Vanuatu in libertà
Indice dei contenuti
“Circa una decina, più o meno di milioni d’anni fa, un australopiteco affamato si aggirava nella savana. Perlustrando la stessa vide un bellissimo fungo rosso, tanto era bello ed appetitoso che decise di assaggiarlo! Poco dopo morì tra atroci tormenti. Il suo compare a poca distanza intuì che forse era meglio evitare quel genere di alimenti e preferì cibarsi di erbe aromatiche più simili all’insalata, morì pure lui. A forza di schiattare, l’umanità imparò a distinguere cosa fosse commestibile e cosa no. Con il passar del tempo qualcuno imparò a cuocere i cibi e pose le basi per il risotto ai porcini in futuro a venire. Quante vittime sia costato non è dato sapere, possiamo però dire che oggi è molto apprezzato. Il passo conseguente alla cottura delle vivande furono l’ammazzacaffé o l’aperitivo. Gli studiosi ancora si azzuffano amabilmente per stabilire quale sia nato prima, un po’ come l’uovo o la gallina, a noi poco importa, ciò che interessa è la motivazione, identica per l’uno e l’altro:assumere sostanze atte all’obnubilamento del cervello. Gli europei, climaticamente più fortunati, scoprirono che la frutta andata a male, poi così male non era e, fermenta oggi, fermenta domani, arrivarono al frizzantino. Si potrebbe ipotizzare un regresso della civiltà con il tavernello? Non è sede di tale discussione, comunque si! Al nord aggiunsero il lievito a quello che avevano e fecero la birra, in africa usarono il miglio per arrivare più o meno allo stesso risultato. In Asia fermentarono il riso. In centro america trovarono dei funghetti non velenosi come quelli di cui sopra, nemmeno molto gustosi ma con notevoli effetti metafisici. In Giamaica presero un altra strada, avendo ampia disponibilità di erbe aromatiche inventarono la tisana, millenni dopo iniziarono a bruciarla direttamente ispirandone i vapori e qui mi fermo con gli esempi, ancora molto numerosi, per non dilungarmi ed arrivare al punto. Il punto, appunto, è la risposta ad una delle domande definitive che da millenni tormentano l’essere umano, la cui importanza si pone fra: “Gli Ufo sono tra noi” ed “Elvis è vivo”? Il quesito è questo: Lo sballo è un bisogno insito nell’uomo, un istinto basilare e primordiale naturale, irrazionale e fondamentale? La risposta è si! La prova scientifica e metafisica di quanto scritto sopra si trova a Vanuatu. In queste terre disperse ed isolate nell’oceano, battute dai tifoni ed a volte bruciate dai vulcani, gli abitanti, pur di stordirsi, presi dalla disperazione, a costo di immani perdite, dopo aver probabilmente assaggiato, bollito, bruciato di tutto, in ultima spiaggia hanno scavato ed estratto dalla terra un tubero/radice dall’odore nauseabondo e dall’aspetto disgustoso. Si sono prodigati nello studio del trattamento dello stesso arrivando a macerarlo, lavorarlo a mani nude nell’acqua, ed infine filtrarlo per ottenere un liquido dal sapore atroce, stomachevole, ributtante, nauseante, vomitevole, ripugnante, unanimemente riconosciuto simile alla sciacquatura di piatti, anestetico e rivoltante, da buttare giù forzatamente in un solo sorso, che consumano allegramente pure con una certa dose di compiacimento, ma dagli effetti stupefacenti in ogni accezione del termine: la Kava.
La Kava prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, che intripparsi è da considerarsi una azione fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo al pari del nutrirsi, respirare, riprodursi e, che la carenza di essa, può portare a soluzioni estreme”.
Piero Ghiandola
Edizioni Fetonte 2013
All rights reserved
Dopo una serie di avventure, viaggi impegnativi e disagiati, ed un periodo di stress, ci vuole un po’ di calma, qualche malevolo dirà: “ad una certa età”, non commento. Oltretutto avevo promesso un po’ di mare bello ad Annina, gliel’avevo detto anche per la Dancalia a dire il vero, poi arrivati lì: ”Con questo caldo si sarà asciugato”, ma non credo che mi abbia mai creduto del tutto. Fra le varie e sconosciute mete nei mari del sud la scelta è caduta su Vanuatu, non perchè offrisse qualcosa che mi avesse colpito in particolare, ma per il fatto che sia considerato il paese più felice del mondo. Non so se tale affermazione corrisponda a verità o ci sia una Shangri La nascosta in qualche meandro di questo pianeta a contendere la testa di questa immaginaria classifica, una cosa è certa però: ai vanuatesi non gliene può fregare meno, di questo e anche di molto altro, ciò è significativo.
Ovviamente la programmazione è stata quasi inesistente nel marasma della prima metà del 2013, non ho avuto la minima voglia di stressarmi ulteriormente, a Vanuatu questo non è un grosso problema, il turismo è minimo. La ressa è un fenomeno sconosciuto, salvo quando approda una nave da crociera della P&O vomitando masse con in tasca l’equivalente di 10 anni del pil di tutto l’arcipelago, tanto da far aprire le bancarelle agli indolenti isolani, bancarelle altrimenti vuote e deserte.
Avremmo potuto quindi fare e vedere più cose, organizzare meglio gli spostamenti, sfruttare meglio il tempo; il tempo, appunto: si chiama Vanuatu time, che fantasia direte, e fra le davvero poche preoccupazioni degli indigeni non è sicuramente incluso nelle prioritarie. Parola d’ordine: no rush in Vanuatu!
Concludendo: take it easy, Anna ci riesce benissimo, io da buon lumbard ho trovato qualche difficoltà, una serie di coincidenze sfavorevoli e qualche colpo di sfiga nera mi hanno dato molto da lavorare, ma alla fine me la sono cavata, non dico alla grande, ho ancora molto da fare in tal senso, ma work in progress.
Udite, udite, ho lasciato persino anche la fotocamera nello zaino, spesso per necessità essendo nell’acqua a fare snorkelling, nuotare o in kayak, a volte per scelta, mi sono comunque maledetto per non aver recuperato un guscio per le foto subacquee.
REPORT
Dopo un volo interminabile con l’ottima Emirates atterriamo a Brisbane in Australia e pernottiamo al motel Ibis: http://www.ibis.com/it/hotel-3512-ibis-budget-brisbane-airport-previously-formule-1/index.shtml, a due passi dal terminal. Sorta di dormitorio triste con tanto di distributore automatico di indigeribili Luisone, buono solo per un trasfer, nemmeno molto “budget”, 100 aud colazioni incluse, per ripartire subito la mattina seguente con l’air Vanuatu destinazione Espiritu Santu.
Arriviamo a Luganville dopo circa due giorni e mezzo dalla partenza, non distinguendo più il giorno dalla notte, con un numero indefinito di mattoni nello stomaco, Luisona inclusa.
Sbrigate, con calma, le formalità siamo già sul pick up con Purity, una simpatica matrona che ci ospiterà al villaggio di Matantas nella Bay of Illusion.
Nelle poche info reperite su internet riguardo questa meta, avevo scovato il Big Bay Cultural Festival http://www.dailypost.vu/content/big-bay-cultural-festival-open-sunday
A svolgersi nel remoto nord dell’isola il giorno dopo il nostro arrivo. Descrizioni nessuna ma il nome della baia mi ispirava simpatia e la cosa mi aveva incuriosito. Contattando la http://www.wreckstorainforest.com/ con non poche difficoltà, per farmi rispondere ho dovuto iscrivermi a Feisbùk, sono riuscito ad organizzare un trasporto subito all’arrivo, così partiamo senza sapere bene dove andiamo e cosa troveremo. Breve sosta al mercato a far provviste e siamo per strada in mezzo alla giungla. In circa due ore ed un po’ di sterrato giungiamo finalmente a MATANTAS, al Bay of Illusion Yacht Club, http://www.positiveearth.org/bungalows/SANMA/biyc.asp . Il quale trattasi di una coppia di bungalow tradizionali locali, graziosi e molto basici, privi di corrente elettrica e qualsivoglia servizio, spersi nella selva ed affacciati sul mare. Attorno qualche capanna locale, animali da cortile vari, vacche ed asino inclusi. Primo impatto con il metro di misura e definizione che caratterizzerà Vanuatu.
Per non fraintendere, il posto è molto bello, vegetazione lussureggiante, palme e papaye, una lunga spiaggia nera, mare cristallino e profondo.
Siamo gli unici turisti così dedichiamo al passeggio sulla sabbia le ultime luci del giorno, Anna già alza le antenne sull’arenile.
La cena dello “Yacht Club” è una casalinga, “famigliare” cena vanuatese, pollo, lap lap, verdure locali, manioca, banane arrosto, frutta, servita sul tavolone di legno dello spazio comune, da noi molto apprezzata ed in compagnia dell’unico altro ospite, una biologa australiana in loco da diverso tempo per delle ricerche, poverina.
La notte, già sono rintronato dal jet lag, con un principio di bronchite da aria condizionata, maledico la natura, l’ambiente, il wilderness, l’ecoturismo, l’agriturismo ed affini e mi ripropongo, non appena possibile, di asfaltare tutto nel raggio di 32 km, fare un bel brasato con l’asino ed arrostire tutti galletti della zona, possibilmente vivi. Per chi non avesse compreso la fine metafora, la pace della natura a volte è una mostruosa rottura di palle.
Alla mattina, dopo la frugale colazione, inizio a chiedermi dove e come si svolgerà il festival visto che in giro non c’è un’anima viva, però mi comunicano che è posticipato di un’ora per l’arrivo di altri turisti. Ne arriveranno ben quattro, fra cui due italiani residenti in Australia: una folla.
Il “festival” inizia con la preghiera Kastom recitata dal patriarca della famiglia Purity e dopo auguri e felicitazioni varie veniamo accompagnati da uno dei figli della stessa per un giro a piedi nella Vatthe Conservation area, http://www.positiveearth.org/bungalows/SANMA/vatthe_ca.htm , zona protetta di foresta pluviale intricata e rigogliosa. Qui non ci sono animali particolari, la vegetazione la fa da padrona, in compenso ci sono però ragni abnormi ma innocui.
Il giro, facile ed in piano, dura un paio d’ore abbondanti, vengono illustrati gli infiniti utilizzi delle piante e, chiaramente, la grande conoscenza che le popolazioni autoctone hanno di esse. In particolare spiegano che, in caso d’impellente necessità nella foresta, le belle piante dalla foglia larga e morbida sono urticanti se usate dalla parte sbagliata.
Rientriamo allo Yacht Club, ma quanto mi piace scrivere “Yacht Club”, per il pranzo “festival”, un po’ più elaborato, servito in simpatici piatti e vassoi fatti con foglie intrecciate, ma nella sostanza del tutto simile a quello della sera prima.
Seguono una serie di dimostrazioni di attività locali, la preparazione del lap lap, l’accensione del fuoco senza strumenti “moderni”, intreccio foglie, canti e danza, disegni sulla sabbia.
In definitiva la manifestazione non è altro che una rappresentazione della vita locale, svolta da Purity e famiglia, cioè mostrano ai turisti quello che normalmente fanno di solito con solo un po’ più d’enfasi, condito da qualche danza e qualche rito Kastom.
Il tutto ci tiene “impegnati” quasi tutta la giornata e solo a sera scopro che Matantas è anche un villaggio, di poche capanne, pure lui vicino al mare e, nonostante sia a poche centinaia di metri dal “resort”, risulta quasi invisibile.
A Matantas non ci sono negozi, trasporti, auto o servizi di nessun genere, lo si può raggiungere solo chiedendo di trovare un mezzo in una agenzia o hotel di Luganville, in un resort sulla costa oppure contattando Purity, se ci riuscite, direttamente. Il costo del transfer è piuttosto caro, attorno ai 6000/8000 vatu per tratta. Si mangia e si dorme solo allo yacht club.
Sinceramente il festival è stato un po’ deludente al momento, ma non ero ancora entrato nello spirito di Vanuatu, ero rognosetto per il viaggio, l’aver dormito poco e per non stare molto bene. Un occidentale alla parola “festival” si immagina tutt’altro, ma qui bisogna mondarsi dalla propria (sovra)struttura di pensiero ed entrare in una dimensione diversa, molto più tranquilla. Il tentativo, che definirei da “lumbard” quale sono, imprenditoriale, di Purity, nella sua semplicità, oggi mi fa una grande tenerezza. Sei turisti ha portato, più la ricercatrice ed ho detto tutto. Le mando i miei migliori auguri ed il rimpianto di non avere apprezzato come invece avrei dovuto fare.
Ovviamente siamo distanti da ciò che si intende con la parola “resort”, la sistemazione è spartana ma non manca assolutamente nulla escluso l’inutile.
Con il senno di poi sarei stato un giorno in più a camminare per la costa ed a vivere il villaggio forse più genuino trovato in tutto il viaggio, la zona è realmente selvaggia, remota e praticamente incontaminata.
