Viaggio di nozze alla scoperta dell’ovest americano
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Alcune informazioni pratiche
Volo acquistato circa sei mesi prima a 950 euro a persona andata il 02 giugno Bologna-San Francisco (con scalo a Parigi) con Air France, ritorno il 20 giugno Los Angeles-Roma diretto con Alitalia. In mezzo il volo di andata e ritorno per Maui da Los Angeles con la compagnia Delta. Assicurazione sanitaria stipulata con l’agenzia di viaggi a 100 euro a persona. Macchina noleggiata dall’Italia con la Alamo a circa 400 dollari per 10 giorni, consiglio di portarvi da casa il navigatore con le mappe americane aggiornate è utilissimo e noleggiarlo in America costa parecchio.
Per dormire abbiamo prenotato dall’Italia tutti gli alberghi con l’agenzia lasciando libera solo una notte perché indecisi sull’itinerario da compiere (decisione che si è rivelata azzeccata perché ci ha permesso di fare una deviazione per la suggestiva città fantasma di Bodie). Di solito tendiamo sempre a prenotare gli alberghi sul posto qualche giorno prima ma essendo un viaggio di nozze questa volta abbiamo preferito fare tutto con l’agenzia (sicuramente più comodo ma anche più vincolante).
Per preparare il viaggio abbiamo utilizzato le guide sulla California e sui parchi del Sud-Ovest della Mondadori e naturalmente i tanti racconti di viaggio dei turisti per caso.
Consigli pratici per la visita dei grandi parchi nazionali
Ricordatevi di consultare sempre il Visitor Center per chiedere informazioni sui vari trail (tipo difficoltà e durata dei sentieri), sulle attività da svolgere e sulle condizioni meteo. Ci sarà sempre un ranger che col sorriso vi illustrerà qual è il trail più adatto a ogni vostra esigenza. Inoltre per preparare al meglio il viaggio è utile consultare il sito ufficiale dei parchi (www.nps.gov). Se avete intenzione di visitare dai quattro parchi in su vi conviene comprare il pass al costo di 80 dollari e della validità di un anno da esibire ad ogni ingresso del parco (eccetto la Death Valley dove per la troppa calura non esiste la postazione del ranger, ma potrebbero fermarvi per chiedervelo). Cercate di tenere sempre il pieno di benzina nella vostra macchina dato che i distributori all’interno dei parchi sono cosa assai rara e le distanza sono notevoli. Ricordatevi di comprare sin da subito una borsa frigo di polistirolo che vendono in tutti gli store alimentari, a noi è risultata indispensabile per le volte che abbiamo pranzato al sacco e per mantenere fresche frutta e bevande.
Le tappe di viaggio sono state le seguenti:
2-5 giugno San Francisco
5 giugno San Francisco-El Portal (Yosemite National Park)
6 giugno El Portal-Lee Vining
7 giugno Lee Vining-Furnace Creek (Death Valley National Park)
8 giugno Furnace Creek-Springdale (Zion National Park)
9 giugno Bryce Canyon National Park
10 giugno Springdale-Monument Valley
11 giugno Monument Valley-Grand Canyon National Park
12 giugno Grand Canyon N.P.-Las Vegas
13-14 giugno Los Angeles
15-19 giugno Maui, Hawaii
2-5 giugno – SAN FRANCISCO
Arriviamo dopo un volo decisamente lungo alle ore 13 all’aeroporto di San Francisco. Con un taxi ci dirigiamo al nostro hotel, l’Holiday Inn Fisherman’s Wharf nel quartiere omonimo. Posizione ottima e hotel molto carino (ci hanno sistemato in un edificio a fianco a quello principale con camere pulite e non troppo rumorose). Cerchiamo di resistere agli effetti del jet lag promettendoci di non andare a letto prima delle 20. A San Francisco ci siamo trattenuti due giorni e mezzo (3 notti) che a mio avviso sono sufficienti per farsi una buona idea della città.
Riassumo qui di seguito le 7 cose assolutamente da non perdere:
· Tour in bici dal Fisherman’s Wharf al Golden Gate Bridge: la metto al primo posto fra le cose da non perdere a San Francisco, per noi è stata l’esperienza più bella fatta in questa città. Si noleggia una bici in uno dei tanti chioschi presenti in zona Fisherman’s Wharf e ci si dirige verso il Golden Gate Bridge (uno dei più famosi simboli americani) lungo la costa. Le bici sono equipaggiate con lucchetto, marsupio e casco per chi lo vuole (non è obbligatorio). Lungo la Golden Gate Promenade è possibile ammirare le case del Marina District e il Palace of Fine Arts, grandioso monumento in stile neoclassico costruito durante la Panama-California Exposition del 1915 e poi restaurato negli anni 60 (per gli appassionati di cinema come me è il luogo in cui Nicolas Cage recupera il fuggiasco Sean Connery nel film The Rock). Arrivati al Golden Gate Bridge i più temerari possono proseguire fino al villaggio di Sausalito (la strada si fa in salita) per poi rientrare in traghetto. Per questo tour copritevi bene perché tira molto vento
· Salita sulla Coit Tower: questa torre da cui godere di una vista a 360 gradi della città è situata su Telegraph Hill. Vale la pena visitarla non tanto per la torre in sé (la vista è ottima ma ci sono le vetrate e non si riescono a scattare ottime foto) quanto per la strada che si deve fare per arrivarci. Ci si arriva con ripide e lunghe scalinate che passano in mezzo a una fitta vegetazione floreale e a bizzarre case ad assicelle di legno color pastello un tempo dimora di immigrati e artisti emergenti; ora invece è un quartiere residenziale considerato fra i più in voga della città anche per via degli scorci panoramici che offre.
