Vanuatu, isole di fuoco e felicità

Un viaggio alla scoperta di isole sconosciute al turismo europeo, per incontrare persone che vivono in modo molto diverso dal nostro in terre magnifiche
Scritto da: Debora e Luca
vanuatu, isole di fuoco e felicità
Partenza il: 03/09/2014
Ritorno il: 20/09/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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Dove andate quest’anno in viaggio? Alle isole Vanuatu … silenzio … Ah! … Cioè?

Questa è stata la reazione di quasi tutte le persone (eccetto 2) che ci hanno fatto questa domanda. L’idea nasce dall’incredibile curiosità di Luca per tutto ciò che riguarda il “fuori Italia”. Isole del mistero, isole sconosciute al turismo europeo sicuramente, paradiso tropicale, spettacolo della natura, vulcani attivi, pozze d’acqua blu; pochi racconti di viaggio di italiani, qualche video su You Tube ed il viaggio per il 15* anniversario di matrimonio entra in lavorazione. Mesi di preparazione, letture, studi ed in gennaio partoriamo la prima esperienza “total fai da te” verso il Paese più felice del mondo, come lo definisce la Lonely.

Volo Emirates Milano Dubai Sidney e Port Vila con Air Vanuatu. Alloggi tutti prenotati via web, assicurazione viaggio, visto Australia. Tutto pronto, con la fifa di aver tralasciato qualcosa.

MERCOLEDÌ 3 SETTEMBRE

Partiamo. Le prime 6 ore di volo per Dubai filano via lisce. Emirates non si smentisce e le diamo subito un bel 10 per tanti piccoli dettagli. Imbarcati per Sidney sull’A380 accade quello che nessuno vorrebbe. Il super aereo non parte, prova e riprova manca il contatto elettrico. 3 ore di ritardo passate a bordo, con il cuore in gola e la consapevolezza di mettere la propria vita nelle mani di elettricisti, informatici e non si sa di chi, poi il rullaggio e il decollo. Amici e parenti tutti … vi vogliamo bene! 14 ore di volo sono lunghe e arrivati a destinazione ci troviamo a correre come disperati al controllo immigrazione, dove confidiamo nell’assistenza Emirates, promessa a bordo, per chi ha una connessione con tempi ristretti causa il loro ritardo. Nulla! Allora pensiamo di trovarli al ritiro bagagli. Nulla! E in più non ci sono neanche le valigie. Non sto a raccontare tutti i dettagli ma alla fine, con la caparbietà che ci contraddistingue, nonostante il check in ed il gate fossero già chiusi riusciamo a salire sul volo Air Vanuatu.

Alle 15 atterriamo all’aeroporto internazionale di Port Vila abbastanza “provati”, nonché arrabbiati con Emirates che, nell’aeroporto di casa, a Dubai, con tre ore e mezza di stop over non è riuscita a fare il carico bagagli.

I nostri nomi sono scritti sul cartellino ben in vista all’ingresso e subito imbocchiamo la strada per il Traveller’s budget motel, con il transfer già organizzato da Jack. Come al solito, noi siamo un po’ titubanti sull’affidarsi ai mezzi pubblici appena arrivati ed invece constatiamo poi che quelli di Vila sono perfetti. Il Motel rispetta perfettamente le descrizioni dei viaggiatori , lasciate su Trip Advisor; è un piccolo angolo di quiete sviluppato intorno ad una piscina, dove gli ospiti si sentono a casa , grazie alle presentazioni di Jack di ogni nuovo arrivato che si siede intorno al grande tavolo che invita alla conversazione. Alle 19 siamo pronti per la passeggiata in town , con le ns. belle torce da fronte perché, eccetto le vie principali, le strade sono poco illuminate. In 10 minuti raggiungiamo il fulcro della vita cittadina, the Market, dove signore, giovani e anziane, nei loro abiti sgargianti, mettono frutta e verdura in bella mostra: tuberi di diverso tipo a noi sconosciuti, papaya, fruit passion, rasberry, cocco e banane. Un’esplosione di colori a cui si aggiungerà più tardi il viola, colore delle tuniche di un gruppo di coristi, con la loro allegria fatta di canti e balli.

Le disavventure vanno affrontate in modo degno: due calici di Chardonnay e un Seafood Platten che resterà nella nostra memoria: gamberi, pesce locale, granchio e aragosta, con poisson crù alla Tahitienne in abbinamento con papaya e pompelmo. Sublime. Voto 10 al Waterfront grill.