Il pick up, maldestramente incluso nel “pacchetto” rainforest, ci porta la mattina a LONNOC beach, il tragitto è breve, un’ora circa.
Magari non è il paradiso ma ci si può adattare. Veniamo accolti da un mare di un verde blu acceso e brillante, palme e sabbia bianca.
Ci piazziamo al Lonnoc Beach Bungalows, +678 5416456/5900392, ovviamente c’è posto. Il resort è ottimamente gestito, molto carino, uno dei migliori ristoranti provati. I bungalows sono basici ma assolutamente confortevoli, posizionati a 10 mt dal mare, non c’è acqua calda e la corrente elettrica viene erogata dal tramonto fino alle 10 di sera, 7000 vatu in due a notte. A circa 500 mt verso Champagne beach si trova il Tuvoc resort, di recente costruzione, un poco più spartano ed economico, con l’entrata alla spiaggia inclusa essendo gli stessi proprietari.
L’infinito viaggio aereo e l’aria condizionata degli aeroporti mi salutano con mal di gola, bronchite ed un po’ di febbre che mi impedisce, con rammarico, di gustare appieno la cucina, qui veramente ottima. Assaggiamo due delle specialità della zona in una “biffit” dinner, il mitico granchio del cocco ed il flying fox che, scoprirò dopo, essere una specie di pipistrello, non che questo potesse creare problemi, ambedue deliziosi. Per il granchio il Lonnoc restaurant è uno dei migliori in assoluto di tutto l’arcipelago.
Anche qui turisti con il contagocce, siamo quasi sempre soli e ci godiamo la bellissima, seppur piccola spiaggia di Lonnoc e la famosa Champagne beach distante circa 10 minuti a piedi, 1000 vatu per entrare. Passiamo ore nelle limpide e bellissime acque circostanti a fare snorkel o semplicemente a cazzeggiare.
Con il kayak doppio esploriamo tutta la baia correndo dietro alle tartarughe, scoprendo piccole isolate, deserte spiaggette dove Anna inizia la sua attività preferita: la raccolta mitili, gasteropodi, brachiopodi e compagnia varia che, in queste zone poco battute, si trovano in quantità.
Inizio quindi a trovarmi cumuli di gusci in quantità smodate in stanza, sui lavandini per il lavaggio, qualcuno di notte pure cammina, sparsi fuori ad asciugare, nelle tasche della borsa fotografica, nello zaino, cappello……..ovviamente tutti: bellissssssssssimi!
Una sera, mentre sono li tranquillo sul letto, Anna ovviamente era intenta a mondare conchiglie, sento un rumore lontano, da lì a poco vedo il bungalow ondulare a destra ed a manca. Un bel sesto grado.
Era il terremoto?
No, (segue irriferibile inqualificabile spiegazione).
E se arriva lo tsunami?
Metti la maschera.
Confesso d’aver guardato se il mare si ritirasse. Per i locali come nulla fosse successo, la cosa più normale del mondo.
Lo spirito nomade ci porta a nuove avventure, lasciamo Lonnoc a malincuore con la certezza di rimpiangere il giorno in più non passato li.
Più a nord c’è il villaggio di Port Orly con una grande spiaggia e possibilità di pernottamento, non siamo andati, ma gli amici italo australiani ce l’ hanno segnalata come molto bella e riporto.
Trasfer per Luganville 6000 vatu.
Arriviamo in città, definizione elastica, in mattinata e, dopo aver provato al consigliatissimo Motel Hibiscus, unico trovato full, ci piazziamo al Unity park Motel sulla via principale, economico, 3000 vatu senza colazione, decoroso, provvisto anche di acqua calda e con una fornita grande cucina a disposizione degli ospiti. Nel grande spiazzo a fronte vediamo un certo movimento e veniamo a sapere che questi sono i giorni della grande celebrazione dell’indipendenza.
Ci dirigiamo all’imbarcadero per l’Aore island ma scopriamo che il primo traghetto si muove da li a due ore, il tempo volge la brutto, decidiamo di deviare a Oyster island, pochi km a nord. Raggiungiamo in taxy il traghetto gratuito sempre disponibile ed attraversiamo il breve braccio di mare sbarcando al resort omonimo, il quale è molto più lussuoso di Lonnoc, i bungalow più “ricercati” ma sinceramente non farei cambio e non è il costo di 17000/19000 vatu a fare la differenza.
La piccola isola offre qualche residuo della seconda guerra, un pochino di sabbia fronte struttura, qualche spiaggia di coralli e conchiglie (ovviamente). Inizia a tirare vento e piovere perciò rinunciamo allo snorkel. Ci dedichiamo allora al ristorante che vanta la fama di essere il migliore di Vanuatu. Chiaramente è piuttosto costoso ma non millanta nulla, Anna si dedica ad un’ottima aragosta, io ad un piatto di cui non ricordo il nome, costituito da pesce marinato con lime e cocco, una delle cose migliori assaggiate, squisito. Un pranzo o una cena qui sono una delle cose da fare a Espiritu Santu, crepi l’avarizia.
Essendo inutile rimanere torniamo a piedi sulla via principale fino alla fermata del bus ed aspettiamo, aspettiamo ed aspettiamo ancora. Non solo non passa il bus, non passa proprio un’anima.
E’ questione di un po’ di Vanuatu time che ci raccatta un taxista pietoso, il quale ci affida al cognato rastone fratello di sangue di Franchino, se qualcuno si ricorda intendo proprio quello di Fantozzi. In 10 minuti d’apnea siamo di ritorno a Luganville, facciamo spesa dai cinesi, i quali hanno monopolizzato qualsiasi attività di vendita. Al motel scopriamo che nel parco hanno montato un bel palco completo di megacasse dalle quali già si diffonde l’altalenante ritmo di reggae, musica preferita dai vanuatesi, questa qualcuno me la dovrà spiegare prima o poi.
Fra l’altro il 90% della popolazione locale indossa o la maglia Billabong o quella con il faccione di Bob Marley.
Tramite l’Hibiscus, allo Unity è impresa impossibile, prenotiamo per il giorno seguente la gita alla MILLENIUM CAVE, 6000 vatu a cranio, con la Millenium Cave tours, +678 5470957,
L’ufficio è sulla main street verso ovest, prima del ponte vicino al kava bar, o lo è anche, non ho capito bene.
Luganville fuori dai lodge non offre molto, c’è qualche bar/fast food che chiude presto così ceniamo al ristorante pure lui cinese sulla via principale, unico aperto raggiungibile a piedi.
La sera si aprono le cateratte, almeno la piantano con la musica, piove una quantità d’acqua che ha dell’incredibile.
All’indomani ci presentiamo all’appuntamento sempre sotto la pioggia, chiediamo lumi sulla fattibilità dell’escursione. -Tranquillo, laggiù il tempo è migliore.- Un paio di dubbi mi restano visto che la cave è solo ad una decina di km di distanza al massimo.
Infatti non splende il sole ma nemmeno piove a dirotto, pioviggina, quindi, secondo lui, è stato di parola. Ci affidano ad un gruppo di locali per il trek di una mezz’ora circa, il quale, attraversando un tratto di foresta ed un insediamento più piccolo, porta al Millenium village.
Raggiungiamo la forra dove è situata l’entrata della grotta. La discesa prima su fango viscido e poi per una scala di legno altrettanto scivolosa non è proprio agevole e viene superata con qualche attenzione.
Veniamo in seguito forniti di torce e dipinti come guerrieri apache. Ok, sarà una cavolata da turisti ma è divertente.
La già poco utilizzata fotocamera, causa pioggia, umidità, fango, ecc, viene requisita da un gruppo di ragazzini. Ovviamente una waterproof è consigliata.
L’attraversamento della Millenium avviene a bagno nel torrente, spesso con anche una buona corrente, arrampicandosi su rocce varie, contorcendosi fra i sassi, evitando buchi sparsi sott’acqua, affrontando qualche stretto passaggio, il tutto con una visibilità minima. Ci sono spazi più ampi dove nidificano piccoli pipistrelli che, disturbati, svolazzano in ogni dove. Si sbuca dove il torrente confluisce in uno più grande, normalmente si discende quest’ultimo nuotando nel letto più ampio ma le forti piogge l’hanno ingrossato parecchio, la nostra guida non si fida e ci fa rientrare via terra.
Il ritorno sotto la pioggia battente è una specie di Golgota nel fango, arriviamo al villaggio in stato pietoso, bagnati fino al midollo.
Nella capanna comune troviamo, frutta e bevande calde e, persino io, apprezzo il the bollente, il che è tutto dire.
Il Millenium cave trek non è una camminata su sentiero, è una ravanata nell’acqua, abbastanza faticoso ma accessibile e fattibile da tutti, anche senza allenamento o competenze specifiche, un minimo di forma e di salute bastano. Dà la possibilità di fare un po’ di canyoning a chi non l’abbia mai provato, in un ambiente selvaggio con un tocco d’avventura. La guida ed il suo staff sono affidabili, conoscono ormai ogni sasso ed aiutano chi fosse in difficoltà. L’acqua non è freddissima e se lo dico io credeteci.
Assolutamente da fare senza remore o preoccupazioni.
In città ci becchiamo un’altro po’ di reggae fino alle 10 poi un acquazzone manda a casa tutti.
Finalmente è lunedì e riusciamo a cambiare un po’ più di soldi e recarci all’ufficio dell’Air Vanuatu, stravolgiamo le idee di partenza decidendo di non andare nelle isole a nord ma in quelle a sud più Epi. L’ufficio e affollato, l’aereo per Epi c’è ma la partenza non si sa bene quando avvenga il decollo, è altrettanto impossibile fare un piano con più voli, così decidiamo di volare a Efate ed organizzarci là. Partenza l’indomani.
Liberi da incombenze troviamo un buon tipo armato di taxi e con circa 6000 vatu (50,00€) lo affittiamo l’intera giornata per un tour di tutti i punti d’interesse attorno alla città in libertà.
Splende il sole e corriamo ai blue holes, pochi km a nord nei pressi dell’Oyster island. MATEVULU e NANDA sono due specchi d’acqua incredibilmente azzurra e limpida incastonati nella giungla. 1000 vatu d’entrata ognuno.
Volendo si può fare un giro in piroga o kayak fino al mare.
L’attività principale è lanciarsi nell’acqua saltando dall’alto aggrappati ad una liana modello Tarzan, attività idiota, per turisti beoti, assolutamente, non solo da fare, ma da ripetere varie volte fino a che con il progredire delle evoluzioni non si prenda una spanciata micidiale.
Come seconda tappa l’autista ci porta al LEWETON CULTURAL VILLAGE, entrata 1000 vatu, non che ci volessimo andare ma il nostro omino lì si è diretto, i turisti lì vanno e quindi ci andate pure voi, punto!
Il villaggio “tradizionale” è molto “turistico”, nel senso che, secondo me, alla sera giocano tutti con l’ipod vestiti di consona billabong. Anche qui presentano attività quali la preparazione della kava, dove sia io che Anna diamo il primo assaggio, intreccio vegetali, preparazione cibi, accensione fuoco, musica e danze.
Loro sono molto belli, non saranno forse fondamentalisti della vita tradizionale ma le differenze in effetti sono poche. Adesso, non è che uno debba continuare ad estirparsi il dente cariato con il machete per permettere al turista di fare “la foto” al “buon” selvaggio.
Ciò per cui vale assolutamente la pena visitare il villaggio è la water music, attività tipica delle isole a nord, e delle quali dicono d’essere originari i Kastom di Leweton. Quindi unica possibilità d’assistervi per chi non si rechi ad Ambryn e limitrofi. In una vasca d’acqua, le donne, cantando ed accompagnate da un tamburello, usano le mani per produrre dei suoni a metà fra il melodico ed il ritmico. Una cosa veramente particolare e difficilmente descrivibile, sia ad Anna che a me piaciuta molto. Fotograficamente fantastica.
L’ultima tappa è al Million dollar point, zona di litorale dove alla fine della seconda guerra gli americani gettarono in mare una quantità immonda di attrezzature militari, equipaggiamenti e bottiglie di bibite. Ormai frammentate ed inglobate dalla natura si possono vedere sugli scogli e sott’acqua facendo snorkelling fra pesci colorati. Abbiamo la fortuna di vedere anche una coppia di, credo, pesce scorpione ad ali, non trovo altra parola, spiegate. Meraviglia della natura, pericolossima ci dicono quando li descriviamo ai locali.
A poca distanza si trova il relitto della President Coolidge, bastimento affondato a causa di una mina “amica”, sempre detto io che è più facile difendersi dai nemici che dagli amici, meta principale dei divers, quindi non per noi.
Rientriamo in città per un’altra spesa dai cinesi, stasera ci cuciniamo da soli.
Di come sarebbe andata la serata ho iniziato a sospettare mentre camminavo verso il motel seguendo il progressivo aumento dei decibel. La nostra stanza è una specie di loggione sul palco. Con il bel tempo la festa è in fermento.
