Viaggio agli antipodi
Venerdì 28 Nonostante le generose dimensioni la valigia non si chiude; riesco a far togliere a Cristina il ferro da stiro e una mezza dozzina di paia di scarpe; ora si chiude. Alle 18.00 siamo pronti per partire per il più lungo viaggio che si possa fare sulla terra; gli antipodi. Partenza da Trieste-Ronchi per arrivare a Roma dove ci attende un volo Qantas diretto a Bangkok. Alle 23.20 spicchiamo il volo dalla capitale; sono caricatissimo.
Sabato 29 Ore 18.00 (ora locale). Questa prima tappa di viaggio è stata molto confortevole e senza rendermene conto sono già sotto la doccia di un discreto albergo di Bangkok (TH Palace Hotel) nella zona dell’aereoporto. In pochi minuti siamo pronti ad affrontare la capitale thailandese, non vogliamo rinunciare a quel tipico caos asiatico di gente, luci, odori e suoni comunque sempre bello da vivere. Inoltre personalmente voglio approfittare di una sosta a Pat Pong per fare manbassa di tutte quei meravigliosi falsi, quasi originali, di cui abbondano le bancarelle (orologi, magliette, borse ecc). Per estrema precauzione scegliamo di mangiare qualcosa in uno standardizzato “Pizza Hut”. Non è il caso di rischiare un infezione intestinale considerato che domani dobbiamo farci un’altra giornata di aereo; “non si sa mai”. Rientrando in albergo Cristina, nonostante l’ora tarda approfitta per farsi fare un professionale massaggio thai. Non posso fare a meno di notare che la massaggiatrice è una ragazza molto carina e all’improvviso sento anch’io il bisogno di un massaggio; prima di finire di pensarlo sono però già addormentato. Per qualche strano motivo oggi mi perseguita il presentimento di perdere l’aereo per Sydney.
Domenica 30 Ore 6.00. Come prevedevo sveglia durissima. Dopo un abbondante colazione siamo di nuovo in marcia. Cian Ciai, il nostro amico tassista conosciuto ieri sera, è venuto a prenderci in albergo puntuale. Solite procedure all’aereoporto dove letteralmente ci “rubano” i 500 bath di tassa previsti per l’uscita dal paese; la cosa più fastidiosa e che li vogliono solo in contanti e moneta locale così ci tocca andare alla ricerca di un cambia valute pochi minuti prima della partenza. Queste cose nonostante capitino regolarmente ad ogni viaggio regolarmente creano problemi. Arriviamo così all’imbarco per ultimi (il presentimento si stava avverando). Finalmente siamo in volo, e dopo aver attraversato i cieli del Borneo e dell’Indonesia entriamo in quelli australiani all’altezza della città di Darwin. Prima di arrivare nella capitale del New South Wales, la mitica Sydney, ci vorranno complessivamente poco meno di 9 ore. Lo sbarco è emozionante e in pochi minuti siamo nella City Hall. Prevedendo la stanchezza accumulata nel lungo viaggio abbiamo insolitamente prenotato in anticipo il primo pernottamento così ci fermiamo a colpo sicuro e senza perdere tempo al decoroso Park Regis Hotel di Park Street. Nonostante sia molto tardi dopo la rapida doccia di rito, scendiamo subito in strada. La città al primo impatto è bella ma deserta. Tutto sembra ovattato, non c’è nemmeno un auto per strada. Altra cosa che colpisce subito è la pulizia della città. Qui di notte gli spazzini non raccolgono le cartacce (che non ci sono) ma passano la cera dopo aver lavato la strada con le idropulitrici metro a metro. Camminando in pochi minuti arriviamo fino alla mitica baia vista fino ad ora solo in TV o nelle cartoline. Con il maestoso ponte da un lato e l’opera house dall’altro la baia di Sydney è uno spettacolo unico e stento a credere di essere qui; per un attimo mi rivedo anche in Mission Impossible II e Matrix, due film che mi sono piaciuti tantissimo. Comunque la città a quest’ora di notte è talmente quieta che se dovessi fare un paragone con Bangkok di 24 ore fa, mi viene in mente la differenza che c’è tra un piatto di spaghetti all’amatriciana e un piatto di riso in bianco. Il secondo piatto è molto nutriente e sano, però… Rientrando passiamo davanti all’affollatissimo “Mercantile” che ha l’aria del locale più trendy di Sydney City Hall ma siamo troppo stanchi per buttarci nella mischia. Così mangiamo qualcosa per strada in un take-away (dei sandwich e dei muffin molto buoni) e poco dopo le 2.00 siamo già nel mondo dei sogni.