· Tour ad Alcatraz: i traghetti per l’isola di Alcatraz partono tutti i giorni dal Pier 33 ma è consigliabile prenotare i biglietti tramite internet dall’Italia (sul sito www.alcatrazcruises.com) perché se si sta pochi giorni in città si rischia di trovare tutto esaurito (in ogni periodo dell’anno). Consiglio di prenotare il primo tour della mattina (parte alle 8.30) per non trovare troppa ressa sull’isola e avere così l’altra mezza giornata libera (calcolate una mattinata intera se si vuole vederla bene). Nel penitenziario è disponibile con il biglietto un audioguida in italiano che permette di carpire a fondo tutti i segreti che hanno reso celebre questo carcere di massima sicurezza. Mette i brividi visitare gli stretti corridoi e le anguste celle della prigione che hanno ospitato fra gli altri Al Capone e Robert Stroud detto Birdman. Dal piazzale antistante la casa del direttore (quel che ne resta) e il faro si possono scattare belle foto con vista sulla baia e sulla città. Alla fine del tour, nell’area souvenir abbiamo incontrato un ex detenuto che firmava le copie del suo libro sulla sua detenzione ad Alcatraz
· North Beach: è il quartiere che più ci è piaciuto della città. E’ paragonabile a una Little Italy newyorchese o al North End di Boston. Qui però a differenza di New York si respira una vera atmosfera italiana, sono diversi i ristoratori italo-americani che hanno delle attività. Consiglio vivamente una sosta alla City Lights Bookstore (261 Columbus Avenue), la prima libreria degli USA a vendere solo edizioni economiche, molto cara a Jack Kerouac. Da vedere i numerosi caffè che hanno attirato gli artisti della Beat Generation, fermatevi per un aperitivo al colorato Vesuvio (255 Columbus Avenue) che rappresenta tuttora un ritrovo di letterati e artisti. Se vi trovate in questa zona per cena e avete voglia di cucina orientale recatevi al Brandy Ho’s Hunan Food sulla Columbus Avenue, offre piatti tipici della regione cinese del Hunan, abbiamo provato noodles con verdure un pollo al curry molto piccante
· Fisherman’s Wharf e Pier 39: è la zona in cui abbiamo alloggiato e presenta molte attrazioni da vedere. Al Fisherman’s Wharf ci sono tanti chioschetti dove provare la clam chowder servita dentro una “ciotola” di pane sorseggiando una bottiglia di birra. Interessante la visita al Musee Mecanique, l’ingresso è gratuito ma non riuscirete a trattenervi dallo spendere un quarto di dollaro in uno dei numerosi giochi meccanici ed elettronici del secolo scorso tutti funzionanti. Proseguendo a piedi si arriva al celebre Pier 39, con tanti ristoranti e negozi, molto turistico ma anche molto originale da vedere, la principale attrazione è rappresentata dai leoni marini che cercano riparo dalle freddi correnti oceaniche. Se vi fermate qui per mangiare vi suggeriamo il Crab House dove gustare il granchio in tutti i modi possibili immaginabili!
· Castro e Mission: trascorrete un pomeriggio in questi due quartieri e non ve ne pentirete! Iniziate con Castro, quartiere simbolo della comunità gay dove tutto trasmette allegria e colore dagli addobbi lungo la strada alle vetrine dei negozi; spostatevi poi a Mission, il quartiere ispanico dove gustare ottimi cocktail in uno dei tanti bar del quartiere.
· Alamo Square: la piazza delle “sette sorelle”, ovvero sette case in stile vittoriano una a fianco all’altra che rappresentano una delle immagini più fotografate di San Francisco. Noi ci siamo arrivati da Castro dopo una lunga passeggiata fatta di infiniti saliscendi, se potete per arrivarci prendete un mezzo…
Meritano una visita anche Chinatown (vale la pena vederla anche se a me è piaciuta di più quella newyorchese che mi è sembrata più coinvolgente, se si esclude Stockton Street dove si può osservare la vita di tutti i giorni), Japantown (sede della comunità giapponese con numerosi ristoranti di sushi) e il Ferry Building (dove la vecchia stazione portuale della città è stata trasformata in un luogo pieno di ristoranti bar e negozi e in cui al martedì, giovedì e sabato troverete il Farmers Market con gli agricoltori che espongono una vasta selezione di frutta e verdura fresca e altri prodotti biologici)
Non mi sono dimenticato di Lombard Street (un’icona di San Francisco) ma a mio parere l’ho trovata troppo affollata di turisti e macchine, da questa zona si possono però godere scorci meravigliosi sulla baia e su Alcatraz.
Purtroppo non siamo riusciti a compiere il classico giro turistico sul Cable Car in quanto proprio in quei giorni c’era lo sciopero dei conducenti di questi mezzi e non posso esprimere una personale opinione anche se immagino che mi sarebbe piaciuto parecchio.
