l’ombrellone. Poi, vedendomi sguazzare felice tra anemoni e pesci colorati decide di raggiungermi, ma a quel punto io sto congelando e decido di uscire. Per oggi niente immersione insieme! Torniamo in stanza per la doccia ed alle 17:00 in punto siamo sul pontile per il fish feeding. Un addetto del resort lancia in mare cibo per i pesci, attirandone così in superficie esemplari di tutte le specie. Alle 17:20, sul bordo della piscina, ci viene servito l’aperitivo ed alle 18:30 decidiamo di sederci al ristorante per cenare. Per me tonno grigliato e per Saretta gnocchi al formaggio! Il clima non sarà clemente ma il trattamento che ci riservano al resort è da “Mille e una notte”! – 21 AGOSTO E’ ancora nuvoloso! Ce la prendiamo quindi molto comoda e siamo ancora seduti a fare colazione quando arriva la prima nave con i turisti “di giornata”. Decidiamo di approfittare del brutto tempo per visitare la riserva naturale dell’isola, dove si trovano due tartarughe giganti ed un sacco di coccodrilli ma…All’improvviso, vediamo il cielo aprirsi! Come dei fulmini ci fiondiamo in spiaggia: snorkeling, che alla luce del sole si rivela essere un’esperienza spettacolare, poi canoa. Pagaiamo intorno all’isola, sotto lo sguardo vigile del bagnino che non ci perde di vista un solo istante. Infine decidiamo di esplorare l’altro versante dell’isola, percorrendo un sentiero che si inoltra verso l’interno. Per il ritorno però, scegliamo di seguire il litorale.
Per pranzo ci concediamo una mela e, subito dopo, un pisolino sotto l’ombrellone! Cavolo! Finalmente un po’ di viaggio di nozze “tradizionale”!!! Alle 17:00 di nuovo sul pontile per il fish feeding (solo io, in realtà, Saretta ha fatto tardi) e poi aperitivo sulla spiaggia. Il tempo oggi lo consente. Ci trastulliamo in spiaggia sui lettini per un po’, quando all’improvviso ci ricordiamo di non aver visitato l’acquario sottomarino ai piedi del pontile. E’ bellissimo! Una finestra sulla barriera corallina, coi suoi colori, i suoi anemoni e i suoi moltissimi pesci, tra i quali, ovviamente, i più belli sono i pesci pagliaccio! Alle 19:00, infine, ci accomodiamo al ristorante. Stasera gnocchi per entrambi. Io provo quelli al formaggio e Saretta quelli al salmone.
– 22 AGOSTO Oggi termina il nostro soggiorno sulla barriera corallina e si torna a Cairns, sul continente. Purtroppo è di nuovo nuvoloso quindi, considerando anche che siamo in partenza, decidiamo di non andare in spiaggia e di anticipare alle 12:00 la partenza, inizialmente fissata alle 16:00. Alla reception sono molto gentili ed esaudiscono la nostra richiesta.
L’imbarco avviene in stile aeroporto, con le valigie lasciate alla reception ed imbarcate direttamente dal personale del resort. Bello…Ma ci accorgiamo che la nostra valigia è ancora tra quelle da imbarcare col traghetto delle 16:00! Insistiamo un po’ per segnalarlo…Ok! problema risolto! Almeno per ora… Infatti nell’imbarcare la nostra valigia si rompe una delle ruote…È il dramma! Come trascinare un simile peso per il resto della vacanza “senza rotelle”? All’arrivo a Cairns facciamo presente il problema ai responsabili dell’agenzia “Great Adventures” ed ancora una volta gli australiani danno prova della loro gentilezza. Inizialmente provano a riparare la valigia poi, resisi conto che l’impresa è impossibile, promettono di consegnarci in albergo una valigia equivalente.