Lunedì 31 Ore 7.00. Ready. Giornata dedicata alla visita di Sydney; programmi particolari non ce ne sono e quindi andremo a zonzo. Condizioni atmosferiche così e così. Il cielo è un po’ grigio ma la temperatura è di circa 23 gradi; indipendentemente dal dato devo dire che il clima è molto particolare; non provo nessuna sensazione nè di freddo nè di caldo nè di umidità. O i miei sensi sono scollegati oppure questa è il clima migliore in cui si possa vivere. Camminiamo per ore poi decidiamo di fare un giro in barca nella baia passando sotto l’enorme Harbour Bridge. Sydney è proprio bella, giovane, vivace, pulita, comunque a misura d’uomo e spero che ciò non dipenda solo dal fatto che fra qualche mese inizieranno le Olimpiadi. L’opera House con le sue vele è bellissima anche vista da molto vicino e dal suo sito si possono godere degli scorci della baia veramente unici. Sulla campata più alta dell’Harbour Bridge vediamo invece delle minuscole figure muoversi (il ponte è enorme) e pensiamo a degli operai al lavoro; più tardi scopriremo che un’agenzia organizza delle scalate per turisti che conducono fino al punto più alto del ponte. Pranziamo in modo un po’ insolito ma molto divertente; a Sidney ci sono dei ristoranti dove prima si sceglie e si paga la materia prima che ognuno poi si cucina a piacimento utilizzando i barbecue sparsi per tutto il locale. Ci prepariamo così delle enormi bistecche al sangue annaffiate da un ottimo vino rosso australiano. L’idea è molto originale e divertente anche perchè poi non si devono lavare i piatti. In serata rientriamo per rinfrescarci; la giornata è stata piena e io ho anche la faccia ustionata dal sole. Sandro e Betta sono andati a trovare un ‘immancabile zio Australiano. Alle 19.30 in punto Cristina decide di sconnettere tutti i neuroni mentre stiamo passeggiando nella zona di Park Street. A stento riesco a riportarla in albergo; non ho mai visto una persona ridotta così male. Prima di addormentarmi richiudo le valige; domani siamo di nuovo in partenza e la sveglia tanto per cambiare è alle 5 del mattino. Sandro e Betta non sono ancora rientrati, dovrei preoccuparmzzzzzz Martedì 1 febbraio Alle 5 del mattino sono più cotto di ieri sera, sembro un faro. Siamo tutti pronti per la destinazione finale. Alle 8.00 siamo già in volo sopra il mar di Tasmania. Il tempo è pessimo e non posso fare a meno di pensare che sotto di me si sta svolgendo la Sydney – Hobart, una delle regate più dure al mondo proprio per le difficili condizioni meteo di questo terribile mare. Al mio ritorno scoprirò che la regata sarà ricordata come la più terribile edizione con morti dispersi ed un sacco di barche affondate. Dopo quasi tre ore siamo in Nuova Zelanda e precisamente all’aereoporto di Auckland. Ora ci troviamo veramente dall’altra parte del mondo, agli antipodi. Se potessi fare un buco per terra sbucherei proprio in cantina a casa mia. L’impatto climatico è ottimo e non so esattamente perché ma riaffiorano in me i ricordi dell’inconfondibile aria profumata della Polinesia (che poi non è molto lontana da qui). Il vento da un po’ fastidio e siamo molto stanchi; ma ora dobbiamo pensare al ritiro del Camper che ci porterà in giro per il paese nei prossimi giorni. Un bus gratuito ci porta alla Britz; ottima organizzazione e mentre aspettiamo la consegna del mezzo ci guardiamo in TV la regata di Coppa America tra Luna Rossa e America One. Luna Rossa è momentaneamente dietro ma ce la farà. Non riesco a credere che quelle barche che vedevo seduto nel divano del mio soggiorno ad ore impossibili si trovano ora a pochi km in linea d’aria da qui. Impatto shock con il mezzo che è di dimensioni notevoli (ma naturalmente con bagno lillipuziano). Smarrimento nervosismo e stanchezza per questo interminabile viaggio ci stendono e non riusciamo ancora a concretizzare bene questa realtà anticipata da 12 fusi orari. Cristina, poi che del gruppo è la più sensibile, viene colta da una crisi mistico isterica apocalittica. La serata finisce perciò sul tragico ma per fortuna un po’ di esperienze di viaggio insegnano che domani riposati e rinfrancati cominceremo tutti a goderci il viaggio e a vedere le cose realmente come sono. La stanchezza provocata dai lunghi viaggi provoca quasi sempre questi brutti scherzi. In realtà Cristina è stressata anche dal livello di comodità del Camper che non è di suo gradimento.
Mercoledì 2 4.30 del mattino. Non riesco più a dormire; il tempo sembra discreto ma la temperatura è un pò troppo bassa. Notte tranquilla in questo sobborgo settentrionale di Auckland tutto villette linde con giardino immacolato. Auckland è separato da Devenport da una lunga e stretta baia collegata da un ponte che ricorda molto l’Harbour Bridge di Sydney (qui lo chiamano l’attaccapanni). Il porto ed il Cup Villagge dove dimorano e sonnecchiano le migliori barche a vela del mondo partecipanti all’Americas Cup, è un fermento di luci gialle. Il nostro camper è parcheggiato a pochi metri dall’imbarcadero che in pochi minuti attraversando la baia attracca proprio al Cup Village. Non è ancora alba e noto decine di persone che nel fresco del mattino fanno jogging, giovani vecchi e bambini. Curiosità, tutte le persone che girano in bicicletta indossano il casco anche i bambini con il triciclo e l’impressione e che lo facciano indipendentemente dal fatto che sia o meno imposto da qualche norma di legge. Mentre attendo di conoscere l’umore del resto della ciurma, rifletto sul fatto che dopo aver tanto agognato di vedere i mostri sacri della vela all’opera ora che mi trovo a poche centinaia di metri da Luna Rossa sento in realtà un fortissimo desiderio di inoltrarmi alla scoperta di questo paese e quindi di partire ed uscire dall’unica metropoli di tutta la Nuova Zelanda. La scelta però è obbligata e devo rispettare un minimo di programma soprattutto adesso che siamo all’inizio del viaggio, pertanto domattina andremo alla base di Prada. Intanto mi godo la baia e aspetto l’alba. Dopo un abbondante colazione partiamo per il Cup Village; il traghetto in 15 minuti ci lascia sul molo praticamente in pieno centro. Vediamo Luna rossa e America One lasciare le basi per l’ennesima sfida che dovrà decretare chi sfiderà il detentore. Al Village una dopo l’altra vediamo tutte le protagoniste di questa epica sfida ormai in disarmo come Le Defì, Stars & Stripes, America True, Nippon Challenge e tante altre. Quando però arriviamo alla base di Luna Rossa ci attende una grossa delusione; una zelante e smorfiosa signorina fa capire a Sandro che per entrare alla base bisogna essere raccomandati. Ci vergogniamo di essere italiani; oggi siamo gli unici tifosi di Luna Rossa presenti al Cup Village, abbiamo fatto 16 mila km per arrivare qui e non ci fanno nemmeno entrare alla base. Giustamente offesi decidiamo perciò di non insistere, così da quel momento ci ammutiniamo e passiamo al nemico. All’ingresso della base di American One troviamo il cartello “welcome visitors” , “ring the bell”; suoniamo e con gran gentilezza veniamo accolti con ogni onore invitati ad uscire con la barca appoggio. Decidiamo così di acquistare la divisa completa del team americano; loro si ci sanno fare. Prada che vergogna; siamo venuti a fare il tifo mica abbiamo chiesto l’elemosina. Mi dispiace solo non aver potuto salutare Cino Ricci che mi è tanto simpatico. Non comprerò mai più niente di Prada. A questo punto, molto amareggiati (per non dire altro) decidiamo di uscire dal Cup Village e di visitare la città; effettivamente è stata un ottima decisione. La città è bellissima e sembra più una località turistica dove la gente è in vacanza che una metropoli operosa. Pranziamo sulla Skytower, l’incredibile torre simbolo moderno della città. II panorama è mozzafiato e inoltre si mangia benissimo; il ristorante infatti è raffinato ed il vino ottimo (il Te Mata, uno chardonnay della Harvey Bay). Il ristorante si trova in cima alla torre in lenta ma costante rotazione, così grazie alla cameriera particolarmente “lovely” e il buon vino dopo un po’ tutto gira e il morale è al massimo. Siamo poi talmente alti che vediamo anche la regata che si svolge nella baia; non ho parole. La città comunque non è molto grande e verso sera dopo averla visitata quasi tutta, decidiamo di ritornare al camper per partire subito verso il nord. E’ notte quando arriviamo a Leigh un minuscolo paese di pescatori un centinaio di km sopra Auckland.