Giovedì 5 giugno: SAN FRANCISCO -EL PORTAL (Yosemite National Park)
Sveglia presto (costante di queste mattine causa jet lag) e colazione veloce e abbondante da Denny’s sotto l’albergo. Non vediamo l’ora di partire per il nostro tour, ci dirigiamo subito all’Alamo vicino a Union Square non senza qualche difficoltà a causa del simpatico ma non molto pratico taxista greco che aveva impostato un indirizzo sbagliato sul suo navigatore. Ritiriamo una Nissan Versa e dopo mezz’ora circa siamo già fuori da San Francisco direzione Yosemite N.P. La prima tappa è il Mariposa Grove of Giant Sequoias all’interno dello Yosemite Park ma in posizione marginale, verso sud-ovest. La strada è lunga, calcolate almeno 4 ore per arrivare al parco da San Francisco. Dopo aver parcheggiato ci incamminiamo a piedi per ammirare da vicino questi mastodontici alberi, il percorso è molto bello in mezzo al bosco, ma di sequoie giganti non ce sono tante me ne aspettavo di più. Ci fermiamo ad ammirare Grizzly Giant, il terzo esemplare di sequoia più alto al mondo e ritorniamo alla macchina.
Ci aspettano ancora diversi chilometri prima di arrivare a El Portal ma allunghiamo la strada deviando per Glacier Point (assolutamente da non perdere), il punto panoramico migliore di tutto il parco da cui si possono vedere bene le massicce formazioni granitiche (tra cui l’Half Dome) e le imponenti cascate. Altro view point imperdibile dirigendosi verso la parte centrale del parco è Tunnel View dove troverete uno spiazzo subito all’uscita della galleria per parcheggiare e scattare numerose foto! Nel tardo pomeriggio usciamo dal parco e ci dirigiamo a El Portal dove abbiamo prenotato una stanza al Cedar Lodge per la notte. Sosta al market vicino per rifornirci di patatine e birra per l’aperitivo e per comprare la borsa frigo di polistirolo che tornerà utile per tutto il viaggio. La nostra giornata termina con un meritato bagno in piscina e una cena al diner dell’albergo (non un granché, forse la peggiore cena della vacanza).
Venerdì 6 giugno: EL PORTAL – LEE VINING
Colazione con muffin e cioccolata calda e ci avventuriamo alla scoperta del parco prendendo la strada circolare che lo percorre. La prima tappa è Bridevail Fall (cascata del velo della sposa), è mattina presto e ci siamo solo noi. Mentre ci incamminiamo lungo il sentiero ci imbattiamo in due esemplari di cervi mulo che ci accompagnano fino alla cascata, fantastico condividere questi posti meravigliosi in compagnia dei loro “inquilini”. Dopo questa breve passeggiata ne facciamo un’altra al Lower and Upper Falls Trail, sentiero asfaltato e facilmente percorribile che conduce a due fra le più maestose cascate dello Yosemite che in questo periodo sono piene d’acqua e ci regalano un bello spettacolo. Gli scoiattoli corrono numerosi lungo tutto il sentiero che dura circa tre quarti d’ora. Poi sosta allo Yosemite Village Visitor Center a fare il pieno di gadget (mia moglie va pazza per queste cose) e a comprare qualcosa per il pranzo al sacco. Verso mezzogiorno ci mettiamo in marcia per oltrepassare la Sierra Nevada attraverso la Tioga Road. Se come noi partite in tarda primavera controllate attentamente su internet (www.nps.gov/yose/planyourvisit/tioga.htm) che questa strada sia aperta al pubblico, generalmente la aprono verso metà maggio o inizio giugno a causa dei lunghi lavori per rimuovere la neve; se dovesse essere chiusa, la strada per oltrepassare la Sierra Nevada si allungherebbe e non di poco. La Tioga Road ci regala scorci non inediti perché ricorda molto le nostre strade di montagna che passano in mezzo a verdi prati e boschi. Come punti d’interesse dove fermarsi consiglio Olmstead Point (camminate per circa 10 minuti fino all’Overlook, un ampio spiazzo roccioso che vi offre una differente visione dello Yosemite e non ve ne pentirete…), al grazioso Tenaya Lake (noi abbiamo pranzato sulle rive sabbiose di questo lago) e al Tioga Pass (una foto a 3100 metri con la neve intorno quando in meno di 24 ore saremo catapultati nel deserto della Death Valley non ha prezzo). Se avete poco tempo non vale la pena fermarsi a Toulomne Meadows, molte recensioni lo consigliano ma non l’ho trovato interessante, ha senso solo se si dorme li in tenda perché da questa ampia radura partono tantissime escursioni da fare in giornata. Verso le 16 arriviamo a Lee Vining e al Mono Lake, ricco di formazioni sedimentarie. Qui chiedo informazioni per la città fantasma di Bodie, una delle meglio conservate di tutti gli States e un ranger mi dice che si trova a tre quarti d’ora in direzione opposta a quella in cui dovremmo andare noi…guardo mia moglie, lei è scettica ma sa quanto ci tengo a vedere una città fantasma. Alla fine cede, quindi ci fiondiamo in macchina e partiamo per il Bodie State History Park; sarà una scelta di cui non ci pentiremo, solo noi e pochi altri turisti a vagare fra le case di legno abbandonate di questo ex villaggio di minatori, un’esperienza che vale davvero la pena di fare! Attenzione perché le ultime tre miglia sono su strada sterrata abbastanza accidentata. Rientriamo a Lee Vining e decidiamo di alloggiare in questa minuscola cittadina alle pendici della Sierra Nevada, ceniamo da Nicely’s con fish and chips poi subito a nanna dato che la mattina seguente ci aspettano almeno 3 ore di viaggio per arrivare alla Death Valley…
Sabato 7 giugno: LEE VINING – FURNACE CREEK (Death Valley National Park)
Partiamo come sempre di buon’ora dopo una colazione con cappuccino e muffin da CaffeLatte e dopo un paio d’ore d’auto siamo a Lone Pine graziosa cittadina western dove approfittiamo per fare scorta d’acqua e frutta per poi recarci successivamente al Visitor Center della Valle della Morte a raccogliere preziose informazioni su cosa vedere e consigli pratici per come comportarsi (soprattutto le zone in cui spegnere il climatizzatore della macchina per non surriscaldarla). La Death Valley regala panorami desertici davvero suggestivi, ma per affrontarla bisogna essere ben organizzati e non allontanarsi troppo dalla macchina per escursioni lunghe, il caldo è intenso e il corpo necessita continuamente di liquidi. In poche ore riusciamo a vedere diversi posti tra cui le Mezquita Sand Dunes (dune sabbiose sulla strada per Furnace Creek), Devil’s Golf Course (una distesa infinita di zolle di terra cristallizzate dal sale), Badwater e l’Artist Drive con l’Artist Palette. L’Artist Drive è una strada tortuosa a senso unico di circa 5 miglia che si avventura in mezzo a rocce che al tramonto assumono colori unici, sicuramente uno dei punti più interessanti della valle.