Ore 17,00 Siamo sul balconcino a ballare reggae come forsennati suscitando il divertimento generale.
Ore 18,00 Dansin’ ander de shoue, doccia a ritmo di reggae!
Ore 19,00 Cuciniamo dondolando fra fornelli e pignatte.
Ore 20,00 Cena con sottofondo in levare.
Ore 21,00 Un giretto dall’altra parte della strada, un po’ di musica, visita dei banchetti.
Ore 22,00 Siamo stanchi morti, ci corichiamo fiduciosi che solitamente i vanuatesi vanno a letto presto. Libricino. Finestra chiusa.
Ore 23,00 Vani tentativi di prender sonno, inizio ad avere il mal di mare.
Ore 00,00 Spasmodica ricerca dei tappi per le orecchie. Ipotizzo anche di versarmi direttamente della cera fusa ma non ho la candela!
Ore 01,00 Mi riprometto di:
Distruggere tutta la collezione di dischi, in vinile, di reggae compreso Bush doctor, importato dalla mitica West Point records solo per me nel lontano 1978.
Radere tutti i rasta del globo, accendere un grande falò con i dreadlocks e nel momento in cui ci sia sufficiente fiamma fare un bel autodafé con gli stessi.
Usare la Jamaica come poligono nucleare.
Ore 2,00 Silenzio. Oh gioia, oh gaudio.
Ore da 2,01 a 06,59 Stato confusionale onirico. Sogno Gigi D’Alessio vestito di rosso, giallo, verde che rolla cannoni e canta Buffalo soldier’s.
Ore 7,00 in punto. Mi domando quanto reale sia il sogno, mi pare di sentire la musica per davvero.
Ore 7,01 Cerco di realizzare cose comuni come la mia esistenza, la mia esistenza in vita, l’esistenza di vita fuori da me.
Ore 7,02 Realizzo che sono morto e sono indubbiamente finito all’inferno dove un Satana con le trecce mi spinge con il forcone nel braciere di un immenso joint!
Ore 7,03 Mi alzo, guardo fuori dalla finestra. Non c’è un’anima, c’è solo un pirla che ha acceso gli autoparlanti. Sentitamente gli auguro solo un immediato sviluppo di smodata quantità di emmorroidi a grappolo e trovare solo ortiche al posto della carta igienica.
Ore 7,30 Colazione, cerco una siringa per iniettarmi del caffè endovena. Non la trovo e mi limito a spalmare il nescaffè sul pane.
A metà mattina, mentre Anna è intenta nell’immagazzinamento coscienzioso del nutrito bottino di conchiglie raccolto, vado alla festa dell’indipendenza dove c’è un discreto movimento.
Assisto ad una sorta di rappresentazione rievocativa della tratta degli schiavi che afflisse queste terre non così lontano nel tempo. Solo alla fine ‘800 almeno 10.000 Ni Vanuatu morirono nella sola Australia, molti altri furono deportati alle Samoa, alle Fiji e persino in america.
Fra musica e discorsi c’è una gran confusione di gente, la festa è molto sentita e a Luganville non è che ci siano molti svaghi, famiglie e famigliole occupano il prato in una specie di pic nic collettivo riparandosi dal sole sotto gli ombrellini colorati. Una festa non è una festa senza la banda e senza la parata dell’esercito, il quale, non sarà potentissimo ma è decisamente simpatico.
Purtroppo abbiamo l’aereo nel primo pomeriggio, averlo saputo mi sarei fermato volentieri a vedere le varie manifestazioni. L’Edt scrive però che le celebrazioni per l’indipendenza della capitale sono spettacolari, abbiamo quasi tutto il pomeriggio per vederle, il volo è piuttosto breve e le pratiche per i voli interni qui sono inesistenti.
Infatti Port Vila appare come appena bombardata. Tutto chiuso, nessuno in giro, calma piatta.
A PORT VILA ci fermiamo al Traveller’s Budget Motel, il quale non è così budget, 9000 vatu senza colazione, ma in compenso è veramente carino. Situato nelle vicinanze dello stadio, leggermente fuori mano a 10 min dal centro, silenzioso, belle stanze, piscina ed un’ottima cucina a disposizione degli ospiti. travellersmotel@vanuatu.com.vu, prefisso 0011678, tel 23940, fax 23941, mobile 7756440 – http://www.thetravellersmotel.com/
Janelle e marito sono una coppia simpaticissima e premurosa. Lei è una miniera di conoscenze ed informazioni, i suoi consigli sono stati veramente preziosi. Basta sottoporgli un dubbio, desiderio o problema e lei vi darà l’informazione, la risoluzione, contatterà e prenoterà presso “un suo amico” quello che vi serve, senza spesa alcuna. Delle sue dritte ne parlerò in seguito man mano. Ovviamente effettua prenotazioni di tour con tutte le agenzie sempre con il miglior rapporto qualità prezzo. Straconsigliato, ci fosse la colazione inclusa sarebbe top.
La città con il lungomare ricco di qualche negozio, bar e ristoranti non offre comunque moltissimo sebbene sia più sviluppata e piacevole di Luganville. Ha parecchi supermercati aperti fino a tardi, tutti cinesi, banche ed un po’ tutti i servizi, introvabili altrove.
Un cenno all’Iririki resort, vista porto. Luxury resort vista banchina cemento e vascelli rattoppati; il porto di Port Vila è abbastanza fatiscente, mi chiedo chi spenda 200 euro a notte, fino a 400 per la honeymoon suite quando attorno è il paradiso. Ed era praticamente pieno. Mistery!
Finalmente è un giorno feriale e lavorativo, riusciamo a cambiare parecchia valuta e sopratutto a recarci all’air Vanuatu dove, grazie alle amicizie di Janelle, possiamo comodamente organizzare tutti i passaggi aerei dei giorni seguenti, decidendo di andare comunque a Epi nonostante non sia molto logico venendo da Espiritu Santu, vorremmo vedere il dugongo: illusi.
Il resto del giorno lo passiamo a HIDEWAY ISLAND, piccolo gioiello di mare situato nella mele bay, pochi km a nord di Vila, raggiungibile comodamente con un “bus” B, taxy urbani collettivi riconoscibili per la B rossa sulla targa, comodi, veloci ed economici, 150/200 vatu per corsa.
Dal pontile, in pochi minuti si è sulla piccola isola, servizio continuo, entrata 1000, vatu. Mare strepitoso con un fantastico snorkelling, spiaggia corallina bianco abbagliante, palme e, per chi volesse, resort di lusso, Ma chi va all’Iririki?
La sera un sempre con un B andiamo a Freshwota, grande spiazzo anticamente erboso ora solamente fangoso dove si tiene una specie di festa dell’unità locale. Nel buio più assoluto, nemmeno un lampione marcio ad illuminare l’area, ci strafoghiamo di street food alle bancarelle. Pollo e riso, pesce e lap lap, frittelle, piatti take away a 150/250 vatu con sottofondo di, vediamo se qualcuno indovina.
Si dorme in silenzio, Dio sia lodato!
Il volo nel piccolo bimotore sull’arcipelago verso EPI ha scorci mozzafiato, l’atterraggio in compenso si svolge su una pista erbosa larga pochi metri, lunga il minimo necessario, con il mare da una parte, le palme dall’altra e la fine direttamente sulla barriera corallina. Lamen Bay è l’altro posto al mondo dove in attesa dell’imbarco e si fa snorkelling
Nel minimale aeroporto abbiamo la fortuna di scroccare un passaggio alla, credo, unica auto esistente che fa da corriere merci e postale, fino al Paradise Sunset Bungalow di Mr Tasso e flemmatica signora. Carini e colorati in mezzo al verde a 50 mt dal mare, molto basici, niente luce, acqua calda o qualsivoglia servizio, bagni separati solo per noi, ottima scorta di birra a buon prezzo. Unica ospite una ragazza australiana scaricata lì da un diportista. 6000 vatu cena casalinga e colazione incluse. Non ho riferimenti, l’unico è: http://www.positiveearth.org/bungalows/SHEFA/parsunset.asp
Chi vuole il coktail di benvenuto e la frutta fresca tutte le mattine sul letto è meglio che eviti, chi vuole stare, letteralmente, fuori dal kaos, in un luogo rilassato ed ospitale compri subito il biglietto. A noi è piaciuto molto e lo consigliamo.
La Lamen bay, fronte al bungalow è una bellissima baia chiusa al largo dalla sagoma della Laman island ed orlata da una spiaggia di sabbia bianca corallina e mangrovie.
Passiamo gran parte del tempo “all’aereoporto” a fare snorkelling, il punto migliore è proprio alla fine della pista dove si trova una distesa di coralli bassi, una cosa particolare, almeno per me, un vero e proprio prato colorato abitato da pesci ed altri esseri strani, compresi serpenti di mare a strisce bianche e nere, spettacolari e mi dicono non pericolosi.
Lamen Bay è un sonnolento e tranquillo villaggio sparso sulla costa fra giungla, fiori, cocchi e papaye, dove la vita scorre lenta e le attività, intese nel senso nostro, occidentale del termine, totalmente inesistenti. L’unico aggeggio elettronico presente è l’ormai mondialmente diffuso telefonino ed i pochi che possiedono un generatore di corrente lo usano, appunto, per caricare lo stesso o al massimo per illuminare con delle lampadine da 15 watt non esistendo praticamente nulla collegabile ad una presa.
A Epi credo non esista nemmeno una traduzione per la parola stress.
L’unico edificio in muratura è la scuola, costruita, mi dice Mr Tasso, da un gruppo di compatrioti. Abbiamo sempre trovato belle scuole, presenti anche negli angoli più remoti, piene di studenti. Per scelta i vanuatesi non si “sviluppano” ma non trascurano per nulla l’istruzione, almeno quella di base, chapeau.
L’attrazione principale è Gondas. Un dugongo ormai amico, il quale staziona nella baia e, dicono, nuoti spesso con le persone che incontra, per nulla intimorito persino incuriosito. Ovviamente in questo sfigato 2013 non lo vediamo. Nei giorni precedenti il nostro arrivo, ci spiega Mr tasso, c’è stata mareggiata e l’acqua più profonda non ha molta visibilità. Comprensibilmente il nostro simpatico gestore non ha la minima idea di cosa sia un mare torbido. In compenso la zona è ricchissima di conchiglie ed il bagaglio di Anna inizia ad assumere proporzioni allarmanti.
Su consiglio dell’ospite aussie facciamo una passeggiata lungo la main road fino a Rovo bay, dove dovrebbe esserci quel giorno un importante mercato. Scarpinata di un’oretta con qualche piccolo saliscendi. Ogni tanto dà belle viste su baie e baiette, peccato per il tempo non limpido, incontriamo qualche insediamento ed addirittura delle persone che camminano per la strada.
Rovo bay è un piccolo, ordinatissimo villaggio con tanto di prato all’inglese, in tempi passati era un importante centro di lavoro dell’industria baleniera, della quale sono presenti diverse testimonianze chiamate “museo”. La cosa più eclatante in loco, udite, udite, è lo sportello bancario, il quale fa anche da ufficio postale.
Il mercato è proporzionato al livello del pil dell’isola, con pochi spiccioli ci strafoghiamo di frittelle, noccioline e lamponi.
Il rientro con lo stomaco pieno e sotto un sole afoso è meno agevole, fortunatamente ripassa la macchina, unica vista nella giornata, e rientriamo a scrocco.
EPI è l’isola ideale per chi voglia rilassarsi, non abbia nessun tipo di esigenza da resort, ma proprio nessuna, e voglia stare a contatto con la rara popolazione locale. E’ ricoperta da giungla fino sul bagnasciuga ed il rapporto abitanti per km2 è meno di 0,1. Perchè abbia due aeroporti è un mistero. A chi lo volesse, ammesso che a Valesdir gli aerei arrivino davvero, un’ottima idea potrebbe essere attraversare l’isola a piedi e ripartire da li, visitando anche la Nikaura Marine Protected Area http://www.positiveearth.org/bungalows/SHEFA/nikaura_mpa.htm. Nonostante il tempo non ideale abbiamo passato ottimi giorni e l’esperienza è stata sicuramente positiva.
Ripartiamo quindi direzione Tanna.
Con uno stop a Port Vila, in buona connessione, atterriamo a Lenakel, nel’isola vulcanica di Tanna, meta principe di ogni tour a Vanuatu, destinazione: la casetta sull’albero nella giungla, sì siamo anche noi sensibili a queste cose. E’ una delle dritte di Janelle, nemmeno a dirlo, il gestore è un suo caro amico così per una volta siamo prenotati e troviamo il pick up ad attenderci all’aereostazione. Il tragitto dura circa due ore, attraverso, tanto per cambiare, una rigogliosa vegetazione, purtroppo è sera e vediamo poco, in compenso mangiamo una quantità smodata di cenere e l’aria è decisamente fresca.