Giovedì 3 Sveglia dolce – dormito bene. Il posto è bellissimo e selvaggio; siamo parcheggiati fronte mare e così vediamo due signori non più giovanissimi fare il loro bagno mattutino (da notare che non sono ancora le 8 e non fa proprio un gran caldo). Subito dopo colazione partiamo ancora verso nord per la “Kauri Forest”. La nostra destinazione finale e “Bay of Islands”. Viaggio confortevole per strada è raro incrociare altre macchine e i rari paesini sono molto piccoli e ricordano quelli del vecchio “far west” americano. Fermata a Maungatapere per ristoro e spesa (e visita medica per Betta). Il tempo qui sembra essersi fermato e non riesco a credere ai miei occhi quando a servirmi in una piccola macelleria è un personaggio incredibile, sicuramente un Druido che mi mette anche in soggezione; tuttavia stasera mangeremo le costolette di agnello più buone del mondo. Rifletto sul fatto che il medico che ha visitato scrupolosamente Betta gli ha prescritto delle medicine indicandone l’esatta posologia; così quando ci rechiamo alla vicina farmacia gli viene consegnata una anonima scatoletta contenente esattamente il numero di pillole prescritte e non una di più; inutile qualsiasi altro commento. Ore 11, si riparte. Nel primo pomeriggio arriviamo alla mitica foresta di Kauri vicino alla cittadina di Wangharei. Non ho mai visto niente di simile prima d’ora , sembra una foresta preistorica. Mancano solo i dinosauri; in realtà qui la fauna terrestre quasi non esiste come in tutta la Nuova Zelanda e questo rende il posto ancora più insolito. Probabilmente ho visto l’albero più antico e più grosso esistente sulla terra o comunque un contendente al titolo con il californiano Generale Sherman del Sequoia National Park. Quindi velocemente verso Bay of Islands; vogliamo arrivare prima del tramonto. Finalmente il campeggio di Paihia dove possiamo farci una bella e comoda doccia calda. Il posto è carino e la serata si conclude con un barbecue da imperatore a base di strepitose costolette di agnello e merlot neozelandese veramente eccellente. Venerdì 4 Mi sveglio presto per un fastidioso raffreddamento. Sulla spiaggia trovo una grande Razza, morta a causa di ferite provocate dall’elica di una barca. Sento delle zip, mi giro e vedo nell’erba quattro persone che hanno dormito all’aperto nel sacco a pelo senza tenda; tra questi due ragazze. Dopo la solita abbondante colazione ci incamminiamo per Paihia centro passando per una bella spiaggia. Con un Ferry ci rechiamo poi nella vicina Russel dove pranziamo a base di salmone al vapore (divino) annaffiato da uno chardonnay barriccato del Marlborough. Sonnellino in spiaggia (le spiagge qui sono costituite da erbetta verde e morbida) poi rientro lento alla base; domani si parte presto per Rotorua. Da domani, dopo aver raggiunto questa località dell’estremo Nord della NZ (siamo a pochi Km da North Cape) punteremo sempre a Sud fino a raggiungere la meta finale: Christchurch nell’isola del Sud. Nonostante tutta la buona volontà non riusciamo già a rispettare una tappa perché non avevamo considerato la lentezza del nostro mezzo, comodo, grande, confortevole ma lentissimo. Decidiamo così di saltare la tappa di Waitomo (dove avevamo in programma la visita di una località dove si possono ammirare le volte di caverne illuminate da strani animaletti fluorescenti mentre si naviga sul corso di fiumi sotterranei). Bay of Islands tutto sommato molto bella ma non certo unica nel suo genere. Se dovessi tornare da queste parti arriverei fino alla Kauri Forest privilegiando altri posti molto più originali. Domani molta strada a 60 km\h .