Tra l’altro, in tutta questa fase di contrattazione, perdiamo l’autobus che avrebbe dovuto ricondurci in albergo e ci pagano il taxi. Niente da dire…Professionali! Alle 14:30, come promesso, arriva in albergo la nuova valigia. E’ “Made in China” ma è grande come la nostra, ed era questo che ci premeva. Trasferiamo le nostre cose nel nuovo bagaglio ed usciamo. Ripercorriamo per l’ennesima volta l’esplanade fino al porto. E’ così bello che viene voglia di trasferirsi a Cairns per poterci passeggiare ogni giorno. Arriviamo fino ad una piscina all’aperto, dove in tanti fanno il bagno, e proseguiamo fino alle enormi barche ormeggiate sui pontili. Inizia a piovere e ci ripariamo in un centro commerciale. E’ molto grande, con un enorme spiazzo centrale dove sono esposte le tele di chissà quale artista. Facciamo qualche partita in sala giochi, beviamo un caffè ed una cioccolata calda in un bar con gli arredi di legno ed usciamo.
Per rimanere al coperto ci dirigiamo verso i mercati serali, ma ormai è ora di cena. Stasera per me è l’ultima occasione di provare la carne di coccodrillo, che ho assaggiato solo come bocconcini ad Ayers Rock. Sappiamo dove andare. Filetto di coccodrillo per me e frittura di calamari per Saretta. Anche questa missione è compiuta! – 23 AGOSTO Ciao Australia! Alle 10:05, accompagnati in aeroporto dalla navetta dell’albergo, prendiamo il volo per Brisbane ed alle 13:55 la coincidenza per Singapore. Entrambi i voli si rivelano tranquilli, anche se la borsa dei souvenir ci dà qualche grattacapo. A Cairns risulta troppo pesante quindi, per non imbarcarla, fingiamo di svuotarla per riempirla subito dopo il check in, mentre a Brisbane diamo fondo a tutto il nostro savoir fare per non farcela pesare. Noi abbiamo, infatti, il foglio di uscita dall’Australia già compilato, diversamente dai due cinesi davanti a noi sui quali gli addetti alla dogana concentrano le loro ire. Sorridendo glielo sventoliamo sotto al naso evitando così ulteriori controlli! E’ fatta! L’arrivo a Singapore è in anticipo, alle 19:30. I nostri bagagli arrivano subito, ma il nostro didgeridoo, impacchettato per il viaggio, è scambiato per un’arma. I militari col metal detector ce li controllano quindi di nuovo prima di uscire dall’aeroporto…Che ambientino! Preleviamo qualche dollaro di Singapore ed in taxi ci dirigiamo al nostro albergo. Sorpresa! E’ una topaia! La prima stanza che ci assegnano è comunicante con un’altra, che scopriamo essere occupata da una famiglia cinese con due bambini, e la porta di comunicazione è rotta.
Chiedo immediatamente un’altra stanza e ce ne assegnano una “mignon”. Le nostre valigie non entrano ed il bagno è grande come un armadio. Ma purtroppo sono le 22:00 e facciamo buon viso a cattivo gioco… – 24 AGOSTO La colazione è in tono con l’albergo: si effettua nella “reception” (anche se definirla così è un complimento) e senza neppure il latte. Decidiamo che finire la nostra luna di miele in un modo tanto inglorioso non ce lo meritiamo, quindi partiamo subito alla ricerca di un altro albergo. L’hotel 1929, proprio a fianco al nostro, ha una stanza disponibile che ci mostra, mentre il Royal Peacock è pieno. Ma in fondo il 1929 va bene…Lo raccomanda anche la Lonely! Solo che la stanza non sarà pronta prima delle 10:00.
E che problema c’è? Intanto si può iniziare ad esplorare la città. Visitiamo dunque la pagoda buddista, coi suoi colori rosso ed oro ed i suoi caratteristici soffitti ricurvi verso l’alto, ed il tempio hindù Sri Mariamman, con la sua colorata piramide di divinità all’ingresso. All’interno stanno celebrando una specie di battesimo, e ne approfittiamo per osservare in silenzio parte del rito.
All’uscita del tempio poi, uno dei fedeli vuole farsi benedire l’auto, evidentemente nuova. Uno dei sacerdoti la cosparge di petali salmodiando…Mentre tutto intorno si raduna una folla di curiosi.