Il Banyan Castle Threehouse, John Kerty +6785415931 banyancastle@yahoo.com.au www.banyancastle.info , ha la particolarità d’essere proprio dirimpetto al vulcano Jasur, in linea d’aria saranno un paio di km dal cratere. Alla sera, seduti sul balconcino con un bicchiere di sgnappa in mano come digestivo, si gode della visione di sbuffi, lapilli, di notte si osservano le fiamme rosse e gialle addormentandosi con lo stesso spettacolo, sdraiati a letto, con la vista attraverso la finestra. Piccole scosse sismiche, boati, rombi, borborigmi mettono un po’ di pepe al soggiorno.
Le casette sono due, edificate in legno nel mezzo delle fronde dei banyani, arredate con due letti del peso di un paio di quintali l’uno.
I bagni sono a terra, non c’è acqua calda, elettricità dal tramonto alle 10 circa. Anche qui servizi minimali magari con qualche attenzione in più, cucina casalinga locale, mitiche le alette di pollo e manioca cotte sul fuoco di legna come antipasto, non ci sono birra, bevande, acqua in bottiglia, vanno comprate durante il tragitto o a Lenakel, l’acqua è comunque buona di sorgente. In tutta la zona si trova poco o nulla, inclusi snack e simili. Non ci sono zanzare. Per qualsiasi cosa John è a disposizione. Il tutto è abbastanza frugale ma assolutamente confortevole, solo per l’ambiente vale assolutamente la pena fermarsi. 7500 Vt per notte mezza pensione, transfer circa 5000 vatu.
Nelle vicinanze si trova un villaggio Kastom e, previo accordo con John, alla mattina ci rechiamo a visitarlo raggiungendolo in mezz’ora di facile camminata.
Anche qui, danze, canti, sfregamento bacchetti e qualche souvenir piuttosto carino. Volevo comprarmi un astuccio penico ma mi stanno tutti piccoli. Me ne vado con un accetta e la cosa mi lascia perplesso.
Credo che gli unici visitatori qui siano i pochi ospiti del Banyan, e neppure tutti, i giri principali provenienti dalla costa non fanno tappa. L’ambiente è più “ruspante” rispetto a Santu Spiritu, loro sono molto belli e non stanno fermi nemmeno a badilate, con anche la poca luce presente ho il mio daffare a scattare. Per fortuna direte voi, altrimenti sai che pallata di foto.
Lasciato il villaggio non c’è molto da fare, Anna ha le sue conchiglie, io prendo un sentiero a caso e mi inoltro nella macchia. Ogni tanto incontro qualcuno e mi chiedo dove saranno i villaggi, dispersi nella selva, in seguito mi domando dove sono io, fra sentieri e sentierini in un ambiente dove ogni albero è diverso ma nell’insieme irriconoscibile. In qualche modo rientro.
Ho ancora tempo e decido di tirare fuori il cavalletto per un controllo, orrore: è rotto, proprio sulla testa. Riparazione d’emergenza con 8 mt di nastro isolante.
Finalmente viene l’ora di salire sul vulcano Yasur, ci incamminiamo prima per la “provinciale” fino all’entrata del parco dove si paga il dazio: 3350 vatu a testa. Tenere il biglietto, esibendolo un secondo ingresso costa la metà, ancora meno un eventuale terzo. Proseguiamo poi per lo sterrato che in mezz’ora circa, con modica fatica, porta alla cassetta postale e da lì su sentiero gradinato in pochi minuti di salita si raggiunge il cratere.
Mr John ci ha appioppato forzatamente una ragazzina guida, 1000 vatu, ma assicuro che è assolutamente inutile.
Il primo impatto non è decisamente entusiasmante, le esplosioni dicono poco, il cielo grigio, il vento forte tendente al freddo non rendono piacevole l’attesa del buio,
Quando però la luce inizia ad attenuarsi il discorso cambia, man mano che aumenta l’oscurità lo spettacolo è sempre più eclatante, si alternano periodi di calma piatta a momenti di intensa attività, dove le esplosioni si susseguono con lanci di detriti e lapilli ad almeno un centinaio di metri d’altezza.
Non so se da qualche altra parte del mondo sia possibile avvicinarsi così tanto ad un vulcano in perenne attività. Nella posizione in cui siamo, una cengia posta una ventina di metri più in basso, protegge dai frammenti indirizzandoli nella direzione opposta, impedendo però la vista diretta della bocca. C’è una posizione migliore più avanti seguendo il bordo, in cui è vietato l’accesso. Ovviamente provo ad andarci lo stesso ma vengo fermato dalle varie guide presenti.
E’ il luogo più affollato trovato a Vanuatu. Con il far della sera arrivano i pick up dei viaggi organizzati, i quali generalmente pernottano nei resort della costa ed effettuano la gita mordi e fuggi al vulcano. Probabilmente mi confondono pure con un loro ospite, non faccio problemi e torno indietro, anche perchè noto che qualche sasso, lanciato dalla seconda bocca a destra, finisce molto vicino al pendio vietato.
Ci fermiamo più della media, alle 10 circa però, i due compagni neozelandesi con i quali dividiamo castle e gita hanno fame e vogliono tornare, tocca quindi all’italiano scroccare un passaggio gratuito ad un gentile gruppo di alpituristi. Domani sera si replica.
L’indomani, dopo un paio di notevoli botti notturni, un occhio al pennacchio ormai amico e partiamo, sempre a piedi, per PORT RESOLUTION, villaggio situato sulla remota e selvaggia costa est. Il piacevole tragitto dura circa due ore con qualche saliscendi fra piccoli insediamenti e grandi Banyani, il tempo come sempre variabile, nel senso coperto e più fresco in pianura, soleggiato, umido e torrido non appena c’è una salita.
Il paesello è sparso come tutti qui a Vanuatu, ugualmente poco abitato e molto gradevole.
Attraversata la, si fa per dire, piazza principale, si accede ad una bella spiaggia di sabbia bianca corallina chiamata surf beach. Nemmeno a dirlo siamo completamente soli ad eccezione di un rastone locale strafatto di kava, il quale capotta subito e sparisce senza dare fastidio.
La spiaggia è incantevole ed il mare spettacolare con un respiro assolutamente “oceanico”.
Il basso fondale e l’acqua limpida permettono di fare snokelling passeggiando.
Dopo essercela goduta a lungo riattraversiamo il paese
Chiedendo lumi per raggiungere il Port Resolution Yacht Club, il quale si trova dal capo opposto della penisola affacciato alla baia omonima a circa 10 minuti di cammino. Altro nome impegnativo per un altra serie di bungalow locali completamente deserti posti in ottima posizione.
Curiosamente, il suddetto Yacht Club non ha un approdo, trovandosi una 20ina di metri più in alto del livello del mare con parete a picco. Secondo me varrebbe anche la pena fermarsi.
Http://www.vanuatu.travel/index.php/en/component/content/article/62-places-to-stay/bungalows-a-backpackers/257-port-resolution-nipikimanu-yacht-club-tanna
L’attrazione qui è lo snorkelling, sebbene al primo approccio sia difficile capire dove andare: istruzioni per l’uso. 50 mt prima del resort c’è un sentierino fra gli alberi che sbuca su una spiaggia con qualche canoa. Eureka, l’approdo! Facile da vedere e trovare. Da li a destra, prima fra gli alberi e poi sugli scogli, aggirare il piccolo promontorio fino ad una deliziosa spiaggetta tonda incastonata fra rocce nere.
Immergendosi dove si riesce si apre un mondo fantastico. Allontanandosi brevemente dalla costa si incontrano monoliti ricoperti di ogni sorta di coralli enormi, piante, funghi, tentacoli, in eccezionale stato di conservazione. Seguendo il litorale si nuota fra spaccature, canyon, grotte ed anfratti abitate da miriadi di pesci colorati, a volte per passare bisogna immergersi, facendo attenzione alle onde ed alla corrente. Perdiamo la nozione del tempo in mezzo a tanta meraviglia, nuotando per ore soli che più soli non si può. E’ una gita assolutamente consigliata, uno dei migliori snorkel che abbiamo mai fatto. Portarsi propria maschera e magari anche una camera waterproof.
Teoricamente ci sono anche delle hot springs in zona, ma dove siano di preciso non siamo riusciti a saperlo.
Riprendiamo la via del ritorno a pomeriggio inoltrato, piuttosto stanchi e ci va di fortuna, una delle rare macchine presenti in zona ci risparmia l’ultima mezz’ora dandoci un quanto mai gradito strappo. Al Banyan Castle poco riposo e siamo già pronti per la seconda visita al vulcano. Stavolta si sale in auto, 1000 vatu.
Con un cielo migliore lo show all’imbrunire è ancora più affascinante.
Anche stasera il vulcano da spettacolo, regalandoci persino una doppia eruzione contemporanea dalle due bocche, ma il fato vuole che, o per il cavalletto ormai instabile, o per aver sbadatamente modificato la messa a fuoco, tutte le foto della serata risulteranno mosse o sfocate.
Dall’entroterra vulcanico ci spostiamo sulla costa, avremmo voluto fare visita anche al villaggio dei seguaci del movimento di Jon Frum, nei dintorni di Namakara, non distante dal monte Yasur, ma non c’era modo di accordare le date di permanenza con la festa del venerdì, giorno in cui ha più senso una visita. Personalmente questi simpatici “storditi” che attendono l’arrivo di un grande cargo colmo di beni di consumo, consacrando piste d’atterraggio, realizzando statue votive di aereoplanini, e ritualità quali l’alzabandiera con lo stendardo statunitense mi incuriosivano molto. http://it.wikipedia.org/wiki/Culto_del_cargo
La cosa che mi sconvolge maggiormente è che ci sono pure da noi! Prego qualcuno dirmi che è uno scherzo. https://www.facebook.com/CultoDelCargo?fref=ts
Estrapolo:
Nota di servizio: prendere i doni che arrivano nei templi pagani denominati “aeroporto” è punito dalla legge, evitatelo.
Salutati gli amici neozelandesi e la famiglia di John il pick up ci riporta sulla costa.
L’arrivo è a nord di Lenakel, poco dopo l’aereoporto, al Rocky Ridge Bungalows: http://rockyridgebungalows.wordpress.com/ Camera + colazione 8000 vatu, cene 1000/1500 vatu, tutta la frutta sugli alberi a disposizione. Consigliatissimo.
Situato sul roccioso litorale della costa ovest, ottimamente gestito da Tom e consorte, amico di Janelle, il Rocky è un po’ più ricercato e confortevole della media, offre bagni in camera, acqua calda, bar fornito, elettricità, pulizia, senza snaturare lo spirito della conduzione famigliare ed il fascino dimora locale. Nel mare a fronte si trova un bellisssimo blue hole, praticamente privato.
A 20 mt dal cancello d’entrata c’è l’Evergreen resort, il quale possiede anche un ristorante alla carta, per chi proprio volesse. I resort sono tre in fila, Il White Grass, l’Evergreen ed il Rocky.
I primi due sono di stampo internazionale e, se devo essere sincero, mi pare non ci siano motivi sufficienti a giustificare le differenze di prezzo, se non il tentativo tutto occidentale di omologare il più possibile. Room dai 17.000 vatu in su.
Fra i molti gatti presenti sulle isole quello del Rocky merita una menzione e non solo per la simpatia. E’ l’unico gatto ghiotto di cocco che abbia mai visto.
Passiamo il pomeriggio immersi nel primo blue hole, cinque minuti a piedi a sud dei bungalow. Si tratta di un vero e proprio cratere circolare situato in mare ad una 50ina di metri dalla costa. Per raggiungerne il bordo bisogna camminare fra coralli e fessure piuttosto infide con un po’ d’attenzione. Lo spettacolo merita lo sforzo, coralli abbarbicati sulle erose pareti, anfratti da esplorare e pesci tropicali in acque limpidissime ed azzurre, i cui colori risaltano persino nella giornata uggiosa. Autoflagellazione per non avere la waterproof.
Il giorno seguente ci accoglie con sole splendente, per fortuna visto che in programma c’è la gita alla BLUE CAVE, organizzata da Tom per ben 6000 vatu a testa.
Con gli altri due unici ospiti del Rocky salpiamo e navighiamo lungo la costa in direzione nord.
Dal mare ci si rende subito conto di quanto sia selvaggia anche questa isola, in mezzo alla selva ogni tanto sbucano piccole dimenticate spiagge.
Dietro un piccolo promontorio si apre un mare incredibilmente azzurro e limpido, sotto una parete di calcare bianco intravediamo un pertugio, Anna non aspetta nemmeno che la barca si ancori ed è già nell’acqua, pronta ad esplorare.
Dall’apertura semisommersa si accede a nuoto alla caverna.