Sabato 5 5.37 partenza, destinazione odierna Rotorua poco a sud di Auckland. Preparo il camper di tutto punto; la strada è ottima e il traffico inesistente così in sole 3 ore siamo di nuovo a Auckland. Colazione da “Paneton” in pieno centro (dove tuttavia si riesce a parcheggiare facilmente anche un mostro di 7,5 metri come il nostro camper) poi ancora spesucce e gran foto finale davanti a Prada indossando la divisa di American One. Poche ore di viaggio dopo Auckland, circa a metà strada della tappa odierna, abbiamo la fortuna sfacciata di imbatterci nel più importante festival maori della Nuova Zelanda. Forse l’esperienza più unica di tutto il viaggio; per intenderci l’Haka eseguito dai giocatori della squadra nazionale di rugby neozelandese prima di ogni incontro (Lomu e compagni) in confronto a quello eseguito oggi in questo festival, sembra un’esibizione dello Zecchino d’oro. L’occasione deve essere molto importante perché arrivano maori da ogni parte della NZ per questo festival che non si può vedere altrimenti in alcun modo; ogni ripresa televisiva o fotografica e rigidamente vietata e quando a dirvi questo è un maori alto due metri e venti è difficile sgarrare. Il caldo intanto si fa sentire. Ci mettiamo di nuovo in viaggio e nel tentativo di ripetere le incredibili smorfie Maori rischiando anche qualche crampo alla lingua, arriviamo a Rotorua. Mentre cerchiamo il campeggio ci imbattiamo nell’Hells Gate una delle zone a più alta manifestazione vulcanica di tutta la zona; infernale ma bello, molto suggestivo nonostante la puzza di zolfo che mi fa venire il voltastomaco. Cena di fronte ad un bel laghetto dove scelgo dal nutrito menù un pessimo piatto thai (ho inalato troppo zolfo oggi). Domani bisogna rivedere il programma perchè Cristina non ce la fa a sostenere i ritmi da campeggio; peccato abbiamo già dovuto saltare Waitomo e questo mi dispiace molto.
Domenica 6 Sveglia tardi. Il camping non è un granchè. Già all’alba il lago è invaso da pazzi furiosi che praticano ogni tipo di sport acquatico. E mentre una famigliola fa il bagno noi ci infiliamo il pile. A Rotorua ci fermiamo per una rapida visita al Whakarewa Termal Center. Cerchiamo quindi il famoso e sperduto Kerosene Kreek ma quando lo troviamo, un cartello ci avvisa del rischio di contrarre la meningite amebica passa a tutti la voglia di fare il bagno; propendiamo così per un più salutare pic-nic. Intanto dalla televisione di cui è dotato il nostro camper apprendiamo che Luna rossa ha vinto la Louis Vitton Cup; fra qualche giorno quindi sarà lei a disputare la finale con il defender Russel Coutts. Riprendiamo la strada verso Sud passando per Taupo ed il suo lago che sembra mare aperto incorniciato da montagne e foreste. Il vento è cosi forte che si formano delle incredibili onde e il luogo piacevolissimo trasmette qualcosa di irreale. Dopo una breve sosta caffè saliamo sul Taurangi Plateau o Tongariro. Arriviamo fino al famoso Grand Chateau un albergo posto in una posizione unica da cui si gode una vista mozzafiato difficile da descrivere. Fortunatamente nelle vicinanze esiste un campeggio attrezzato per i grossi camper così decidiamo di pernottare da queste parti. Tanto per cambiare grigliatona e un’altro eccellente vino rosso neozelandese. Passo la notte con un po’ di inquietudine e non per il forte vento e la pioggia ma per la estrema vicinanza con il grande vulcano; sono stato forse impressionato dai numerosi cartelli che descrivono minuziosamente cosa fare in caso di eruzione ?? Lunedì 7 Mi alzo prestissimo. Appena fa giorno mi faccio un giro in bicicletta cercando di raggiungere la zona da dove partono le seggiovie; riscontro che l’impresa è più difficile del previsto e così desisto a metà strada. Dopo una sosta per godermi il panorama torno così al camper per fare colazione. Per il successivo giro in bici con Sandro decidiamo di affrontare solo pianura. In un prato davanti ad un giornalaio incontriamo delle simpatiche ragazze di cipro. Con loro leggiamo le prime pagine dei giornali che parlano solo di luna rossa; sono tutti contenti che abbia vinto l’Italia, a parte noi. Lasciato il Tongariro, a metà giornata pranziamo su un bel prato all’ombra di un enorme albero a Wanganui (a pochi passi dal recinto di una prigione) quindi arriviamo in un posto carino a mezz’ora da Wellington dal nome molto particolare; “Paekakariki”. Dall’enorme spiaggia sabbiosa e deserta si vede la vicina kapiti Island. Ancora esagerata grigliata con degustazioni di sauvignon e pinotage. Io e Sandro trascorriamo la serata saltando sul tappeto elastico del campeggio; nonostante gli sguardi pietosi delle ragazze non molliamo prima di perdere completamente le forze.
Martedì 8 Mi alzo con le ossa rotte; colpa del tappeto elastico?? La temperatura oggi è idilliaca e non c’è vento. In un attimo siamo a Wellington. La città è carina e ricorda un po’ la City di Londra. Lasciamo per un po’ le ragazze divertirsi a fare spese quindi prendiamo il trenino che porta alla terrazza panoramica sulla città. Più tardi, mentre sul molo del porto attendiamo di imbarcarci per l’Isola del Sud ci abbuffiamo di ottimo sushi acquistato ad un take-away. Operazioni di imbarco rapide e precise fanno si che si parta in perfetto orario. Niente a che vedere con i traghetti di casa nostra. Così quella che sembrava dover essere solo una seccatura e una perdita di tempo si trasforma in una bellissima crociera; lo spettacolo del fiordo che ci attende oltre lo stretto di CooK è meraviglioso anche se il sole ci arrostisce. Arriviati a Picton siamo ancora indecisi se andare subito a Sud verso kaikoura o se fare un deviazione verso Nelson? Fidandoci della Lonely Planet ci facciamo 100 km (con il camperone) per arrivare in un posto che personalmente valuto assolutamente insignificante. Sono arrabbiato è attribuisco la colpa di ciò alla guida che per la prima volta non è accurata come al solito Se non fosse per gli altri che sono molto stanchi ripartirei subito.