SABATO 6

La giornata inizia con una piccola spesa per sopperire alle prime necessità. Evitiamo la passeggiata e prendiamo il minibus, un furgoncino con la B sulla targa. Una corsa per la città 150VATU. Il Market è molto animato, come la sera prima; oggi scopriamo che le donne dormono sotto i banchi con i loro bambini e tornano a casa solo il sabato a mezzogiorno e la domenica. Verso le 11 prendiamo un bus che ci porta a Mele Beach per l’imbarco a Hideaway Island. La spiaggia è attrezzata con lettini prendisole e si possono noleggiare maschera e pinne (le ns. sono in valigia). Ci tuffiamo subito alla ricerca dei pesci colorati che però non sono presenti in grande quantità. Le formazioni coralline invece sono molto grandi simili a enormi funghi. Qualche anemone coni pesci pagliaccio, qualche pappagallo ma nulla più. Ci resta ancora da imbucare la speciale cartolina dell’unico underwater post Office del mondo. Con una veloce immersione Luca viene immortalato nella spedizione! Alle 16 facciamo rientro in città perché il tramonto è molto presto e alle 17.30 c’è già buio. Se il venerdì sera la città era poco animata il sabato la troviamo completamente deserta, solo la Brewery risulta animata da calorosi neo-zelandesi che guardano la partita di rugby sul maxi schermo. Visto il menù da birreria, con nessun piatto tipico, optiamo, cosa per noi inaudita, per una fumante pizza ai funghi che si rivela niente male!

DOMENICA 7

Abbiamo definitivamente capito che le valigie arriveranno solo nella tarda serata a Port Vila e quindi ci accordiamo in aeroporto perché le tengano in custodia per quando torneremo tra due giorni nel passaggio da Tanna a Malekula. Alle 12:30 partiamo con un aereo da 15 posti dove ci siamo divertiti a fotografare tutte le manovre del pilota perché gli eravamo proprio dietro le spalle. All’uscita ogni ospite dell’isola trova il proprio driver perché qui non esistono bus o taxi , non c’è possibilità di improvvisare perché scopriamo di essere davvero in mezzo al nulla. L’unica città citata anche dalla Lonely è un insieme di 7/8 case , un piccolissimo negozio di generi alimentari e nulla più. Qualunque cosa serva deve essere portata da Vila e noi ci siamo dimenticati snack e acqua! La sistemazione scelta per Tanna è infatti molto … spartana, scelta per esaudire un desiderio fanciullesco di Luca: dormire su un albero. Ed ecco il Banyan Castle ad un’ora e mezzo dall’aeroporto attraverso una strada molto sconnessa (qui non esiste asfalto) ma proprio ai piedi del vulcano Yasur. David e la famiglia ci accolgono con grandi sorrisi e saluti in lingua BISLAMA , un inglese un po’ “adattato”. Tutta la ns. attenzione dedicata alla tree house e alla lunga e ripida scala che vi conduce. L’interno è composto dal solo letto matrimoniale con due lettini, zanzariere e nulla più. L’elettricità è contemplata solo dal generatore in funzione dalle 19 alle 20, cioè il tempo della cena poi … il buio totale. Le ns. torce da grotta si rivelano utilissime. Alle 16:30 finalmente si parte per la metà tanto bramata: il vulcano. I trasferimenti sono sempre molto costosi (4000VT a/r 2px per 25 minuti di auto). Si paga anche l’ingresso: 3350VT il primo giorno, 50% se si torna anche il secondo. Alle 17:30 siamo posizionati con il cavalletto per la macchina fotografica ben saldo perché tira un forte vento, pronti per goderci i fuochi d’artificio. È l’esatta definizione del fenomeno, da gustare in rigoroso silenzio per godere del frastuono che precede e accompagna ogni esplosione, fino a quando non arrivano i giapponesi che ad ogni colpo fanno echeggiare un oh oh oh corale con annessi risolini. Grrrr … come perdere la magia. Tutte le condizioni di luce si rivelano bellissime; al primo imbrunire la roccia grigia si copre di piccoli frammenti di lava incandescente ad ogni esplosione, tanti coriandoli rossi e arancio che restano a friggere sulle pareti del vulcano. L’emozione infatti non è solo sentire il boato e vedere lo zampillio, ma anche ascoltare il crepitio della lava che si deposita sulle rocce. Tutti i sensi sono coinvolti. Quando cala il buio più profondo, tutti sono pronti per vedere i fireworks, non sono di mille colori come quelli delle sagre paesane, ma di un unico intenso arancio, alcuni brevi e al limite della bocca del cratere, altri più lunghi con gettito di pietre a centinaia di metri di altezza, che si deformano in volo in vere e proprie lingue di fuoco. Questo è lo spettacolo ed è il solo livello uno, quello minimo di attività. Il 2 e 3 risultano visivamente più spettacolari, il 4 è pericoloso e non viene consentito l’accesso, con il 5 si procede all’evacuazione. Al ns. rientro nella modesta sala ristorante troviamo per cena tre nuovi ospiti australiani, con i quali condividiamo riso, verdure, pomodoro e taro, una specie di patata rossa dolce. L’acqua sul tavolo è in una bottiglia della Fanta decisamente datata. Che facciamo? Stiamo due giorni senza bere e lavarci i denti o confidiamo nel lavoro dei fermenti lattici che prendiamo già da alcuni giorni? Opzione N. 2. Alle 20 tutti a nanna e silenzio di tomba. Purtroppo il cielo è nuvoloso e non possiamo ammirare la bellezza delle stelle in un cielo così buio.