Nel tardo pomeriggio il caldo inizia a farsi davvero insopportabile e decidiamo di trovare refrigerio a mollo nella piscina del Furnace Creek Ranch, unica oasi verde di tutta la Death Valley dove alloggeremo per la notte. Il villaggio è grande con due ristoranti, un market, un distributore di benzina, un museo e la grande piscina in cui recuperiamo le energie dopo questa lunga giornata di viaggio prima di andare a cena al Corkscrew Saloon dove mangiamo un buon hamburger. Chiudiamo la giornata con un bagno notturno sotto un cielo stellato accarezzati dal caldo vento del deserto.
Dormire nella Death Valley è un’esperienza che mi sento di raccomandare. So che molti tendono ad attraversarla in giornata per guadagnare una notte ma se avete tempo vi consiglio davvero di fermarvi in questo affascinante posto.
Domenica 8 giugno: FURNACE CREEK – SPRINGDALE (Zion National Park)
Dopo un’abbondante colazione a buffet lasciamo di buonora il Furnace Creek Ranch e ci incamminiamo verso lo Zion National Park non prima di aver fatto una sosta a Zabriskie Point (è mattina presto e il fatto di essere solo noi due rende l’atmosfera di questo luogo unica). Il trasferimento per Springdale è molto lungo. Lasciamo la California, entriamo in Nevada e costeggiamo Las Vegas per poi dirigerci verso lo Utah che si presenta a noi con imponenti formazioni rocciose di varie tonalità di rosso (preludio di quello che ci aspetterà allo Zion). Arriviamo a Springdale verso le 14 ma all’Hampton Inn & Suites dove alloggeremo due notti la camera non è ancora pronta per cui decidiamo di recarci direttamente al parco. Pranziamo al Cafè Soleil (205 Zion Park Blvd), locale gestito da ex figli dei fiori che presenta un menu con molte scelte vegetariane, l’ideale per riprendersi dalle abbuffate di carne dei giorni scorsi (finalmente un pasto genuino a base di insalata fresca con noci mandorle e ribes e sandwich con hummus).
Lo Zion National Park è il parco che mi è piaciuto più di tutti, consiglio di arrivare presto perché il parcheggio non è grandissimo e si riempie in poco tempo, in quel caso bisogna lasciare la macchina nella cittadina di Springdale e arrivarci con una navetta. Dentro il parco un’altra navetta conduce ai principali punti di interesse e all’inizio dei vari trail. Noi scegliamo di percorrere in parte The Narrows, un trail abbastanza impegnativo che risale il corso del Virgin River all’interno di un canyon. In paese potete noleggiare scarpe impermeabili anti-scivolo e un bastone per facilitarvi la risalita del fiume; io e mia moglie abbiamo optato per il fai da te entrando in acqua con le scarpe da tennis (ma portandoci dietro le infradito di ricambio) e rimediando un bastone in giro. Questo canyon riserva paesaggi molto belli con le ripide pareti che a mano a mano diventano sempre più alte e il livello dell’acqua che aumenta fino ad arrivarti a sopra le ginocchia.
Per la nostra prima cena a Springdale scegliamo lo Zion Pizza & Noodle (868 Zion Park Blvd), che prepara piatti di pasta e pizza non male per gli standard americani; l’attesa è stata molto lunga ma allietata da una birra artigianale della zona. Ricordatevi per poter bere alcolici un documento d’identità perché bisogna avere minimo 21 anni e in Utah non fanno eccezioni (mia moglie se l’era scordato in camera e per lei niente birra…)
Lunedì 9 giugno: BRYCE CANYON NATIONAL PARK
Oggi la giornata è dedicata quasi interamente al Bryce Canyon N.P. Dopo due ore di macchina arriviamo alle porte del parco, parcheggiamo e ci rendiamo conto subito della notevole differenza termica rispetto alle zone visitate finora (utile portarsi dietro una giacca a vento o felpa). Dopo una breve sosta al Visitor Center per carpire info sui vari percorsi ci prepariamo ad affrontare il trail più classico, una combinazione di due trail non impegnativi, il Queen’s Garden e il Navajo Loop della durata di circa un paio d’ore. Da Sunrise point prendiamo il Queen’s Garden Trail che scende tra gli hoodos, i caratteristici pinnacoli prodotti dall’erosione delle rocce fino ad arrivare all’intersezione con il Navajo Loop Trail che risale fino a Sunset Point. Mi raccomando se come noi fate il giro in senso orario all’intersezione seguite l’indicazione per Wall Street dove entrerete in una stretta gola sovrastata da ripide formazioni rocciose (l’ingresso nella gola mi ha emozionato parecchio soprattutto per i giochi di luce che si venivano a creare). La risalita è la parte più impegnativa del trail ma risulta davvero appagante!