Mercoledì 9 7.00 Voglio partire prima possibile per recuperare il tempo perduto. Colazione in centro poi via verso la mitica kaikoura (e speriamo che la Lonely Planet non tradisca ancora). Facciamo una sosta a Blenheim; siamo nella zona dei favolosi vini del Marlborough (bianchi). Obbligatoria qualche tappa tra le belle aziende vinicole per qualche assaggio e qualche acquisto. Grazie alla qualità dell’uva, l’ottimo clima, la professionalità degli enologi e l’elevata tecnologia da queste parti producono prodotti strepitosi che non hanno niente da invidiare a queli del nostro Collio o del Sudafrica. Riprendiamo il viaggio; la strada scorre tranquilla sotto il nostro camper quando ad un certo punto appare la costa sul pacifico. Per un attimo ho l’impressione di trovarmi in sardegna sulla costa smeralda ma quando mi rendo conto della presenza di una fauna per niente mediterranea mi ricordo dove sono. Ci fermiamo a pranzare in riva al mare dove avviciniamo alcune foche. La giornata è bellissima con luce e colori fortissimi quasi innaturali. In serata arriviamo a kaikoura che per fortuna è un bel posto come lo aveva descritto la guida. Finalmente ci fermiamo qualche giorno. Stasera cena a base di aragosta; per qualche giorno basta carne. Giovedì 10 Oggi avvicineremo le balene in mare. La giornata è meteoroligamente bruttina ed il mare leggermente mosso. Raggiungo la base a piedi. Non sembra proprio la giornata ideale ma purtroppo non abbiamo scelta (95$ a testa già anticipati a parte). Si sale in barca all’asciutto e poi si viene varati. Insolitamente qui non ci sono porti e le barche vengono tirate in secco ogni giorno; non ho mai visto niente del genere prima d’ora. Dopo un’oretta avvistiamo la prima balena; dicono essere un capodoglio ma putroppo nonostante la forte emozione rimango un po’ deluso; la barca infatti rimane (giustamente) ad una distanza troppo elevata dal cetaceo (50 mt almeno)e quindi si riesce a vedere solo la parte emersa della schiena, lo sbuffo e la coda un attimo prima d’immergersi. Ne vedremo altre due nello stesso modo e l’ultima è veramente grossa. Torno a terra un po’ confuso forse mi aspettavo quasi di toccarle ma mi rendo conto che più di così non potevo pretendere. La serata trascorre piacevomente davanti ad una birra al Sonic forse il locale più trendy di Kaikoura.
Venerdì 11 Giornata dedicata all’ ozio; unica eccezione la passeggiata panoramica sulla penisola di Kaikoura. Pranzo alla colonia delle foche a base di ottimo salmone. In serata ci dirigiamo verso la periferia di kaikoura dove abbiamo individuato un locale di veri indigeni. Rustico ma caratteristico e privo di turisti. Ordiniamo ancora aragosta ed altro ottimo pesce; nell’attesa Sandro mi umilia a biliardo ma non mi toglie l’appetito. Il dolce lo prendiamo al Craypot; la Pavlova che fanno qui è unica. Con la pancia bella piena ci prepariamo per la nostra ultima notte in Nuova Zelanda.
Sabato 12 Giornata caldissima. Partiamo verso le 9.00 alla volta dell’ultima meta; Christchurch la capitale dell’isola del Sud. Il viaggio tranquillo di circa 3 ore ci porta per il pranzo nell’ultima spiaggia prima della citta; Pines Beach. A Christchurch ci fermiamo poche ore per le ultime spesucce. La cittadina è carina ma il centro commerciale è invaso da asiatici (cinesi e giap). Inaspettatamente agevoli le procedure per la restituzione del camper (che si trova a 2 passi dall’aereoporto) ma quando scarichiamo le valige ci rendiamo conto di quanta roba abbiamo accumulato in questi giorni. Partenza in orario alle 20.05; tra tre ore saremo a Brisbane in Australia. A Brisbane passo la dogana in apprensione perché qui, tra l’altro, è vietato introdurre terra ed io sono pieno di sabbia prelevata in diverse spiagge della Nuova Zelanda. Per fortuna mi chiedono solo se ho del cibo e non mi perquisiscono. Noleggiato un space wagon, partiamo subito verso nord alla volta di Noosa. Arriviamo molto tardi ma troviamo un appartamento veramente comodo. Domenica 13 Ci aspettano giorni di relax. Colazione al bar del resort poi giro panoramico di Noosa con breve sosta nella vicina Eumundi dove troviamo un bellissimo mercatino delle pulci. Riempito il frigo e la dispensa, stasera non ci resta che pranzare a casa. Lunedì 14 Giornata molto rilassata. Passeggiata nel centro di Noosa dove ci sono dei bellissimi negozi di articoli sportivi (soprattutto per i surfisti). Il tempo è brutto e non potendo andare in spiaggia nel pomeriggio decidiamo di fare un giro fino a Rainbow Beach dove vediamo per la prima volta i canguri. Adesso mi sento veramente in Australia. Nonostante notevoli sforzi (anche d’immaginazione) non vedremo mai invece il Koala, l’altro animale simbolo del continente australiano.