LUNEDÌ 8

La semplicità della sistemazione va a braccetto con la mancanza di organizzazione di escursioni per gli ospiti, tutti orientati all’appuntamento pomeridiano con il vulcano. E così noi decidiamo di mettere zaino in spalla per camminare verso Sharks bay, un punto di avvistamento dall’alto della baia degli squali gialli, che solo al ritorno ci viene detto che non li avremo certo visti perché il cielo era nuvoloso. Che forti questi Ni-Vanuatu! La camminata dura ca. 4 ore con un caldo umido che mi mette ko; per fortuna nel bagaglio a mano avevo conservato qualche barretta che mi dà la giusta energia per tornare al Banyan, fare una doccia fredda (trattasi di uno zampillo), ripartire a piedi per il vulcano (1 ora ca.). La fortuna è dalla nostra e ci fa trovare all’ingresso ben due scatole di biscotti con una lattina di Fanta da scolare tutto in un colpo. Non mi stancherò mai di pensare come si apprezzano le comodità quando mancano. Lo spettacolo della seconda sera è più intenso: meno esplosioni ma più lunghe e più alte in cielo. Wonderful! Al ritorno c’è troppo buio e quindi saliamo sul cassone del pick-up e facciamo rientro con tutti gli altri. Questa sera gran pienone perché siamo in otto:pesce in zuppa e arrostito, riso, verdure varie ed il solito taro. Un po’ meglio i ma … la linea ne beneficia e ringrazia la signora Linda che comunque ha cucinato con il cuore.

MARTEDÌ 9

Alle 5:30 lasciamo il Banyan e con apprensione partiamo per tornare in transito a Vila sperando di trovare le valigie in qualche deposito. Alla fine le imbarchiamo per Malekula non senza qualche ulteriore spavento! Pochi sono i turisti che prendono il piccolo Piper da 15 posti per Norsup, anzi sul nostro volo siamo proprio gli unici. Confesso che lo sconforto mi assale quando arriviamo al piccolissimo aeroporto atterrando in mezzo ad una distesa di palme di cocco. Il driver ci conduce per un’ora e mezza verso il Tam Tam Bungalow a nord di fronte alla piccola isola di Vao. Non esistono Resort e strutture veramente turistiche e mi chiedo se forse non abbiamo sbagliato a soggiornarvi, dubitando di sopportare ancora tre notti a dormire con un occhio aperto e uno chiuso per la paura dei ragni e un orecchio sempre all’erta per cogliere rumori strani. Tuttavia l’obiettivo era quello di vedere queste tribù Nambas, assistere alle loro danze e ai loro riti, quindi qui bisognava venire. Il percorso si snoda lungo strade fortemente dissestate, avvicinandosi sempre più alla costa. E quando meno te lo aspetti, si apre una passeggiata, che costeggia il mare delimitata da canne di bambù alte un metro che terminano con mezzi gusci di noci di cocco, un cartello impagliato con scritto WELCAM (in BISLAMA) TAM TAM ed una signora in abito floreale tutto a balze con due collane di buganvillee da metterci al collo. Il mio entusiasmo riprende quota e rende felice Luca che leggeva la delusione nei miei occhi. Una grande foglia di banano, riempita di fiori freschi e colorati, appesa all’ingresso del bungalow e l’interno tutto riempito di ibisco e tiarè completano l’opera. La promenade (qui parlano preferibilmente francese) è piacevole e rilassante, contornata da alberi di cocco, papaya, yucca maestose e piante dai colori sgargianti. Maman e Nancy, in un delizioso francese, ci annunciano che la cena è servita con mezz’ora di anticipo perché sanno che a mezzogiorno abbiamo mangiato poco. La classe non è acqua! Nella loro semplicità ci presentano i piatti cucinati, serviti in stoviglie pulite ( al contrario del Banyan a Tanna) con insalata e pomodori, banana cotta nella foglia di cavolo, fettine di carne con peperoni e l’immancabile riso. Pompelmo e papaya in tavola non mancano mai. Pur vivendo in povertà la fame non imperversa perché la terra dà molti frutti in modo naturale.