Riprendiamo la macchina e ci dirigiamo al Bryce point, interessante view point all’estremità sud da dove poter ammirare il parco in tutto il suo splendore. Ripartiamo e la nostra attenzione viene attirata da simpatici animaletti che sbucano fuori dal terreno fissandoci con occhietti buffi: sono i cani della prateria che scopriamo poi essere una specie in via d’estinzione. Sulla strada del ritorno verso Springdale facciamo una brevissima sosta al Red Canyon, dove vale la pena fermarsi per scattare qualche foto e se in possesso di un binocolo cercare di ammirare i maestosi condor che sorvolano le rocce di questo canyon. Rientriamo nello Zion National Park percorrendo la panoramica Mount Carmel Highway e dato che sono le quattro di pomeriggio scegliamo di non tornare in albergo ma di avventurarci per il trail delle Emerald Pools che richiede solo un paio d’ore mentre altri trail avrebbero richiesto più tempo. Un sentiero carino ma niente di più, sicuramente col senno di poi avrei optato per l’Overlook trail che si prende subito dopo il Mt Carmel tunnel e permette di ammirare il parco dall’alto.
Rientriamo in albergo e mi concedo un rilassante bagno in piscina mentre mia moglie si dà allo shopping nei caratteristici negozietti di souvenir di Springdale, cittadina di cui difficilmente ci scorderemo per il paesaggio in cui è immersa e per i personaggi curiosi che la popolano. Cena da Oscar’s Cafe (948 Zion Park Blvd), il posto ideale per gli amanti degli hamburger e delle ribs in salsa barbecue.
Martedì 10 giugno: SPRINGDALE – MONUMENT VALLEY
Lasciamo Springdale e lo Zion National Park destinazione Page. Oggi il viaggio prevede molte ore di macchina e quindi partiamo presto, questo ci permette di incrociare sulla Mt Carmel Highway decine di stambecchi che ci attraversano la strada. La prima sosta è a un punto panoramico poco prima di arrivare a Page, il Wahweap Overlook da cui contemplare il Lake Powell formato dalla imponente diga della cittadina.
Arriviamo a Page in tarda mattinata ma guadagniamo un’ora grazie al fuso orario (tenete sempre d’occhio i cambiamenti d’orario) e ci rechiamo subito dai Navajo che gestiscono i tour per l’Antelope Canyon. Siamo fortunati e riusciamo a beccare gli ultimi due posti disponibili per il tour delle 11:30 che ci permette di arrivare all’Upper Antelope Canyon quando i raggi del sole cadono perpendicolari regalando giochi di luce meravigliosi. Il mio consiglio è quello di prenotare il tour dall’Italia per non rischiare di rimanere a piedi o di non riuscire a beccare l’orario migliore, sono diverse le compagnie che lo effettuano (non si può andare autonomamente). Che dire sull’Antelope? Fantastico, ma scordatevi di godervelo da soli o con pochi turisti soprattutto in alta stagione. La magia del luogo viene in parte rovinata da un notevole afflusso di gente e in alcuni restringimenti del canyon si formano addirittura code, ma con una buona scaltrezza e armati di pazienza si riescono a scattare belle foto senza nessuno nel mezzo. Affidate senza timore la vostra macchina fotografica alla guida navajo che vi scatterà foto memorabili. Tornati a Page pranziamo velocemente al Dara Thai Express con degli ottimi noodles piccanti con verdure (ti chiedono quanto piccanti li vuoi su una scala da 1 a 5, non andate oltre il secondo livello a meno che non abbiate uno stomaco di ferro).
Dopo pranzo decidiamo di visitare l’Horseshoe Band, un’ansa a forma di ferro di cavallo del fiume Colorado famosa per via della colorazione verde smeraldo che il fiume assume. Si trova a pochi chilometri da Page, bisogna parcheggiare e poi andare a piedi, circa venti minuti di camminata sotto il sole cocente, portatevi dietro acqua e cappello. Lo spettacolo ripaga la fatica.
Soddisfatti ci dirigiamo verso la Monument Valley dove arriviamo nel tardo pomeriggio giusto in tempo per sistemarci nella nostra camera con vista dell’hotel The View in cui sorseggiando una birra analcolica (siamo in territorio indiano) ci godiamo il magico tramonto in uno dei posti più incantati che abbia mai visto… Ceniamo al ristorante dell’hotel (non ci sono molte altre alternative a meno che non si vogliano fare chilometri di strada) dove gustiamo un discreto piatto di carne di maiale con germogli di grano accompagnato dal tipico pane indiano, il flybread insieme a verdure. Dopo cena accarezzati da una piacevole brezza serale facciamo amicizia con una coppia in viaggio di nozze come noi e ci regaliamo uno dei momenti più magici della vacanza. L’hotel sta proiettando all’aperto un film con John Wayne girato nella Monument e potete immaginare la sensazione che si prova a vedere un film western avendo a fianco la vallata nel quale è ambientato illuminata dalla luna.