Martedì 15 Sveglia alle 6.20. Oggi andiamo alla Fraser Island, la più grande isola composta solo di sabbia al mondo dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Per questo motivo il tour si può fare solo con una guida autorizzata e così sarà il simpatico Jhon ad accompagnarci con il suo fuoristrada. Dopo aver traghettato dalla terraferma all’isola, Jhon ci fa provare l’ebrezza di viaggiare ad oltre 100 km orari sul bagnasciuga. Ogni tanto le onde lunghe ci spostano lateralmente di qualche metro ma la sicurezza dimostrata da Jhon tranquillizza tutti. Dopo la spiaggia ci inoltriamo all’interno dell’isola facendo del vero fuoristrada nel tipico bush australiano. A pochi passi dal piccolo centro visitatori posto esattamente al centro dell’isola, si può ammirare un lago di acqua dolce circondato da sabbia bianchissima. Qualcuno, nonostante il tempo inclemente approfitta per fare un bagno. Rientro precipitoso sfidando le onde del mare che, causa marea, stanno per chiuderci l’unica via di ritorno; quanto adoro sfidare le forze della natura. Alla fine ce la caveremo prendendo solo una bella ondata sul fianco del fuoristrada che quasi ci manda a sbattere contro un’argine di sabbia. Oggi mi sono divertito tantissimo (la macchina era di Jhon). In serata pizza australiana al Reef mercoledì 16 Decidiamo di restare ancora un giorno perché il tempo dovrebbe migliorare; per il momento a smesso di piovere. Facciamo ancora un giro in macchina prima lungo la Sunshine Coast poi nell’interno passando per BliBli , Donan e Mapleton. Molto carino il centro di Mapleton dove ci fermiamo ad acquistare un paio di bottiglie di ottimo vino australiano. L’unico bar del posto la dice lunga su questa cittadina al confine con il nulla. Non riusciamo invece a vedere le rinomate cascate del vicino e inquietante parco. Rientriamo prima di sera in appartamento a Noosa. Ora ci aspettano le valige mentre fuori riprende a piovere.
Giovedì 17 Partenza alle 8.15 e piove ancora. L’arrivo a Brisbane in orario ci permette di fare un bel giro del centro. La città, tanto per cambiare, è molto bella, moderna e pulita. Noto però per la prima volta la presenza di molti disadattati di evidente origine aborigena. Gli aborigeni sono un grosso problema da queste parti dovuto ad antichi problemi di integrazione razziale ancora oggi irrisolti. L’argomento non è semplice è andrebbe approfondito prima di giungere a conclusioni affrettate. Al momento chi ne paga le conseguenze sono questi uomini dall’aspetto decisamente primitivo i cui sguardi incutono ancestrali paure. Dopo aver risolto un piccolo problema di orientamento trovo la strada per uscire dal centro di Brisbane. Giunti all’aeroporto, in pochi minuti senza contrattempi siamo imbarcati e in volo. L’aereo della British Airways su cui ci troviamo è probabilmente il migliore mezzo su cui abbia mai volato. L’equipaggio è veramente simpatico e la macchina è nuovissima e tecnologica (oltretutto è mezzo vuoto). Aspettiamo con ansia lo sbarco a Singapore; stando a quanto riportato nelle guide in questa città-stato ci sono delle regole che se non rispettate prevedono punizioni molto severe. Ad esempio gettare per terra la gomma da masticare o attraversare fuori dalle strisce pedonali può comportare pene consistenti in un determinato numero di frustate (quasi da non credere). Alla dogana nessun problema forse perché arriviamo da Brisbane, ma se arrivassimo dalla Thailandia o dall’Indonesia verremo trattati malissimo; qui hanno il terrore dell’immigrazione clandestina. Singapore è tutta artificiale, ci dice Aziz il tassista che ci sdogana dall’aereoporto al centro, nonostante ciò colpisce molto il verde presente anche nelle strade già alla periferia della città; Aziz ci fa notare anche che chi entra nel centro della città con l’auto deve essere munito di una specie di telepass che addebita un salatissimo pedaggio. A Singapore avere una autovettura è un privilegio per pochi eletti ma con questo sistema hanno drasticamente ridotto il problema dell’inquinamento. I trasporti pubblici invece sono efficentissimi ed economici. L’Asia Hotel che abbiamo scelto come alloggio non è un granch’è ma è proprio in pieno centro; naturalmente aria condizionata a manetta ovunque e fuori umidità del 90 % con 30 gradi centigradi di temperatura. Troppo stanchi per uscire anche se è solo mezzanotte.
Venerdì 18 Ore 7.00 sveglia; non perché abbiamo qualche impegno ma perché cominciamo a soffrire di confusione da fuso orario. Ci prepariamo ad una giornata tutta a piedi. Inevitabile passaggio sulla centralissima Orchard Road, nelle zone multietniche di Little India, Arab Street, per finire inevitabilmente nei centri commerciali più grandi e pazzeschi del mondo. Siamo in un mondo strano, una specie di Montecarlo Asiatica, pieno di bella gente, vestita bene e alla moda (europea) e dove, a giudicare dal livello dei negozi, non si bada a spese. Sabato 19 Mi sveglio stanchissimo; non sento più le gambe e devo ancora scendere dal letto. Tuttavia la giornata ricomincia dov’era finita ieri sera, all’interno di un centro commerciale; non si discute con le follie da shopping di Cristina e Betta. Nel primo pomeriggio passiamo per la stazione ferroviaria per fare i biglietti del treno che ci condurrà attraverso la Malesia fino in Thailandia. La stazione stona completamente e stranamente con il ricco contesto di Singapore. Le mie domande circa questa stranezza trovano risposta quando mi accorgo che la compagnia che gestisce la stazione è Malesiana (ktm). Ai singaporesi evidentemente non interessa avere alcuna commistione con i vicini poveri della Malesia. Mentre ci troviamo all’interno del vecchio edificio inizia un temporale spaventoso (siamo all’equatore) piove ininterrottamente per un ora e in tale frangente ci rendiamo conto quanto sia isolata dal resto della città questa scalcinata struttura. Niente metrò niente autobus e i taxi fanno finta di non vedere. Solo dopo essermi inzuppato per bene riesco ad attirare l’attenzione di uno svitato. Tanto per cambiare la nostra destinazione è nuovamente quella dei centri commerciali di Scotts Road dove spendiamo fortune ma dove ho la fortuna di vedere la libreria più grande del mondo. Stanotte le ragazze rientrano in Italia; come al solito arriviamo all’aereoporto all’ultimo minuto. Commiato veloce ma sentito e via veloci verso la stazione dei treni della Ktm giusto in tempo per prendere il treno. Le cuccette sono comode anche se fa un po’ fresco e il treno è rumoroso, tuttavia si dorme bene. Dopo pochi minuti arriviamo al confine con la Malesia e adesso mi posso rendere conto di quanto i Singaporesi desiderano sentirsi separati dal resto del mondo. Non ho mai visto un confine così blindato; entriamo in una struttura tipo carcere di massima sicurezza nella quale ci fanno scendere; in fila come deportati, dopo averci controllato minuziosamente tutti i visti e i documenti ci fanno risalire centinai di metri più avanti; il treno intanto a percorso la stessa distanza attraversando uno stretto tunnel (lo hanno passato ai raggi x ?). Tutto intorno muri altissimi decorati con filo spinato e guardie armate. Meno male che siamo in uscita. Finalmente si riparte domattina prima delle sette (sono le 22.10) dovremmo essere a Kuala Lumpur.