L’interno è fantastico. Il primo impatto è da mancare il fiato. Due raggi di luce fendono il buio come laser trasformando il mare in una fontana smeraldo. Un foro circolare nella volta permette al sole d’entrare creando incredibili giochi di luce con le acque verdi e turchesi, sembra di stare in una piscina illuminata dal basso tanto è luminoso. Non ho mai visto la Grotta Azzurra di Capri, non ho metro di paragone, posso dire però che per fare uscire Anna non è bastata nemmeno la notizia della presenza dello Yacht di Brad Pitt con lui nudo sul ponte a prendere il sole.
All’esterno si può fare snorkelling fra gli scogli facendo estrema attenzione alle correnti, piuttosto forti e pericolose.
La gita va organizzata in base alle maree, possibilmente in modo da essere sul posto quando il sole è alto e l’imboccatura della grotta non è sommersa. In tal caso si può entrare con una breve apnea.
Ce la godiamo a lungo e saremmo anche soddisfatti, il programma però prevede anche una visita ad un villaggio Kastom ed ad un altra grotta riguardo ai quali Tom, che ci accompagna, dà spiegazioni piuttosto nebulose.
Dopo circa 20 minuti ci avviciniamo ad una spiaggia, da lontano si ode risuonare qualcosa di simile ad un corno. Quando siamo in prossimità riusciamo a vedere che chi produce tale effetto acustico è un signore anziano per mezzo di una grossa conchiglia appoggiata alle labbra.
Sbarchiamo al suono di tale richiamo ancestrale venendo accolti da un gruppo di locali festanti, i quali ci agghindano con ghirlande di fiori colorate. Mi chiedo se sto sognando la stereotipata visione onirica di chiunque fantastichi di naufragare in un’isola deserta e diventare Re dei locali. Siccome non vedo in giro Belen in (solo) infradito capisco di essere sveglio.
Ci accompagnano nel villaggio situato sopra una bastionata rocciosa dominante l’approdo. Qui in uno spiazzo sotto le fresche frasche si scatenano in una serie di frenetiche danze.
Dopodiché ci portano a pranzo, capisco dalla faccia che Tom non era al corrente e non sa bene cosa stia succedendo. Il pranzo non siamo noi, per dovere di cronaca.
Onoriamo adeguatamente le ottime pietanze e discorrendo iniziamo a capire qualcosa in più.
Il villaggio si chiama SPARROW ed i suoi abitanti vorrebbero iniziare a lavorare con i turisti. Hanno in costruzione due bungalow, forse pronti per l’anno prossimo, Vanuatu time permettendo, ed hanno chiesto a Tom, sapendo che venivamo alla grotta, di includere il villaggio nel tour, diciamo a scopo “promozionale”, per quanto si possa usare il termine in codesto contesto, in realtà ci usano come un po’ come cavie. Siamo i primi turisti in visita e fanno festa; non aver scritto “ci fanno festa” non è casuale. E’ la prima volta in assoluto dove vengo fotografato più di quanto riesca a fotografare. Ci subissano di domande sulle impressioni, chiedono consigli, curiosità, Baggio in nazionale sempre! Fantastici.
Ci portano a visitare le loro “attrazioni”, per quanto basterebbe solo la posizione a giustificare un soggiorno qui. Attraverso un sentiero raggiungiamo la prima di due grotte che visitiamo con l’aiuto di qualche torcia elettrica. E’ piuttosto profonda ed abitata da migliaia di piccoli pipistrelli. Esploriamo anche camere raggiungibili da piccole cavità percorribili solo strisciando nel guano. Anticamente erano abitazioni e si possono vedere delle tracce di attività umana. Una volta fuori gli consigliamo di non portare tutti ma valutare bene prima il tipo di turista.
La seconda è un grosso anfratto dove sono presenti dei resti ossei e capisco perché di questo villaggio nessuno ne parla al ritorno, rifletto sulle parole del capo villaggio: “A noi il turista piace molto”, saggia metafora d’anziano o documento programmatico?
Passiamo ancora un poco di tempo in compagnia sempre in un clima estremamente gioioso ed è tempo d’accomiatarci. La scena, mentre ci allontaniamo con il motoscafo, di tutto il villaggio festante che si sbraccia in segno di saluto è struggente.
Nel complesso una gita fantastica, costosa, ma vale ogni vatu speso. Agli abitanti di Sparrow auguro il massimo successo possibile e non posso che consigliare sia la visita che il pernottamento quando possibile. Personalmente non ci penserei due volte e mi fermerei, se non altro per godere della splendida ospitalità Kastom. A mio parere sarebbe molto carino anche raggiungerlo a piedi con un trek di circa 4 ore attraverso la giungla lungo la pista che corre lungo il litorale. Loro la chiamano un po’ eccessivamente “strada”.
L’ultimo giorno a Tanna decidiamo di dedicarlo ancora al meraviglioso mare. Ad un’ora circa di strada ci sono due famosi villaggi Kastom: Yakel ed Ipai. Uno di essi, il primo credo, è salito alla ribalta per un reportage del National, del quale si trovano video in vendita un po’ dappertutto. Sono meta delle escursioni giornaliere dei resort occupati abitualmente dai viaggi organizzati e quindi immagino abbiano perso molta originalità, con i Kastom le esperienze erano state soddisfacenti ed Anna ama il mare alla follia, inoltre il giro ha un costo piuttosto elevato, così optiamo per lo snorkel senza rimpianti.
Il blue hole dirimpetto i bungalow è costituito da una serie di spaccature nel basso fondale. Non mi dilungo, ne vale la pena. Mi porto anche la fotocamera per abbandonarla quasi subito, non so quando mi immergerò ancora ed intendo sfruttare il tempo al massimo.
Il bello del posto è che si possono vedere coralli e pesci camminando, fotografarli è un poco più difficile, finire in un buco d’acqua salata con ancora 2876 rate di Nikon da pagare può essere fastidioso.
Saliamo sul pick up diretto all’aeroporto con ancora la maschera sul volto, le pinne come sapete sono off limits per noi, la nostra religione non ce lo permette. Aspettiamo che le porti il Grande Cargo!
Alla vista dell’aereo ci auguriamo che il rimpicciolirsi progressivo dei velivoli non sia sinonimo di eventuale ritorno a nuoto.
Veniamo pesati con tutti i bagagli addosso, al turno di Anna mi viene uno scoppone: ma quanto s’è ingrassata! Falso allarme, è solo la quantità di conchiglie che ha raggiunto lo stato che a definirsi correttamente necessita il termine di smodato. In qualche modo veniamo pressati nel trabiccolo pilotato da una simpatica capitano con tutto il carico e partiamo, destinazione Aneytum, isola più a sud dell’arcipelago.
Atteriamo a Mistery Island nella piccola pista erbosa occupante da sola metà isola ed appena scesi dall’articaglio restiamo a bocca aperta. Nonostante il cielo velato un mare di un turchese, talmente turchese da sembrare finto, ci accoglie pochi metri più avanti.
Non manca la spiaggia di soffice sabbia bianca ed un po’ di vegetazione, in poche parole si potrebbe dire che l’immagine del paradiso tropicale qui ha trovato sicuramente una sua ubicazione.
Chiediamo lumi per i bungalow e ci becchiamo una doccia fredda:
Che bungalow? Niente bungalow qui.
Mister son sicuro.
Yes, bat not uorkin!
Alternative?
On the meinland, go on the bot! Arry up!
Che l’isola fosse disabitata perchè secondo loro porta sfiga lo sapevo, di non trovare sistemazione con il senno di poi avrei dovuto aspettarmelo. Pazienza, abbiamo tutto domani. Dopo una breve traversata ci troviamo sbattuti bagagli inclusi sulla costa di Aneytum nella ridente località di nome Anelcauhat la quale, tanto per dire, è sprovvista persino di una strada.
“Skius mi, ser…uear kaz arr bungalow(s)”? Ormai il bislama lo domino.
“Uh”, ma chiara indicazione gestuale.
Con i bagagli a spalla ed a forza di moccoli e porconi in dialetto stretto, tutti rivolti alla comoda sabbia profonda particolarmente adatta alla deambulazione, percorriamo circa 600 metri fino a qualcosa simile ad una baraccopoli dove una signora, dopo averci squadrato come dei marziani, va a chiamare the cif, al quale leggo negli occhi uno sguardo che suona come: e questi che maink ci fanno qui?
La sistemazione non è sicuramente l’Hilton ma è spaziosa, abbiamo anche un vicino, un giovane rastone locale che per due giorni non svolgerà la benché minima attività fisica e non articolerà una sillaba. Pare incredibile ma questa sera ci sarà pure una festa/esibizione con cena tipica organizzata per dei diportisti all’ancora nella baia, il gestore chiede se vogliamo partecipare ed ovviamente rispondiamo di si.
Il tempo è coperto, pure un po’ freddino, la zona non è idilliaca come Mistery ma bella. Girovaghiamo sulla costa raccogliendo un’altro po’ di conchiglie.
Un poco di sole al tramonto lascia ben sperare per il giorno seguente e regala un bel tramonto.
La cena di “gala” si svolge presso il kava bar a poche centinaia di metri dal, non riesco a chiamarlo resort, luogo di pernottamento. Ci troviamo con una serie di sfigati, neozelandesi, americani, inglesi, caledoniani in viaggio, chi da qualche mese, chi da qualche anno (sabbatico, sai lo stress), con le loro barchette a vela da un milioncino di euri.
Alla domanda di rito: “qual’è la vostra barca?”, rispondiamo decisi l’Ostrich e che diamine! Poi rettifichiamo e chiariamo come ci spostiamo. Risposta: “Che coraggiosi”! Detto da chi è partito dall’Inghilterra ed attraversato l’oceano mi pare eccessivo. Sono presenti parecchi locali, c’è musica, la chitarra, si canta Bob Marley. Successivamente inizia l’esibizione, più o meno quello che si vede nei villaggi Kastom ma indoor, spiegato come in un museo, con un esilarante tentativo fallito di accendere il fuoco con i legnetti.
E poi venne la (dis)gustazione kava!
Abbiamo un “kaveur” tutto per noi che macina kava senza sosta, iniziano a girare mezze noci di cocco colme di ripugnante miscela.
Ovviamente per un real macho sventrapapere orobico la dose è pieno raso, quella da veri duri.
Butto giù la prima in un colpo trattenendo il fiato, disgustosa.
Il bon ton locale esige più razioni intervallate da assaggi vari al biffit (buffet), nel nostro caso ottimo.
Non mi tiro indietro, mangio, la fame è notevole, e bevo.
La mezza noce, sarà almeno 20 cc, la prima va giù, in seguito è sempre più difficile, arrivato alla quarta è puro eroismo, abnegazione, sacrificio e notevole coglioneria.
Perché faccia effetto bisogna berne un po’, mi dicevano, solo che il passaggio non è chiaro.
Infatti passo da uno stato cosciente ad uno assolutamente cosciente di essere in aria come un balcone all’ultimo piano del Burj Khalifa.
Vi copioincollo un estratto della ricerca svolta per l’università di Radio Elettra
Anomalie riscontrate:
Impossibilità totale di deambulazione in linea retta.
Capacità ridotta di raggiungere un punto B partendo dal punto A con qualsiasi tipo di linea.
Deficit d’equilibrio. Io sono ancora comunque convinto di essere stato nel giusto, era il mondo che era storto!
Necessità assoluta di sedersi non appena possibile.
Necessità assoluta di rialzarsi subito dopo.
Ridotta capacità di percezione a breve raggio.
Ipercapacità di percezione dall’infinito in avanti, il Kosmo……la vita, l’universo e tutto quanto…
La so: 42! (Chi capisce questa vince il Mongolino d’Oro) E portatevi sempre un asciugamano.
Moltiplicata capacità di eseguire calcoli a mente inclusa la soluzione di almeno 15 dei 23 problemi di Hilbert riguardo i numeri primi, per gli ultimi otto ne allevio la solitudine tenendogli un po’ di compagnia.
Chiarezza di idee, lucidità totale, espansione della capacità di analisi e ragionamento.
Peccato che le fini riflessioni derivate da ciò, tradotte in linguaggio verbale, appaiano una vagonata di minchiate senza senso.
Se ne deducono difficoltà dialettiche.
Anna è uno splendore, raggiante, ripete in continuazione: “Che bello, come sto bene”.
Le chiedo che ora è
-Come sto bene.
Qual’è l’Hamiltoniana di un atomo immerso in un campo elettromagnetico?
-Che bello!
Per quante coppie di ordinate (a, b,) di numeri interi accade che il loro prodotto sia uguale alla loro somma?
-Come sto bene!
Lei: stai male? (variante sinonimi/contrari)
-No, ma vomito…(in effetti stavo spargendo la cena fra i rovi)
Io invece sto bene.
-Come non detto!
Ultimo ricordo, un omino gentile mi accompagna dicendomi qualcosa come: pliis, it’s betta iù sit daun mai frien!
Una bella serata. Il giorno dopo non avremo il benché minimo problema fisico.
Non sono stato male nel senso corrente del termine, ad un certo punto il mio stomaco semplicemente si è ribellato all’assimilazione della ciofeca, di fatto è stata una reazione di tipo ideologico più che fisiologico.