MERCOLEDÌ 10

Oggi giornata di escursioni: si parte con gli Small Nambas, una tribù il cui nome deriva dalle dimensioni del Nambas, l’astuccio penico indossato dagli uomini fatto da una foglia di fibra essiccata avvolta intorno al pene e infilata in una cintura di corteccia. Avevamo letto di popolazioni che vivono ancora secondo le antiche tradizioni; in realtà lo spettacolo è fatto per i turisti, che comunque sono pochi.. Di naturale non c’è nulla e di questo un po’ ci rammarichiamo pensando di aver letto male perché Etienne, del tam tam, ci dice che oramai neppure nei villaggi più remoti si vive più così. Vediamo i costumi tradizionali, le danze, i suoni con i diversi strumenti, l’accensione del fuoco dalla canna e la preparazione del lap lap con cottura nella canna di bambù. In realtà il driver che ci riporterà in aeroporto due giorni dopo ci dice il contrario e cioè che nel mezzo dell’isola queste tradizioni sopravvivono eccome!

Suggerimento: se volete fare qs. esperienza, prima di arrivare, contattate il Malampa travel center e chiedete nello specifico questa attività “non turistica” perché secondo noi si può fare.

Sulla strada del ritorno ci fermiamo anche a visitare il sito del cannibalismo, un breve percorso in mezzo alla foresta dove venivano eseguiti i riti dell’uccisione a colpi di bastone e pietra con un colpo alla nuca. La cucina è una grande buca dove avveniva la cottura ed il pranzo, con i resti ancora in bella mostra (qualche teschio, un femore, …). L’ultimo sacrificio fu quello di un missionario nel 1888! Dopo pranzo esploriamo un po’ la spiaggia che non si presta certo a fare snorkelling dato che le onde dell’oceano infrangono prepotenti sui coralli che affiorano. In un’ansa in fondo all’isola osserviamo l’andare e tornare delle piroghe usate per la pesca e per il trasporto da e verso la piccola isola di fronte. Sono fatte da una canoa in legno con un bilanciere di canne di bambù legate con dello spago. Come facciano a resistere nell’oceano resta un mistero. Pescano con la rete, anziani e bambini, per l’uso personale. La vita qui scorre davvero lentamente, una quindicina di donne, anche anziane, tolgono l’erba dalla promenade, come la chiamano loro, sedute per terra, filo per filo per rendere il giardino più bello, per loro e quindi anche per i turisti, puliscono le piante, mettono i fiori alle finestre. Qui non si vede certo l’esplosione di colori della Polinesia, ma buganvillee, ibisco e tiarè non mancano. Tutti i villaggi sono autosufficienti e vivono di carne (mucche e galline), uova e frutta.

GIOVEDÌ 11

A colazione si aggiungono due ospiti provenienti dalla Nuova Caledonia, che dista pochi km dalle Vanuatu. Parlano tra loro e capiamo che non sono interessati a fare conversazione. Alle 8 si parte per la gita di famiglia con Etienne e Nancy, interessata anche lei alla visita ai Big Nambas, la seconda tribù che negli anni passati vestiva con l’astuccio penico. Oggi non è più così e anche qui le danze kastom di uomini, donne e bambini sono organizzate appositamente per noi. Rispetto agli Small Nambas, sembra che la partecipazione sia maggiore ed i canti più sentiti, quindi complessivamente mi sono piaciuti di più. Nel pomeriggio il sole splende quindi stiamo in completo relax fino al tramonto, passeggiando lungo la promenade scambiando parole con i residenti, tutti molto gentili e desiderosi di parlare, perfino una signora sulla riva che attende la piroga e che ci fa capire di non essere andata a scuola e quindi di non parlare nè inglese nè francese. Non importa ci capiamo a gesti: ci indica una noce di cocco, prende il suo macete, prima ne taglia la calotta per farci bere il latte, poi lo spezza a metà e ne svuota il contenuto offrendocelo da mangiare… Il linguaggio internazionale del corpo!