domenica 20 Kuala Lumpur è molto grande ma considerato che la stazione si trova vicinissima al centro della città decidiamo di visitarla a piedi. La capitale della Malesia è un riuscito mix di Singapore e Bangkok, molto gradevole. Impossibile non notare le gigantesche torri Petronas che detengono il record dei due grattacieli più alti al mondo (oltre 500 metri). Viste dal basso sono impressionanti e non oso immaginare quale sia il panorama dall’ultimo piano. Purtroppo non posso soddisfare la mia curiosità in quanto oggi le torri sono chiuse e comunque non è possibile accedere agli ultimi piani dove hanno sede delle grosse compagnie petrolifere. Così, con qualche difficoltà tecnica (ci vorrebbe un grandangolo) ci dobbiamo accontentare di un paio di foto dalle loro basi. Dopo qualche ora ci stanchiamo di camminare e dopo essere passati per l’immancabile Chinatown decidiamo di risalire sul treno verso lidi meno noti e più esotici. Non sappiamo dove stiamo andando e così scegliamo a caso la prossima stazione alla quale scenderemo. Il posto prescelto è la città di Ipoh. Ora ci troviamo veramente fuori dal mondo. A parte la sontuosa struttura della stazione ferroviaria, il resto della città dimostra la gran miseria in cui vive questo popolo. Dobbiamo poi risolvere due grossi problemi; il primo dovuto al fatto che nessuno conosce altra lingua se non quella Malese locale, il secondo dovuto al fatto che non troviamo tracce di banche o altre strutture per il cambio della valuta tanto meno sportelli ATM. Alla stazione poi scopriamo che ci sono solo due treni che fermano a questa stazione ed il prossimo e domani mattina. Risolviamo la cena in un locale particolarmente malsano per i nostri standard ma gestito da due persone a dir poco gentili e carine. Sono preoccupato per il mal di pancia garantito, ma la fame è tanta, le possibilità di trovare posti migliori poche e i soldi ancora meno. Ci facciamo preaparare così una serie infinita di uova cucinate su una piastra calda; il resto del menu che ci viene offerto non l’avrei dato ad un cane; azzardo tuttavia un assaggio per non offendere il cuoco. Alla fine, tanto per sdrammatizzare cerchiamo di “tirare” sul prezzo già di per se ridicolo. Avendo fatto tardi nel locale parlando (a gesti) di auto da sogno (che per loro è la nostra vecchia Alfasud) ci facciamo riportare con gli ultimi spiccioli all’unico albergo che si trova presso la stazione. Il tassista conosce qualche parola di tedesco in quanto ci dice di aver lavorato tanti anni prima in Germania. Sulla sua autoradio è inserita una cassetta super-otto contenente brani di qualche Toto Cutugno Malese che fieramamente ci viene fatta ascoltare a tutto volume. Il simpaticone scaricandoci ci augura buona fortuna; che bel modo di congedarsi. Considerato che mancano tre ore al passaggio del treno e considerato che non vorremo mai perderlo, attendiamo nella hall. Il treno arriverà pieno come un uovo e a fatica troveremo posto per sederci. Che giornata…
Lunedì 21 Considerata la stanchezza riusciamo ad addormentarci quasi in piedi. All’alba attraversiamo il confine tra bellssimi paesaggi. Al confine con la Thailandia altra trafila alla dogana così ci fanno scendere nuovamente dal treno mettendoci in riga come detenuti all’aria. La prima citta Thailandese che incontriamo è Hat Yai; bruttina, trafficata e inquinata ma con il più bello e ordinato mercato che abbia mai visto in asia. L’auto che volevamo affittare prevede un sovraprezzo esagerato sul drop-off tanto da far diventare molto più conveniente il biglietto aereo. La ragazza dell’agenzia rent-car dell’aereoporto (carinissima) ci ha augurato comunque buona fortuna; la seconda volta in due giorni. Nel frattempo abbiamo contattato il nostro amico Ube a Pucket che ci aspetta a casa sua. Il volo ci terrà in apprensione per il maltempo. Ricorderò per molto tempo l’atterraggio per sosta tecnica a Trang mentre infuriava un mezzo ciclone. In serata siamo a Pucket Martedì 22 Mi riservo i commenti circa l’accoglienza di Ube al nostro arrivo. Troviamo comunque accomodamento in un’ottima camera in Nanai Road a Patong (BFL FAFA). Ube ha ormai trovato casa qui in Thailandia e vive con una ragazza di nome Kai. Considerato che questa sarà la nostra ultima tappa di viaggio non vogliamo più programmare nulla. Oltretutto siamo già stati a Pucket in passato e quindi nei prossimi giorni faremo quello che ci passa per la testa all’ultimo minuto. Serata a Bangla Road e birretta al Flash GoGo a vedere i trans.