Una balla di cava è assolutamente consigliata, direi doverosa, è come ubriacarsi fradici ma senza gli effetti collaterali e spiacevoli dell’alcol!
Raggiunta la baracca sotto la pioggia cadiamo in catalessi.
Dopo un periodo di tempo non definibile veniamo però svegliati da un rumore decisamente forte, un rombo continuo: il terremoto! No, piove. Piove talmente che il tetto di lamiera vibra considerevolmente, sembra di stare su una pista con un jet in decollo. Poi si scatena il finimondo. Una tempesta tropicale in piena regola. Il bungalow ondeggia per il vento, il rumore della pioggia è assordante, oggetti non identificati si schiantano sul tetto e contro le pareti provocando forti tonfi. All’interno volano persino le magliette appoggiate sul letto vuoto e dalla finestrella priva di vetri entra acqua. A 10 mt dal mare non ci sentiamo totalmente tranquilli e ci auguriamo che le costruzioni siano state edificate tenendo conto di questi eventi teoricamente normali in loco. Non è stagione di tifoni indi questo deve essere poca cosa, non voglio immaginarmi un tornado vero.
C’è poco da fare, dormiamo, tuttalpiù ci sveglieremo galleggiando, si spera, nell’oceano.
Il giorno che segue la movimentata notte è molto tranquillo, tanto tranquillo da mantecarmi le gonadi!
Sognavamo spiagge bianche e mare blu invece restiamo intrappolati in un fatiscente bungalow sotto una pioggia incessante.
Passiamo dallo sconforto alla disperazione. Espletiamo tutte le attività possibili in pochi mt quadri al chiuso, lettura, lavaggio, ordinamento conchiglie per tipo, forma, colore, data di raccolta, striature e relativo immagazzinamento, lettura ancora, dormiveglia, catalessi, igiene personale, lavaggio indumenti, l’asciugatura è una chimera, coccole, ancora ed ancora lettura, smartellamento marroni, osservazione afflitta del cielo plumbeo. Riusciamo a fare una passeggiata solo a pomeriggio inoltrato quando miracolosamente smette di piovere a dirotto.
A cena mi accordo con il nostro gestore per un passaggio in barca a Mistery in mattinata, per sfruttare almeno il poco tempo rimanente sull’isola, prendere un volo successivo, fermarsi ancora qualche giorno non è possibile.
Ci svegliamo con un sole splendente ed un vento micidiale. A colazione rammento la barca all’omino, alle 10 è pronta mi risponde. Approfittiamo per un giro e, devo dire, con il sole Aneytum appare decisamente più attraente. Nella baia nessuna delle imbarcazioni è partita, con un mare così mosso non li invidio, devono aver passato una pessima nottata.
Mi appropinquo ai bungalow ben prima dell’ora stabilita ma del nostro anfitrione nessuna traccia. Da dei locali apprendo che l’aereo con questo vento probabilmente non arriverà ed il volo sarà rimandato all’indomani, ci spero ardentemente.
Ben dopo l’ora stabilita arriva il nostro uomo, gli ricordo della barca e mi risponde che non è possibile, c’è troppo vento, capisco che non se ne è interessato minimamente, ci dice comunque di tenerci pronti per la partenza. Una coltellata mi avrebbe fatto meno male, stendo un velo sui pensieri di assassinio con lenta agonia. Passo il tempo con un simpatico anziano pescatore il quale mi spiega tutto riguardo alla pesca del wahoo.
All’ora stabilita raggiungiamo la spiaggia ed attendiamo in compagnia di un gruppo di Ni-Vanuatu. Inusuale attendere un aereo sdraiati sull’erba o sulla spiaggia.
Arriva, non arriva: arriva! Ed il vento cessa quasi del tutto. Non ho una spiegazione attendibile.
Mistery ci accoglie, sottovento, in tutto il suo splendore. Con il sole il mare è talmente turchese da sembrare verniciato, tanto limpido da apparire cristallo. Ho un groppo in gola. Corriamo ovunque all’unico scopo di farci del male e scattare qualche foto.
Proprio delle rapide occhiate e veniamo chiamati ad affrettarci, l’aereo parte subito sfruttando il momento di calma. Più che un velivolo è un pulmann, mancano solo animali vivi e ci sarebbe stivato di tutto, tanto che non c’è spazio per noi, gli ultimi due posti sono occupati da vari prodotti ortofrutticoli. A spinte, pugni, calci e moccoli ricavano un sito per me e chiudono il vano di carico, Anna va a fare compagnia alla pilota e si godrà il viaggio in posizione privilegiata, io mi troverò una protuberanza di canna, presumibilmente da zucchero, non dico dove.
Dulcis in fundo, stiamo ormai entrando nella carlinga quando una tartaruga fa emergere il crapino dall’acqua a pochi metri da noi e ci guarda incuriosita.
Dio c’è e ci odia!
In pratica
Non sappiamo se a Mistery i bungalow siano chiusi solo temporaneamente o no. Le mail mandate al sito: http://www.positiveearth.org/ non hanno avuto risposta, così come le chiamate telefoniche, alla vista ci sono parsi però in stato di abbandono. Il che non è però significativo, a Vanuatu nei luoghi più remoti preparano, riassettano e puliscono quando arriva qualcuno. In ogni caso, , sfiga a parte, i bungalow di Kenneth http://www.positiveearth.org/bungalows/TAFEA/kenneths.asp offrono rifugio a chi tenti la sorte, come scritto in precedenza, non è una sistemazione di lusso e nemmeno media, comunque è accettabile senza particolari problemi. A pensione completa sono 5000 Vatu in due, per lo meno è economica.
Aneytum offre trek e passeggiate secondo me fantastiche, è un’isola piccola ed assolutamente selvaggia, Mistery è disabitata, secondo i locali pure stregata, offre un mare al di là del bello e la possibilità di stare soli su di un atollo seduti in spiaggia al tramonto guardando le tartarughe. Possibilità di camping ma bisogna essere autosufficienti. I voli avvengono due volte la settimana con un biroccio da 8 posti utilizzato molto dai ni vanuatu per spostarsi.
Due foto dal finestrino sporco, traballando non poco, tanto per avere un ricordo di cosa c’è attorno a queste isole.
Sosta a Tanna e connessione per Efate, dove passeremo gli ultimi giorni. Torniamo al Traveller’s ed alla sua fornita cucina per una autoctona spaghettata in real italian style, gestendo per l’occasione l’ostello. Nel senso che Janelle e marito se ne vanno a cena al ristorante e se arrivasse qualcuno…pensateci voi. A beh, si beh.
Tanto per cambiare siamo in città alla domenica, nessun problema, l’ennesimo amico dei nostri guests ci porta un auto a nolo, direttamente in stanza: compagnia sconosciuta, piccolo 4wd, 6000 vatu al giorno, pratiche burocratiche decisamente soft. Partiamo quindi per il nostro giro antiorario dell’isola con in tasca un, si fa per dire, indirizzo di sedicente Vatupau Paradise Bungalow chiedere di Kenneth.
Efate è chiaramente più battuta dal turismo, anche qui il termine è aleatorio, rispetto al resto dell’arcipelago, non per questo meno bella. Fuori dal ring asfaltato verso l’interno è prima un putiferio di coltivazioni di frutti e stupendi palmeti e poi il solito intrico di giungla. La prima parte di costa sud è rocciosa, ricca di pozze naturali ed, addentrandosi a caso per stradine, si trovano piccole spiaggette deserte.
Qui il mare è oceano, non molto balneabile a causa delle forti correnti. La zona è molto frequentata dai locali per pescare e mariscare.Lungo la strada veniamo attirati da un cartello recitante qualcosa come Turtle Conservation area, blue holes, norkelling, sharks, ecotourism, ecc. ecc., seguiamo le indicazioni ed arriviamo presso una nuova grossa struttura. Alla richiesta info ci fanno pagare il biglietto, anche piuttosto salato, già la cosa mi piace poco. Infatti, più che un area di conservazione, si tratta di uno spazio in cui il termine “eco” definisce solo il rimbombo dei miei porconi, realizzato ad uso e consumo del turismo più becero, nel caso specifico gli utenti delle crociere P&O. Presso un buco scavato fra le rocce sulla riva e chiuso con una diga di cemento verso il mare, in uno spazio ridottissimosi si trovano due grosse sfigate tartarughe ed uno squaletto. Il gusto è dargli da mangiare una papaia. Mi rifiuto. Il giro comprende anche la visita ad una specie di lavanderia dove, in piccole vasche di cemento, sono ammassati i piccoli delle stesse ed in gabbie Flyng fox ed altri uccelli. Una cosa veramente miserabile. Per concludere la recensione devo dire che la spiaggia è bella, lo snorkel non è male solo che allontanarsi dalla blue hole marina verso le rocce che vanno a chiudere la mini baia è a rischio della vita, la risacca è fortissima e si trova solo una fune per reggersi, assicuro di avere fatto fatica a tenermi ed a rientrare. Se mi si permette una riflessione, trovo curioso che, in un paese dove per trovare spazi assolutamente liberi ed incontaminati è sufficiente allontanarsi solo qualche km da casa, in fondo umani ed animali, pur in forme diverse, condividano la stessa prigione.
Assolutamente da evitare, per non dire boicottare. Anzi lo dico, da assolutamente boicottare.
Un poco più avanti appena prima della spiaggia di ETON si incontra l’omonimo BLUE HOLE, solito ticket d’ingresso.
Non ha molto da invidiare ai più famosi di Espiritu Santo, è uno specchio d’acqua limpida color verde e celeste con l’ abituale fune per lanciarsi dagli alberi e tuffarsi, qui piuttosto alta e divertente.
Dopo aver tentato di suicidarci abbondantemente imitando maldestramente Tarzan siamo sulla sabbia bianca per uno spuntino a base di sedicente formaggio cheddar, il che è tutto dire, ed un prosciutto cotto indistinguibile nel sapore dalla confezione di plastica. Pur essendo fra le spiagge viste finora la più turistica e battuta è decisamente bella, sopratutto con la bassa marea, le calme acque della laguna hanno colori fantastici, ed è frequentata molto dai ni-vanuatu stessi.
Ci piace molto, l’abbandoniamo solo a pomeriggio inoltrato per l’ultimo tratto di strada in direzione costa nord con meta Undine Bay. Superata Siviri e raggiunto il piccolo villaggio di Emau, di indicazioni per qualsivoglia accomodation non se ne trovano, anche capire dove è il mare è difficoltoso essendo praticamente in mezzo alla vegetazione. Non facciamo in tempo ad iniziare a chiedere in giro che Kenneth stesso ci trova, gentilmente stava aspettando lungo la strada e ci accompagna attraverso una pista nella foresta ad un bungalow fronte mare incastonato fra fiori e piante dalle larghe fronde, le quali si aprono solo per lasciare sole e spazio ad una piccola spiaggia praticamente privata, con vista sulle isole di N’Guna e Pele, il primo pensiero è: io non me andrò mai da qui.
Non facciamo in tempo a riporre i bagagli che Anna è già nell’acqua, una tartaruga ha fatto capolino. Qui è realmente zona di conservazione e sono numerose, con un minimo di pazienza è piuttosto facile incontrarle, infatti ne vedremo parecchie, oltre che pesci vari, non ci sono però molti coralli. Finiamo la giornata guardando il calar del sole riconciliandoci con la vita dopo la coltellata di Mistery.
Sono presenti due bungalow, uno posto in alto, ed uno, il nostro, fronte mare, introvabili se non si contatta il proprietario, spartani ma carini, ottimamente tenuti, in ogni caso solo la posizione vale qualsiasi sacrificio. Kenneth ed Anita sono estremamente gentili, un po’ timidi, i pasti casalinghi, non c’è acqua calda, corrente elettrica dal tramonto alle 21,00 poi lampade ad energia solare. A Emau non si acquista nulla salvo un po’ di frutta quando ci sono i banchetti (roadmarket) sulla strada asfaltata, quindi bisogna portarsi eventuali snacks e beveraggi. Se non si ha un fuoristrada si può arrivare tramite un largo sentiero posto appena prima del paese, 4/500 mt. a piedi. 7000 Vt in due, con cena e colazione. La sera è piuttosto fresco, zanzare poche.
Http://www.positiveearth.org/bungalows/SHEFA/vatupau.asp
Non è consigliato, di più
Svegliarsi, fare colazione in veranda con le frittelline appena fatte e tuffarsi è già di per sé una cosa per cui vale la pena vivere
Di contro non stimola molto ad essere attivi e propositivi; in breve della intenzionale gita a Pele via battello non resta traccia e ci godiamo la nostra oasi di pace e relax nuotando alle calcagna di qualsiasi cosa assomigli ad un carapace.
Nel pomeriggio riprendiamo l’auto e seguendo la costa raggiungiamo il Wordl War II museum, il quale trattasi di una baracca di legno piena di reperti pescati in mare, sopratutto bottiglie di coca cola, gestito da un simpatico nonnetto. E’ situato all’Havanna harbour, facile da trovare, ben visibile sulla strada.