Ma finalmente sono le 10:00. Chiediamo il check out al nostro albergo, anche se il tizio alla reception prova timidamente a ricordarci che abbiamo ancora una notte, e trasferiamo le nostre cose al 1929. Anche questo è un “Boutique Hotel”, come chiamano qui gli alberghi del centro per sottolineare che sono piccoli come bomboniere, ma almeno in questa stanza le nostre cose entrano! Usciamo di nuovo e ci dirigiamo al tempio cinese Thian Hock Keng. Strada facendo ci infiliamo in un vicoletto pieno di negozi e bancarelle e ripartiamo con lo shopping sfrenato che avevamo giocoforza abbandonato nelle sperdute terre australiane. Profumi, una pipa, una teiera…Siamo felici! Abbiamo lasciato la topaia! Visitiamo anche una scuola coranica, dove un ragazzo molto gentile ci fa da guida, ed arriviamo al tempio “della felicità celeste” che stavamo cercando, dove ci accolgono due draghi simbolo dello Yin e dello Yang. Singapore è un crogiolo di religioni e tutti questi templi lo dimostrano, ma accanto alla tradizione convive una moderna mentalità consumistica, con una zona commerciale tra le più grandi d’Asia. Prendiamo allora la metro e ci dirigiamo ad Orchard Road, la via dello shopping. Tra l’altro è l’ora di pranzo e noi cerchiamo Tai Fung, il ristorante taiwanese conosciuto a Sydney.
Lo troviamo, quasi per caso, nel primo centro commerciale dove entriamo, e ne approfittiamo mangiando, come al solito, un po’ troppo! Poi esploriamo i vari centri commerciali e troviamo conferma a quanto raccontato dalla guida: che a Singapore la più grande passione è il cibo. In tutti i centri commerciali, infatti, un intero piano è dedicato ai ristoranti e non c’è ora del giorno o della notte in cui non si veda qualcuno sgranocchiare qualcosa! E’ il posto giusto per noi! Dopo una breve sosta in hotel decidiamo di trascorrere la serata al Boat Quay, il caratteristico quartiere lungo il fiume. Ogni tanto arriva qualche goccia di pioggia, me l’ambiente è molto romantico. Per cena un panino…Non siamo mica turisti da spennare!?! – 25 AGOSTO Colazione “full” al ristorante dell’albergo, con la sua vetrata con vista sulla strada. Anche oggi pioviggina, ma siamo armati di k-way. La nostra meta è Sentosa, l’isola interamente adibita a parco dei divertimenti. Per raggiungerla utilizziamo la monorotaia, anche se facciamo parecchi giri prima di capire dov’è la stazione.
La parte di Sentosa più vicina a Singapore è un enorme cantiere…Leggiamo che vi costruiranno l’ennesimo centro commerciale…Che fantasia! Ci accoglie sull’isola un’enorme statua a forma di leone, il simbolo di Singapore. Ci avviciniamo, passeggiamo fino al belvedere e saliamo sulla Tiger Tower, la torre rotante dalla quale è possibile osservare un suggestivo paesaggio di Sentosa e di Singapore.
In lontananza si vedono delle isolette che la nostra guida dice essere artificiali. Per raggiungerle usiamo una seggiovia (proprio come sulla neve!) che sorvola una piccola foresta tropicale. Che vertigini…Ma molto meglio della specie di scivolo che usano, in alternativa, alcuni ragazzini! Le isole sono davvero carine, anche se immerse in uno scenario molto poco tropicale, soprattutto considerando il maltempo. Però la sabbia è proprio sabbia! In cabinovia arriviamo fino al monte Faber, ma il belvedere non è granché. C’è un negozio di souvenir visitato da una rumorosa comitiva di romani, ed una carrozza dell’800 con dentro un tavolino apparecchiato per la cena che pubblicizza un ristorante locale. Scopriamo che per riscendere con la seggiovia avremmo dovuto fare il biglietto…Ma si inteneriscono e ci fanno salire lo stesso! In metro arriviamo fino a Little India, il quartiere indiano. Gironzoliamo per i vicoli, poi ci infiliamo tra le bancarelle di un mercatino pieno di elefantini bianchi e Buddha panciuti. Scopriamo che il tempio indiano che intendevamo visitare è chiuso fino alle 17, e Saretta mostra di non gradire molto i pungenti odori di curry e zenzero che permeano l’aria.