VENERDÌ 12

Lasciamo anche l’isola di Malekula dalla quale forse ci aspettavamo qualche emozione in più per la presenza di etnie legate a costumi e tradizioni antiche. Abbiamo trovato invece una popolazione che non porta più gonnelline e collane di paglia, ma che vive comunque ancora di ciò che viene dalla terra, che passa le giornate in comunità, che scambia ciò che produce e che la sera va a letto molto presto non essendoci l’elettricità nelle case. Solo al Tam Tam sono forniti di pannelli solari e generatore soddisfando quindi le esigenze di luce. I genitori fanno grandi sacrifici per mandare i bambini a scuola perché è molto costosa e questo è causa di elevato analfabetismo tra i piccoli. Una cosa in comune con noi però l’abbiamo trovata: la corruzione dilaga tra i politici e la soddisfazione verso il governo in carica è molto bassa. Tutto il mondo è paese!

L’aeroporto di Norsup è incredibile: un vecchio edificio diroccato senza tetto come sala d’attesa, quattro mura coperte da una lastra di lamiera dove si fa il check-in con bilancia da salumieri perché il sovrappeso rispetto ai 10kg concessi per persona si paga (120vatu/kg). I bagagli imbarcati dai locali sono altrettanto folcloristici: ci sono piante di fiori, sacchi di tuberi, scope e perfino una ventina di granchi verdi con le chele arancio, dagli occhietti ancora vispi perché vivi, ma sofferenti in quanto tutti saldamente legati ad una corda e infilati in una scatola. Let’s go Ni-Vanuatu! Si parte per Santo, 25 minuti di sofferenza , ingabbiati dentro sedili strettissimi dove il metro e ottantacinque di Luca grida aiuto, un caldo soffocante perché l’aria condizionata non funziona. Per tutto il tempo mi trovo con una bimba attaccata al collo che mi ispeziona da dietro ed una piccolissima davanti che mi punta due meravigliose perle nere chiedendosi forse a che specie appartengo. L’arrivo a Luganville coincide con il ritorno alla “modernità”. Pick up nuovi, strade asfaltate, due banche in città dove cambiare la valuta (sia dollari australiani che euro). Per questi giorni di relax scegliamo l’Oyster Island Resort, in 20 minuti si arriva ad un approdo sul mare, un colpo alla bombola del gas e la barchetta parte dall’altra sponda per il recupero degli avventori. Quest’oasi di pace ci accoglie come sempre con caldi e sinceri sorrisi di benvenuto e ci accompagna al ns. bamboo-bungalow, con la terrazza che entra nella laguna e gli immancabili fiori di ibisco e tiarè che colorano camera e bagno. Tutt’intorno solo il rumore del mare. Per i pomeriggio noi facciamo un giro alla Midway Beach in cerca di pesci colorati che tuttavia non troviamo.

SABATO 13

Questa mattina presto veniamo svegliati da lampi e tuoni con pioggia a catinelle e a malincuore andiamo a colazione pensando a come far passare una lunghissima giornata. Verso le 10 il cielo sembra aprirsi e quindi preleviamo subito il kayak spingendoci nel canale per raggiungere il Matevulu Blue Hole. 45 minuti di energiche pagaiate passando attraverso una piccola foresta pluviale finché si apre la splendida pozza blu, in alcuni tratti calma, immobile con i tratti nitidi delle piante che vi si riflettono, in altri punti scossa dai tuffi di chi si lancia dalla liana appesa al grande albero. Non vediamo l’ora di farlo anche noi; parcheggiamo il kayak e ci arrampichiamo su una impervia e scricchiolante scaletta. Con un po’ di titubanza, tra gli incitamenti di un gruppo di ragazzi asiatici ai piedi dell’albero che mi tendono la corda e un gruppo di anziani turisti sulla riva opposta pronti ad immortalarmi nel tuffo, prendo coraggio, conto fino a tre e mi lancio mollando la presa della liana al momento gusto e finendo in acqua perfettamente in piedi, in perfetto stile Tania Cagnotto. Anche Luca fa la sua parte e tra gli applausi concludiamo l’esibizione arrivando a riva a nuoto. Piano piano e senza alcuno sforzo perché siamo a favore di corrente torniamo all’Oyster dove il cielo è rimasto grigio e così pigramente terminiamo il pomeriggio sulla terrazza del bungalow. I trasporti serali sono un po’ problematici perché non esistono bus pubblici ed il taxi è costoso (2000vt) e quindi restiamo sull’isola per cena. Fritto misto con patatine uno e pesce grigliato l’altro con Tusker Premium Beer per entrambi.