Mercoledì 11 giugno: MONUMENT VALLEY – GRAND CANYON NATIONAL PARK
Sveglia puntata all’alba, purtroppo il cielo è parzialmente nuvoloso e non riusciamo a replicare il bel momento vissuto ieri col tramonto. Torniamo a sonnecchiare ancora un po’ e poi ci rimettiamo al volante per esplorare tutta la vallata attraverso la Scenic Drive, 17 miglia di strada sterrata che permettono di ammirare da vicino queste formazioni rocciose. La strada si può anche percorrere con le guide indiane su jeep con la possibilità di vedere anche zone non accessibili a chi entra con la propria macchina; io non ho trovato grosse difficoltà a percorrerla con la mia se si rimane lungo il percorso circolare, ma ad esempio se volete raggiungere il John Ford’s point è meglio lasciare la macchina giù e proseguire a piedi perché in questo caso ho messo davvero a dura prova la povera Nissan, sono anche dovuto scendere a spingere mentre mia moglie dava giù di gas per uscire con le ruote dalla sabbia. La prima parte della Scenic Drive è ripida e piena di buche per cui fate molta attenzione soprattutto se avete macchine basse.
Trascorse un paio d’ore decidiamo di ritardare la partenza per il Grand Canyon dirigendoci nella direzione opposta alla quale dovremmo andare poiché non possiamo perderci la vista della Monument Valley così come è impressa nel nostro immaginario collettivo tramandato da numerosi film e fotografie. Per fare questo dobbiamo andare in direzione est senza guardare negli specchietti retrovisori e già che ci siamo arriviamo a dare una sbirciatina fino al Mexican Hat, roccia a forma di sombrero messicano. Faccio inversione e siamo pronti, dopo qualche chilometro appare davanti a noi la Monument come l’abbiamo sempre immaginata… strada infinita e in fondo lei, magnifica e imponente. Foto di rito seduti per terra sulla strada, per puro caso nello stesso punto in cui Forrest Gump termina la sua corsa (un cartello di legno lo segnala) e si riparte per il Grand Canyon.
Dopo quattro ore e mezza di guida arriviamo all’interno del Grand Canyon National Park e più precisamente al Grand Canyon Village dove abbiamo prenotato una stanza per la notte allo Yavapai Lodge, immerso nella natura. Ci fermiamo in diversi punti di osservazione e lungo la strada notiamo due macchine parcheggiate sul lato con le quattro frecce. Avevo letto su un diario di viaggio di fermarsi sempre quando si vedono auto accostate perché potrebbe esserci un animale. Inchiodo e a fianco alla carreggiata scorgiamo un enorme alce con mastodontiche corna. Dopo pochi minuti accorrono decine di persone e arriva un ranger che ci dice di allontanarci in quanto potrebbe essere pericoloso… Ci assaporiamo il tramonto dal Motherview point e poi ceniamo al The Arizona Room. Appena seduti scorgiamo attraverso le vetrate un cervo che ci passa davanti, una sorpresa che ci lascia a bocca aperta: il Grand Canyon è unico, permette di vedere tanti animali diversi sia di giorno che di notte. Se non crollate dal sonno consiglio di prendere la vostra auto e fare un breve giro notturno a bassa velocità per le strade del parco, noi abbiamo visto una famiglia di cervi e diverse lepri.
Questo parco merita almeno due notti, noi per mancanza di tempo ne abbiamo fatta solo una perché era il parco a cui avevamo deciso di dedicare meno tempo ma ci siamo dovuti ricredere. Ci è dispiaciuto ad esempio non poter percorrere la Hermit Road con la navetta obbligatoria ad ovest del Grand Canyon Village dove avremmo potuto ammirare altri scorci straordinari. Per chi ha tempo è da fare assolutamente il giro in elicottero.
Giovedì 12 giugno: LAS VEGAS
Mi sveglio presto con mia mia moglie che ancora dorme e mi avventuro in mezzo al bosco a fare due passi. Appena uscito dalla stanza mi imbatto in due cervi che brucano proprio davanti alla nostra camera senza minimamente essere impauriti dalla mia presenza. Il silenzio regna intorno allo Yavapai Lodge, se potete dormite all’interno del parco, ne vale la pena anche se il costo è maggiore rispetto a una sistemazione in una delle cittadine subito fuori. Caricati i bagagli ripartiamo per la capitale del divertimento, Las Vegas. Durante le quattro ore di viaggio tocchiamo città come Kingman, celebre per il passaggio della Route 66, e come Boulder City (situata poco prima di Las Vegas) che ci appare molto graziosa; purtroppo il tempo è tiranno e dato che rimarremo solo una notte a Las Vegas preferiamo tirare dritto rimandando l’appuntamento con la Route 66 e le sue cittadine.