La poco logica deviazione nasce dal fatto di averne promessa una e, per essere sicuri di trovarla optiamo per recarci subito con tempo abbondante. Dopo la visita, sempre nell’accezione vanuatese del termine, del museo e racconti del gestore acquistiamo con una lunga e ponderata scelta una bottiglia del ’43. Torniamo poi sui nostri passi, fermandoci per strada a salutare qualche studente e rifornirci di birre e noccioline, fino quasi a Siviri per raggiungere la Valeva Cave, che troviamo con qualche difficoltà. La grotta è formata da due parti distinte, prima uno stanzone a volta e poi da un canyon scavato dall’acqua visitabile in cayak per una 50ina di mt, non ne vale la pena.
Da li a Takara dove, passando il giorno prima, avevamo visto dei cartelli indicanti delle hot springs, per noi irresistibile richiamo, ce ne sono ben due. La prima è di canone occidentale; una moderna costruzione con bar ristorante, una piscina di acqua calda fronte mare ed una di acqua fredda poco distante. I maligni in zona dicono che non sia termale ma solamente riscaldata, in ogni caso ci ispira poco essendo al momento occupata da un gruppo di turisti del tipo “apericena”, così ci dirigiamo alla seconda, la quale è decisamente molto più rustica e sulla autenticità della qualità termale non c’è dubbio. L’aspetto “ruspante” deriva dal fatto che è stata scavata, canalizzata e realizzata completamente dal proprietario del terreno al fine di sfruttare le sorgenti turisticamente, il Ni-vanuatu a badile e carriola non è un impresario di Bergamo e si vede. A prima vista lascia un po’ perplessi. Si tratta di una serie di vasche cementizie di fabbricazione piuttosto spartana, delle quali una è costituita da fango grigio/nero repellente nell’aspetto dall’odore di uova marce (che sia piena di kava?). Vinta facilmente l’iniziale ritrosia ci buttiamo nella melma calda rotolandoci e giocando come due idioti. La parte più divertente è però osservare le facce schifate dei turisti in arrivo dai resort di Port Vila, i quali scendendo dai pulmini magari pensando di finire alle terme Diocleziane di Bursa ed invece si trovano davanti due deficienti in una porcilaia, coperti di fango e circondati da laghetti per anatre. Mai stati così fotografati in vita nostra. Inutile dire che entrano in pochi, non sanno cosa si perdono.
Finiti i fanghi si passa in altre quattro vasche di temperature diverse dove giacciamo indolenti scolandoci birra e scrocchiando noccioline fresche. Schifo di vita! Al di là della struttura le acque sono ottime e ne vale proprio la pena, il costo è 1500 vatu a testa, 500 solo per visita e pediluvio. Ci sono gazebo di legno, tavoli, panche per pic nic e spogliatoi. Gli snacks bisogna portarseli, un po’ più avanti sulla strada in direzione Siviri dopo pochissimi km c’è uno spaccio. La figlia del proprietario che gestisce, sempre visione Vanuatu, è piuttosto loquace ed apprensiva. Dietro le piscine un comodo sentiero fa il giro delle canalizzazioni e delle sorgenti.
Finiamo la giornata nel nostro solitario eremo, io non ho più la forza di affrontare del liquido esternamente, sono praticamente bollito e non intendo in senso metaforico, Anna invece non resiste ed è fortunata, avrà un lungo incontro ravvicinato con una tartaruga intenta a mangiare da un corallo e rientrerà estasiata: potevo toccarla, mi dirà. Troverò invece dei tartarughini passeggiando lungo la costa fra mangrovie ed anfratti, qui è anche luogo di riproduzione.
Superfluo dire che lasciano Kenneth ed Anita con il magone, inutile tenere l’auto per gli ultimi due giorni dei quali uno per mare, il su e giù è ancora una volta poco logico ma noi la logica non sappiamo dove stia di casa.
Abbandonato il mezzo al Budget torniamo indietro di 15 km circa con i mezzi pubblici, è si, dovevamo provarli. Raggiunto un grande supermercato con un bus B aspettiamo l’extraurbano (diciamo), circa uno all’ora molto teoricamente, comunque aspettiamo poco. Dopo due soste a due diversi supermercatini locali, presso i quali la gente scende a comprare in entrambi le stesse cose, imbocchiamo una deviazione verso l’interno lungo uno sterrato. Pochi km a passo d’uomo, un numero consistente di sobbalzi e finiamo un po’ perplessi in una grande costruzione molto moderna, una specie di fabbrica dove tutti indossano un camicie bianco, qui carichiamo un enigmatico grosso contenitore di polistirolo. Il mistero si svela presto, si tratta del sogno di ogni viaggiatore: una gita turistica al mattatoio di Port Vila, mai più senza.
In un ora abbondante arriviamo al Gideon’s Landing, vicino ad Havannah Harbour, famoso perchè usato come set nella serie televisiva Survivors proprio dirimpetto a Lelepa island. A dire il vero all’ The Havannah resort sostengono la stessa cosa. Il complesso offre una serie di grossi bungalow muniti di un buon set cucina, impianto d’acqua calda non funzionante e corrente elettrica 24 ore. E’ piuttosto anonimo pur se in bella posizione, sempre spartano e come accennato sopra stanze piuttosto ampie ed assolutamente vuote provviste però di bagno e doccia privati. E’ presente un bar ristorante riguardo al quale specificherò in seguito. Lo staff è inesistente escluse le due tranquille ragazze addette alla ristorazione. Non mi sono segnato il costo, a memoria si aggirava sui 7000, vt. Siamo noi ed altre due ospiti. La fortuna di questo posto è l’essere stato set di una serie di successo, al pomeriggio si fermano i pulmini da Port Vila, fanno due foto alla piccola spiaggia, un bagno a due metri dalla sabbia, consumano una 50ina di coke e ripartono. Peccato perchè il tratto di costa è molto bello ed il mare, pochi mt più in là splendido. Al resort manca il fascino che contraddistingue l’edilizia locale, resta solo l’aspetto essenziale, con una miglior gestione potrebbe fare una fortuna.
Passiamo il resto della giornata camminando lungo la costa, dove si trovano un porticciolo scavato per un paio di catamarani da sei zeri ed una serie di dimore private a nord, mentre a sud, passata qualche altra residenza, un club di pesca ed il Wahoo bar, ci sono solo mangrovie e vegetazione. Sempre nella stessa direzione si fa del buon snorkelling ed il mare è stupendo.
A sera ci rechiamo al ristorante esattamente mentre si apprestano a chiudere la saracinesca, circa alle 19,00 passate, una delle fanciulle mi guarda con aria sbalordita e chiede quasi allarmata: “ma voi vorreste mangiare”? A me sembrava abbastanza logico ed ovvio che gli ospiti ad una cert’ora vadano al ristorante, ma qui siamo a Vanuatu. Gentilmente, superato l’attimo di panico, ci preparano qualcosa, un hamburger ed un pesce fritto. A me tocca la carne e capisco il senso di quanto prima. Santi del Paradiso grazie e mai più. Consiglio speciale portatevi le vettovaglie. Il Wahoo bar poco distante, alla sera apre solo il fine settimana. Nelle vicinanze non si acquista nulla, non ci sono nemmeno i road market.
La mattina seguente ci viene a prendere il barchino per il giro a Lelepa, gita prenotata e pagata al Budget Traveller’s, effettuata da una compagnia di lelepani, la lelepa tours appunto, leggermente differente da quelle più reclamizzate nelle agenzie di Port Vila. Non ho riferimenti, per info e prenotazioni basta però rivolgersi all’ostello.
Superato il tratto di mare dell’Havanna bay ed aggirato un promontorio approdiamo in una meravigliosa spiaggia di sabbia bianca orlata da un mare cristallino, uno schifo di posto, chiedo di essere riportato al mattatoio, lì si che era bello!
Sono presenti delle piccole costruzioni, udite udite delle sdraio e degli ombrelloni. Qui consumeremo anche l’ottimo ed abbondante pranzo incluso nel tour. Chiaramente mangiamo a più non posso avendo già dato per scontato il salto della cena.
Dopo avere abbondantemente adempiuto ai nostri doveri espletando attività quali il rosolamento al sole, bagni, snorkelling, pranzo, pennica, riposo, relax, ricerca conchiglie, consumazione di birra, ecc. abbiamo il primo approccio con l’imbarcazione a bilancere, la quale ha la prerogativa di non muoversi in linea retta ma di procedere inesorabilmente solo con moto circolare. Fuor di metafora gira in tondo e stop!
Con un breve trek attraversiamo un tratto di foresta per visitare la grotta del capo Roi Mata, eroe nazionale dei ni-vanuatu, famosa perchè ivi esalò l’ultimo respiro. Le spoglie vennero invece tumulate nella vicina Hat Island, dove si narra che circa 50 persone si autosacrificarono in un grande rogo collettivo, l’isola venne poi abbandonata. Il sito è patrimonio dell’Unesco.
La grotta di per sé non è particolarmente interessante, possiede però un grande valore storico per i locali ed ha un aspetto sinistro.
Nelle vicinanze si vedono anche dei vaghi resti di istallazioni della seconda guerra ed i rottami di un aereo precipitato.
Riprendiamo la navigazione aggirando ancora un altro tratto di Lelepa fino ad entrare, attraverso un passaggio fra le rocce, in una sorta di laguna circolare dalle acque ferme ed incredibilmente chiare. Il tempo di buttare un occhio e rendersi conto della quantità di pesci blu presenti che siamo già tutti a bagno armati di maschere, ovviamente di pinne no, sapete come la penso. Immersi si ha la sensazione di essere in un acquario aspettandosi solo di vedere il solito fesso armato di dito a picchettare sul vetro, battute a parte è un tripudio di pesci e coralli.
Ho finito gli aggettivi per descrivere il mare di Vanuatu qui ne servirebbe uno nuovo per non ripetersi. Mi rimaledico per la waterproof! Anna la recuperiamo a fiocinate, altrimenti sarebbe ancora li, ed un po’, a quattro mesi di distanza, mi sa che non è ancora tornata del tutto.
Percorriamo ancora un tratto di costa per ormeggiare presso uno pseudomolo fra le rocce e, con un tratto a piedi siamo al villaggio di Mangaliliu dove ci vengono offerti thé, bevande e biscotti. E’ presente un piccolo mercatino di chincaglierie, la maggior parte made in china ma con anche dei bei cestini di vimini, teoricamente fatti in loco, apprezzatissimi dalle signore presenti.
La gita finisce con il rientro ad Efate a pomeriggio inoltrato, la vista via mare dell’isola permette di rendersi conto quanto, “quella sviluppata” sia in realtà un’isola in gran parte ancora piuttosto intonsa.
Il giro assolutamente merita e vale i soldi spesi. La compagnia proposta da Janelle del Budget offre un tour più rilassato ed autentico con molto tempo da spendere nell’acqua. L’imbarcazione è un piccolo peschereccio locale, poca gente, noi eravamo in 7/8 e, come già detto gestito da locali. L’altro operatore è più indirizzato al grande turismo, ha una barca di dimensioni maggiori, di tipo turistico e dura almeno un’oretta meno.
Avevo letto riguardo ai lelepani di come, fra gli abitanti dell’arcipelago, siano considerati i più selvatici. In effetti se non si è originari dell’isola non è possibile prendervi residenza e confermo che non sono gioviali quanto il resto dei ni-vanuatu. Non vi mangiano state tranquilli. Giuro! Nel caso qualcuno venga mangiato mi invii pure una lamentela scritta e firmata. E’ invece assolutamente falso quanto si dice che non sia possibile fermarsi a dormire in loco, anzi siamo stati invitati a farlo. E’ possibile presso il villaggio e, con l’attrezzatura da campeggio, almeno sacco a pelo e masserizie, nelle strutture presenti sulla bella spiaggia visitata, previo contatto con i lelepesi. Quelle che chiamo “strutture” sono solo piccole costruzioni per i turisti di passaggio, probabilmente verranno costruiti dei bungalow, al momento è meglio essere autosufficienti. Il villaggio è circa ad un’ora di cammino e nelle vicinanze non esiste nulla di nulla, ottimo motivo per fermarsi. Il contatto si può trovare via agenzie di Port Vila, da Gideon e sicuramente al Budget, consigliato quest’ultimo.
Un ultima passeggiata sul bel litorale nella prospettiva di andare a letto senza cena quando mi viene una idea.
All’imbrunire dovrebbe arrivare il fuoribordo da un paio di centinaia di litri ora di benzina dei pescatori neozelandesi, obbiettivo scrocco!