DOMENICA 14

Il sole fa capolino tra le nuvole e anche qui le previsioni prendono un granchio! Dovevano esserci tuoni e fulmini ed invece godiamo di una bella giornata di sole. Ci riprendiamo il kayak e saliamo verso nord dove troviamo una piccola isoletta con un cartello Tabù-Private island. Una lingua di sabbia corallina propende verso di noi e non possiamo resistere; stendiamo gli asciugamani e ci godiamo finalmente il paradiso tropicale. Poi ci spingiamo ancora un po’ in là verso il Turtle Bay Resort, immerso in un languido silenzio, da dove tra i coralli spunta solo un pescatore locale che tenta invano di infiocinare un pesce. Piano piano torniamo verso il Resort per fare snorkelling ma l’onda è molto forte ed i coralli troppo vicini; c’è pericolo di farsi male.

LUNEDÌ 15

Dopo averci graziato ieri, il tempo ci punisce oggi, svegliandoci con un vero diluvio, che si dissolve, come due giorni fa, verso le dieci. Visto che è saltata la gita alla Millennium Cave, improvvisiamo l’uscita verso Champagne Beach perché, visto il tempo pazzerello, non vorremmo rischiare di perderla. Un italiano, grande viaggiatore e amante dei paradisi, sopratutto del Pacifico, la colloca tra le dieci spiagge più belle al mondo. Noi non possiamo certo vantare così tante esperienze ma, nel nostro piccolo, riteniamo imbattibile la spiaggia rosa di Fakarava, Polinesia, isole Tuamotu, … quindi siamo curiosi. Proviamo a capire se è possibile arrivarci in autonomia ma sembra proprio utopia. La rete di trasporto pubblico è sostanzialmente limitata a Luganville, per spingersi a nord si prende un taxi per tutta la giornata o si partecipa ad un’escursione guidata. I trasporti alle Vanuatu sono certamente l’aspetto più costoso del viaggio. Ci arrendiamo e ci facciamo chiamare un taxi, mezz’ora di strada e, pagato l’ingresso, affondiamo i piedi nella borotalcosa sabbia di Champagne Beach, una mezzaluna alle cui spalle si alza una collina di fitta e alta vegetazione che la protegge dai venti rendendo il mare pulito e di un colore sensazionale. Il cielo è sempre grigio e questo non contribuisce a rendere il contesto paradisiaco. L’acqua è piacevolissima non solo per il colore ma anche per la temperatura e fare il bagno noi due soli, unici turisti, là dove ieri era attraccata una nave da crociera e aveva fatto sbarcare un plotone di vario chiacchiericcio, ci dà ancora maggiore soddisfazione. Un po’ di relax e silenziosa contemplazione e siamo pronti per il pranzo a Port Orly, propostoci dal driver e accettato senza eccessivi entusiasmi dato che la Lonely vi dedica poche righe. Beh cara Lonely hai sbagliato in pieno! Port Orly è un quieto villaggio di pescatori nella punta nord dell’isola, proprio dove finisce la strada asfaltata, pieno come sempre di bambini o nelle scuole o lungo la via. Purtroppo anche qui si paga l’accesso alla spiaggia e in corrispondenza della freccia “little paradise” entriamo. Il colore del mare è esattamente lo stesso di prima, un’enorme distesa azzurro cristallino, interrotto dalle sagome scure dei coralli. Qui l’onda è impetuosa e porta a riva piccoli legni e fogliame. Sulla spiaggia ci attende il Port Orly Habour Beach Restaurant, tutto in legno intagliato con grandi panche. La location è tutto un programma e la scelta del menù risulta d’obbligo: coconut crab and loabster. Due piatti sublimi che si sono fatti attendere un po’ di tempo (qui non esiste cibo precotto) ma che ci hanno reso tanto felici!!! I proprietari del ristorante gestiscono anche dei bungalows, anche quelli direttamente sulla spiaggia. Un paio di notti qui, secondo noi, sarebbero proprio da provare (Little paradise bungalow). La spiaggia si allunga per qualche centinaio di metri e con la bassa marea riesce a congiungere una piccola isola di fronte al villaggio. Mentre passeggiamo con i piedi in acqua all’improvviso si incornicia davanti a noi una vera cartolina tropicale. Provate a immaginarla con noi. In basso la spiaggia, qualche metro di larghezza di sabbia corallina, cosparsa di gusci di noci di cocco, un po’ abbandonate, un po’ portate dal vento, a lato le piroghe di legno malconcio cariche di sottilissime e impalpabili reti da pesca, sullo sfondo una laguna celeste sovrastata dalle palme della vicina isola e al centro, immobile come una statua, …. una bellissima mucca color champagne che ci guarda incuriosita e sembra chiederci: ma devo proprio spostarmi io? This is Vanuatu Islands. Questa splendida giornata si conclude all’Oyster, con un’ora sulla ns terrazza, un’amaca, due poltroncine, alcune conchiglie sul tavolino e un fiore di tiarè al centro a godere del sole e del rumore del mare sottostante. Mancano solo i tramonti sempre coperti da nuvoloni minacciosi.