Arriviamo nella città del peccato nel primo pomeriggio e ci buttiamo subito nella piscina del Venetian, l’hotel in cui alloggeremo (suite a 130 euro). Sarebbe meglio arrivare a LV in mezzo alla settimana perché nel weekend i prezzi raddoppiano. A metà pomeriggio siamo pronti per esplorare gli hotel più famosi: la temperatura fuori è rovente e la confusione che pervade la città si pone in netto contrasto con i giorni trascorsi in mezzo alla natura. Decidiamo di cominciare la visita a sud della Strip partendo dal Mandalay Bay e dal Luxor per poi mano a mano risalire. Non entro nel dettaglio di ogni singolo hotel ma posso dire che mi sono piaciuti molto il New York New York con il suo ottovolante e la ricostruzione dei quartieri più famosi di Manhattan al suo interno, il maestoso atrio del Luxor, gli interni del Bellagio e del Paris. Proprio al Paris ci fermiamo a cena, al Le Village Buffet al cui interno troviamo un’ampissima scelta in modalità all you can eat, questa risulterà essere una delle cene migliori di tutta la vacanza. Dopo cena continuiamo il nostro giro degli hotel toccando il Caesar’s Palace (impossibile non pensare al film Una Notte da Leoni…), il Mirage (dietro la reception c’è un acquario enorme) e il Treasure Island. Prima di rientrare a dormire ci concediamo lo spettacolo musicale delle fontane danzanti del Bellagio (alla sera lo spettacolo è ogni 15 minuti fino a mezzanotte).
La Strip si può girare a piedi, non serve prendere la macchina ma considerate di fare chilometri di camminate poiché le distanze fra i vari hotel non sono brevi. Ogni hotel merita almeno una ventina di minuti di visita, tempo che si può dilatare se non resistete alla tentazione di giocare qualche dollaro alle slot o alla roulette coma abbiamo fatto noi al MGM vincendo 50 dollari! I casinò degli hotel sono dei veri e propri labirinti progettati con l’intento di ‘intrappolare’ i visitatori più a lungo possibile al loro interno affinché essi siano invogliati a giocare. Se, come è successo a noi al MGM, non trovate più l’uscita non vi resta che cercare aiuto…
13-14 giugno: LOS ANGELES
Ci risvegliamo nell’accogliente e spaziosa suite del Venetian, cosa dire di quest’albergo? E’ un gioiello, posso tranquillamente affermare che è il miglior hotel della città dotato di ogni possibile comfort. Ha numerose piscine da quella olimpionica all’esterno adatta a chi cerca divertimento e musica a quella all’interno di un patio con fontane e rivestimenti in marmo per chi cerca relax e intimità. Un labirinto di corridoi tutti affrescati conduce dalla hall al casinò. Dentro e fuori sono ricostruiti i canali veneziani con tanto di gondole e gondolieri.
Ci fermiamo a vedere il Circus Circus, hotel davvero originale a forma di tendone da circo, dove facciamo colazione con cioccolata calda e donuts. Un salto da Bonanza per acquistare qualche souvenir e siamo di nuovo on the road destinazione Los Angeles dove arriveremo circa in quattro ore. Tappa intermedia nel deserto del Mojave per un pranzo veloce al Burger King di Baker. Se passate da questa desolata cittadina di soli 700 abitanti situata lungo la Interstate 15 fra Las Vegas e Los Angeles fermatevi al caratteristico Alien Fresh Jerky, uno store davvero originale in cui fare bizzarri acquisti. A Baker si trova anche il termometro più alto del mondo (circa 41 metri).
Arriviamo a Los Angeles nel primo pomeriggio. Alloggiamo al Beverly Hilton, hotel molto elegante ma la vista della nostra stanza al primo piano non è delle migliori, meglio le camere ai piani superiori affacciate sulla piscina. La città è talmente vasta che può essere definita come un insieme di tante città in una. Mi limito a descrivere quello che abbiamo visto in questi due giorni:
· BEVERLY HILLS E BEL AIR: bellissimo perdersi con la macchina lungo i saliscendi di questi quartieri abitati da tanti divi di Hollywood e artisti famosi. Sono diversi i tour organizzati per vedere le abitazioni degli attori più famosi e se proprio volete invadere la privacy delle star hollywoodiane fatelo fai da te con la vostra macchina e acquistando la mappa venduta in diversi angoli del quartiere. Dopo aver girovagato per questi tranquilli viali fiancheggiati da palme passeggiate a Rodeo Drive, la via dei negozi di alta moda. Se volete mangiare a Beverly Hills senza costi esagerati il Nate’n Al delicatessen (414 North Beverly Drive) è quello che fa per voi: questo modesto locale anni ‘60 serve ottimi hamburger e pastrami con segale.
· HOLLYWOOD: quartiere famoso in tutto il mondo, consiglio di percorrere a bassa velocità Sunset Strip per godersi gli stravaganti e storici ristoranti e locali notturni fino ad arrivare alla Hollywood Boulevard. Parcheggiate nei pressi e godetevi la passeggiata lungo uno dei viali più rinomati al mondo. Basta un paio d’ore scarse per vedere da fuori il Dolby Theatre (sede della cerimonia degli oscar), il Grauman’s Chinese Theatre (famoso per gli autografi delle star impressi sul cemento) e la Walk of Fame. Per vedere bene la celebre scritta Hollywood recatevi all’Hollywood and Highland center. Questa zona nonostante la mia passione per il cinema non mi ha entusiasmato come avrei voluto, probabilmente a causa del notevole afflusso di turisti e dei numerosi venditori che cercano di rifilarti di tutto dai gadget alle foto con i sosia degli attori.