Infatti eccolo; facendo finta d’essere un anonimo turista vagabondo attendo in disparte l’attracco al piccolo molo di legno, mi sorbisco le solite foto di rito con il pesce attaccato alla canna e, nel momento in cui iniziano a scaricare il pescato sul molo, mi avvicino con fare leopardesco. Hanno preso una quantità di tonnetti pinna gialla, una succulenta meraviglia, già me ne figuro uno sul grill del bungalow. Anna rifiuta quella forma di prostituzione e si allontana a caccia di conchiglie. Con mirabile recitazione e faccia da fesso fingo reale interesse per il pescato. Oh what beutiful fishes! Can I take a picture?, oh wonderful!
Scambio battute e complimenti con quella risma di personaggi dalla notevole puzza sotto il naso, sinceramente li affogherei uno ad uno ma resisto, anzi affondo, ma quanti, cosa ve ne fate, come dev’essere buono, come si cucina? Quando iniziano a pulirlo ed eviscerarlo li guardo con lo stesso sguardo di Dumbo nella scena in cui perde la mamma. Provo anche a sbavare! Niente, e da veri polifosfati organici compattati mi fanno intendere di levarmi dalle scatole
Scornato mi trascino mentre il buio cala sulla mia cena, smoccolando ed augurando alla Nuova Zelanda un destino di pestilenze, carestie, invasione delle cavallette e pioggia di fuoco.
Per paura tornassimo a mangiare lo pseudo ristorante ha già chiuso.
Alla fine meglio così. Cosa c’’è di più bello che cenare in un angolo di paradiso sulla spiaggia con pane raffermo e banane? Contorno di noccioline e marmellata per dessert.
Vista la bella giornata seguente decidiamo di rientrare a Port Vila per sera restando ancora un po’ al mare. Quando riesco a scovare un qualsiasi inserviente del Gideon’s chiedo di usufruire del servizio kayak free, in questo caso due canoe ed un remo solo. Niente paura c’è una piroga a bilancere, la quale ovviamente tocca al macho della situazione. 10 minuti di scuola guida e siamo per mare. Anna con il kayak scheggia come un pesce siluro, io arranco come un pesce sega! Una volta affinata la tecnica riesco anche a procedere dignitosamente. Il trucco consiste nell’iniziare a remare normalmente in avanti e nel momento in cui la pagaia sott’acqua è in asse con il rematore rotearla di 45 gradi facendo leva in direzione contraria allargando nel contempo la spinta verso l’esterno, così facendo si bilancia la direzione, non si rotea e si incrementa la potenza.
Seguiamo la costa in direzione sud, dove l’acqua è più bassa, pesci e coralli sono visibili direttamente da seduti, siamo soli noi ed il mare. In lontananza solo il megayacht di un magnate russo con tanto di elicottero parcheggiato.
Incrociamo un unico altro bilancere e due locali presso una spiaggia nascosta dove ci fermiamo a fare uno spuntino.
Spesso ci immergiamo nei punti che più ci ispirano per dell’ottimo snorkelling. In tutto questo tratto il fondale è formato da rocce coralline, a volte affioranti a volte profonde, ricche di coralli vivi, pesci ed altre bestie strane, bisogna solo cercare il punto migliore per tuffarsi.
Risaliamo in seguito un rio incastonato nella vegetazione, aprendoci la strada fra le mangrovie. Anna si caccia fin dove possibile ed ha il suo daffare a districarsi.
La maggior parte della gente si ferma da Gideon un quarto d’ora ignorando che poco più in là esista una tale bellezza. Aggiungo che poche volte mi sono goduto il mare, e che mare, così.
Il tempo vola, con le ultime forze ed un paio di vesciche sui palmi raggiungiamo terra, prendiamo armi e bagagli e ci accampiamo lungo la strada asfaltata per il rientro in città. Non attendiamo a lungo, il primo camion di passaggio ci raccatta ed in breve siamo a Port Vila fermandoci al Room with View che, confesso, ho scelto per il nome. Appena a nord del centro, non distante dal Chantilli’s on the bay, situato un edificio secondo loro storico ha un certo fascino retrò. La vista sulla Fatumaru bay è un po’ quella che è, ma il posto merita, carino e piacevole, belle stanze non molto grandi, acqua calda a go go, una grande terrazza, un pianoforte scordato ed una chitarra rotta, tutto per 5000 Vt inclusa una ottima colazione. Sicuramente il miglior rapporto qualità prezzo di Port Vila. La proprietaria è una koreana loquace e molto gentile, sempre disposta ad offrire “koppi” ad ogni incontro. Assolutamente consigliato.
Ultima cena da signori al Chill, in pieno centro vista baia. Qui ordiniamo due granchi del cocco e all’atto dell’ordinazione noto che la cameriera fa un’espressione strana.
Ne capisco il senso all’arrivo della pietanza, trasportata con il muletto direttamente su pallet. Due enormi bestie da almeno un kilo e mezzo l’una in difetto in brodetto rosso leggermente piccante. Forse è uso prenderne uno in due. Non fa nulla, come direbbe Hillary: questo sarà il mio Everest.
Sul rientro a piedi in motel stendo un velo pietoso.
Ultimo giorno, ci siamo tenuti come finale le MELE cascades situate a monte dell’omonima baia, comodamente raggiungibili con un qualsiasi bus B in circa un quarto d’ora dal centro, non servono taxy o agenzie. Qui il fiume Mele forma due cascate e scorrendo sulla roccia nel mezzo della vegetazione produce una sequenza di altre piccole cascatelle e di limpidissime pozze d’acqua fresca. Un sentiero parte dal centro servizi, dove sono presenti bagni, docce, cabine per cambiarsi ed il bar, risalendo fino al salto principale, in un ambiente davvero spettacolare.
Il tragitto dura una ventina di minuti ed è provvisto di corde fisse per aiutarsi nei passaggi più difficili, non è particolarmente impegnativo, possibile per tutti, a meno che non ci si cacci su qualche sasso con le infradito ai piedi.
Il piccolo sforzo è ampiamente ripagato dal bagno di rito sotto la cascata, l’acqua per i miei gusti è un po’ freddina ma il divertimento notevole.
Le agenzie di Port Vila organizzano discese in corda doppia del salto, la coppia da noi incontrata si è divertita molto, personalmente non mi attira, posso però testimoniare, ho una certa esperienza alpinistica, che il tutto si svolge in modo professionale con buoni standard di sicurezza.
Un ultima foto ricordo e non ci resta che rientrare al motel, prendere il taxy e raggiungere l’aeroporto per il volo diretto per Brisbane, in Australia.
Appunto, in Australia. Ti ricordi? E’ quel paese dove vige la “quarantine”. Dove devi dichiarare tutto quello che porti, ti guardano anche sotto le scarpe e prima di entrare quasi ti disinfettano e spidocchiano pure.
Modalità cane bastonato diretto da Spielberg: “non mi porteranno via le conchiglie?”
“Magari qualcuna si può nascondere, ma 5 kili, mi sembra una impresa improba”.
Un velo grigio scende sui suoi occhi limpidi ed espressivi.
Riuscirà la nostra eroina a passare la dogana indenne con il suo prezioso carico di Occhi di Santa Lucia, Nautilus ciotoli e coralli rotti?
E’ un’altro luogo un’altra storia.
Un saluto a tutti gli amici incontrati, agli emigranti un po’ invidiati, alle tartarughe, ai pesci ed ai paguri.
Un grazie a chi ha fornito le poche ma preziose informazioni su questi misconosciuti luoghi lontani, il particolare a Sailing, la cui esperienza ci ha dato un forte imput ad intraprendere questo bel viaggio ed a tutti quelli che ospitano e sopportano i miei sproloqui.
E ricordatevi di tenere pulite le Sacre Piste, non prestate attenzione agli scettici che vi apostrofano mentre guardate il cielo colmi di speranza. Essi sono ignoranti e quando il Sacro Cargo arriverà, per loro non ci saranno doni.
Uno Struzzzo è per sempre
Foto visibili sulla gallery: http://www.pipot.altervista.org/Vanuatu/
Sarò lieto di fornire tutte le info possibili a chi voglia recarsi in questi luoghi, per fortuna poco pubblicizzati, assolutamente meritevoli di una visita, scrivetemi quindi pure alla mail: pipot-pipot@virgilio.it
INFORMAZIONE PRATICHE
VOLI INTERNAZIONALI
Della Emirates c’è poco da commentare, ottima compagnia. Milano-Dubai. Brisbane con uno stop a Singapore sono oltre un giorno di viaggio. Fra tutti i voli trovati aveva in assoluto il miglior rapporto prezzo/ore di volo. Circa 1200,00 euro pp. A Singapore lasciano scendere dall’aeromobile per circa un’oretta.
Con l’Air Vanuatu sono altri 500,00 euro circa A/R. Le tariffe ed i posti disponibili variano in continuazione, quando si presenta la combinazione migliore bloccatela subito potrebbe non ripresentarsi mai più.
MONETA
La carta di credito serve a poco, è valida solo nei resort, nei principali negozi e supermercati in città e viene applicato un 5% di carico in più.
Il bancomat funziona (abbastanza), solo a Luganville e Port Vila.
La cosa migliore è portarsi contanti e cambiare una buona scorta di vatu in città. Qualcuno accetta i dollari australiani ma non fateci conto nei villaggi e fuori dai principali punti d’interesse.
A Epi c’è uno sportello bancario non assicuro però che faccia anche da cambiavalute.
MALARIA & ZANZARE
Sarà che abbiamo trovato un clima non particolarmente caldo ed, almeno in questo, siamo stati fortunati, di zanzare ne abbiamo viste poche. Venendo dalla pianura padana, abituati alle nostre tigre, queste sono apparse dei micetti coccoloni. Sia nella giungla che nei blue hole non abbiamo avuto particolari problemi.
La malaria è un punto di domanda. A detta dei locali è stata quasi completamente debellata, sporadici casi vengono segnalati nelle isole esterne, sopratutto a Makelula. L’ Edt pone l’accento sul rischio.
Aneytum è malaria free e viene effettuato un test all’arrivo in aeroporto.
Noi non abbiamo fatto profilassi e non la faremmo se tornassimo.
SICUREZZA & RISCHI
Sebbene gli amici italo australiani abbiano subito il furto dello zainetto presso un villaggio non si può dire che Vanuatu sia un paese rischioso. Il livello di criminalità è minimo, si può girare ovunque con tranquillità. Non essendoci un grande interesse per i beni di consumo di conseguenza non ce n’è nemmeno per il denaro e nei metodi, onesti e disonesti, per procurarselo.
Non ci sono animali pericolosi, al massimo può arrivare uno tsunami, un’eruzione vulcanica o nella stagione giusta un tornado.
Fuori dai principali centri, cioè da Vila, Luganville e Lenakel, non ci sono ospedali e farmacie. Probabilmente ci saranno dei dispensari o dei posti di primo soccorso identificabili solo con l’aiuto di qualche locale. Essendo un luogo sano, con poche problematiche non necessita di grandi scorte di medicinali, è sufficiente un kit personale per ogni evenienza.
VOLI INTERNI
Aneytum esclusa non ci sono grosse difficoltà a prendere un aereo anche all’ultimo momento. Per il timetable meglio rivolgersi sempre ad un ufficio, quelli pubblicati, anche sul web, non sono affidabili al 100%. Spesso i voli variano sia per orario che per giorno. Informarsi bene anche per il peso bagagli, sugli aerei più piccoli limitato anche a circa 12 kg tutto incluso.
Sconsiglio quindi di fare prenotazioni dall’europa, meglio organizzasi sul posto tenendo un minimo di agio per eventuali contrattempi, in più presentando il biglietto di volo internazionale si ha uno sconto del 20% sui voli interni.
Nota bene, tutti voli con l’Air Vanuatu vanno assolutamente riconfermati almeno 3 giorni prima.
Http://www.airvanuatu.com/
Reservation@airvanuatu.vu
Sales@airvanuatu.com.au
CLIMA & VESTIARIO (Luglio agosto)
Caldo ma non torrido, a sera a volte anche piuttosto fresco, nel cassone di un pick up di notte freddino. Può essere piuttosto piovoso con scrosci notevoli.
Fondamentale è un buon kway e simili come parapioggia e paravento, una felpa o un pile leggero bastano ed avanzano, un paio di pedule se si fa un po’ di trek. Per il resto infradito, shorts ecc. in minima quantità.
SNORKEL
Assolutamente portarsi la propria maschera per lo snorkel. I resort costosi ne sono provvisti, gli altri o non ne hanno o sono di stato e qualità pessime, senza la propria si rischia di perdersi qualcosa di bello. Le pinne lasciatele a casa, rovinano il corallo.
EDT & GUIDA
Vanuatu & New Caledonia in inglese ed. 2012. Buona per le notizie generali quasi inutile per quelle pratiche. Un po’ di notizie le ho prese da qui:
Http://www.positiveearth.org/bungalows/explorer.htm
Http://vanuatu.travel/
Mayumi@wreckstorainforest.com info@wreckstorainforest.com Agenzia di Luganville
A chi lo desiderasse posso spedirgli un file con la guida di Positive Earth in formato word ed il preziosissimo timetable dei voli interni.