Allora torniamo in metro fino a Orchard Road per ‘bissare’ il pranzo al ristorante taiwanese di ieri! I dumplings di maiale sono buonissimi e stavolta l’abilità di Sara nel maneggiare le bacchette di legno viene anche filmata! Dopo pranzo continuiamo ad esplorare i centri commerciali, ma cominciamo ad essere stanchi, quindi ci concediamo una pausa in un bar. Saretta non si fida dei caffè stranieri e si concede una bibita ghiacciata, ma a me viene un’ispirazione ed ordino un caffè. Sorpresa! E’ buono ogni oltre aspettativa e servito al vetro! La foto al bicchierino vuoto lo testimonia! Poi ci dirigiamo al Raffles, il famoso albergo di Singapore dell’epoca coloniale dove è stato inventato il cocktail Singapore Sling e dove si racconta sia stata uccisa l’ultima tigre bianca di Singapore.
Strada facendo incontriamo una folla festante che sventola bandiere. Scopriamo che sono tifosi in attesa della squadra olimpica di ping-pong, reduce dall’argento di Pechino. Aspettiamo qualche minuto ma non si vede nessuno, quindi proseguiamo per il Raffles. E’ ormai più un museo da visitare che un albergo, ma conserva intatto il fascino dell’età coloniale. Dal punto in cui entriamo noi, che scopriremo poi essere il retro della struttura, ci troviamo in un cortile circondato da un portico di colonne bianche, sopra al quale si trovano i balconi delle stanze dell’albergo. Al centro del cortile c’è un bar sotto un gazebo e tutto intorno dei tavolini. Al bancone del bar due camerieri in divisa completamente bianca preparano il famoso cocktail, in vendita alla modica cifra di 12 euro!!! Sembra di essere sul set di Sandokan, tra piante tropicali, fontane e camerieri cingalesi. Bellissimo! Ovviamente c’è anche un museo autocelebrativo del luogo, ma non è molto di più di un negozio di souvenir, peraltro in vendita alle ormai immancabili cifre spropositate. Molto meglio la sala da biliardo, dove si dice sia stata uccisa l’ultima tigre bianca di Singapore nel 1902.
Finalmente arriviamo all’ingresso principale, dove un portiere in uniforme e turbante uguale a Kabir Bedi ci concede l’onore di una foto. Chiedo anche di entrare a dare un’occhiata all’albergo, ma non si può per via dei pantaloncini corti che indossiamo! Non sappiamo se sorridere o offenderci. Decidiamo di sorridere…E ci permettono di affacciarci nella hall per una foto…Che onore! Uscendo ritroviamo la stessa folla di prima, ma stavolta c’è anche il pullman con i giocatori assediato dai tifosi! Hanno vinto la prima medaglia olimpica della storia di Singapore…Se lo meritano. Ritorniamo dalle parti del nostro albergo e lasciamo trascorrere un po’ di tempo passeggiando in un mercatino, ma ormai è ora di andare. Ritiriamo i bagagli in albergo e dopo una rapida corsa in taxi siamo in aeroporto. L’aero che ci riporterà in Europa, a Francoforte, ci aspetta. Il nostro viaggio di nozze è finito…Ed esprimere un giudizio sintetico che possa descriverlo appieno è impossibile. Siamo stati in posti belli al di là di ogni immaginazione, abbiamo vissuto quattro settimane “fuori dal mondo” godendo di un viaggio mozzafiato in ogni istante! L’Australia ci ha accolto con calore e noi l’abbiamo vissuta intensamente, calandoci anima e corpo nelle sue usanze e nei suoi costumi. Ma anche l’Asia, forse più dell’Australia, ci ha stupiti, perché verso di lei avevamo minori aspettative. Invece le sue vie, i suoi colori, i suoi templi e, soprattutto, il suo cibo restano tra i ricordi più intensi di questo indimenticabile viaggio di nozze.