· VENICE BEACH: è la zona di L.A. che mi ha affascinato maggiormente, personaggi bizzarri e improbabili popolano questo colorato e stravagante quartiere. Culturisti si allenano a Muscle Beach (la palestra all’aperto tanto cara a Schwarznegger), sportivi seminudi scorrazzano per la pista ciclabile con rollerblade o biciclette, grotteschi hippies vendono le loro creazioni ai lati della zona pedonale, mentre artisti di strada si esibiscono a tutte le ore. Qui la stranezza è la normalità e non ci si deve stupire se ci si imbatte in un ragazzo con un serpente al collo o in un cane che va su uno skateboard! Per pranzo ci siamo fermati in un pub a guardare l’esordio mondiale della nazionale di calcio contro l’Inghilterra in compagnia di un folto gruppo di chiassosi inglesi.
· SANTA MONICA: a fianco a Venice Beach, rappresenta la naturale prosecuzione di costa verso nord. Più ordinata e meno bizzarra della sua vicina, la spiaggia di Santa Monica è il posto ideale dove stendersi cullati dalla brezza oceanica. Da non perdere il famoso molo con ristoranti, negozi e lo storico luna park dove ci siamo concessi un giro sulla colorata ruota panoramica. Tramonto sull’oceano e cena al ristorante Al Mare con proprietari e cuochi italiani per mangiare un ottimo piatto di pasta.
15-19 giugno: MAUI
E’ notte fonda quando ci svegliamo e prepariamo i bagagli per l’ultima tappa di quest’avventura, Maui ci aspetta. Sul volo c’è una gran aria di festa, molti americani indossano le classiche camicie hawaiane e collane di fiori. Dopo circa cinque ore finalmente atterriamo non prima di aver compiuto diversi giri intorno all’isola a causa del forte vento. All’uscita dall’areoporto mi aspetto di incontrare graziose hawaiane che mi mettono al collo collane di fiori, mai delusione fu più grande… C’è solo un tizio con un carrettino che le vende (di plastica sigh sigh…) al costo di 5 dollari. Ci colpisce subito il clima, caldo ma non afoso con un discreto vento che soffia a folate. Ci rechiamo alla Hertz dove ci danno una Chrysler e dopo pochi minuti siamo già in cammino verso la nostra destinazione, il Napili Kai Beach Resort nella parte nord-ovest dell’isola dove ci sono le spiagge più belle con mare calmo. Dopo i tanti chilometri percorsi nei giorni precedenti decidiamo di passare almeno i primi giorni a mollo nell’acqua cristallina della baia del nostro resort. Jacuzzi, piscine e un bar-ristorante sempre aperto (con orari americani, per farvi capire l’happy hour inizia alle 14 e termina alle 17…) coronano il nostro relax più totale. Purtroppo il vento (costante sempre presente alle Hawaii) ti fa venire la pelle d’oca ogni volta che esci dall’acqua, il tempo di asciugarsi e ci si torna a scaldare. L’emozione più grande di questi giorni è stata nuotare con una famiglia di tartarughe marine per nulla intimorite dalla mia presenza. La sera abbiamo cenato spesso nella graziosa città di pescatori di Lahaina, consigliatissimo il Cheeseburger In Paradise, locale sul mare davvero strambo con targhe americane appese ovunque che prepara hamburger davvero particolari, i migliori di tutta la nostra vacanza (saporitissimo quello con formaggio avocado e ananas). Lahaina è davvero graziosa con tanti negozietti dove fare acquisti; ci sono anche diverse gallerie d’arte che qui alle Hawaii vanno molto di moda.
Come escursioni consiglio la Road to Hana e per i più temerari l’alba sul vulcano Haleakala. La strada verso Hana è una tortuosa strada panoramica di circa trentasei chilometri con panorami mozzafiato da scoprire dietro ogni curva. Si prende da Paia Town dove è bene rifornirsi di cibo e benzina. Ci vuole una giornata intera, soprattutto se si vuole fare qualche tappa intermedia per gustarsi al meglio quello che questa zona ha da offrire: noi ci siamo fermati a vedere le Twin Falls (piccole cascate immerse in uno scenario da sogno), il Garden of Eden Arboretum (giardino botanico ricco di piante strane come l’albero arcobaleno e il mango centenario) e il Lava Tube (una galleria lunga un paio di chilometri formatasi da una eruzione di lava)
Per quanto riguarda l’escursione sul vulcano Haleakala per vedere l’alba bisogna svegliarsi presto intorno alle due e mezza di notte (soprattutto se si parte da Lahaina) e coprirsi bene in quanto fa molto freddo. Il sole sorge sopra un tappeto di soffici nuvole che sono costantemente presenti intorno al cratere del vulcano. E’ l’escursione che tutta la gente del posto consiglia.
Giovedì 19 giugno
Prendiamo il volo che ci riporterà a Los Angeles da dove dopo otto interminabili ore di sosta saliamo sul volo che ci riporta a casa. Sono state due settimane e mezzo intense in cui siamo rimasti totalmente affascinati dalla varietà di paesaggi che la natura americana ci ha offerto. In poco tempo siamo passati da paesaggi boscosi a torridi deserti a canyon con rocce che sembrano modellate da uno scultore. Abbiamo attraversato grandi città ma anche remoti villaggi e città fantasma. Questo è il fascino degli Stati Uniti!