Mercoledì 23 Abbiamo noleggiato il classico motorino che qui usano tutti; oggi andremo in giro senza meta. Mentre il nostro rumoroso e puzzolente velocipede ci scorazza in giro, notiamo che questa bellissima isola sta per essere devastata dal turismo e dalla speculazione edilizia; che peccato. Ci fermiamo per un bagnetto a komala (l’acqua è stupenda); il sole picchia veramente duro e comincio a sentire qualche scottatura . Nel primo pomeriggio ritorniamo a katu\Patong a trovare Ube; a quest’ora dovrebbe essere alzato. Per evitare di disturbare ci portiamo il pranzo acquistando un pollo alla griglia presso una bancarella. A casa di Ube trascorrono velocemente quasi 4 ore discutendo della thailandia, dei suoi abitanti e delle loro stranezze (come gli uomini trattano le donne per esempio); tutto molto interessante. Parliamo anche degli stranieri (i farang) in particolare degli europei che vengono qui e che inspiegabilmente perdono il lume della ragione. Riflettiamo molto su tutto quello che ci racconta Ube ma non riusciamo tuttavia a capire moltissime cose. Prendiamo comunque atto che il nostro amico qui sembra aver realizzato i suoi sogni. Restiamo d’accordo di ritrovarci più tardi a Patong beach ma dopo la doccia io svengo…Saranno le 11.00 si e no.
Giovedì 24 Finalmente oggi mi sveglio risposato. Sono talmente rilassato che non ho neanche voglia di pensare. Così la giornata passa tra Komala beach e il letto. Ottima cena thai da Gonzo.
Venerdì 25 La mitica colazione a base di frutta (portate enormi di frutta fresca esotica) ci rinvigorisce quel tanto da permetterci di arrivare in spiaggia. Ci risvegliamo dal riposino pomeridiano da una pioggia inverosimile; piove così tanto che per due ore non riusciamo a mettere la testa fuori di casa. Per fortuna smette in tempo per poter andare a Pucket Town dove stasera siamo stati invitati ad un incontro di box thailandese. Devo dire che si è trattato di un ‘esperienza molto interessante; gli incontri non erano del massimo livello ma sicuramente genuini e non attrazioni per turisti. Il posto dove si svolgeva l’incontro, la musica particolarissima e ossessiva, la gente assatanata rendevano la situazione molto eccitante. Il thai box è uno sport (“..”) durissimo dove è lecito ogni tipo di colpo e mi sono meravigliato quando ho visto combattere anche dei bambini. Molta gente assisteva all’incontro ma la maggior parte di questa era occupata con le scommesse. Prima di ogni incontro, con il totale delle puntate confezionano delle collane di soldi che mettono al collo degli sfidanti. Alla fine infatti sono le scommesse il motivo per cui tutta questa gente si trova qui; poteva essere un combattimento di cani o di galli sarebbe stata la stessa cosa. I locali mi sembravano comunque un po’ scemi perché puntavano sempre sui loro pugili anche se palesemente brocchi; masochisti o cosa?. Il francese sponsorizzato dal proprietario della nostra pensione ha vinto tutti gli incontri finali. Forse abbiamo fatto male a non ascoltare il suggerimento di Fafa di puntare anche noi qualche bath. Rientrati a patong passo il resto della serata a trattare l’acquisto di orologi falsi.
Sabato 26 Ultimo giorno di questo lunghissimo viaggio La giornata è bellissima e dopo la solita colazione al “Nr. 6” e il solito giretto del centro in motorino vado alla ricerca della bancarella dove ieri sera ho acquistato un paio di orologi. Devo infatti cambiare il mio bellissimo Panerai Luminor Marina perché non funziona bene. Purtroppo tra altri sei non c’è uno che funzioni bene e nonostante la buona volontà del venditore Kaiu, decido di cambiarlo in garanzia con un collaudato Omega Seamaster. Complessivamente tre orologi “svizzeri” automatici mi sono costati la bellezza di 4000 bath. Il sole oggi picchia più duro del solito e dopo una doccia veloce pranziamo deliziosamente da Payat, ex campione suonato di thai-box di Pucket che ci organizza anche il trasporto all’aereoporto. Per l’ennesima volta volta rischiamo di rimanere a terra. Il tassista improvvisato ci mette un’ora per arrivare all’aereoporto (viaggiando con i vapori della benzina in quanto già in riserva inoltrata da Pucket). Tra l’altro la sua deliziosa bambina che ci accompagna vomita addosso a Sandro e tanto per perdere un altro quarto d’ora ci fermiamo ad una fontana per pulirci. Batto tutti i record e sono l’ultimo a fare il check in passando per la porta automatica del gate d’imbarco mentre la stessa si stava definitivamente chiudendo. Il mio posto è il 70 F (sull’airbus l’ultimo posto dell’aereo). Ora rimane solo l’ultima preoccupazione relativa al ritiro del bagaglio che avevo lasciato a Singapore. Chissà se riusciro a ritirarlo in tempo e a prendere la coincidenza.
Domenica 27 Siamo atterrati da poco a Francoforte ma per miracolo. Overbooking per 7 persone a Singapore; io al chek-in della Qantas, Sandro in quello del Transfer. Quelli della compagnia aerea tentano in tutti i modi di convincerci a rimanere a Singapore ma dopo varie suppliche e qualche minaccia, ci danno l’ok per l’imbarco alle 22.35 (oltre l’orario previsto per il decollo). Ultimo sforzo e siamo a casa. Arrivo riposato anche se mi passano migliaia di cose per la testa. Non sono mai stato tanto tempo lontano da casa.
Difficile riassumere un viaggio così lungo e articolato. Trieste, Roma, Bangkok, Sydney, Auckland, Christchurch, Brisbane, Singapore, Pucket, Singapore, Francoforte, Trieste è un percorso di oltre 30.000 km solo di aereo. Penso comunque che lo rifarei (con qualche leggera modifica) perciò il giudizio complessivo è sicuramente positivo.