MARTEDÌ 16

Il tempo consente, quindi alle 8:15 si parte per la Millennium Cave con Paradise Tours, insieme a due australiani e due inglesi. L’escursione è costosa (7000vatu) ma i ragazzi se li meritano tutti! Sei persone al nostro seguito, sei giovani mingherlini che nei momenti di difficoltà (attraversamenti torrente) hanno dimostrato una forza incredibile, sempre pronti a tendere la mano al minimo accenno di scivolamento. La M.C. è un’escursione considerata di livello 5 , cioè massimo, che richiede un buon livello di preparazione fisica e atletica, secondo me più di quanto fatto capire dalle descrizioni dei tours. Ad un’ora ca. dall’Oyster inizia il trekking nella giungla una massa di vegetazione tagliata da un sentiero, tutto verdissimo causa le recenti piogge che ci fanno camminare nel fango, che schizza sulle gambe. Io ho scelto scarpe da trekking per avere maggiore aderenza al terreno scivoloso, pur sapendo che poi sarebbero serviti tre giorni di asciugatura. Luca opta per le scarpette da corallo. Dopo ca. 1 ora di cammino lasciamo gli zaini con il cambio vestiti ed il box lunch ad altri ragazzi che ci seguono e che c’è li faranno trovare all’uscita della grotta, dove noi ci avventuriamo con i giubbotti salvagente, immergendoci nell’acqua fino alla vita. La caverna è alta ca. 5 metri e larga 20, con pareti lisciate dall’acqua e dal vento e costellate di nidi di pipistrelli che spuntano con le loro inconfondibili piccole orecchie. La presenza che io temevo di più era però quella dei grandi ragni. Pericolo scampato, io non ne ho visto neppur l’ombra. Il buio è totale squarciato solo dai piccoli fari delle pile di cui ci hanno dotati. All’uscita ci attende il sole, tre cascatelle ed il lunch. Poi inizia l’avventura, quella a cui io non ero preparata mentalmente: canyoning. Per me è stata la prima volta e non so paragonare il livello di difficoltà ma l’ho trovato abbastanza pericoloso. Il caschetto sarebbe servito per protezione, soprattutto a me quando, per sbaglio, ho afferrato un ramo, credendolo un appiglio di ferro, si è spezzato e sono finita di schiena con la testa sotto acqua, a pochi millimetri dalle rocce. Molto baldanzosa sono riemersa con il sorriso dicendo OK GUYS LET’S GO. Che fifa! A parte questo è stato tutto molto divertente, scale, discese in verticale sulla roccia, ponti di canne di bambù, risalita di una cascatella, dove gli appigli per i piedi sono previsti per chi è dal metro e settanta in su ( ai miei dieci cm mancanti sopperisce la mia dolce metà tenendomi una mano sul lato B e spingendomi da dietro) e infine swimming, galleggiando e lasciandosi trasportare solo dalla corrente poderosa del torrente. Strepitoso! Risalita l’ultima scala a picco sull’acqua, riprendiamo il cammino per un’altra mezz’ora e, cotti a puntino, alle 17 siamo al villaggio di partenza. Great experience!

Per l’ultima cena all’Oyster, viste le fatiche della giornata, ci deliziamo con due Santo Supreme, filetto in salsa di funghi con taro dolce.

MERCOLEDÌ 17

Alle 12:40 abbiamo il volo per Port Vila e, fatti i bagagli, ci resta il tempo per oziare sulle sdraio, in spiaggia al caldo sole dei Tropici. In perfetto orario atterriamo nella capitale e, visto che oramai siamo pratici, prendiamo un taxi in autonomia per il Fatumaru Lodge, a ca. 20 minuti a piedi da downtown e ca. 5 m in bus, molto consigliati vista la frequenza continua anche serale ed economicità (150 VT). Per qs ultimo giorno e mezzo abbiamo scelto qs lodge pensando di oziare al mare che dalle foto sembrava cristallino. In realtà, non è così entusiasmante o comunque non il più bello dell’isola. La struttura invece è carina, non nuovissima ma ben tenuta con una bella piscina.

GIOVEDÌ 18

La notte passa in modo travagliato e pensieroso perché luca si riempie alcuni punti di braccia e gambe di piccole punture che si allargano a vista d’occhio diventando chiazze rosa. Io dò subito la colpa a qualche bestiolina della Millennium Cave o del salvagente. In realtà non lo sapremo mai perché dopo aver già deciso che la mattina saremmo andati in ospedale, per fortuna al risveglio le chiazze sembrano essersi affievolite forse anche grazie a pomata e pastiglie che la ns amica farmacista ci ha consigliato di portare nella ns piccola scatola di pronto soccorso da viaggio. Ottimo consiglio Michi! Rincuorati, alle otto organizziamo la giornata: tour dell’isola con auto a noleggio della Go2rent che ci viene a prendere direttamente al lodge. Con la ns. city car partiamo alle dieci e trenta per le Mele Cascades, passeggiata in un giardino tropicale dove alla fine si approda alle cascate con piccole pozze dove immergersi. Piacevole e divertente per passare un’ora circa, grazie anche alle poche persone presenti. Seconda tappa al Tanna Coffee, dove fanno la tostatura a vista e relativa degustazione del caffè prodotto a Tanna. A me piace molto e quindi non esito a comprarlo insieme al plunger con cui lo fanno loro stessi. A qs punto ci si inerpica per la collina abbandonando il mare e incontrando un paesaggio più simile al nostro fino a ridiscendere nel punto di attracco barche per le isole a nord, Lelepa, Nguna e Pele. Nel ns programma originario, modificato dagli spostamenti di Air Vanuatu, c’era un giorno in meno a Malekula e uno in più a PortVila, proprio quello che sarebbe servito per visitare almeno una di qs isole alla ricerca di un buon sito per lo snorkelling. Peccato! Si prosegue lungo la costa incontrando un piccolo museo (parola grossa), una baracca di lamiera con le bottiglie della coca cola residuate della seconda guerra mondiale. I villaggi lungo la strada sono continui con le pensiline di paglia che fanno da market accogliendo i prodotti dell’orto. Tanti pomodori! Ogni villaggio ha una chiesa e una scuola quindi i bambini spuntano dappertutto, tutti salutando con enormi sorrisi, qualcuno anche urlando: White man. Alle 15 arriviamo alla Eton Blue Lagoon, meno affascinante del Matevulu di Santo ma altrettanto divertente per il lancio con la liana nella pozza verde azzurra da un’altezza certamente meno impegnativa dell’altra. Il luogo si presterebbe a passarci più tempo perché organizzato anche con tavolini per pic nic. Ci attendono circa altri 30 km per port vila e non vogliamo tardare nella riconsegna dell’auto quindi verso le quattro ripartiamo per la città terminando al giornata con un cocktail al WaterfrontGrill.

VENERDÌ 19

Ultimo giorno. Il volo per Brisbane parte alle 16.10 e siamo fortunati perché il Fatumaru ci lascia la stanza a disposizione fino alle 14 senza pagare nulla. Terminiamo così in bellezza e relax con un paio d’ore in piscina e l’ultima corsa in città per qualche souvenirs.

Non possiamo certo dire di tornare da questo viaggio con l’entusiasmo alle stelle della Polinesia (al primo posto della nostra classifica insieme con la Bolivia) ma portiamo con noi sicuramente una quantità di sorrisi e saluti incredibile, uno stile di vita molto semplice ma decoroso, pur nelle condizioni di povertà. In questo viaggio del resto, più delle spiagge tropicali pur essendo nel Sud Pacifico, abbiamo cercato le culture locali spostandoci tra le isole proprio per assaporarne le particolarità e per questo alla fine possiamo dire che il viaggio è perfettamente riuscito.

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